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Essere single e stare da soli non è un fallimento, ma può essere una conquista

Oggi c'è un'epidemia di solitudine, di malessere e di paura di "stare da soli". Viene qui esaminato il tema della solitudine, anche citando alcune ricerche scientifiche, in maniera costruttiva e positiva, evidenziando quegli aspetti che possono contribuire alla costruzione di sé e al miglioramento delle relazioni interpersonali. Le relazioni di coppia e l'esser single sono condizioni viste da una prospettiva che sicuramente aiuta a riflettere.
Questo articolo, tratto dal blog "Pollicino era un grande", è della Dott.ssa Marzia Cikada, psicologa e psicoterapeuta, ed è distribuito con "Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale".

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Odio coloro che mi tolgono la solitudine senza farmi compagnia. (Friedrich Nietzsche)

hhC’è molta paura intorno a noi. La paura di stare soli. Per non restare soli con noi stessi siamo continuamente alle prese con ogni possibilità che ci tenga occupati. Il telefono per esempio, in attesa del treno, in tram, mentre si cammina tutti, o quasi tutti, armeggiano con il telefono. Un gioco, un messaggio, scorrere nervosamente i social alla ricerca di qualcuno che ci dica che non siamo soli. O anche solo distrarsi, non essere con se stessi, ma immersi nel mondo dei social, dei disegnini, del qualcosa da leggere e condividere. Ci terrorizza la possibilità di essere nudi davanti a noi stessi, di vedere e sentire le nostre emozioni e allora ci riempiamo, il corpo, l’agenda, la testa di impegni, di cose da fare, di cibi da ingurgitare. Cose non necessarie se non a difenderci da noi stessi.

Anche molte coppie nascono ( o non finiscono) avendo nella paura di stare soli o di essere giudicati incapaci di essere in due. Quindi si sceglie il partner che capita, la persona che sembra poter andare pur di raggiungere l’obiettivo di non essere single. Storie in cui per bisogni personali e storie familiari, si sceglie di essere in coppia MA non si sceglie la persona, con il malessere che questo potrebbe causare sul lungo periodo.

Eppure la solitudine, la possibilità di stare soli,  è stata riscontrata come una capacità tipica di menti brillanti, di persone capaci e creative. Uscendo, quindi, dalla visione carica di pregiudizio per cui la solitudine è un problema, potremmo scoprire ben altro. Ad ogni età infatti, la solitudine acquisisce un significato e un valore potenzialmente positivo per la persona, diventando scoperta, occasione, possibilità, stimolo creativo dall’adolescenza alla terza età.

Nella mia solitudine io sono e imparo da me.

Nello spazio che occupo con i miei pensieri, io creo.

Nel mondo che conosco in solitudine, io conosco me stesso e scopro come voglio stare con gli altri. 

La perfetta solitudine mi indica le mie capacità che si nascondono nella moltitudine, nelle relazioni che riempiono ma spesso senza far star bene. Se imparo a stare da solo, posso poi capire come amo stare con gli altri. Quale è il miglior compagno/a di strada, come farsi strada nelle difficoltà di sempre.

Il bello del vivere in autonomia, di imparare a gestire la propria vita da soli, non è un inno all’essere per sempre single, ma a definire cosa ci interessa veramente, quali sono i nostri bisogni per definire una relazione di qualità. Lo sostiene anche l’Università di New York nelle parole del sociologo Eric Klinenberg, che riporta ad una visione più scientifica il vecchio adagio “meglio soli che male accompagnati” Da diverse ricerche sul nostro contesto storico e culturale, sembrerebbe anche il numero crescente di single sia non un fallimento, ma una conquista culturale. Non si deve stare insieme, si può. E nel frattempo ci si può dedicare a conoscere chi siamo, cosa vogliamo, le nostre vere necessità.

Specie parlando di condizione femminile, la solitudine scelta è un segnale culturaleloneliness-298998_960_720 non da poco, che comincia a superare i pregiudizi di chi vorrebbe le donne o sposate e buone o sole e quindi poco di buono. Donne capaci di stare da sole e di scegliere l’amore, non di pensare che la coppia sia la soluzione a tutto. Donne che si provano da sole, si costruiscono il lavoro che vogliono, crescono da sole i figli, viaggiano da sole dove molti le vorrebbero in viaggio solo “protette” da altri, da un compagno magari, che si prenda cura di loro. Eppure le donne che viaggiano sole aumentano e con le loro storie si scopre il positivo di una scelta ancora osteggiata da molti, ma che vede fiorire anche una serie di strumenti dedicati a rendere il viaggio piacevole e possibilmente non pericoloso, come il sito “Permesola” che affronta il viaggio al femminile da sole, con consigli, informazioni turistiche e approfondimenti. Ma non è solo “roba da donne” sono molte le persone che decidono di viaggiare sole per vivere una esperienza che apre alla conoscenza degli altri, del mondo che si avvicina in maniera più forte. Perchè da soli ci si immerge completamente nel nuovo, mentre in coppia o in gruppo, si sfiora soltanto la realtà nuova in cui ci si reca, adagiandosi in quanto è solito.

Altri interventi a favore della Buona Solitudine, si possono trovare in questo articolo dello scorso anno apparso online sull’ Huffington Post (settembre 2015) dove si passano in rassegna alcune ricerche sul tema che ci portano a pensare che le persone che sanno stare da sole hanno una maggiore capacità di entrare in contatto con gli altri, di creare una vasta rete sociale e di passare il tempo con gli amici. Non solo, sembrerebbe che la loro creatività e capacità innovativa, sia di gran lunga migliore rispetto a chi non riesce a godere il bene della solitudine. Quest’ultimo aspetto viene presentato in uno studio dello psicologo Mihaly Csikszentmihalyi (1994) dove il legame creatività/solitudine veniva studiato nella fascia di età adolescenziale.

Certamente non stiamo parlando del reiterato allontanare le altre persone, sfuggire le relazioni, non entrare in contatto con le persone, non stiamo parlando dell’isolamento che ci racconta il disagio di essere o del sentirsi soli in maniera dolorosa e straziante. Stiamo parlando di una ricerca positiva della felicità che incontriamo nella creazione di uno spazio personale dove scoprire il benessere di stare soli, dandosi l’occasione di vedere il potenziale positivo che si incontra nello stare da soli,nel passare del tempo con se stessi, nel riflettere ascoltandoci. La solitudine diventa in questi casi una esperienza necessaria che riempie e non ci rende più poveri e tristi. Anzi. Certamente, come scriveva A. Lowen (“Arrendersi al corpo. Il processo dell’Analisi Bioenergetica” ed. Astrolabio), la differenza è nel essere soli e nel vivere la solitudine in contatto con se stessi e con il mondo che ci circonda.

Le persone possono stare sole se possono stare con se stesse. Ma se non si ha un senso forte e sicuro di sé, stare da soli significa sentirsi vuoti. Il sentimento di solitudine nasce da un senso di vuoto interiore che è una conseguenza dell’essersi esclusi dai sentimenti.Non si può essere soli se si è emotivamente vivi. Si può essere soli, ma sentirsi parte della vita, della natura e dell’universo. ”

Se riusciamo a tradurre la solitudine in termini di occasione personale, possiamo arrivare a scoprire molto di noi che ci farà stare meglio anche con gli altri. La nostra capacità di osservare, di sentire quello che proviamo, di stimolare la nostra creatività, di pensare in modo non condizionato dagli altri. Una solitudine che non è né punizione né tanto meno colpa ma una esperienza piena, che fa brillare, che riempie della possibilità di decidere con chi accompagnarsi nel mondo, per scelta consapevole e non per paura di essere soli.

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