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La sindrome di mezzo mondo, ovvero come la tv rovina le persone: la Cultivation Theory di George Gerbner (con documentario)

Aggiornamento del 26 febbraio 2015 - Riporto un intervento di Sara De Luca, che ha così commentato il presente articolo sulla Teoria della Coltivazione:

Vi offro il mio punto di vista un po’ provocatorio ispirato ai contenuti di un testo molto interessante “Television and its viewers: Cultivation Theory and research” da cui ho tratto i dati che seguono.

Un’altra faccia della “Coltivazione” è la concentrazione (o scarsa distribuzione) in termini di proprietà di canali televisivi e di produzione.

Mi spiego: mentre le offerte di canali aumentano costantemente in termini numerici, un dettaglio chiave che mi preme sottolineare è che il numero di proprietari invece và via via riducendosi.

Il numero dei raggruppamenti che controllano TV e media è notevolmente diminuito negli ultimi decenni. Specialmente da quando nel 1996 una normativa americana ha, almeno per quel mercato, rivisto ed “autorizzato” la possibilità di possedere sempre più stazioni da parte di grandi raggruppamenti, con conseguente restringimento dei contenuti/messaggi e diversità di punti di vista che possono essere quindi veicolati.

La quantità di canali o programmi non è, a mio avviso, tanto significativa ne’ di arricchimento, soprattutto se si considera che c’è una concentrazione di proprietari: nel 1996 negli Stati Uniti i 162 canali disponibili facevano capo solo ad alcune grandi aziende (fra cui Disney, TCI, Time-Warner, Cabletelevision e Viacom erano i leader di quel segmento). Alla fine degli anni ’90, sei grandi operatori controllavano il 70% del mercato nazionale dei canali.
Oggi si assiste inoltre ad un fenomeno di raggruppamenti internazionali che produce una simultanea centralizzazione, a livello internazionale, del controllo dei programmi e aumenta la pervasività dei messaggi veicolati oltre che la standardizzazione di questi ultimi su una più ampia scala geografica.
Questo trend comporta inevitabilmente una perdita culturale, giustificato anche dai tagli dei costi locali e dalla massimizzazione dei profitti sugli investimenti fatti a livello centrale in termini di produzioni tv da parte dei proprietari dei network.

Inoltre i network televisivi vivono di pubblicità e alimentano il rapporto con gli “sponsor” incoraggiando gli investimenti pubblicitari degli advertiser che vogliono più visibilità e “pilotando” la programmazione su misura per i propri investitori (per esempio si pensi ai canali dedicati ai bambini e ragazzi).

In conclusione, anche se l’offerta di canali e programmi è in aumento, più la concentrazione dei proprietari aumenta, più aumenta la “Coltivazione” alimentata anche dal bisogno di pubblicità di questi network televisivi. Infatti una maggiore frammentazione dell’audience può fare gioco agli scopi degli advertiser ed intensificare il controllo commerciale dei temi scelti e veicolati verso i loro diversi mercati target.

Cosa ne pensate?

Buono studio a tutti!

Sara De Luca


24 febbraio 2015 - L'articolo che segue, distribuito con licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo, è di M. Britto BERCHMANS e tratto da "La Comunicazione - Il Dizionario di Scienze e Tecniche", che è una piccola enciclopedia online, interamente Creative Commons, particolarmente interessante e utile per chi studia Scienze della Comunicazione.

In calce riporto un documentario (in inglese) relativo alla Cultivation Theory (in italiano "Teoria della Coltivazione") e al ruolo dei mass media.

Si veda anche: AGENDA SETTING - Usare la tv per mettere fratello contro fratello: combattere gli uni contro gli altri per motivi che le lobby decidono


Secondo George Gerbner e i ricercatori che insieme a lui hanno elaborato questa teoria, la televisione rappresenta la forza dominante nel modellare la società odierna. Ciò grazie alla sua capacità di diventare in ogni casa la fonte che fornisce la maggior parte dei ‘racconti’. In ogni epoca i narratori hanno svolto il ruolo di dare un’idea il più possibile coerente di ciò che deve essere considerato importante e giusto, e di come le cose devono andare avanti. Mentre nel passato gli individui traevano le loro storie dalle istituzioni religiose, oggi questo è fatto dalla televisione. Il quotidiano racconto della televisione riempie di simboli il contesto in cui viviamo, coltiva in noi un certo modo di guardare alla vita e al mondo, modella la nostra percezione della realtà. Facilmente accessibile a tutti, la televisione contribuisce in maniera determinante a creare una visione collettiva del mondo. In questo senso, è molto importante prestare attenzione ai contenuti che essa trasmette quotidianamente. Gerbner e i suoi collaboratori si sono soprattutto interessati alla violenza rappresentata in televisione e agli effetti che essa produce sulla percezione della realtà da parte del pubblico. La ‘teoria della coltivazione’ indaga non tanto gli effetti a breve termine o un certo contenuto particolare. Il suo interesse focale risiede nell’effetto cumulativo prodotto da una lunga esposizione alla televisione. Ciò che conta, per i teorici della coltivazione, è il processo di immersione totale nel mondo televisivo e non tanto la visione selettiva di determinati programmi. Secondo Gerbner, l’esposizione prolungata alla televisione produce una vera e propria "cultura televisiva".
Partendo dall’ipotesi che i telespettatori più assidui hanno una percezione della realtà diversa da quella dei telespettatori saltuari, Gerbner, Signorielli e gli altri hanno studiato le opinioni dei telespettatori relativamente a quattro "aree" in particolare:
1) possibilità di rimanere vittime di atti di violenza;
2) paura di camminare da soli di notte;
3) percezione della protezione della polizia;
4) diffidenza verso gli altri.
Tra il 1980 e il 1986, questi studiosi hanno intervistato alcuni gruppi di persone, in cinque occasioni diverse, chiedendo la loro opinione sul mondo. I risultati hanno portato all’elaborazione dei concetti chiave della ‘teoria della coltivazione’.

a) La sindrome del mondo malvagio. Sebbene negli USA meno dell’1% della popolazione (al tempo dell’indagine, ndr) sia veramente vittima di un crimine, i telespettatori più assidui tendono a considerare il mondo molto pericoloso e malvagio. Sono portati a pensare che non ci si possa fidare della maggior parte della gente e che "ognuno pensa solo a se stesso". Essi tendono insomma a vedere il mondo in modo più negativo dei telespettatori più saltuari (Violenza nei media).

b) La corrente dominante (mainstreaming). Alcuni critici di Gerbner sostengono che, analizzando in maniera diversa i dati da lui raccolti, non risulta alcuna relazione tra tempo di esposizione e percezione della realtà sociale. Altri affermano che il solo fattore che porta gli individui a considerare il mondo un luogo malvagio e pericoloso è il fatto che vivono in aree ad alta densità criminale. Per rispondere a queste critiche Gerbner ha proposto due concetti: la corrente dominante e la risonanza. La relazione tra tempo di esposizione e percezione della realtà sociale può sembrare ad alcuni inesistente perché la televisione favorisce la "corrente dominante". A causa della televisione, infatti, la cultura raggiunge un tale grado di omologazione da rendere meno marcate le differenze tra i vari gruppi. Le parole di Gerbner ("La corrente dominante fa della televisione il vero crogiuolo del popolo americano") significano che la televisione agisce non tanto come agente di cambiamento quanto di stabilità. Essa condiziona lentamente gli spettatori portandoli a percepire il mondo più o meno allo stesso modo.

c) Risonanza. Gli effetti prodotti dal consumo televisivo sono maggiori se il telespettatore assiduo ha esperienze di violenza nella sua vita personale. In questo caso, la ripetizione della rappresentazione simbolica della violenza può portare il telespettatore a rivivere nella sua mente le esperienze di violenza vissute nella realtà, aumentando così la sua paura della violenza. "La congruenza tra il mondo televisivo e le circostanze della vita reale possono ‘risuonare’ tra di loro e portare a situazioni di coltivazione marcatamente amplificate."
Gerbner riconosce che la coltivazione può non essere un fenomeno universale e che la natura delle interazioni personali di ciascun individuo può condizionare la loro tendenza ad accettare o meno la realtà televisiva. Per esempio, gli adolescenti che parlano regolarmente con i genitori del loro consumo televisivo sono potenzialmente meno condizionabili dalle immagini televisive rispetto agli adolescenti che invece non ne parlano mai.
La teoria della coltivazione ha subito numerose critiche da più parti. Alcuni hanno messo in discussione la definizione gerbneriana di violenza, la selezione dei programmi da sottoporre ad analisi, le tecniche di campionamento e il criterio di differenziazione tra spettatori assidui e spettatori saltuari. Nonostante tali critiche, il lavoro di Gerbner è di indubbio valore. L’affermazione generale secondo cui una lunga esposizione alla televisione condiziona la percezione della realtà da parte dei telespettatori risulta sempre valida. Non c’è da meravigliarsi se Gerbner ama citare spesso le parole del patriota scozzese Andrew Fletcher: "Se a un solo uomo fosse permesso di comporre tutte le ballate, costui non avrebbe più bisogno di preoccuparsi di chi fa le leggi di una nazione".

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