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UN VENTENNIO CON LINUX – Retrospettiva apertamente di parte

Fonte: http://visioniproprie.eu/2014/09/28/un-ventennio-con-linux-retrospettiva-apertamente-di-parte/
28 settembre 2014
, licenza Creative Commons BY-NC-SA

di Francesco Reinerio

 

«I’m really honored to be the joint recipient of this year’s Millennium Technology Prize. This recognition is particularly important to me given that it’s given by the Technology Academy of Finland. Thank you to the International Selection Committee and the TAF Board. I’d also like to thank all the people I’ve worked with, who have helped make the project not only such a technical success, but have made it so fun and interesting

 

Linus Torvalds, classe ’69, un omone finlandese con gli occhiali e la riga nei capelli, sfoggiava il lontano 13/06/2012 a Helsinki un elegante frac, uguale a quello portato dal pinguino Tux di sua invenzione, la nota mascotte di Linux, e pronunciava queste ed altre dichiarazioni in perfetto inglese velato da inflessione scandinava.

Il Nostro era intento a ricevere il Millennium Technology Prize, noto volgarmente come “premio Nobel per la tecnologia”, in virtù del suo merito individuale nella creazione e rilascio continuo del kernel (it. nócciolo) di Linux, il nucleo in continuo aggiornamento che funziona, mediante innumerabili sistemi operativi, nel 5% di tutti i calcolatori esistenti a mondo, pari a circa 40 milioni – somma irrisoria numericamente rispetto a quella di macchine Microsoft, ma superiore qualitativamente: Linux conduce infatti da tempo nel mondo dei servers, ad esempio dei terminali di calcolo e di stoccaggio di scuole e università, ed è montato dai 5001 supercalcolatori più prestativi al mondo, grazie alla sua manovrabilità, stabilità ed apertura del suo codice, vale a dire trasparenza ed illimitata modificabilità.

Torvalds è ancora oggi il benigno sovrano illuminato che ha sviluppato il nucleo di Linux e prosegue nel suo miglioramento con rilasci costanti; portabandiera di un’informatica etica e di un’etica informatica che non sottomettono il diritto allo sviluppo umano all’esigenza di progresso tecnologico, ma al tempo stesso non rifiutano a priori l’imprenditorialità ed il profitto, il Nostro gongolava comprensibilmente nel ricevere quella sera questo alto insignimento della comunità scientifica assegnato dalla Accademia finlandese della Tecnologia, dividendo a pari merito il titolo ed il compenso di $ 1,5 milioni con il giapponese Shinya Yamanaka, biotecnologo creatore di cellule staminali pluripotenti indotte – insomma un terreno di ricerca e scoperta essenziale per l’umanità – chi capisce capisca.

Linux, pronuncia [/ˈlɪnʊks/] – termine tetto che stiamo usando per definire il codice sorgente, il movimento sociale comunitario sorto attorno a esso e le diverse distribuzioni – , è differente da ogni genere di sviluppo umano finora conosciuto, nella sua forma sia di associazione che di collaborazione: è l’informatica aperta al pubblico, è la libertà eretta a sistema, è un mondo che ti entra in casa, ti seduce e chiede di seguirlo, di dare per ricevere, di collaborare per essere assistito.

Possiamo quindi definire Linux, o meglio il movimento open source2, nei suoi due aspetti salienti come un modello economico ed etico virtuale alternativo a quelli vigenti. La forma di associazione di Linux si fonda idealmente sulla totale volontarietà, creatività e responsabilità dei suoi afferenti – invece che sul lucro – e differisce sia dal nostro capitalismo di mercato cosiddetto democratico, dimostratosi, agli atti della crisi interna e dello sfruttamento esterno, incapace di conciliare il benessere della propria parte di popolazione terrestre e i diritti umani dell’altra parte, sia dal comunismo reale, diretto dall’alto e alimentato dall’apporto tributario coatto dei suoi sottoposti. Di quest’ultima ordinamento statale esso conserva però il motto ideale “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo le sue necessità.” che tradotto significa: chi è in grado di dare un contributo concreto, eventualmente programmando e smanettando su un progetto, deve poter disporre di mezzi liberi ed aperti per realizzarlo, mentre coloro che non hanno capacità sviluppatorie ma hanno necessità di fruire di prodotti informatici devono poterlo fare e contemporaneamente devono riconoscere onore e merito ai suddetti sviluppatori. È un processo di scambio libero e gratuito, la cui valuta è la cosiddetta “retroazione” (ing. feedback), il riconoscimento del buon lavoro svolto dal nerds (it. secchione) da parte della torma dei noobs (it. pivelli), i quali sono sempre in soprannumero ma non compromettono il funzionamento dell’ingranaggio, anzi la loro retroazione passiva ed il loro sempre maggiore numero sono la garanzia per l’efficienza dello stesso. Per queste ragioni, il pensiero che sottende Linux è più accostabile all’anarchismo, come ideologia collaborativa senza capi e con istituzioni liquide.

Possiamo comprendere adesso che la filosofia di Linux non investe solamente il software ma l’intera cultura in senso lato, cioè la produzione volontariamente non profittuale di beni immateriali durabili. Comprendiamo anche che questi beni, per rimanere liberi ed aperti, devono essere tutelati da licenze e rimanere in se gratuiti (a differenza della loro distribuzione), in quanto per principio il loro valore non dovrebbe essere estimabile.

La totale gratuità dei contenuti non è il fine del movimento, bensì eventualmente la conseguenza del suo agire e delle sue regole interne: ciò non toglie tuttavia che tutti gli sviluppatori e i contribuenti di Linux vivono in un sistema di economia di mercato e non di economia del dono, ragion per cui per alimentare il loro lavoro e renderlo assiduo e professionale servono soldi da immettere nel sistema stesso.

Chi mette questi soldi?, in altre parole: chi finanzia Linux? Per adesso evidentemente solo chi ha interesso a trarne un profitto finanziario immediato, controllandone lo sviluppo: lampante il caso di Google, che ha progettato e promosso globalmente il sistema Linux (e quindi libero ed aperto) mobile Android a scopo di favorire l’uso dei propri servizi informatici (guarda un po’! – per nulla liberi ed aperti) applicando strategie di lock-in (it. “attanagliamento”) e monopolio sugli utenti di tutto il mondo. Un episodio di triste abuso del prodotto di anni di sviluppo per i propri fini affaristici, uno di tanti: la grande G, in particolare, ha promosso l’open source a livello di sviluppo in quanto conveniente e manovrabile, per poi bloccarlo a livello di utilizzo mediante l’integrazione nei suoi prodotti , già detto e ripeto, chiusi e profittuali, violando così in maniera pianificata i principi del software libero ed aperto propriamente detto (il nostro FOSS). Ma lo stesso fanno Facebook e tutti gli altri cartelli internazionali della nuova informatica, i quali con le loro quote di mercato superiori anche al 90% spremono e mungono indisturbati gli utenti di tutto il mondo e tuttavia, rispondendo legalmente solo agli Stati Uniti, riescono a sottrarsi alle regole ed alle giuste limitazioni locali ed europee, nonché a quelle della sostenibilità, dell’etica e del buon senso. Ha senso un’informatica libera in un mondo prigioniero?

Evidentemente Linux non può cambiare questo mondo da solo: sarebbe una lotta contro i mulini a vento; servono invece una consapevolezza ed una volontà comuni in direzione di questo sviluppo.

La volontarietà è un impiego di risorse proprie per la creazione di altre risorse comuni, e sfortunatamente nessuno lo fa a tempo perso o semplicemente per piacere, specialmente in questo sistema economico di mercato in cui tutto è monetizzato e monetizzabile, anche ciò che è offerto in dono. Nell’attuale sistema, chi sceglie di rilasciare i prodotti del proprio ingegno, soprattutto beni immateriali (sia una canzone, un software, un documentario o un manuale), sotto una licenza libera ed aperta è penalizzato rispetto a colui che, ambendo a venderli e guadagnarci, li rilascia sotto una chiusa.

Per affermare la svolta linussiana occorre quindi cambiare l’attuale sistema economico che non finanzia a priori i prodotti dell’ingegno e li tratta come merci (quando invece sono beni) – un’impresa apparentemente impossibile se prima non si cambiano le nostre scelte etiche, affermando, prima ancora di un’economia del dono, una etica del dono. Come? Rilanciando il buon vecchio concetto di comunità, brutalizzato dal neoliberismo contemporaneo, ovvero: noi non esistiamo in virtù di ciò che abbiamo, ma in virtù di come ci comportiamo in relazione agli altri. Questo ordine di idee conduce, almeno in un sistema ancora capitalistico, necessariamente al comunitarismo, il cui punto principale è la condivisione delle risorse e la concezione che “io sono ciò che sono per merito di ciò che tutti noi siamo”3.

Per addurre un esempio, potremmo dire che il FOSS sta all’informatica come il couch surfing e il car sharing stanno all’alberghiera e al mondo dei trasporti: in entrambi i casi lo scopo è la soddisfazione di necessità di ricevere un servizio e l’esternazione della disponibilità di fornire tale servizio; un tale che mette a disposizione della comunità le proprie abilità programmatorie, che potrebbe tranquillamente vendere profumatamente al migliore offerente nella Silicon Valley o a Francoforte, è esattamente come un conducente di una vettura che offre passaggi gratuiti o un proprietario di una casa che condivide il suo sofà agli avventori – tutte queste persone trasferiscono le proprie capacità e la propria ricchezza ad altri senza pretendere un compenso ma per mettere gli altri in condizione di fare lo stesso in futuro, esercitando pertanto una primitiva forma di socialismo individuale e/o interpersonale, un “volontarismo”, che in quanto condivisione della ricchezza in eccesso è qualcosa di intermedio fra la semplice beneficenza ed una reale economia del dono.

Ora quelle un tempo poche centinaia di utenti smanettanti sono divenute centinaia di milioni e ditte come Novell di Suse (distribuzione OpenSuSE, bastione dell’informatica tedesca ed europea), Red Hat (RH Enterprise, quotato nei titoli tecnologici NASDAQ e nella borsa statunitense NYSE; il gratuito e libero Fedora) e Canonical (Ubuntu, la distro più diffusa al mondo, circa 50% delle Linux complessive, prodotto dall’imprenditore sudafricano Mark Shuttleworth) hanno avviato affari da milioni di € intorno ad assistenza e manutenzione (ferme restanti la libertà e la modificabilità dei sistemi nominati): posto che fare affari con Linux vendendo conoscenza e servizi non è né improfessionale né immorale, le licenze libere permettono di continuare a sviluppare tecnologia anche quando queste e simili altre ditte tradissero (ed in parte, secondo molti, lo hanno già fatto) i principi non scritti del FOSS. Indubbiamente si pone come sempre e più che mai con urgenza la questione del raggiungimento e della sensibilizzazione dell’utenza media, vale a dire quell’87% di possessori di un desktop e perciò utenti Windows, perlopiù convinti che il sistema Microsoft sia parte integrante del calcolatore, e pertanto inclusa gratuitamente e non rimovibile, tanto quanto i copertoni e i cerchioni siano parte indivisibile di una vettura, quando invece incidono sul prezzo d’acquisto finale di essa.

L’aggancio mancante a Linux è ancora sempre quello con le nuove generazioni, fondamentale per il successo di un prodotto informatico generalistico come un sistema operativo; queste ultime sono infatti le più esposte al bombardamento del mercato, le più affezionate ai marchi ed alle marche come le Finestre e la Mela e sorprendentemente i più restii – si badi, anche più degli anziani, in quanto più dipendenti dal consumismo digitale – a volgersi a soluzioni libere ed aperte, per pigrizia ed assuefazione più che per tradizione.

Il prestigio di una compagnia prevale ormai sul contenuto dell’offerta, come dimostrato con approccio giocoso dallo sviluppatore Luca Tringali in un esperimento video girato anni fa da qualche parte in Italia settentrionale, per una volta estendendo positivamente il discorso intralinussiano o al massimo intrainformatico a comuni adolescenti, perlopiù ignari dell’esistenza di un’offerta libera ed aperta come quella di Linux e Gnu, facendo loro credere che l’ultima versione di Kubuntu (il sudafricano Ubuntu con l’ambiente grafico tedesco KDE) fosse l’uscente Windows 8 e provocando i loro commenti divertiti e sopresi: il video è disponibile sul suo blog.

Questo nome monosillabico rappresenta la seconda forza bilanciante del mondo del FOSS, l’anima o la mente dell’intera struttura e il movente ideale del movimento – cito modificando la descrizione sul sito italiano, presupponendo che la licenza GPL me lo permetta: il Progetto GNU nasce nel 1984 con l’obiettivo di sviluppare il Sistema GNU. Il nome “GNU” è un acronimo ricorsivo per “GNU’s Not Unix” (GNU Non è Unix) e si pronuncia gh-nu (con la g dura). Un sistema operativo di genere Unix è costituito da un insieme di applicazioni, librerie e strumenti di sviluppo, oltre a un programma utilizzato per allocare le risorse e comunicare con lo hardware, noto come kernel. Hurd, il kernel di GNU, non è ancora pronto per l’utilizzo ordinario, e per questo GNU viene tipicamente usato con il kernel di nome Linux. Questa combinazione è il sistema operativo GNU/Linux. GNU/Linux è usato da milioni di persone, ma molti lo chiamano erroneamente “Linux”.

Quella che un tempo era una comunità di fissati informatici è oggigiorno un calderone di programmatori, produttori di strumenti, traduttori (le distribuzioni GNU/Linux dispongono del lungamente maggior numero di localizzazioni e di mappature di tastiera), artisti, grafici, ideologi e filosofi: l’inventore di GNU e della licenza pubblica GPL “copyleft”, il noto come “santo del softwareRichard Stallman appartiene a tutte queste classificazioni ed è stato l’elaboratore del pensiero secondo cui uno hacker (it. “smanettone”, e non “pirata informatico”!) dovrebbe essere un membro attivo della società, una sorta di novello Robin Hood in lotta contro le grandi compagnie per restituire alla gente il diritto all’uso di un’informatica libera e aperta in un’era in cui il concetto di free viene perlopiù inteso come “gratuito” e non come “libero”. Come abbiamo già menzionato, la gratuità è una conseguenza della libertà, non il suo scopo e, sempre secondo Stallman, “l’innovazione tecnologica non dovrebbe mai essere anteposta ai diritti umani”. Quanti appassionati di programmazione avete udito parlare così negli ultimi tempi, sinceramente? Ebbene, agli elencati Nostri si aggiungono molte figure più o meno rilevanti come gli elaboratori delle singole distribuzioni, i datori di servizi quali manutenzione e assistenza e i “semplici” utenti, che contribuiscono tutti assieme a fondare il cosiddetto modello di sviluppo “bazaar” linussiano, plurivoco e multidirezionale, opposto al “modello cattedrale” chiuso, univoco e unidirezionale di Microsoft ed Apple, come esposto nella fondamentale e stringente disamina di Eric Raymond, appunto “La cattedrale e il bazaar”, testo cruciale del movimento FOSS, che cito volentieri testualmente:

«[...]“Dato un numero sufficiente di occhi, tutti i bachi (ing. bugs ndr.) vengono a galla”. Io la chiamo la “Legge di Linus”.

La mia formulazione originale era che ogni falla “diventerà trasparente per qualcuno”. Linus fece notare come la persona che individua e risolve la falla non necessariamente né di norma è la stessa persona che per prima lo mette a fuoco. […] Questa ritengo che sia la differenza fondamentale tra lo stile a cattedrale e quello a bazaar. Nel primo caso la visualizzazione delle falle relative a programmazione, bachi e sviluppo costituiscono fenomeni dubbi, insidiosi, complessi. Servono mesi di scrutinio ravvicinato da parte di più d’uno per poi sentirsi sicuri di averle risolte tutte. Da qui i lunghi intervalli fra i rilasci, e l’inevitabile delusione quando le versioni così a lungo attese si rivelano imperfette.

Nella concezione a bazaar, d’altra parte, si dà per scontato che generalmente i bachi siano fenomeni marginali – o che almeno divengano rapidamente tali se esposti all’attenzione di migliaia di volenterosi cosviluppatori che soppesano ogni nuovo rilascio. Ne consegue la rapidità di diffusione per ottenere maggiori correzioni, e come positivo effetto collaterale, c’è meno da perdere se viene fuori qualche toppa raffazzonata.»

Il bazaar è quindi industria assistenziale, in cui sussiste un contatto non mediato fra assistenti e assistiti, mente la cattedrale è industria meramente manufatturiera, in cui il prodotto fatto e finito definisce i gusti degli utenti e non si modella su di essi, la politica aziendale e la sua azione sul mercato formano le necessità degli utenti invece di corrispondere a esse: ne consegue un prodotto funzionante ma con scarse prospettive di miglioramento, ottenibili solo stravolgendo la direzione di sviluppo, come appunto Windows suole fare a ogni rilascio.

Questa libertà è anche la conseguenza della estrema personalizzabilità dei sistemi Linux finali (e delle loro interfacce grafiche, ad esempio Gnome, Kde e così via) ed è spesso fraintesa come elemento di instabilità, che espone i sistemi stessi a guasti. Ovvio dire che la complessità di un sistema deve essere direttamente proporzionale alla competenza del suo manovratore e che esistono distribuzioni più semplici, meno personalizzabili e più stabili per utenti meno ambiziosi.

Alcune distribuzioni di Linux, come Gentoo, PCLinuxOS e Opensuse, le ultime due delle quali mi sento di poter consigliare a tutti i novizi e in generale a non conoscitori informatici, hanno introdotto ormai il modello rolling release (it. “rilascio progressivo”), fondato su correzioni che mettono letteralmente una pezza (ing. patch) agli errori esistenti e introducono nuove applicazioni, accessori ed estensioni scaricabili dagli utenti.

Attualmente, gli stati e le istituzioni di tutto il mondo cominciano ad interessarsi ai ritrovati del FOSS, che non solo non appartengono a né dipendono da aziende statunitensi amiche di C.I.A. ed N.S.A. come Microsoft ed Apple, ma non sono direttamente controllati da uno stato solo, bensì realizzati e miglioranti da contribuenti di tutte le nazioni del mondo. Attori mondiali importanti come Russia, Francia e Brasile, così come singole regioni, provincie o comuni anche in altri paesi, risparmiano miliardi di licenze adottando strumenti liberi ed aperti nelle amministrazioni pubbliche e reinvestono in forze lavoro locali addette alla manutenzione e allo sviluppo, realizzando perciò un profitto locale, mediante l’autogestione e autodeterminazione dalle grandi compagnie multinazionali dell’informatica.

Questi colossi digitali, quasi metafisici della tecnocrazia come Google o Facebook spesso contano pochissimi dipendenti (=gente reale che impiegano e cui danno da mangiare, negli ordini di qualche migliaio) ma giri d’affari spropositati riflettuti dal loro peso nel mondo finanziario e non reale. Tali compagnie 2.0 si propongo oggi più che mai come sostitutive, a livello digitale ma anche concreto, o perlomeno suppletive delle istituzioni statali e locali, minando gli equilibri culturali e sociali dei diversi paesi – pensiamo all’impatto delle reti (a)sociali di massa sulla comunicazione, sulla politica e sulla definizione del tempo libero quotidiano. Il loro credito ed il loro potere si fondano su un modello di progresso che loro conducono definendo ciò che è nuovo, le supposte esigenze del genere umano.

Il FOSS al contrario rilancia secondo il suo modello inverso, inaspettatamente, il ruolo dello stato come datore di lavoro e di servizi tramite il principio della distribuzione della ricchezza e della comunitarietà dei beni, mettendo in secondo piano il falso simulacro dell’innovazione tecnologica. Un piccolo passo verso il socialismo virtuale o solamente la realizzazione di un modello tecnologico più sostenibile e amico dell’uomo?

Linux afferma sul piano etico che liberare la tecnologia significa liberarsi come uomini dalla tecnologia stessa e specialmente dalla sua deriva più disastrosa, la tecnocrazia, ovvero il regime in cui stiamo iniziando a vivere di questi tempi.

In chiusura, avendo elencato pregi e difetti del linussismo reale, non potevo mancare di citare la distribuzione più diffusa ed amata/odiata, Ubuntu, che è anche quella avente il maggior numero di elaborazioni e biforcazioni (ing. forks), e che incarna al meglio le contraddizioni di questo sviluppo esponenziale di Linux: il suo aspetto più apprezzabile è l’adattabilità e il supporto alle esigenze degli utenti, dato da una comunità enorme, mentre il principale svantaggio è lo sviluppo centralistico e direttivo in stile capitalistico (controllato dall’azienda Canonical): se proprio volete sceglierla perché qualche vostro amico la usa e si è trovato bene, tenete presente che Linux esiste proprio per evitare l’effetto accentrante (o “effetto rete”) del mercato che induce mediante la pubblicità tutti i compratori ad adottare la stessa soluzione, quindi se volete proprio sceglierla almeno scegliete una versione già modificata e adattata alle necessità ad esempio di un utente italiano o comunque alle sue esigenze personali/locali/culturali; qui mi sento di rimandare al lavoro dell’Istituto Majorana di Gela, che da anni promuove tecnologie aperte ed informa sulle loro ragioni etiche e pratiche – premiamoli utilizzando le loro creazioni e propagando le loro idee!

Una motivazione decisiva per passare al FOSS è la sua capacità di rinnovarsi e di crescere grazie alla forza della comunità: quella che nel 2008, allo scoppio della crisi finanziaria globale, era ancora una utenza seppur grande di “alternativi” (ing. geek) che si opponevano alla religione delle multinazionali, oggi è un attore dello sviluppo sostenibile a livello sia tecnico sia etico, tanto che viene imitato nelle innovazioni e nella retorica delle multionazionali stesse, le quali, controllando i mercati, definiscono ancora le nostre necessità. Chi dice che non si può cambiare?

Un consiglio finale: chi voglia entrare nel mondo di Linux lo faccia con l’aiuto e l’accompagnamento di un amico, vicino, collega o insegnante, con spirito giocoso e consapevole (l’ho già detto che sostanzialmente non esistono virus nocenti a Linux,e quindi il vostro PC e la vostra sicurezza personale saranno tutelati al meglio?), perché GNU/Linux è principalmente cooperazione assieme al prossimo e il suo successo si fonda su un passaparola locale e globale che in 20 anni a contribuito a renderlo ciò che è, l’unica soluzione libera, aperta ed illimitata esistente nel mondo dell’informatica.

 

Note:

 

1„Usage share of operating systems“, 11.09.2014, https://en.wikipedia.org/w/index.php?title=Usage_share_of_operating_systems&oldid=625083983.

2Che d’adesso in avanti citerò come FOSS per dovere di precisazione: il FOSS, Free Open Source Software sarebbe l’insieme principale. Al suo interno troviamo il software libero, con le 4 libertà fondamentali. Un ulteriore sottoinsieme è l’open source. Se si parla di open source, si parla solo di open source. Se si parla di software libero, si parla solo di software libero. Se si parla di FOSS si parla sia di open source che di software libero.

3Questo lungo concetto sarebbe la traduzione del termine zulu UBUNTU, che ha dato nome e fondamento alla più nota distribuzione Linux.

 

 

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