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La scienza contemporanea è inadeguata, religiosa, disumanizzata e lontana dalla comprensione della realtà?

In un mio precedente articolo di più di tre anni fa, avevo già mosso seri dubbi sull'attuale modo di "fare scienza", mi riferisco alle denuncie, documentate, che riportai in: «Alla ricerca della scienza...».

Qui voglio mettere in evidenza alcune problematicità insite nel metodo scientifico.

Innanzitutto la domanda che pongo nel titolo di questo articolo è già di per sé problematica, ovvero: «La scienza contemporanea è inadeguata, religiosa, disumanizzata e lontana dalla comprensione della realtà?». E' una domanda problematica per tanti motivi.

Il primo aspetto problematico è che non esiste "la scienza", ma casomai tante scienze, fatte di scienziati che spesso litigano tra di loro: ciò nonostante, ho di proposito scritto "la scienza" per sottolineare che ciò a cui mi sto riferendo è il cosiddetto "metodo scientifico", che dovrebbe mettere in comune le varie scienze. Metodo che, nei miei anni di studi e di ricerche, ho sovente contestato su un aspetto specifico. Mi riferisco alla piena adesione generalizzata, di più o meno tutto il mondo scientifico contemporaneo, a quanto disse il fisico inglese William Thomson, meglio conosciuto come Lord Kelvin:

«Ogni qualvolta vi è possibile misurare ed esprimere per mezzo di numeri l'argomento di cui state parlando, voi conoscete effettivamente qualcosa: quando ciò non vi è possibile, o non ne siete capaci, scarsa e insoddisfacente è, da un punto di vista scientifico, la vostra conoscenza».

Per quello che è il mio sentore, ricondurre un fenomeno complesso e reale a numeri asettici e astratti non significa né conoscerlo, né averne dato una descrizione che necessariamente corrisponda a qualcosa di esistente. Gli esempi sarebbero infiniti, quelli a me più vicini provengono dal mondo della Psicologia accademica e scientifica, nella quale si vuole, per forza, far rientrare l'essere umano dentro schemi fatti di numeri, grafici, tabelle, test. Forse ricondurre l'essere umano a numeri legati da formule significa negarne il libero arbitrio e le infinite possibilità creative, trasformative e imprevedibili?

All'atto pratico, comunque, la degenerazione, anzi, putrefazione, dovuta a questo modo di ragionare, si concretizza in "splendidi" risultati come l'uso dell'intelligenza artificiale per distinguere i criminali dai non criminali soltanto dalle caratteristiche fisiche del volto (per inciso, ciò fa parte di quel settore della psicologia "predittiva" che mai mi è piaciuta).

Il secondo aspetto problematico della mia domanda è l'aggettivo "religiosa". La scienza è religiosa? Qui mi riferisco a due contrapposizioni. La prima è che la scienza dovrebbe sempre basarsi sul dubbio e sulla falsificabilità, e mai su verità, che invece sono proprie delle religioni. La seconda è che la scienza non dovrebbe essere un luogo chiuso, per pochi "iniziati" che hanno titolo di poter scrivere su riviste scientifiche, con un linguaggio codificato e comprensibile a pochi... ma, al contrario, dovrebbe essere un luogo aperto, per tutti. Su questo aspetto il discorso sarebbe molto lungo, mi limito a constatare che l'attuale approccio "per pochi eletti" non funziona, essendo le più prestigiose riviste scientifiche un luogo di riciclaggio di informazioni false e tendenziose (cfr. La maggioranza delle ricerche scientifiche sono false). Vorrei inoltre richiamare l'art. 33 della nostra Costituzione, disapplicato da tutti coloro che ritengono che un certo sapere debba rimanere all'interno di una certa cerchia di persone (come nel caso di vari codici deontologici che vietano il libero insegnamento, come ben esemplificato dall'art. 21 del Codice deontologico degli psicologi italiani).

Il terzo aspetto problematico della mia domanda iniziale è che la scienza possa essere disumanizzata e lontana dalla comprensione della realtà. La problematicità è nei presupposti: esiste una realtà oggettiva, ovvero indagabile a prescindere da chi la studia? Secondo me, no. Parimenti, rendere l'approccio scientifico come qualcosa di indipendente dal ricercatore, in quanto osservatore di una realtà esterna ed oggettiva, significa spazzare via tutti i problemi di etica e di sentimento. Ciò non può che degenerare in una scienza dove tutto è ammesso. Ma una tale scienza a cosa serve?

Dopo tutti questi aspetti problematici, lascio la parola a Corrado Malanga, che nel libro "Alien Cicatrix" (vedi e-book integrale in PDF, fonte), a pag. 141 e seguenti, ha messo in evidenza seri problemi del metodo scientifico, ne riporto un estratto:

 

Magia, madre di scienza e religione

MAGIA, MADRE DI SCIENZA E RELIGIONE: VERSO UNA NUOVA COMPRENSIONE DEL TERRITORIO DELLA PNL

UN GRAFICO PER DESCRIVERE LA COMPRENSIONE DELL’UNIVERSO NEL TEMPO

Adesso è di moda parlare di un nuovo modo di vedere le cose che sarebbe necessario per comprendere a fondo l’Universo che ci circonda.
L’uomo, durante la sua evoluzione, ha modificato il suo rapporto con l’Universo, visto come insieme geometrico al cui interno egli si colloca. Ciò, ovviamente, è accaduto poiché l’uomo non è sempre stato in grado di comprendere, o meglio, lo stato di comprensione delle cose che l’essere umano mette in opera attualmente nulla ha a che fare con quello di cui egli disponeva anche soltanto pochi anni fa. Se l’uomo impara, acquisisce strumenti migliori e vede, è vero, le stesse cose che vedeva prima, ma in modo sostanzialmente differente. Da un punto di vista puramente meccanicistico si può ammettere che l’uomo, quello che, nel nostro caso, rappresenta l’osservatore del fenomeno fisico, sia in grado, a seconda dei prerequisiti in suo possesso, di descrivere in modo talmente diverso il medesimo osservabile, cosicché due descrizioni dello stesso oggetto, eseguite in momenti diversi ma lette dopo parecchio tempo da un ricercatore ignaro, indurrebbero quest’ultimo ad interpretarle come riguardanti due realtà completamente diverse.
Per fare un banale esempio possiamo prendere l’idea suggerita dall’apparizione di un fulmine ed esaminarne l’evoluzione nel tempo.
L’uomo primitivo, privo di conoscenze di fisica, probabilmente vedeva nel fulmine una manifestazione del mondo divino.
Con il passare dei secoli la visione del fulmine ha acquisito sfumature sempre più precise ed oggi esso ci appare come una scarica elettrica tra cielo e terra, poiché tra questi due si accumulano, in certe condizioni, forti differenze di potenziale.
Questo modo di interagire con la natura non ci sorprende ed è utile per comprendere anche come il nostro cervello, con i suoi modelli mentali, si adegui alle situazioni secondo il proprio livello di conoscenza.
Particolarmente difficile è quella fase dell’osservazione del fenomeno fisico nella quale si è già consci della sua esistenza, ma non si possiedono ancora i prerequisiti per identificarne la natura.
Esiste, infatti, un periodo temporale in cui il problema non si pone: quando non ci si è ancora accorti che esiste un fenomeno da studiare.
In questa situazione non ci si pongono problemi, non si studia il fenomeno e non ci si arrovella per trovare la spiegazione di qualcosa di cui non si conosce ancora l’esistenza. Nello stesso istante in cui ci si accorge dell’esistenza di un fenomeno inaspettato, ma ancora non lo si sa identificare, ci si trova immediatamente ad utilizzare, da un lato, i modelli mentali imparati in precedenza ed a rifiutare l’esistenza del fenomeno stesso, dicendo a se stessi che i propri sensi, le proprie apparecchiature e quant’altro si sbagliano; dall’altro lato si è invogliati a creare universi dotati di nuove regole, fatte apposta perché il fenomeno che si è osservato possa trovare in essi adeguata collocazione.
Fenomeni che non sono presi in considerazione dalla scienza ufficiale semplicemente perché questa non se n’è ancora accorta, come, ad esempio, quelli di natura paranormale, gli UFO, i fantasmi od altro, sono un esempio di quanto appena detto e chi, invece, si è già accorto della loro esistenza non ha, d’altra parte, che pochi strumenti per dimostrarla.
Dopo questo periodo, di durata più o meno lunga, si passa, senza esitazione, al riconoscimento dell’esistenza del fenomeno e, da quel momento in poi, ci si avvicina progressivamente, in modo più o meno rapido ma sempre asintotico, alla sua giusta interpretazione.
Se, in un classico grafico cartesiano, si disegna una retta orizzontale ad indicare il 100% della comprensione del fenomeno, mentre sull’asse x si pone il tempo, con lo zero in corrispondenza dell’istante in cui la presenza del fenomeno stesso viene notata, il grafico che descrive la sua comprensione nel tempo si avvicinerà progressivamente alla retta orizzontale, pur rimanendo sempre sotto di essa. Se arrivasse a toccarla si avrebbe la completa comprensione del fenomeno che si sta studiando e questo ci è vietato dalla Fisica moderna; questo divieto è legato all’esistenza del principio di indeterminazione di Heisemberg.

Fenomeno da comprendere

Tale principio dice, in parole povere, che, se si cerca di conoscere con la massima precisione una particolare caratteristica di qualcosa, non ci si possono attendere, nel contempo, dati precisi riguardo ad altre sue caratteristiche.
Se, ad esempio, si conosce perfettamente la velocità di una particella elementare, non se ne conoscerà la posizione esatta nello spazio (figuriamoci nel tempo - nda).
Per maggior precisione bisogna osservare che la funzione matematica che descrive il processo di comprensione del fenomeno fisico comprende una componente oscillatoria. Tale componente fa sì che la funzione si alzi e si abbassi, in modo più o meno marcato, rispetto al grafico costruito per mezzo del processo matematico di best fitting.
Il carattere oscillatorio della comprensione del fenomeno attorno ad una posizione media significa che, col trascorrere del tempo, esso viene a volte percepito più precisamente ed a volte meno, mentre ci si avvicina, ad ogni oscillazione, mediamente un po’ di più alla sua corretta interpretazione. Le oscillazioni sono di ampiezza sempre più piccola, ma con una frequenza in aumento con trascorrere del tempo, ovvero, mentre ci si avvicina sempre più alla comprensione finale del fenomeno, si fanno sempre più frequenti le piccole correzioni, in contrasto con le poche, ma grandi, variazioni di comprensione che avvengono appena dopo la scoperta dell’esistenza del fenomeno stesso.
Questo grafico rappresenta, dunque, l’evoluzione del sistema percettivo dell’uomo e, di conseguenza, della sua capacità di conoscere quanto di osservabile c’è attorno a lui, in accordo con la sovrapposizione dei sistemi induttivo e deduttivo e con quelli divergente e convergente tanto cari al Piajet.
Non è per niente vero che l’uomo impara attraverso una semplice sequenza di esperimenti disposti in modo tale da permettergli di aumentare la propria conoscenza di un fenomeno in modo lineare, sequenziale nello spazio e nel tempo, come ci vorrebbero far credere alcuni moderni fisici meccanicisti. Per costoro un osservatore potrebbe acquisire conoscenza del fenomeno solamente attraversando una sequenza di tappe disposte come le lettere dell’alfabeto: non si può comprendere il fenomeno G se prima non si è fatto l’esperimento F e così via.
Tuttavia ciò è in netto contrasto con quello che succede in realtà, cioè che le più importanti scoperte scientifiche, se non addirittura tutte, avvengono mentre lo scopritore si occupa d’altro, in momenti in cui non pensa neppure lontanamente ad un esperimento al riguardo. Evidentemente le scoperte vengono fatte utilizzando un’altra procedura.
Sto parlando, in particolare, di quella parte del grafico che rappresenta il momento in cui il fenomeno viene recepito dall’osservatore; in quel momento ancora non esistono regole che lo descrivano, quindi non possono nemmeno esistere progetti da mettere in atto per identificare quale esperimento sia più opportuno eseguire per capirci qualcosa.
Questa condizione si avvicina molto ad un attimo di Buddità e non certo ad un momento in cui si mette a frutto l’esperienza di studio acquisita in tanti anni di lavoro, come vorrebbero farci credere i fisici meccanicisti (e Piero Angela - nda).

SCIENZIATO MODERNO O DISADATTATO SOCIALE?

È stato divertente esporre più volte l’analisi della psiche di molti uomini di scienza, ma non per questo scienziati, la quale mostra perché essi si sono dedicati spesso a scienze difficili, considerate “occulte” dai comuni mortali.
Capita frequentemente di studiare la fisica perché non si è in grado di mettersi in relazione con gli altri, così si pensa che, dopo, si potrà parlare a loro come se si fosse un sacerdote di una setta antica e sconosciuta, nella quale si è gli unici a capire le proprie parole, superando in tal modo la paura di una possibile incomprensione.
L’incomprensione sarebbe giustificata dalla difficoltà di una materia che solo gli eletti possono comprendere; di conseguenza ci si autoproclamerebbe eletti.
In realtà il fisico moderno si è davvero posto da solo nella posizione di eletto, chiudendosi in una gabbia dorata nella quale la comunicazione con gli altri è preclusa dal linguaggio iniziatico utilizzato. D’altra parte questo atteggiamento nasce dalla paura di comunicare
mediante il linguaggio comune, perché, scendendo sul terreno che è di tutti, forse il fisico moderno dovrebbe ammettere la sua incapacità a relazionarsi con gli altri.
Dunque  per  il  fisco  moderno  ciò  che  proprio  non  deve  poter  esistere  è  che  la comprensione sia alla portata di molti (se non di tutti) e non solamente di coloro che hanno studiato a lungo nei centri di studio “autorizzati”.
Ammettere che molti possono capire significherebbe demolire il muro di protezione che egli ha costruito a sua difesa.
Fisico o chimico che sia, costui (lo scientista) perde, così, il contatto con la realtà che lo circonda, dimostrandosi capace, è vero, di elaborare dati anche in modo complesso, ma pure totalmente incapace di osservare l’Universo che lo circonda, con il quale non sa più relazionarsi da tempo.
Lo scientista fallisce, quindi, proprio laddove voleva emergere. Se egli voleva essere l’anello di congiunzione tra l’Universo ed il comune mortale, ebbene, non può più esserlo, poiché non ascolta, non guarda, non si accorge dell’Universo, essendo sostanzialmente pauroso di esprimersi e di interagire con l’esterno.
La sindrome da paura dello scientista meccanicista si evince, poi, dal suo sviscerato amore per gli algoritmi matematici, insomma per le formule.
Il suo amore per quest’aspetto della scienza galileiana nasce dal fatto che l’esistenza stessa  della  formula  pone  lo  scientista  di  fronte  al  fatto  compiuto:  non  di  fronte all’incertezza su come vanno le cose nell’Universo, ma ad una certezza che elimina ab initio l’esistenza di un eventuale libero arbitrio.
Sempre e comunque la Fisica classica nega l’esistenza del libero arbitrio e questo punto fermo, per lo scientista moderno e galileiano, è una garanzia che tutto andrà secondo regole predeterminate dalle leggi fisiche.
Tutto nasce dal desiderio di deresponsabilizzarsi di fronte agli uomini, sostenendo che, se le cose vanno così, non è colpa o merito dello scienziato, bensì delle formule matematiche che descrivono il fenomeno fisico in esame.
Così  lo  scienziato  moderno,  totalmente  deresponsabilizzato  nei  riguardi  delle  proprie azioni, studia “cose” senza interessarsi di “come” le “cose” verranno poi utilizzate. Dall’inquinamento alla  clonazione,  dai  cibi  GM (Geneticamente Modificati)  al  progetto segreto MKultra (Mind Kontrol ultra) lo scienziato moderno studia e basta, ed ha un atteggiamento totalmente asettico riguardo al resto del mondo. Lo scienziato “perfetto” non ha  cuore  e  non  fa  suonare  il  campanello  del  sentimento,  perché,  se  così  fosse,  si relazionerebbe con quella società con la quale non è in grado di correlarsi per paura di risultare ad essa inadatto; egli trasforma la sua incapacità di comunicare in una qualità assolutamente desiderabile.  Allo stesso modo lo psichiatra può arrivare a sostenere che non deve esistere nessun rapporto emotivo tra sé ed il proprio paziente, il quale deve essere curato asetticamente, onde evitare i processi di transfert e controtransfert a volte presenti in terapie come l’ipnosi e persino nelle semplici terapie di sostegno psicologico.

HEISEMBERG CONTRO EINSTEIN COME SANSONE CONTRO I FILISTEI?

Lo stesso Heisemberg, profondamente marxista e quindi determinista, si lamentava, nelle sue memorie, del fatto che fosse toccata proprio a lui una siffatta scoperta, che lo sconvolgeva interiormente e distruggeva le sue più radicate convinzioni ideologiche.
La scoperta del Principio d’Indeterminazione è una spina nel fianco della Fisica moderna, la quale non sa perché esiste, non sa come interpretarlo in senso fisico e non sa niente sull’indeterminazione e su cosa la provoca.

Dall’altra parte della barricata c’era l’idea einsteiniana che Heisemberg si sbagliasse, perché “Dio non gioca a dadi!” (Albert Einstein).

Al di qua di quella barricata, che allora divideva la scienza in due partiti e che divide tuttora gli scienziati di mezzo pianeta, c’erano, e rimangono tuttora, i fisici quantistici.
Essi, sorvolando sull’inadeguatezza della scienza moderna, rimanevano in attesa di un loro futuro messia, il quale, sotto forma di una nuova matematica, avrebbe rimesso le cose a posto. Questo messia non è ancora arrivato e nessuno dei fisici di oggi si è degnato di prendere in considerazione il fatto che, forse, era stato compiuto un errore di fondo, a monte di tutta la Fisica, quello di non voler guardare al significato che sta dietro una formula e di non voler interpretare le sacre scritture rappresentate dalle leggi della Fisica, poiché tale interpretazione altro non può essere che soggettiva.
Se la scienza consiste nel vedere in modo oggettivo e non soggettivo, quest’ultimo tipo di approccio deve essere per sempre negato ai fisici.
Chiedendo lumi ad alcuni chimici quantistici del mio dipartimento sul significato di certe formule concernenti il comportamento degli elettroni, mi sentii raggelare il sangue quando questi mi risposero nello stesso modo che avrebbe utilizzato Khomeini riguardo ai suoi dogmi religiosi.
La domanda era semplice: cosa succede ad un elettrone mentre passa da un orbitale ad un altro? La Fisica mi dice cosa c’è prima e cosa c’è dopo, ma non quello che accade nel mezzo, perché mancano le formule, gli algoritmi.
La risposta fu che non mi dovevo preoccupare di quello che succedeva nel mezzo e che anzi, cercando di  capirlo, avrei corso il rischio di impazzire.

CHI DI FORMULA FERISCE...

Dunque, finita la garanzia dell’esistenza della formula, finita la ricerca. Quest’atteggiamento, come vedremo più avanti, è lo stesso che caratterizza la religione, dalla quale la scienza, erroneamente, vuole distaccarsi.
Einstein (http://digilander.libero.it/n8/) era, invece, profondamente convinto dell’esistenza del divino e dava ad esso la responsabilità di aver creato l’Universo con tutte le sue regole.  Per  Einstein  interpretare  le  leggi  dell’Universo  voleva  dire  comprendere  Dio, mentre Heisemberg, dal suo punto di vista totalmente ateo, rimaneva momentaneamente sconfitto, poiché lo scientismo marxista faceva acqua da tutte le parti.
Secondo Einstein bastava  recitare le formule matematiche per guardare Dio negli occhi. http://www.segreto.net/segreto/cap01.htm.
Ma anche Einstein doveva subire una dura sconfitta: vediamo come.
Newton, scopritore della cosiddetta forza di gravità, pensava che, siccome i conti gli tornavano, la sua formula fosse giusta, quindi giusta la formula, giusta la teoria e si poteva dire che la forza di gravità esisteva, perché esisteva una formula che descriveva il fenomeno fisico che l’aveva ispirata.
Un bel po’ di decenni dopo, Einstein s’inventava la piegatura dello spazio-tempo: per Newton era la fine! Non esistevano più neppure le forze, figuriamoci quella di gravità. Wimberg, in una sua pubblicazione scientifica popolare, dichiarava:
“Non esiste nessuna ragione per cui le mele caschino per terra.”
Quindi la formula esisteva, ma non esisteva il fenomeno fisico da essa descritto!
Qualche  decennio  dopo  l’invenzione  della  curvatura  dello  spazio-tempo,  Einstein  si trovava completamente spiazzato dalle nuove teorie, quando queste affermavano che non esiste nessuno spazio-tempo che si pieghi e, se lo spazio-tempo deve proprio esistere, questo sta fermo e non si sgualcisce nemmeno un pochino.
Sono anche fatti dell’attualità quotidiana, mentre la NASA sta provando ancora a misurare piccoli effetti della relatività generale, tentando di far tornare le cose e soprattutto le formule, le quali, invece, cominciano a non tornare più.
Da un punto di vista puramente filosofico quello che stava (e sta) accadendo alla fisica ed alla scienza tutta, era (ed è) che la certezza che l’esistenza di formule matematiche desse garanzia di verità, crollava (e crolla tuttora) di fronte alla totale inadeguatezza delle formule stesse a descrivere l’Universo.
Da un lato, alla fine dei conti, Einstein dice che l’Universo non si può osservare con chiarezza, perché tutto è relativo, e dall’altro Heisemberg afferma che, mentre si osserva qualcosa la si perturba, cosicché essa ci si presenta in modo palesemente diverso da ciò che è in realtà.
Queste due affermazioni riducono a pezzi il metodo galileiano!
A Galileo la scienza moderna fa dire che la prima cosa da fare è osservare il fenomeno fisico e descriverlo bene, poi riprodurlo anche in laboratorio ed infine creare l’algoritmo che lo descrive. Ma se il fenomeno fisico non può essere correttamente osservato e se ciò viene affermato persino dalle formule di Einstein e di Heisemberg, allora a cosa servono le formule della Fisica, se non a dire che le formule della Fisica non servono più?

(tratto dal libro "Alien Cicatrix" di Corrado Malanga, e-book integrale in PDF, fonte, pag. 141 e seguenti)

(Francesco Galgani, 23 gennaio 2021)

 

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