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Buddismo

Pillole di Buddismo - Libero arbitrio e vittoria con il Daimoku (Nam-myoho-renge-kyo)

Alcune frasi che vorrei mettere in evidenza, tratte da "Il Conseguimento della Buddità in questa esistenza" (cfr. testo integrale):

«“Mutua inclusione tra un singolo istante di vita e tutti i fenomeni” significa che la vita in ogni singolo istante abbraccia il corpo e la mente, l’io e l’ambiente di tutti gli esseri senzienti dei Dieci mondi e anche di tutti gli esseri insenzienti dei tremila regni: le piante, il cielo e la terra, fino al più piccolo granello di polvere. La vita in ogni singolo istante permea l’intero regno dei fenomeni e si manifesta in ognuno di essi. Risvegliarsi a questa verità è di per sé la relazione di mutua inclusione tra un singolo istante di vita e tutti i fenomeni. Tuttavia, se reciti e credi in Myoho-renge-kyo, ma pensi che la Legge sia al di fuori di te, stai abbracciando non la Legge mistica, ma un insegnamento inferiore. “Insegnamenti inferiori” sono quelli diversi da questo sutra, che sono tutti espedienti e insegnamenti provvisori. Nessun espediente o insegnamento provvisorio conduce direttamente all’illuminazione e, senza la diretta via all’illuminazione, non si può conseguire la Buddità, neanche praticando vita dopo vita per innumerevoli kalpa. Conseguire la Buddità in questa esistenza sarebbe dunque impossibile. Perciò, quando invochi myoho e reciti renge devi sforzarti di credere profondamente che Myoho-renge-kyo è la tua vita stessa».

«Non pensare mai che qualcuno degli ottantamila sacri insegnamenti di Shakyamuni o qualcuno dei Budda e bodhisattva delle tre esistenze e delle dieci direzioni sia al di fuori di te».

«Se cerchi l’illuminazione al di fuori di te, anche eseguire diecimila pratiche e diecimila buone azioni sarà inutile, come se un povero stesse giorno e notte a contare le ricchezze del suo vicino, senza guadagnare nemmeno mezzo centesimo».

«Il Sutra del Loto è il re dei sutra, la diretta via all’illuminazione, poiché spiega che l’entità della nostra mente o vita in ogni singolo istante, dalla quale sorgono sia il bene che il male, è in realtà l’entità della Legge mistica».

Queste citazioni sostanzialmente asseriscono che ciascuno di noi coincide con la Legge mistica, ovvero coincide con il Budda, cioè con la Vita, ovvero con tutto ciò che esiste. Usando un linguaggio che esce da quello comunemente usato in questo tipo di letteratura buddista, posso tranquillamente affermare, da queste premesse, che io sono “Il Creatore” della mia realtà (e non lo è un altro ente esterno, il cosiddetto “dio”, che da questa prospettiva non può esistere o, se esiste, coincide con me perché sono io il creatore), oppure potrei anche dire che “io sono l’intero universo”. Stesso discorso, ovviamente, per ogni altra persona.

E’ quindi evidente che la preghiera di Nam-myoho-renge-kyo non deve mai essere rivolta ad un ente esterno, ma solo a se stessi, perché ciascuno di noi è il Budda (altrimenti sarà un’infinita e dolorosa austerità, come scrive il Daishonin). Quindi, quando prego, “mi prego”: per quanto ciò abbia effettivamente poco senso nel linguaggio comune, da un punto di vista coscienziale potrebbe essere l'unica cosa sensata, nel senso che “La Coscienza” è “Una”, anche se compresente in contenitori diversi (i nostri corpi), tramite i quali (forse) fa esperienza di se stessa per diventare consapevole di sé (o per qualsiasi altro motivo che ora mi sfugge). Da questo punto di vista, noi potremmo creare inconsapevolmente, finché ne avremo bisogno, una realtà che non ci piace, nel senso che non corrisponde ai nostri desideri, per mettere in scena “quello che ancora non abbiamo capito”. Poi, quando l’avremo capito, metteremo inconsapevolmente in scena qualcos’altro, e così via in un percorso di accrescimento di consapevolezza. E più ciascuno di noi diventa consapevole, più diventa consapevole l’intera Coscienza, con beneficio per tutte le forme di vita. Ecco allora che la cosa migliore che possiamo fare è lavorare su noi stessi, in quanto ogni tentativo di modificare la realtà (solo apparentemente) esterna senza un vero cambiamento interiore è del tutto inutile, perché l’esterno fa da specchio all’interno (almeno finché percepiremo la realtà come duale).

Il problema del libero arbitrio si inserisce proprio nel modo in cui percepiamo la realtà. Se crediamo che sia duale, e che quindi esista un “interno” (che siamo noi) e un “esterno” (che è qualcos’altro), allora solo in questo caso può esistere il libero arbitrio, cioè il fatto che in ogni istante di vita possiamo scegliere tra due percorsi possibili (in quanto tutto è duale). Se però ci rendessimo conto che la realtà non è duale, allora cambierebbe tutto: il problema del libero arbitrio neanche esisterebbe più, perché ciascuno di noi avrebbe consapevolezza di essere tutto ciò che esiste, quindi non ci sarebbe più il problema di fare scelte. Tutto ciò, ovviamente, è molto distante dal sentire comune e dall’esperienza quotidiana, ma l’ho scritto soltanto per sottolineare che la libertà è innanzitutto una questione di percezione della realtà e, nella teoria buddista dei “dieci mondi”, l’unica condizione vitale in cui si è realmente liberi è la Buddità, nella quale, appunto (secondo le citazioni riportate sopra), il praticante ha la consapevolezza che non esiste alcun potere esterno a sé.

Giusto per ricordarcelo, nel Gohonzon, cioè nello specchio della nostra vita illuminata, la Buddità è al centro e gli altri nove mondi sono al suo servizio: in questo contesto, persino le malefatte del re demone diventano al servizio della Buddità, quindi non abbiamo nulla da temere. Finché continueremo a mantenere la Buddità al centro della nostra vita, così come rappresentata nel Gohonzon, alla fine tutto andrà dove deve andare.

Ricapitolando, la libertà fondamentalmente riguarda la consapevolezza che l'essere umano ha di sé e della sua falsa necessità di avere un potere esterno (politico, religioso o scientifico) che gli dica cosa deve fare. Questa falsa necessità è creata ed alimentata dalla scissione interna alla persona e interna alla società che il potere dispotico fomenta con qualsiasi mezzo lecito e illecito: smascherare questo tranello fa crollare tutto il sistema di potere e l'essere umano torna ad essere consapevole di sé e del fatto di essere il creatore della propria realtà (e, a quel punto, dèi e demoni se ne vanno perché non possono più interagire con questo essere risvegliato, né tanto meno dominarlo). In questa persona internamente riunita e risvegliata, anche il Daimoku cambia, perché diventa veramente rivolto soltanto a se stessa (per far risplendere la Buddità come uno specchio che viene lucidato) e a niente di esterno. I propositi di vita si chiariscono e vanno oltre i bisogni del momento, di cui comunque mantiene la giusta consapevolezza.

Solo in questo modo la “vittoria” nella vita per mezzo del Daimoku diventa possibile.

(28 settembre 2021)

Pillole di Buddismo - Un esempio di cosa significa "essere consapevoli e parlare apertamente"

Quanto segue è tratto dalla lettera (gosho) intitolata “Condoglianze per un marito defunto”, scritta nel 1278 da Nichiren Daishonin e indirizzata alla monaca laica Myoho.

Nel frammento che qui cito, Nichiren ricorda alcuni importanti eventi della sua vita, nei quali ha pagato duramente la sua decisione di parlare apertamente di ciò di cui era consapevole. E com’è andata a finire? Oggi i suoi insegnamenti sono conosciuti e praticati in tutto il mondo, quindi, storicamente parlando, ha vinto, nonostante abbia vissuto un estremo isolamento, condizioni assai precarie e disumane, frequenti attentati alla sua vita. Chiunque, al suo posto, probabilmente sarebbe morto di disperazione, eppure la sua fede è stata più forte di qualsiasi persecuzione fatta dai governanti e dalle persone comuni della sua epoca. Come ho scritto in “L'odio profondo e perverso dello Stato italiano verso i cittadini italiani (e una previsione)”: «[...] sembra che lo Stato sia sempre, storicamente e inderogabilmente, smentito. [...]». A quel tempo, “lo Stato” era l’empio potere monarchico e religioso del Giappone.

Quanto segue mi sembra un inno contro l’omertà:

«[…] Ormai il Giappone è diventato un paese nel quale le offese all’insegnamento corretto abbondano e sembra che i tempi siano maturi per l’invasione da parte di un paese straniero.

Chi ne è consapevole e non lo dice apertamente, anche se nell’esistenza presente può godere di pace e sicurezza, cadrà sicuramente nella grande fortezza dell’inferno di incessante sofferenza nella prossima vita. Ma, se, temendo una tale sorte, egli decide di parlare, deve essere preparato a subire l’esilio o la condanna a morte.

Consapevole di questo, durante l’epoca di Bunno [1260] sottoposi una petizione al defunto prete del Saimyo-ji, ma il mio consiglio non fu ascoltato. A quel tempo i credenti Nembutsu, quando seppero ciò che avevo fatto, cospirarono con i loro seguaci di alto e basso rango, e mi attaccarono con lo scopo di uccidermi, anche se non riuscirono nel loro intento.

[Il reggente Hojo] Nagatoki, il governatore di Musashi, figlio del prete laico del tempio Gokuraku, consapevole dei desideri di suo padre, mi fece esiliare senza una ragione plausibile nella provincia di Izu. Come tutti hanno potuto vedere, l’effetto è stato che il prete laico del Gokuraku-ji e Nagatoki sono morti e tutta la loro famiglia si è estinta.

Qualche tempo dopo, fui richiamato dall’esilio. Ancora una volta parlai apertamente come il sutra impone, con ancor maggiore veemenza di prima, e di nuovo, il dodicesimo giorno del nono mese dell’ottavo anno di Bun’ei [1271], fui esiliato, questa volta nella provincia insulare di Sado. Come avevo predetto al tempo in cui ero incorso nella disapprovazione delle autorità, i membri del clan reggente che mi avevano condannato all’esilio cominciarono a litigare fra loro. Forse fu per paura di questo che fui richiamato ancora una volta dall’esilio. Tuttavia i miei consigli non furono ascoltati e la gente comune nutrì un astio ancor maggiore nei miei confronti.

Anche se si rischia la vita per esprimere i propri ammonimenti, se le autorità dello stato non li ascoltano, non c’è dubbio che il paese sia destinato alla distruzione. Tuttavia, se, anche dopo che qualcuno ha messo in luce i loro errori, i governanti si rifiutano di seguirne il consiglio, allora non è colpa di chi ammonisce. Con questo pensiero in mente ho lasciato Kamakura nella provincia di Sagami il dodicesimo giorno del quinto mese dell’undicesimo anno di Bun’ei [1274]. Dal diciassettesimo giorno del sesto mese dello stesso anno risiedo qui, nelle profondità delle montagne, e ormai da cinque anni non mi avventuro per più di cento metri oltre il cancello.

Io sono originario della provincia di Awa. L’amministratore di quella provincia, Tojo Saemon-no-jo Kagenobu, dietro le pressioni del prete laico del Gokurakuji, del prete laico Toji Saemon e di tutti i credenti Nembutsu, di tanto in tanto intentava qualche causa contro di me. Alla fine scatenò le ostilità nei miei confronti e così i sostenitori del prete laico del Gokurakuji riuscirono a distorcere la legge per farmi interdire dalla zona sotto la giurisdizione di Tojo Kagenobu e impedirmi l’accesso. Quindi, sono passati molti anni dall’ultima volta che ho potuto visitare le tombe di mio padre e di mia madre.

Inoltre per due volte sono incorso nella disapprovazione dei governanti del paese. La seconda volta fu annunciato ufficialmente che sarei stato esiliato in una remota località, anche se in privato circolò voce che dovevo essere decapitato. Il dodicesimo giorno del nono mese, all’ora del bue [dall’una alle tre], fui condotto a Tatsunokuchi, presso Kamakura, per esser decapitato. In quel momento, per una qualche ragione, un oggetto simile alla luna giunse nell’aria dalla direzione di Enoshima e aleggiò sul capo del boia che ne fu così terrorizzato da non poter portare a termine il suo compito; poi ci furono vari sviluppi e così quella notte sfuggii alla condanna a morte.

In seguito, dopo essere stato esiliato nella provincia di Sado, ci fu un altro tentavo di decapitarmi, ma, come ho detto prima, scoppiò un dissidio fra varie fazioni a Kamakura e fu inviato in tutta fretta un messaggero a Sado; così non mi decapitarono. Alla fine fui perdonato e adesso vivo solo fra le montagne.

Quando ero nella provincia di Sado vivevo in un cimitero chiamato Tsukahara, un luogo fra i prati e le montagne, lontano da qualsiasi abitazione umana. La mia dimora era una piccola capanna che si reggeva su quattro pali. Dalle assi del tetto si intravedeva il cielo e i muri cadevano a pezzi. La pioggia entrava come se il tetto non ci fosse affatto e all’interno si ammucchiava la neve. Non c’erano né effigi del Budda, né alcuna traccia di stuoie o altre coperture del pavimento. Ma io vi collocai l’effigie del Budda Shakyamuni, il signore degli insegnamenti, che avevo con me da tempo e, con il Sutra del Loto in mano, un mantello di paglia addosso e un cappello di paglia in testa, cercai di viverci come potevo. Passarono quattro anni, durante i quali nessuno venne a visitarmi o a portarmi cibo. Ero come Su Wu, prigioniero per diciannove anni nella terra dei barbari del nord, che indossava un mantello di paglia e mangiava neve.

Adesso sono cinque anni che vivo in questa dimora montuosa. Tutt’intorno, come alti paraventi, sono disposte quattro montagne. A nord si erge il monte Minobu, simile a una scala a pioli che arriva fino al cielo. A sud c’è il Takatori che sembra il monte Kukkutapada; a ovest lo Shichimen, simile alla Barriera di ferro e a est il monte Tenshi, che è il principe ereditario del monte Fuji, l’imperatore.

A nord c’è un grande fiume di nome Haya, rapido come una freccia. A sud c’è il fiume Hakiri capace di far rotolare enormi massi come se fossero foglie d’albero. A est il fiume Fuji scorre da nord a sud, impetuoso come l’affondo di mille alabarde. Lungo il suo corso, la cascata di Minobu è come una striscia di stoffa bianca che penzola dal cielo.

In mezzo a queste montagne e fiumi c’è un angusto appezzamento di terreno, dove sorge la dimora di Nichiren. È un luogo così immerso fra le montagne che anche a mezzogiorno è impossibile vedere il sole e di notte non c’è una luna alla quale comporre poesie. Sulle vette schiamazzano scimmie simili a quelle delle gole di Pa in Cina, e nelle valli lo scroscio battente del fiume sembra un rullo di tamburi. Il terreno è ricoperto da grosse pietre e le montagne sono fatte soltanto di roccia e ghiaia.

I governanti del paese mi odiano e, fra la gente comune, nessuno viene a visitarmi. In inverno i sentieri sono ostruiti dalla neve e in estate sono ricoperti dalla vegetazione. In lontananza si ode il triste bramito del cervo e le cicale strepitano nelle mie orecchie. Nessuno viene a visitarmi ed è difficile mantenermi in vita. Non ho indumenti per coprirmi e quindi puoi immaginare quanto sia stata benvenuta la veste che mi hai donato.

Anche chi mi ha conosciuto o ha sentito parlare di me in passato ha smesso di avere compassione, e i discepoli e i braccianti che fin adesso erano con me mi hanno tutti abbandonato. Quindi è stupefacente che una persona come te, che non ho mai visto e di cui non ho mai nemmeno sentito parlare, mi dimostri una simile gentilezza! Non posso fare a meno di chiedermi se tu sia la reincarnazione dei miei genitori defunti o forse una manifestazione delle dieci fanciulle demoni! […]»

(18 settembre 2021)

Pillole di Confucianesimo - Le cinque virtù costanti

Forse già lo sai, ma vorrei ripetere la predizione del Budda su come sarà l’ultima epoca: «Sarà un’epoca caotica in cui anche i santi troveranno difficile vivere. Essi saranno come pietre in un grande fuoco, che per un po’ sembrano resistere al calore, ma alla fine si carbonizzano e si sbriciolano in cenere. Gli uomini saggi si appelleranno alle cinque virtù costanti, ma essi stessi avranno difficoltà a comportarsi di conseguenza». Quindi prosegue: «Non rimanere troppo a lungo nel posto d’onore».

(tratto da "I tre tipi di tesori", Nichiren Daishonin, 1277)

L'ultima epoca a cui si riferisce la profezia del Budda Shakyamuni (566 a.C. - 486 a.C.) qui citata è la nostra. Le cinque virtù costanti a cui si riferisce il Budda, e che sono entrate pienamente all'interno degli insegnamenti buddisti, fanno parte dell'insegnamento di Confucio (551 a.C. - 479 a.C.). Le date che ho qui indicato sono quelle tradizionali, ma non sono sicuro che Shakyamuni sia stato davvero contemporaneo di Confucio: forse, secondo studi più recenti, è vissuto uno o due secoli dopo.

Vediamo le cinque virtù costanti o wu chang (五常). In ordine decrescente di importanza, le virtù sono benevolenza o ren (仁), rettitudine o yi (义), correttezza o li (理), saggezza o zhi (智) e fedeltà o xin (信). Questi cinque principi etici regolavano la società nell'antica Cina, anche se tradurre xin presenta qualche difficoltà, perché il carattere combina i caratteri separati di "persone" e "parola", e significa "persistere in ciò che si è detto" o "le proprie azioni corrispondono alle proprie parole". Il significato è meglio descritto come simile alle parole fedeltà, integrità, onestà, fiducia, fede o promessa, ma non corrisponde direttamente a nessuna di queste singole parole.

Le cinque virtù costanti erano importanti per determinare chi fosse un "vero gentiluomo" nell'antica società cinese. Indipendentemente dalla classe o dallo status sociale di una persona, ci si aspettava che esibisse le cinque virtù e che usasse una condotta corretta verso gli altri.

Questo si applicava anche al modo in cui ci si aspettava che i governanti governassero. Un leader, dal burocrate locale all'imperatore, doveva governare con una preoccupazione benevola per il benessere delle persone a lui sottoposte. Uno dei motivi per cui ci si aspettava che i governanti vivessero secondo le cinque virtù costanti è che il concetto confuciano di governo implicava la guida attraverso l'esempio. La convinzione era che se gli individui nel governo fossero stati virtuosi, anche i loro sudditi lo sarebbero stati.

Un altro presupposto confuciano è che quando le persone sono tenute in riga da misure governative o da minacce di punizione, l'obiettivo primario del popolo diventa quello di sfuggire alla prigione o alle altre punizioni. In tale ipotesi, le persone si comportano "bene" non a causa di un vero senso dell'onore nel buon comportamento o della vergogna nel cattivo comportamento, ma semplicemente a causa della minaccia della punizione. Invece, l'ideale confuciano è quello di guidare attraverso la virtù e il controllo, o di dare una regola alle persone sotto il proprio governo attraverso la correttezza. Tutto ciò, a sua volta, coltiverà un senso di onore e rispetto tra il popolo.

Parte dell'ideologia confuciana è che le persone nascono buone e possono migliorarsi attraverso l'apprendimento. Quando il governo si concentra sull'educazione dei suoi cittadini, specialmente esemplificando la moralità, gli individui ne prenderanno nota. Con sufficiente educazione ed esempi di buona leadership da seguire, i cittadini diventeranno cittadini modello.

Purtroppo, nella nostra epoca assai distante dall'ideale confuciano, non abbiamo governanti o altre persone al comando di cui emulare le virtù... ma c'è sempre l'Anima dei grandi maestri dell'umanità, per chi ne è alla ricerca, per cui mi auguro che ciascuno di noi possa diventare un buon leader, un buon governante di se stesso o se stessa.

(11 agosto 2021)

Per approfondimenti: Confucius - an overview | ScienceDirect Topics

Pillole di Buddismo - La non-realtà delle notizie di attualità

Per quanto ultimamente preferisca non entrare nei dettagli dell’attualità, giacché questa abitudine m’è passata da un po’ di tempo (come avranno notato i miei lettori affezionati), non significa che non sia consapevole delle notizie che circolano e delle brutte forme-pensiero da esse alimentate, soprattutto quando le decisioni di chi è al potere ci toccano personalmente.

La comunicazione di massa è costruita in modo da elicitare il più possibile i sei mondi inferiori (di cui ho parlato in “Pillole di Buddismo - Dieci Mondi - Aiutare gli eventi a svolgersi in una direzione positiva”) e, poiché in tali mondi è impossibile vedere la realtà per «ciò che è», ne segue che tutta la rappresentazione mass-mediatica della realtà è un’illusione.

Per svegliarci dal sonno dell’illusione, ogni tanto in questo mondo sono di passaggio alcuni maestri. Come ha scritto una cara amica: «[…] il maestro di Nazareth e molti altri sono LA SOLA REALTÀ SOSTANZIALE di questa vita e oltre, tutto il resto è una prova per testare la saggezza e la verità dell'anima di ciascuno… […]». Fondamentalmente sono d’accordo sul fatto che la visione del mondo dei maestri dell’umanità sia l’unica corrispondente a «ciò che è». Qualcuno ricorda la caverna di Platone?

Secondo me, questi nostri tempi sono un periodo eccellente per la ricerca spirituale e per riscoprire i maestri, i filosofi e tutti coloro che hanno avuto una visione delle cose molto più ampia della nostra. Non credo che i problemi che loro hanno vissuto nelle loro società e nelle loro epoche fossero minori dei nostri, anzi.

Per esprimermi in termini a me familiari, quando ascoltiamo le notizie (e in qualunque altro momento), non facciamoci demolire dai dieci eserciti del Re Demone: loro sono fragili, non noi.

Questi dieci eserciti sono elencati nel “Trattato sulla grande perfezione della saggezza”: è un voluminoso commentario al “Sutra della grande perfezione della saggezza”, tradizionalmente attribuito al maestro Nagarjuna (150 - 250). Attualmente esiste solo la versione cinese tradotta da Kumarajiva (344 - 413). Quest’opera spiega, fra gli altri, i concetti di saggezza, di vacuità o non sostanzialità, l’ideale del bodhisattva e le sei paramita (cioè le pratiche che i bodhisattva mahayana devono osservare per ottenere l’illuminazione, ovvero l’abbandono dell’illusione). Contiene anche concetti derivanti dal Sutra del Loto e da altri sutra mahayana ed è considerata una delle più importanti opere del pensiero mahayana. Nel trattato, i dieci eserciti compaiono in questo ordine (i termini variano in base alle traduzioni, riporto fra parentesi sinonimi e parafrasi per maggiore chiarezza):

1) avidità (piacere dei sensi, desiderio);
2) preoccupazione (tristezza, depressione);
3) fame e sete (condizione di bisogno, povertà materiale);
4) amore dei piaceri (bramosia, attaccamento al piacere);
5) sonnolenza e apatia (indolenza, indifferenza d’animo, inerzia, pigrizia, sonno o stanchezza ben oltre le necessità fisiologiche);
6) paura (il contrario del coraggio, è la scelta di “volare basso”);
7) dubbio e rimpianto (dubbio inteso come “non fiducia” nella parte illuminata, o buddità, di se stessi, degli altri e di tutto l’ambiente, da non confondere con il sano e auspicabile dubbio che alimenta lo spirito di ricerca);
8) rabbia (presunzione, ingratitudine, collera);
9) brama di fama e ricchezza (guadagno materiale, onore, soldi, potere);
10) arroganza e disprezzo per gli altri.

A ben guardare, tutti questi dieci eserciti corrispondono a condizioni esistenziali proprie dei sei mondi inferiori. Quindi è tutto un inganno.

Ma la preghiera è più potente di tutti questi eserciti. Proprio per questa ragione, il Re Demone appare per far smettere di pregare, fiaccare lo stato vitale, indebolire la fede. «Quando incontra qualcuno che ha rivolto il suo cuore al bene, cerca di ostacolarlo» (frase tratta da “Lettera ai fratelli”, scritta dal maestro Nichiren Daishonin). Eppure la sua apparizione è proprio il segno della crescita. Se non stessimo attraversando profondi cambiamenti non ci sarebbe alcun motivo valido, per lui, di farsi vivo e (tentare di) sbarrarci la strada.

Nessuno di questi eserciti, di per sé, è negativo, sono tutti aspetti della vita necessari: non è la loro presenza nella nostra vita ad essere negativa, bensì è la ragione per cui appaiono queste forze a renderle “demoniache”, nel senso di “padrone di noi”. Ad esempio, la tristezza diventa un esercito del demone quando si mangia la voglia di credere e di pregare. Oppure, quando la paura diventa un esercito di pensieri infidi e potenti, scatena un potere devastante e disumanizzante. Ancora, c'è l'esercito del dubbio e del rimpianto quando la testa si riempie di «se avessi fatto, se avessi detto»: mille pensieri con la faccia rivolta all'indietro, che ingabbiano la fede, fermano la preghiera. E così via per gli altri eserciti.

Il Re Demone è molto a suo agio nel nostro tempo, che è governato dall'esaltazione degli eccessi, profondamente imbevuto di una cultura che premia il disprezzo e la voglia di dominare gli altri, un tempo che coltiva ogni forma di attaccamento al piacere, incoraggia il desiderio di accumulare quanto più denaro possibile, e fa sentire molto fieri di cavalcare desideri e privilegi. La natura demoniaca del potere è proprio questa: utilizzare questa nostra ignoranza e spingere a guardare la vita con disprezzo, e a usare gli altri per i propri fini.

Ecco, quando i nostri occhi e le nostre orecchie incontrano un telegiornale ricordiamo che stiamo osservando una rappresentazione del mondo così come la vuole il Re Demone.

Ma… la nostra vera essenza non è negativa, casomai può essere oscurata dalle funzioni negative di questi eserciti. Pregando si può scoprire che gli eserciti del Re Demone sono tanto temibili quanto fragili. La felicità non sta nel non incontrarli mai (cosa peraltro impossibile), né tantomeno nello sterminarli, ma nell'avere la forza di neutralizzare la loro intenzione profonda, che è quella di sviarci e non farci credere nella dignità di ogni forma di vita e nella possibilità di tirare fuori da noi e dalle cose che viviamo il senso più autentico.

Basta aprire un libro su una frase di uno dei maestri dell’umanità e gli eserciti si faranno da parte.

(7 agosto 2021)

Pillole di Buddismo - Dieci Mondi - Aiutare gli eventi a svolgersi in una direzione positiva

Ogni giorno è un giorno buono per avere pensieri positivi e per essere grati dei doni della vita. Nel proseguo di questo articolo, vedremo come tale disposizione d’animo faccia cambiare direzione al nostro destino.

Per prima cosa, è già appurato e dimostrato che la sola disposizione mentale, anche restando fermi in meditazione o in preghiera, cambi in maniera significativa gli eventi attorno a noi. Ne avevo già parlato nell’articolo “Non crediamo a quelle forme-pensiero che tolgono energia”, referendomi nello specifico al cosiddetto “Maharishi Effect”. Nel 1978, 7.000 persone meditarono con l’intenzione di avere un effetto positivo sulla città circostante per tre settimane consecutive. Il risultato dei loro sforzi di meditazione intenzionali e collettivi fu che l’energia collettiva della città venne completamente trasformata: si ridussero i tassi globali di criminalità, gli atti violenti e le morti in media del 16%; diminuirono i suicidi e gli incidenti stradali, tenendo conto di tutti i fattori variabili; le attività terroristiche si ridussero del 72% nel corso del progetto di meditazione. Da allora sono stati condotti più di 50 studi per verificare la validità dell’Effetto Maharishi e i risultati hanno confermato l’impatto diretto che la meditazione globale ha sul mondo.

Un altro esempio del potere di ciò in cui crediamo è dato dalle “profezie che si autoavverano”, di cui avevo parlato in “Pillole di Psicologia - Il senso delle preghiere”. Nel 1948, il sociologo statunitense Robert King Merton (1910-2003), introdusse nelle scienze sociali il concetto di “profezia che si autoadempie”, definendola come «una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità». Merton trasse ispirazione dalla formulazione che un altro celebre sociologo americano, William Thomas (1863-1947), aveva dato di quello che è passato alla storia come Teorema di Thomas, che recita: «Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze».

Dopo queste premesse, già dovrebbe essere evidente che prestare attenzione a direzionare positivamente pensieri e parole abbia un grande effetto benefico. Sottovalutare o negare questo fatto significa soltanto vivere in maniera meno consapevole e meno gratificante: credere che tutto dipenda soltanto dalle azioni indipendentemente dai pensieri, o al contrario dal caso o dalla predestinazione, è un atteggiamento irrispettoso verso noi stessi e controproducente.

Nella vita quotidiana, infatti, otteniamo quasi sempre risultati migliori per noi stessi e per le persone vicine evidenziando le positività, invece delle negatività. Da un certo punto di vista, la nostra disposizione interiore, o orientamento del cuore e dell’intelletto, compie miracoli, ma di solito non ce ne accorgiamo. Tutto ciò, ovviamente, a condizione che pensieri, parole e azioni vadano nella stessa direzione. Come scrissi in “Fede positiva?”, «Nulla è a caso e i nostri pensieri possono essere profezie auto-avverantesi. Le parole sono importanti ed è proprio per questo che vanno legate all'azione, altrimenti diventano parole svuotate di significato. Lo stesso vale per le parole che compongono le nostre preghiere». Per esprimere lo stesso concetto con riferimento alla fede buddista nel Sutra del Loto, il maestro Nichiren Daishonin, in una lettera del 1276, si espresse così: «Ma c’è una differenza fra i benefici del daimoku recitato da un santo e i benefici del daimoku che recitiamo noi? Per risponderti, nessuno dei due è in alcun modo superiore o inferiore all'altro. L'oro posseduto da uno stolto non è differente dall'oro posseduto da un sapiente; il fuoco acceso da uno stolto è uguale al fuoco acceso da un sapiente. Tuttavia c'è una differenza se si recita il daimoku e allo stesso tempo si va contro l'intento di questo sutra» (tratto dal Gosho “Le quattorci offese”).

L’ottimismo nasce dalla fiducia nella vita, cioè in noi stessi e nel nostro ambiente: concretamente significa, volta per volta, fare scelte fiduciose in cui cuore e intelletto agiscano insieme, senza pretese e senza bisogno di esercitare alcun controllo ossessivo su noi stessi, sulle altre persone o sulle cose che accadono.

Provo a mostrare meglio questo concetto con una metafora vicina a un certo tipo di pensiero mistico che si riconosce nell’espressione «Deus sive Natura» (letteralmente «Dio ossia la Natura») del filosofo Baruch Spinoza (1632 - 1677). Per chi vuole approfondire, avevo affrontato il pensiero di Spinoza nell’articolo “Dalla tirannia incostituzionale televisiva a Baruch Spinoza”. Non voglio entrare qui nello storico dibattito teologico sulle idee di Spinoza, perché ci porterebbe fuori strada. Chiedo soltanto ai miei lettori pazienti di provare, per un attimo, a osservare la realtà con la stessa visione che questo filosofo ci ha trasmesso. Ecco, dovrebbe esserci evidente che se «Deus sive Natura», allora l’assurdità di avere lamentele, pretese, giudizi e bisogno di controllo ossessivo verso la vita equivale in tutto e per tutto a bestemmiare, cioè a giudicare Dio. Spero che questa chiave di lettura possa suscitare in tutti noi prudenza quando apriamo bocca o abbiamo atteggiamenti di lamentela o di disprezzo.

Per fare un altro esempio di saggezza interreligiosa, come riportato dal filosofo Lou Marinoff nel libro "Qualunque fiore tu sia sboccerai" (a pag. 37), secondo la cabala, che è l'insieme degli insegnamenti esoterici dell'ebraismo rabbinico, ogni situazione può e dovrebbe essere interpretata in modo positivo per celebrare ogni istante della propria esistenza.

Tornando alle vicissitudini quotidiane, l’ottimismo è, ad esempio, un fattore vitale tra i sopravvissuti ai naufragi, talvolta rimasti in balìa dell’oceano per molti giorni, in zattere aperte, esposti alle intemperie e ad altri pericoli, spesso senza cibo né acqua. Coloro che mantengono un atteggiamento positivo, e credono che saranno salvati in tempo, hanno maggiori probabilità di sopravvivere alle traversie rispetto a coloro che si disperano e abbandonano ogni speranza.

Per tutte queste ragioni, ciò in cui ciascuno di noi “crede” in un dato momento ha un ruolo cruciale nella creazione della “propria realtà”, del proprio inferno, paradiso o altro tipo di esistenza.

Non è solo una questione di fede religiosa o di altro tipo, è innanzitutto questione del “mondo interiore” in cui solitamente dimoriamo. Nella recente serie televisiva “Lucifer” (2016-2021), creata da Tom Kapinos, non è il diavolo a infliggere di propria volontà le pene, ma sono le anime stesse dei dannati a creare il proprio “loop infernale”, da cui potrebbero uscire se lo volessero, cioè liberarsi, ma non lo fanno: tale genio cinematografico significa qualcosa?

Queste che sto scrivendo sono solo parole, eppure c’è qualcosa di straordinario nel potere della nostra disposizione interiore su tutto l’ambiente circostante. Nell’audiolibro “Il dono del silenzio(a partire da 2 ore e 10 minuti circa), Thich Nhat Hanh racconta un evento realmente accaduto in un tempio vietnamita, durante la Guerra del Vietnam: i soldati francesi entrarono con le loro armi nel tempio e sentirono fin da subito una sensazione di disagio. Sentivano di non essere soli, ma non vedevano nessuno perché c’era poca luce. Usando una torcia elettrica, videro una cinquantina di monaci seduti in meditazione: lo stato d’animo dei soldati cambiò radicalmente, si sentirono assolutamente impotenti e incapaci di nuocere. I monaci buddisti non dissero nulla e continuarono la loro meditazione, i soldati rimasero turbati, se ne andarono e uno di loro in particolare cominciò a comprendere l’assurdità della guerra. Tutto ciò accadde in silenzio.

Soffermiamoci sui mondi interiori, perché la costruzione della “nostra realtà”, come ho appena accennato, dipende dal mondo in cui ci troviamo. I “Dieci mondi” (o “Dieci regni dell'esistenza”) è una dottrina buddista mahayana cinese, originatasi all'interno della scuola del Gran Maestro T’ien-t’ai (538-597), la cui biografia su Wikipedia è riportata alla voce "Zhìyǐ Tiāntái Dàshī" (è la stessa persona, ma la traslitterazione del nome cinese in caratteri latini è fatta diversamente). La dottrina dei “Dieci mondi” si diffuse, a partire dalla Cina, nei paesi influenzati dal “Canone buddista cinese”, ovvero Giappone, Corea e Vietnam. Una descrizione approfondita di questi dieci mondi richiederebbe almeno un libro (ad es. "I dieci mondi - Introduzione al Buddismo di Nichiren Daishonin" di Richard Causton, Esperia editore, 2004, fuori catalogo e difficile da trovare, oppure il più recente libretto tascabile del 2012 "I dieci mondi", ancora acquistabile e disponibile anche come ebook), qui mi limiterò ad una sintesi. Per chi vuole approfondire, segnalo la dispensa gratuita di 19 pagine, in PDF, "I dieci mondi".

Iniziamo con una immagine schematica dei dieci mondi (puoi cliccarci sopra per ingrandirla):

Dieci Mondi (Buddismo di Nichiren Daishonin)

In ordine dal più basso e negativo verso il più alto e desiderabile, troviamo:

1) Il mondo d’inferno, una condizione di disperazione nella quale siamo completamente sopraffatti dalla sofferenza, dal senso di impotenza e di impossibilità di uscire da tale sofferenza. Il termine Inferno deriva dalla parola sanscrita naraka, che letteralmente indica una prigione sotterranea. Il nome giapponese (jigoku) è composto da due caratteri che significano “terra” e “prigione”. Terra indica il luogo più in basso di tutti, e prigione lo stato in cui l’essere è legato e totalmente immobilizzato: la condizione spirituale di una persona a cui è stata tolta la volontà di vivere e di agire, che non ha più la forza né la speranza di cambiare le cose. L’energia vitale che alimenta i desideri, gli istinti, le passioni, è quasi del tutto annientata. Il tempo, nel mondo d’Inferno, sembra non passare mai. Quando la forza vitale si indebolisce, il flusso vitale quasi si interrompe e lo scorrere del tempo appare lentissimo.

2) Il mondo degli spiriti affamati (mondo di avidità o mondo di fame) è uno stato in cui siamo dominati da un desiderio illusorio che non potrà mai venire definitivamente appagato. “Fame” deriva dalla parola sanscrita preta che in origine significava “cadavere”, e col tempo il termine finì per essere usato per indicare un regno di infelicità, come l’inferno e l’animalità, in cui si può cadere dopo la morte. Preta significa anche “spirito ancestrale”; in India si credeva che molti spiriti degli antenati fossero affamati e avidi di cibo, per questo si cominciò a chiamare i morti “spiriti affamati”. Chi sperimenta questa condizione è schiavo dei desideri, non si gode la vita perché gli manca sempre qualcosa. Con la conseguenza di sentirsi perennemente insoddisfatto e frustrato. Potremmo definire l’avidità come il desiderio di riempire a tutti i costi un senso di vuoto interiore: molte delle cosiddette sindromi della mancanza, come gli attacchi di bulimia, le crisi di astinenza, la possessività e la gelosia possono ricondursi a questo stato vitale. Rispetto al mondo d’inferno, lo spazio vitale è leggermente più grande, anche se di poco. Non si è più in una condizione di totale schiavitù e disperazione ma si ha una ragione per cui vivere.

3) Il mondo degli animali (mondo di animalità o mondo di stupidità), una condizione basata sugli istinti. In origine il termine (giapponese chikusho) si riferiva alla condizione propria degli animali. “Stupido” è chi non usa la propria intelligenza e la propria coscienza, prerogative dell’essere umano; chi non si chiede mai il perché delle cose, chi non si assume la responsabilità delle proprie azioni. Il mondo di animalità segue la legge del più forte, la logica della guerra. L’esplosione di rabbia irrefrenabile, il raptus omicida, come pure la paura paralizzante, l’attacco di panico, possono tutte essere manifestazioni del mondo di animalità.

4) Il mondo degli asura (collera), uno stato caratterizzato dal bisogno irrefrenabile di controllare, prevaricare e dominare gli altri, convinti della propria bontà e saggezza o, per dirla in altri termini, della propria superiorità; chi si trova in questo stato collerico può comportarsi anche in maniera molto pacata, senza esternare rabbia, ma posizionando se stesso o se stessa sopra un piedistallo rispetto agli altri (anche in maniera inconsapevole). “Collera” (giapponese shura) deriva dal termine sanscrito asura, che designava in origine una categoria di divinità benevole divenute in seguito demoni litigiosi incessantemente in lotta con gli dèi. T’ien-t’ai ne fa una descrizione precisa nel Maka Shikan: «La persona nel regno di Ashura ha un irresistibile impulso a prevalere su chiunque altro. Come il falco, che vola alto nel cielo in cerca della preda, guarda in basso verso gli altri e rispetta soltanto se stesso. Mostra superficialmente una sorta di benevolenza, di rettitudine, di correttezza, di sapienza e di fede, e può anche mostrare una forma primitiva di integrità morale, ma dentro è un mostruoso Ashura». Chi è nel mondo di collera ha un senso spropositato dell’io. L’invidia è un’altra caratteristica del mondo di collera. Si prova invidia verso chi gode di una posizione più elevata o più fortunata di noi, ma questo sentimento non induce a cercare di migliorare la propria condizione, bensì a trascinare gli altri al proprio livello. Il dramma della persona nel mondo di Collera è che vive costantemente nella paura che venga rivelata la sua vera natura.

Questi quattro mondi vengono definiti i quattro cattivi sentieri per la distruttiva negatività e l'inconsapevolezza che li contraddistinguono. La mia personale sensazione è che, quando incontro una persona che a me pare dimorare nel mondo di inferno, non soltanto un dialogo vero è molto difficile per non dire improbabile, ma la mia capacità di non lasciarmi risucchiare dalla forma-pensiero della negatività che aleggia nell'aria viene messa alla prova. Il silenzio dei monaci del tempio vietnamita sopra citato forse è assai più saggio di tante parole. Magari non servono le parole, serve altro, come saper ascoltare mantenendo uno stato vitale interiore positivo e con fede nella vita. Per quanto disperata appaia la situazione, se sentiamo che non siamo soli, ma abbiamo un legame con gli altri e con il mondo, riusciremo sicuramente a risollevarci e a reagire. Queste sono le mie impressioni, l'incontro con il mondo di inferno è sempre difficile. Andiamo avanti nell’elencazione dei mondi:

5) Il mondo degli esseri umani (umanità) è uno stato di tranquillità, nel quale appare la capacità di ragionare e di discernere; pur essendo alla base della nostra identità di esseri umani, questa condizione comunque vive di un fragile equilibrio, facilmente scivola verso uno dei mondi bassi quando appare una situazione negativa; è una tranquillità nella quale non stiamo lottando, né perseguendo alcun ideale. Il mondo di umanità è un trampolino di lancio, una possibilità. Solo se coltiviamo la buddità riusciamo a manifestare pienamente il nostro potenziale umano. Nel buddismo il corpo umano è chiamato “recipiente dei nobili sentieri” o “recipiente della Legge”, adatto cioè a svolgere la pratica buddista.

6) Il mondo degli esseri celesti, o mondo del desiderio, o mondo di estasi, è lo stato di gioia tipico che nasce dopo aver realizzato un desiderio o evitato una sofferenza: questo è il mondo dove dimora il Re Demone, il ladro di vita che si nutre delle nostre creazioni illusorie, dei nostri desideri e delle nostre debolezze.

I mondi fin qui illustrati sono a volte definiti i "sei mondi inferiori": la loro caratteristica è quella di essere fondamentalmente reazioni alle mutevoli situazioni esterne. In essi sperimentiamo una mancanza di vera libertà e autonomia.

Quelli che il Buddismo definisce invece i "quattro mondi nobili" rappresentano lo sforzo di vivere con integrità, libertà interiore e compassione:

7) Il mondo di degli ascoltatori della voce (mondo di studio o mondo di apprendimento) descrive la condizione di aspirazione verso l’Illuminazione, è lo stato del discepolo che ha acquisito la comprensione ascoltando gli insegnamenti del budda.

8) Il mondo dei risvegliati all’origine dipendente (mondo di realizzazione o mondo di illuminazione parziale) indica la capacità di percepire la vera natura dei fenomeni.

Questi ultimi due mondi sono talvolta chiamati i "due veicoli" in quanto le persone che manifestano questi stati sono parzialmente illuminate e libere da alcuni desideri illusori. Caratteristica di questi due stati è lo spirito di ricerca. Da un altro punto di vista, questi mondi possono essere molto incentrati sul proprio Ego, tanto che, in molte scritture, il Budda ammonisce le persone dei due veicoli per il loro egoismo e autocompiacimento. Una vera erudizione, infatti, è un bene solo quando viene messa al servizio della collettività, in particolare al servizio di coloro che non hanno potuto studiare. Proseguiamo:

9) Il mondo dei bodhisattva è lo stato di compassione nel quale superiamo i limiti dell’egoismo e ci adoperiamo per il benessere degli altri; il buddismo mahayana enfatizza la figura del bodhisattva come ideale del comportamento umano.

10) Il mondo di budda (buddità) è lo stato di perfezione e assoluta libertà, in cui si assapora un senso di unità con la forza vitale fondamentale dell’universo: quando siamo nello stato di buddità riusciamo a sperimentare qualsiasi fenomeno – comprese le inevitabili prove dolorose della vita – come un’opportunità di gioia e appagamento.

Lo stato vitale interiore della buddità, che è l’unico di reale libertà, si manifesta attraverso l’impegno altruistico e le azioni del bodhisattva. Credo che per una vita bella e realizzata ci convenga dimorare soprattutto in quest’ultimi quattro mondi nobili, prestando particolare attenzione agli inganni del sesto mondo (detto anche “sesto cielo”), perché le gioie di tale estasi sono costruire su una realtà illusoria (che da un attimo all’altro può risucchiarci nell’inferno). E’ cruciale notare che mentre per stare nei sei mondi inferiori non occorre fare assolutamente nulla, in quanto questo mondo è in mano al Re Demone e le società umane, nel loro complesso, sembrano intenzionalmente costruite per farci dimorare nei mondi inferiori, prendere dimora nei quattro mondi nobili richiede sia un impegno attivo quotidiano, sia la volontà di accogliere i demoni che spesso verranno a farci visita per riportarci nei mondi inferiori. Maggiore è la fede, maggiore è la forza dei demoni che verranno. Per una fede grandiosa può persino scomodarsi direttamente il Re Demone in persona, invece di inviare altri demoni minori… Al contrario, «[…] fintanto che una persona non cerca di uscire dal ciclo di nascita e morte e non aspira al veicolo del Budda, il demone veglierà su di lui come un genitore […]» (tratto dal Gosho “Le azioni del devoto del Sutra del Loto”).

Vorrei concludere con due frasi tratte da “Le quattordici offese”:

«[...] Gli uomini vivono in questo mondo fuggevole ove tutto è incertezza e impermanenza, eppure giorno e notte non pensano che alla quantità di ricchezza che possono ammassare in questa esistenza. Dall’alba al crepuscolo si concentrano solo su faccende terrene, senza venerare il Budda e senza credere nella Legge; trascurano la pratica buddista, mancano di saggezza e sprecano le loro giornate. Quando saranno trascinati davanti al tribunale di Yama, il signore dell’inferno, quali provviste porteranno con sé nel lungo viaggio attraverso il triplice mondo, cosa potranno usare come barca o zattera per attraversare il mare delle sofferenze di nascita e morte e giungere nella Terra della Ricompensa Effettiva o nella Terra del Budda della Luce Tranquilla? Quando siamo illusi è come se sognassimo, quando siamo illuminati è come se ci fossimo svegliati. [...]»

«[...] la felicità in questa vita non è che un sogno dentro un sogno, e che la vera felicità è quella che si trova nella pura terra del Picco dell’Aquila. Continua a praticare senza mai abbandonare la fede fino all’ultimo istante della vita e quando giungerà quel momento, ammira! [...]»

(4 agosto 2021)

Nota: per quanto riguarda i termini che ho usato per nominare i dieci mondi, trattandosi di traduzioni da testi orientali antichi, la nomenclatura varia a seconda dei traduttori e delle epoche. Ho verificato che gli stessi editori, da un anno all’altro, cambiano le traduzioni. I concetti di fondo, comunque, rimangono gli stessi. Ho fatto questa precisazione perché, ad esempio, cercando i dieci mondi su Wikipedia o su altri fonti troverete termini diversi. Io mi sono basato sulle traduzioni adottate da Esperia editore.

Pillole di Consapevolezza - La disciplina della Pazienza secondo un'Intelligenza Spirituale Interreligiosa

Ringrazio il caro maestro Mauro Scardovelli per questo suo recente video del 29 luglio 2021 (fonte), riportato in calce, in cui è tornato a occuparsi di una tematica universale e fuori dal tempo. Qui egli affronta la Pazienza come qualità dell'Anima, da una prospettiva che comprende contributi della Cristianità e del Buddismo. Mi ha sorpreso come le sue riflessioni siano in armonia con la mia quotidiana e frequente Meditazione dell'Audizione, in particolare con l'apertura accogliente e non giudicante verso ciò che ci offre la vita.

Per chi come me segue con dedizione Mauro ormai da molti anni, certe espressioni da lui usate e i significati di certi termini (come Ego ed Anima) sono ormai assodati. Per coloro che comunque non hanno ancora approfondito il suo pensiero, o desiderano ripassarlo, rimando alla raccolta di video che ho fatto in sua memoria, affinché non vadano persi (è un mio archivio di suoi video vecchi ma significativi). Ho dedicato inoltre una speciale sezione monotematica del mio blog sulla "Comunicazione Non Violenta", anch'essa con video di Mauro.

Grazie a tutti,
1 agosto 2021

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Pillole di Buddismo - Oltre le bugie (e oltre il green pass)

Qualunque tipo di potere inteso come coercizione (potere politico, religioso, scolastico, medico-scientifico, ecc.) esercita la sua funzione demoniaca e legittima se stesso tramite l’istituzionalizzazione della bugia a verità. Questo è un modus cogitandi et operandi universale, che trascende le circostanze storiche e culturali. Per questa stessa ragione, chi ama non ricerca mai la coercizione altrui, casomai prova a favorire una libertà responsabilizzante mirata ad un’autonoma acquisizione di consapevolezza per il tramite dell’esperienza.

Per fortuna qualsiasi istituzione umana, così come ogni persona, non ha soltanto funzioni egoiche (cioè demoniache o distruttive), ma anche animiche (cioè benefiche e dirette al bene di tutti noi). Le costruzioni egoiche, prima o poi, franano come castelli fatti con carte da gioco: per quanto possano durare perseverando nell’istituzionalizzazione della bugia a verità e a legge, si tratta comunque di costruzioni illusorie che non reggono il contatto con una singola verità. Poiché il potere coercitivo è consapevole di ciò, farà di tutto per ostacolare, deviare, rallentare o impedire l’ineluttabile acquisizione di consapevolezza da parte delle masse, nella qual cosa di solito è efficace, perché il Re Demone è il principe di questo mondo e i suoi alleati sono ovunque. Il Re Demone trae la sua forza dalle nostre debolezze e desideri, ma la nostra emancipazione dalle sue lusinghe e la nostra acquisizione di consapevolezza sono, appunto, ineluttabili. Il mondo di oggi è come una bolla di sapone che è scoppiata: l’attuale società ci incoraggia a soddisfare ogni desiderio, alimentando di conseguenza la nostra sofferenza. La prosperità effimera di cui godiamo, o di cui abbiamo goduto, ci è costata cara e il potere che esercitano su di noi i desideri è appunto demoniaco. Le menzogne e i miti sono duri a morire, come il dna sono trasmessi da una generazione all’altra, ma non sono eterni.

Abbiamo permesso alla qualità oscura della vita umana di trasformare il desiderio, il sé e l'intelligenza in forze del male: ora si trova nel controllo del governo, del capitale, degli affari e della scienza. Questa qualità crea guerre, inquinamento, distruzione della natura e del nostro essere.

Siamo noi esseri umani che abbiamo dato vita a questa “creatura demoniaca”, abbandonandoci al potere illusorio del Re Demone, mettendo le nostre qualità migliori al suo servizio, e ora... siamo al capolinea o agli albori di una nuova civiltà virtuosa? Credo che entrambe le opzioni siano la risposta giusta: non si escludono a vicenda, ma sono coesistenti e correlate.

Tra i castelli di carte da gioco destinati a franare al primo alito di consapevolezza di verità, c’è la narrazione istituzionale della dichiarata pandemia covid, dei vaccini e di tutto l’illusionismo emotivo-terroristico al contorno, la cui ultima creatura infernale, nel momento in cui scrivo, è il green pass. Non ho bisogno di giustificare quest’ultima mia asserzione, i cacciatori di verità sanno dove frugare e sono già informati.

Ma come possiamo affrontare tutto ciò e andare oltre le bugie, oltre il procurato allarme a livello mondiale, oltre il falso ideologico da parte delle autorità e oltre la circonvenzione di persone sì capaci di intendere e volere, ma così emozionate dalla paura o così sotto la morsa del ricatto dal non rendersi conto che uno dei primi intenti del potere è mettere fratello contro fratello, amico contro amico, povero contro povero?

Secondo me, il grande errore da evitare, perché sarà di aiuto e non di ostacolo agli aspetti demoniaci del potere, è quello di ingaggiare una guerra su “chi ha ragione” e “chi ha torto”, su “cosa è giusto” e “cosa è sbagliato”, entrando così nello stesso meccanismo perverso che si desidera contrastare, cioè l’imposizione della volontà di qualcuno (in questo caso la propria) su quella di altri. Per quanto ciò possa rientrare in una legittima rivendicazione di diritti, scavando al di là della facciata esteriore troviamo rabbia e violenza almeno potenziale, magari non espressa in maniera visibile, ma di natura equiparabile a quella del potere (sebbene il rapporto di forze sia, di solito, incomparabilmente a nostro sfavore).

Cosa fare, quindi?

E’ qui che può avvenire un ribaltamento di prospettiva, dove il problema principale non è più quello di “avere ragione”, ma di essere “maestri di ascolto e di compassione”, capaci di entrare in rispettosa empatia e legame emotivo con gli altri esseri e con le loro anime.

Una singola verità pronunciata da un maestro di compassione può recare assai più beneficio delle urla di una miriade di persone arrabbiate, sebbene, almeno nell’immediato, difficilmente sarà accolta, perché maggiore è la saggezza di un consiglio e maggiore, di solito, è l’irritazione che provoca.

Tutto ciò richiede un grande lavoro su noi stessi, un coraggioso non-attaccamento ai propri schemi e convinzioni (che equivale alla flessibilità di poter cambiare idee, comportamenti, stile di vita, e anche di poter mettere in discussione le posizioni che qui ho espresso), l’umiltà di accogliere i propri errori come momento di crescita, la voglia di imparare da tutti e il riconoscimento della legittima piena libertà di tutti di fare le proprie scelte, che in senso assoluto non sono mai né giuste né sbagliate.

(30 luglio 2021)

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