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Psicologia

Smart and stupid

Smart and stupid

Smartphone,
smartbox,
smart tv,
smart auto,
smart card,
smart house,
smart things,
smart city,
...
stupid man.

(Giulio Ripa, 14 set 2015)

Con questo gioco di parole, Giulio Ripa sottolinea che tutte le cose di oggi sono o stanno diventando "smart", un modo di dire abusato che penalizza l'uomo e la sua capacità  di ragionare. Ne ho tratto spunto per alcune riflessioni.

Psicologia della pubblicità: il lavaggio delle menti che crea danni psicologici e sociali

Quanto segue è tratto dal capitolo 5 del libro "Nati per comprare", di Juliet B. Schor, editore Apogeo (fonte: http://www.tecalibri.info/S/SCHOR-JB_nati.htm).

Ritengo che non sia necessario commentare: chi vuol capire l'entità dei danni causati dalla pubblicità, può capire...

Buona e attenta lettura,
Francesco Galgani,
3 ottobre 2015

Che cosa si studia oggi nelle facoltà di Psicologia? (di Umberto Galimberti)

Quanto segue è un articolo di Umberto Galimberti, pubblicato su Repubblica.it, il 4 gennaio 2000 (fonte)

Cari ragazzi studenti dell'anima

Ci sono alcuni saperi che, chissà perché, tendono ad essere emarginati, tenuti accuratamente nascosti, non insegnati e in ogni caso non incrementati, a differenza di altri la cui attinenza con l'oggetto è tutta da dimostrare, così come è da dimostrare la loro validità scientifica. Sto parlando delle scienze psicologiche e di quelle psichiatriche che vanno sempre più attestandosi sul versante biologico-naturalistico e sempre meno sul versante propriamente umano, anche se l'uomo continua ad essere l'oggetto specifico della loro competenza.

Riconosci la tua ombra se vuoi esplorare i confini della tua anima (di Umberto Galimberti)

L'ombra e l'anima

Articolo di Umberto Galimberti, pubblicato su Repubblica, il 19 giugno 2007 (fonte)

Quest’anno Topolino, quello famoso dei fumetti di Walt Disney, non è più quel simpatico personaggio che, con il suo cuore buono e la sua mente astuta, risolve tutti i problemi. Quest’anno Walt Disney, con la nuova serie, lo prevede anche cattivo, antipatico, dispettoso.

Ottima scelta, perché insegna ai bambini che cos’è la propria ombra con cui, prima o poi, dovranno fare i conti. Infatti, l’aspetto più diseducativo di tutte le favole e di tutti i fumetti per bambini è quello di presentare il protagonista buono e senza ombre, mentre tutti gli altri sono umbratili e cattivi. Identificandosi con il protagonista buono, i bambini imparano a proiettare fuori di loro, sugli altri, la cattiveria che c’è anche dentro di loro, dividendo così il mondo in due: buoni sono loro, come Topolino, e cattivi gli altri. Questa separazione del bene dal male, che le favole, e non solo, pericolosamente alimentano, origina dalle religioni che identificano Dio col bene e il male col diavolo. E siccome le religioni sono il fondamento delle culture, va a finire che ogni cultura identifica sé col bene e guarda le altre con sospetto, diffidenza, quando non con odio, fino a identificare, con una propaganda alimentata ai massimi livelli, i diversi “imperi del male”.

Imparare a stare con se stessi

Soltanto i più forti fanno i conti con la solitudine, gli altri la riempono con chiunque.La psicologa Sherry Turkle, in un suo famoso talk su Ted, ha spiegato chiaramente che, se non impareremo a stare da soli, saremo sempre più soli. Le sue parole esatte, prese dalla trascrizione in italiano, sono: «[...] Come passiamo dalla connessione all'isolamento? Si finisce isolati se non si coltiva la capacità di essere soli, la capacità di essere separati, di raccogliersi. E' nella solitudine che troviamo noi stessi, così da poter arrivare agli altri e creare un reale attaccamento. Quando non siamo capaci di restare soli, ci rivolgiamo agli altri per sentirci meno ansiosi o per sentirci vivi. Ma quando questo succede, noi non siamo in grado di apprezzarli. È come se li usassimo come parti di ricambio per sostenere il fragile senso del nostro sé. Ci culliamo nel pensiero che essere sempre connessi ci farà sentire meno soli. Ma siamo a rischio, perché la realtà è l'esatto opposto. Se non siamo in grado di stare soli, saremo ancora più soli. Se non insegniamo ai nostri figli a essere soli, non conosceranno altro che la solitudine. [...]»

Sherry Turkle ha pienamente ragione. Chi sa stare da solo, o da sola, chi sa stare con se stesso, o con se stessa, senza percepire alcun senso di incompletezza o di mancanza interiore, scopre due cose importanti: la prima è che si sente veramente bene, la seconda è che ha già tutto dentro :)

La solitudine non è stare da soli, ma sentirsi soli: ci si può sentire soli anche relazionandoci con altre persone, si può stare da soli senza sentire alcuna solitudine.

Francesco Galgani,
3 aprile 2016

Riflessioni sull'Amore

La vita è una commedia scritta da un sadico, che gli uomini, tra l'altro, recitano molto male!

In questo manicomio a cielo aperto,
siamo attori ignari di noi stessi,
inconsapevoli del nostro recitare.

Nei rari casi d'un incontro fortunato
tra follie belle e compatibili,
ci doniamo un rapporto di follia

e diciamo: "Questo è Amore!"

(Francesco Galgani, 13 luglio 2016)
https://www.galgani.it/poesie/index.php/poesie/596


Che cos'è l'Amore, quello con la "A" maiuscola, sentimento tanto nobile, ma sovente inquinato, nelle comuni esperienze quotidiane, da moti interiori che sono tutt'altro che amorevoli?

Domanda difficile. Tiziano Terzani, in un documentario a lui dedicato, disse: «L'amore è una forma di schiavitù stupenda... è come un elefante che si lega ad un palo con un filo di seta. Questo è il legame: un filo di seta... lo si può rompere in ogni momento... ma proprio quel filo ti tiene legato...». Parole belle, e poetiche... ma cosa può rompere questo filo? In un mondo che corre di fretta, senza mai fermarsi a riflettere, in una società liquida che non riesce a prendere forma e in cui i legami si disgregano con grande facilità, osservo che cosa non è amore: non è uno scambio utilitaristico, con un calcolo del tipo "do a te tanto quanto tu dai a me", non è una ricerca di conferme e di sicurezze, non è un aggrapparsi né servirsi dell'altro, e, soprattutto, non è stupidità, sebbene, come disse il Merovingio nel film Matrix Revolutions: «È sorprendente quanto il modello comportamentale dell'amore sia simile a quello della demenza».

L'amore rende stupidiIn effetti, ripensando a tante cose e guardandomi intorno, mi rendo conto che non avevo idea fino a che punto l'essere umano potesse dar sfogo alla propria stupidità quando cerca compagnia intima o, peggio, quando si innamora: gli esempi, in tal senso, fanno parte della quotidianità, per chi riesce a vederli. Il richiamo della sessualità, in particolare, è un attrattore micidiale, capace di elicitare pensieri e comportamenti assai bizzarri, nel migliore dei casi fantasiosi, ma solitamente controproducenti, anche nelle persone apparentemente più assennate. Queste stesse persone, probabilmente, se potessero rivedere se stesse con il distacco di un estraneo e a distanza di tempo, aborrirebbero il loro agire.

Gli animali si accoppiano e fanno di tutto, anche a costo della vita, per conquistare il territorio e il partner, ovviamente con differenze da specie a specie, ma mentre l'animale selvaggio non può far altro che soggiacere a questi istinti primordiali, necessari al perpetuarsi della vita, l'animale umano può addomesticare se stesso, con consapevolezza dei propri istinti e dei loro perché, affrancandosi così da un agire predeterminato. Questa si chiama libertà, ed è la libertà vera, più importante della libertà politica o di ogni altro tipo di libertà, perché è la condizione minima necessaria per trasformare le sofferenze in occasioni di crescita.

Coppia che litigaL'amore non è un sentimento sbagliato, anzi, però può condurre su strade infernali di sofferenza incessante. Solo chi ha imparato ad amarsi e a rispettarsi, solo chi sa stare bene con sé, sentendosi già pienamente dotato, dentro di sé, di tutto l'amore che gli occorre, può regalare un vero amore, non contaminato dai veleni della rabbia e del disprezzo, del senso di ingiustizia e di abbandono, della paura della solitudine e del senso di inadeguatezza, di un attaccamento fatto di pretese e di mancanza di rispetto per sé o per gli altri. Chi invece brancola nella solitudine interiore, con un senso di vuoto che cerca di colmare con un amore esterno, probabilmente s'arrischierà in relazioni non sane, forse masochistiche; parimenti per chi usa l'amore come mezzo per bisogni specifici.

Fin qui non ho ancora definito che cos'è l'Amore... e, in effetti, non sono capace di farlo. Dopo queste riflessioni, quel che mi sento di aggiungere è che quel filo di seta, di cui ha parlato Tiziano Terzani, ha senso finché è tenuto con saggezza.

Francesco Galgani,
11 aprile 2016

Conflitti e preoccupazioni accorciano la vita, mentre amicizie vere, relazioni sane, amore per gli animali e per la natura l'allungano

Il fatto che conflitti e preoccupazioni accorciano la vita, mentre amicizie vere, relazioni sane, amore per gli animali e per la natura l'allungano, è facile da capire. Diverse ricerche scientifiche, citate negli articoli seguenti, confermano questa semplice verità. Non siamo fatti per vivere da soli o in conflitto, né per allontanarci dalla natura. Vivere soli accorcia la vita: ciò vale sia per coloro che vivono male la propria solitudine, sia per chi imbocca la solitudine come scelta e apparentemente è felice di stare per i fatti propri.

Tecniche di manipolazione mentale (a cui tutti siamo sottoposti)

In sintesi: Oggi la manipolazione mentale è divenuta una tecnologia e una scienza, nella quale si investono molti più denari che in tutti gli altri campi della psicologia. Non solo, la manipolazione è essenziale e strutturale nella vita quotidiana del mondo in cui viviamo. In questo articolo, tratto dal libro "Neuroschiavi: manuale scientifico di autodifesa", viene posta attenzione all'uso pervasivamente manipolatorio degli organi di informazione (televisione in primis), della scuola, delle neuroscienze, della pubblicità, dei supermercati, delle dipendenze chimiche, ecc.. Il quadro che ne emerge aiuta ad acquisire consapevolezza sul mondo mediatico e pericolosamente manipolatorio in cui ciascuno di noi è inserito.

Quanto segue è tratto dal libro: "Neuroschiavi: manuale scientifico di autodifesa” di Marco Della Luna e Paolo Cioni, Macro Edizioni (fonte disinformazione.it)

Cercare di spiegare cosa sono e come vengono praticate le cosiddette “tecniche di manipolazione mentale”, in una società quasi completamente controllata e manipolata come la nostra, non è compito facile. Per fortuna il libro scritto dall’avvocato e psicologo Marco Della Luna assieme al neuropsichiatra Paolo Cioni ci viene in aiuto.
Affermare che la nostra società - com’è strutturata - è una vera e propria gabbia mentale, fa subito aizzare i paladini e i difensori dei diritti civili, che sbandierando ai quattro venti termini come “libertà” e “democrazia”, cercano immediatamente di tranquillizzarci tutti, soprattutto le loro coscienze. Forse non capiscono. Forse fanno finta di non capire, che parole bellissime come “libertà” e “democrazia” primo non significano granché e secondo vengono sfruttate e amplificate proprio dall’establishment economico-finanziaria (cioè i veri e propri Burattinai), proprio per dare a noi l’illusione di non essere in gabbia.

Essere single e stare da soli non è un fallimento, ma può essere una conquista

Oggi c'è un'epidemia di solitudine, di malessere e di paura di "stare da soli". Viene qui esaminato il tema della solitudine, anche citando alcune ricerche scientifiche, in maniera costruttiva e positiva, evidenziando quegli aspetti che possono contribuire alla costruzione di sé e al miglioramento delle relazioni interpersonali. Le relazioni di coppia e l'esser single sono condizioni viste da una prospettiva che sicuramente aiuta a riflettere.
Questo articolo, tratto dal blog "Pollicino era un grande", è della Dott.ssa Marzia Cikada, psicologa e psicoterapeuta, ed è distribuito con "Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale".

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La Solitudine fa Brillare. Psicologia ed Essere Da Soli

Odio coloro che mi tolgono la solitudine senza farmi compagnia. (Friedrich Nietzsche)

hhC’è molta paura intorno a noi. La paura di stare soli. Per non restare soli con noi stessi siamo continuamente alle prese con ogni possibilità che ci tenga occupati. Il telefono per esempio, in attesa del treno, in tram, mentre si cammina tutti, o quasi tutti, armeggiano con il telefono. Un gioco, un messaggio, scorrere nervosamente i social alla ricerca di qualcuno che ci dica che non siamo soli. O anche solo distrarsi, non essere con se stessi, ma immersi nel mondo dei social, dei disegnini, del qualcosa da leggere e condividere. Ci terrorizza la possibilità di essere nudi davanti a noi stessi, di vedere e sentire le nostre emozioni e allora ci riempiamo, il corpo, l’agenda, la testa di impegni, di cose da fare, di cibi da ingurgitare. Cose non necessarie se non a difenderci da noi stessi.

La disintossicazione digitale è un problema diffuso, grave e attualissimo

Dipendenza e abuso dello smartphoneQuanto segue in calce è un articolo scritto dallo psicoterapeuta Raffaele Avico, pubblicato su "La Stampa" il 6 luglio 2016 e rilasciato con licenza "Creative Commons - Attribuzione, non commerciale, non opere derivate".

Egli indaga l'abuso dello smartphone come "strumento di regolazione affettiva", al pari di molti altri tipi di dipendenze patologiche, asserendo che: «In futuro la disintossicazione digitale sarà un problema diffuso, grave e attualissimo». A ben vedere, però, ritengo che tale condizione sia più che mai attuale: basta guardarsi attorno. La diffusione dei social ha avuto i caratteri di una pandemia fuori controllo a causa del potere psicologicamente gratificante degli stessi (pari a quello di droghe pesanti, come avevo già documentato nella parte conclusiva del par. 2.6 della mia ricerca su "Solitudine e Contesti Virtuali"). Tale gratificazione, però, va a nascondere le reali motivazioni di uso egoistico e narcisistico a proprio "vantaggio", dietro cui ci sono problematiche che affondano le loro radici altrove, all'interno di questioni relazionali, familiari o esistenziali.

Francesco Galgani,
12 luglio 2016

Nuove Frontiere di Terapia Psicologica: alla scoperta della Psicoterapia Equestre (dott.ssa Alessandra Foti)

Alessandra Foti è dott.ssa magistrale in Psicologia Clinica e della Salute. Ha anche pubblicato l'articolo "Psicoterapia equestre", è possibile? sulla rivista CriticaMente.

«Nuove Frontiere di Terapia Psicologica: alla scoperta della Psicoterapia Equestre» è la sua tesi di laurea magistrale, scaricabile ai seguenti link:

Il libro è disponibile anche su Google Libri, Google Play e su Archive.org. Ringrazio l'autrice per aver autorizzato la libera condivisione della sua opera.

Abstract

Le Terapie Equestri rappresentano uno scenario in continua espansione ma ancora troppo poco conosciuto. L'Ippoterapia risulta la forma di Terapia per Mezzo del Cavallo (TMC) più diffusa, ma questi straordinari animali possiedono un insieme di caratteristiche comportamentali e cognitive tali da costruire una fonte davvero preziosa di risorse per il benessere psicofisico umano. Le ricerche in tal senso sono ancora limitate, ma i risultati sono incoraggianti per ulteriori sviluppi.
In Italia le norme e la regolamentazione in materia contemplano la TMC all'interno delle Pet-Therapy, mentre nel panorama internazionale e in particolare in America, la visione è molto più ampia e particolareggiata.
I cavalli, grazie alle loro particolari attitudini e capacità comunicative possono divenire per l'uomo metafora delle relazioni di vita, permettendogli di sperimentare sia a livello comportamentale che emotivo, modalità adattive di rapportarsi con il mondo e con gli altri. Per questo motivo anche la quotidianità con il cavallo può divenire curativa, non soltanto per le patologie neurologiche e psichiatriche, ma anche per le più frequenti problematiche psicoaffettive.
I modelli Horse Activities, ispirati ai protocolli di intervento americani, puntano a sottolineare la valenza terapeutica di tutte le attività di scuderia che coinvolgono il cavallo, senza limitarsi al solo lavoro in sella.
La Psicoterapia Equestre potrebbe rivelarsi un effettivo strumento terapeutico per svariate problematiche, integrando alla Terapia tradizionale protocolli di Horse Activities accompagnati ed assistiti da figure professionali come lo Psicologo e lo Psicoterapeuta.
Una breve indagine è stata fatta per osservare come una sessione completa di Equitazione e Attività di Scuderia possa apportare benefici nelle persone, abbassando i livelli di ansia e tensione emotiva.
Molti aspetti vanno ancora approfonditi e la ricerca può fornire ancora tanti spunti di indagine e di riflessione al riguardo.
C'è da augurarsi che tutte le preziose scoperte non vengano trascurate ma che spingano sempre più l'interesse scientifico, sanitario e clinico in questa direzione.

Il perdono ci fa bene, l'odio ci avvelena: la scienza dimostra che perdonare è un toccasana

PerdonoIn alcune antiche tribù africane, quando qualcuno uccideva un’altra persona, non veniva rinchiuso da nessuna parte, veniva invece consegnato alla famiglia della vittima, legato e immobilizzato dentro a un barca. Nel momento in cui la barca navigava nella parte più profonda del fiume, la famiglia doveva decidere se gettare l’assassino nel fiume o meno. Potevano scegliere di perdonare subito, ma se preferivano la punizione, allora lo gettavano nel fiume per farlo affogare. Quando questo succedeva, la famiglia aveva allora la seconda opportunità di perdonare, anche se con pochi secondi per decidere, prima che questi affogasse, ed erano proprio i bambini a chiedere che venisse salvato. Se in quel momento si gridava "Perdono!", uno dei membri si gettava nel fiume per salvarlo, e non si limitava semplicemente a tagliare le corde per salvarlo e tirarlo fuori dall’acqua, ma lo aiutava anche a salire sulla barca, per ricevere il perdono di tutta la famiglia. Questa antica pratica indigena garantiva una salute mentale ed emozionale nei membri della tribù, perché essi sapevano che vivere con il rancore significa vivere avvelenati, significa avere crepe sociali aperte come ferite sanguinanti, che prima o poi si manifesteranno come vendetta, punizione o tortura. Una distruzione assicurata e un peso che non lascia vivere. In queste tribù indigene non vi erano molti assassinati, poiché si agiva per mezzo del perdono. (fonte: "Uccidere o Perdonare? Punire o Riconciliare? Due tipi di epifania che conducono a diversi tipi di vita", di Alberto José Varela")

A tal proposito, ho letto un bellissimo articolo di psicologia di Rita Nannelli, pubblicato sulla rivista Nuovo Consumo di dicembre 2016, da pag. 22 a pag. 25, che tratta degli effetti del perdono da un punto di vista scientifico: in calce lo riporto integralmente, perché merita, insieme ad un'intervista ad Adrian Fabris, docente di Filosofia Morale all'Università di Pisa, e ad un altro interessante articolo di Barbara Autuori. Presumo di non contravvenire alla volontà degli autori dando diffusione dei loro articoli, in quanto il numero in questione di "Nuovo Consumo" è già stato venduto e disponibile online gratuitamente per tutti sul sito della rivista. In sintesi, perdonare fa bene, fa proprio bene, ci fa vivere meglio, mentre i rancori sono un veleno per il corpo e per l'anima. 

Come dicono un paio di frasi piene di significato, spesso citate in Rete (ed erroneamente attribuite alla Bibbia, in realtà la fonte non è nota):

«Perdonare è liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu»
«Chi non sa perdonare spezza il ponte sul quale egli stesso dovrà passare»

Sul tema dell'Amore e del Perdono, scrissi un paio di poesie nell'aprile 2015, riportate su galgani.it:

Porgi l'altra guancia
 

Per un Amore
sempre vincitore,
tutto è benvenuto,
anche uno schiaffo bruto:

diffidenza e malafede
vanno incontro a chi crede
in indulgenza e carità
per l'altrui felicità,

o nella compassione
che d'ogni afflizione
è umilmente curativa,
per il cuor educativa.

Porgere l'altra guancia
è spezzare la lancia
del disprezzo e del male
con un Amore reale,

sempre efficace,
coraggioso e audace,
nell'infonder Pace.

(Francesco Galgani, 1 aprile 2015)

Ama il prossimo tuo
 

«Vivi e lascia vivere»
già basterebbe,

non sentirsi così ganzi
da «scagliar la prima pietra»
ancor meglio sarebbe,

ma non giudicar strano,
schifoso,
o peggio ancor dannoso,

per paura,
non conoscenza,
o altrui miscredenza,

è virtù rara,
di odio ignara.

«Ama il prossimo tuo,
come te stesso»,
nasce dal cuore
senza compromesso:

non disprezzare,
«l'altra guancia» dare,
con puro amare,

è cuore accogliente,
speranza vivente,
fede sincera,
compassione vera.

(Francesco Galgani, 22 aprile 2015)

Per quale motivo siamo di passaggio in questo mondo? Secondo me, siamo in questo pianeta per allenarci ad Amare, per sviluppare Compassione. Collegato a questo tema, ho scritto l'articolo "Il potere della preghiera e della meditazione: una prospettiva scientifica interreligiosa", nel quale affermo che: «Compassione significa allargare il più possibile la propria vita comprendendo all'interno di essa anche gli altri, andando il più possibile oltre il proprio microcosmo. Siamo tutti collegati in una rete di inter-dipendenza, quindi il male che facciamo agli altri lo facciamo anche a noi stessi, il bene che facciamo agli altri lo facciamo anche a noi stessi: sebbene da un punto di vista strettamente razionale una tale comprensione sia difficile ma comunque possibile (riflettendo sul principio di causa ed effetto che regola tutto l'universo), a un livello più concreto, più quotidiano, il modo più diretto e più pratico per arrivare ad un tale modo di vivere compassionevole parte con la preghiera».

Desiderare il bene di chi ci fa, o ci ha fatto, del male. Non dar troppo peso ai torti e alle ragioni, perché sono una trappola. Pregare per la felicità di chi ci crea sofferenza. Questi pochi esempi mostrano un modo di esistere, di essere al mondo, di vivere, che fa del bene a noi e lo fa anche agli altri. Anzi, il vero cambiamento personale e sociale per un mondo migliore passa proprio da qui. Secondo me, sarebbe importante tenere a mente che chi crea sofferenza è perché è a sua volta sofferente. Quando abbandoniamo l'attaccamento ai nostri rancori, stiamo facendo innanzitutto qualcosa di buono per noi stessi.

Segue l'articolo di Rita Nannelli, pubblicato sulla rivista Nuovo Consumo di dicembre 2016 da pag. 22 a pag. 25: buona lettura!

Scuse accettate

Imperativo etico, comandamento evangelico, strategia dell’evoluzione della specie che mi fa stare meglio, nel corpo e nell’anima, rispetto all’idea fissa del torto subito e dei propositi di vendetta. Il perdono, secondo neuroscienziati, filosofi, psicologi e sociologi, toccasana per chi lo concede e per chi lo chiede, ma anche per la società. Purché sia autentico e non solo a Natale.

di Rita Nannelli

Diversamente abili, diversamente amanti... una poesia

Ci sono momenti nella vita in cui sentiamo di non essere capaci, di avere solo difetti e pensiamo che la cosa migliore sarebbe essere diversi da quello che siamo. In realtà, «Siate voi stessi. Il Buddismo paragona la personalità ai fiori di ciliegio, di susino, di pesco e di prugno selvatico: ognuno è diverso, e meraviglioso così com'è» (tratto dal libro "Protagonisti della nuova era", di Daisaku Ikeda, IBISG, 2013, pag. 33)

In mezzo ai dolori e alle sofferenze, comunque la diversità è una ricchezza, non un limite.

«La vita possiede la capacità, come le fiamme che tendono verso il cielo, di trasformare la sofferenza e il dolore in energia necessaria per la creazione di valore, in luce che illumini l’oscurità. Come il vento che attraversa vasti spazi liberi, la vita ha il potere di sradicare gli ostacoli e le difficoltà. Come l’acqua corrente essa può togliere ogni impurità. La vita, come la terra che sostiene la vegetazione, ci protegge con la sua forza compassionevole.»
(Daisaku Ikeda, frase tratta da "Giorno per giorno", Esperia edizioni)

Ci sono sofferenze e problemi spesso taciuti, o semplicemente non compresi o sminuiti da chi non li vive. Ci sono situazioni e condizioni esistenziali che possono capitare a tutti, per un periodo limitato o per tutta la vita, sia nella disabilità sia nella cosiddetta normalità. A proposito, che vuol dire essere normale o essere disabile? Suggerisco a tutti di leggersi un'interessante e illuminante citazione di Erich Fromm a proposito della "patologia della normalità".

A San Valentino ho scritto un messaggio di amore rivolto a tutti, sia per chi si trova in una situazione sentimentale soddisfacente, sia per chi vive una condizione diversa, che può essere anche molto dolorosa. Si intitola: "Sulle guerre, sulla pace e sull’amore (messaggio per San Valentino 2017)":

Diversamente abili, diversamente amanti... Provo ad esprimermi in poesia: sono sicuro che alcuni di noi capiranno. Ho messo anche alcune note in calce.

Finché c'è conflitto c'è speranza!

Quanto segue è un piccolo estratto di un'intervista a Daniele Novara, che si occupa professionalmente di gestione educativa dei conflitti e di progetti relativi ai diritti dei bambini, pubblicata sulla rivista "Buddismo e Società n.136 - settembre ottobre 2009", dal titolo "La pace nasce se si affronta il conflitto", a cui rimando per ogni approfondimento.

Spero che quanto segue possa essere di aiuto a tutti noi, nell'affrontare meglio le nostre vite e le nostre relazioni,

Francesco Galgani,
25 febbraio 2017

La distinzione tra violenza e conflitto

di Daniele Novara

VIOLENZA CONFLITTO
Danneggiamento intenzionale dell'avversario per creare un danno irreversibile. Contrasto, divergenza, opposizione, resistenza critica senza componenti di dannosità irreversibile.
Volontà di risolvere il problema (conflitto) eliminando chi porta il problema stesso. Intenzione di mantenere il rapporto.
Eliminazione relazionale come forma di "soluzione" semplificatoria. Sviluppo della relazione possibile, anche se faticosa e problematica.

La violenza

Come si nota dalla tabella proposta, le caratteristiche della violenza sono sostanzialmente tre:

  • il concetto di danno irreversibile;
  • il concetto di identificazione del problema con la persona;
  • il concetto di eliminazione del problema con la persona.

Forse l'elemento più importante in questa formulazione è la connotazione di violenza come danno irreversibile. Sia dal punto di vista fisico che psicologico, per danno irreversibile si intende un'azione, estemporanea o prolungata nel tempo, volta a creare intenzionalmente un danneggiamento permanente in un'altra persona. Abusi fisici, abusi sessuali, abusi psicologici rientrano ovviamente in questa categoria, mentre non vi rientrano azioni non intenzionali tra bambini piccoli, che possono effettivamente produrre un danno irreversibile ma dove viene a mancare un'intenzionalità consapevole.

Inoltre, la violenza appare un'azione, più o meno premeditata, volta a sospendere la relazione, perché si ritiene che la problematicità della relazione dipenda dalla persona stessa e che quindi, per eliminarla, occorra eliminare la persona. Appare pertanto una strategia arcaica, semplicistica, ma proprio per questo in grado di far uscire dall'ansia e dall'incertezza per raggiungere uno spazio ripulito dalle complicazioni conflittuali.
La violenza insomma non è, come nel senso comune, una conseguenza del conflitto ma, proprio al contrario, un'incapacità di stare nel conflitto, visto invece come momento fondativo della relazione, capace di creare una distanza che preserva la relazione stessa dalle sue componenti inglobanti e tiranniche.

Il conflitto

Si tratta di un contrasto, una divergenza, un'opposizione che esclude comunque componenti di dannosità irreversibile.
Appartiene all'area della competenza relazionale, mentre la violenza e la guerra appartengono all'area della distruzione, cioè dell'eliminazione relazionale. È pertanto la relazione e non la bontà - come nel senso comune si è spesso portati a credere - la misura discriminante fra conflitto e violenza.

La fatica nel conflitto come condizione imprescindibile per buone relazioni

Evitare il conflitto appare pertanto una scorciatoia sempre più impraticabile. La violenza e la guerra, anche nei casi dei grandi drammi familiari che compaiono sui giornali, sono legate all'incapacità di stare nelle situazioni di tensione e conflittualità problematica e di gestirle. Allo stesso tempo, possiamo dire che le buone relazioni consentono il conflitto, mentre le cattive relazioni lo impediscono, e stabiliscono una specie di tranquillità cimiteriale dove non è possibile alcun disturbo reciproco né comunicazione discordante e dove tutto sembra morire in un appiattimento conformistico.
Si potrebbe dire che finché c'è conflitto c'è speranza. Perché la conflittualità consente di vivere le relazioni come vitali e significative, e quindi rappresenta l'antidoto naturale alla distruttività umana. Occorre però un processo di alfabetizzazione di lunga durata.
La tendenza naturale dell'essere umano è piuttosto quella di ripristinare la simbiosi, intra ed extrauterina dei primi tempi della vita, che appare come un desiderio che risorge sistematicamente, il mito a cui ci si aggrappa nell'incapacità di accettare la crisi come occasione di crescita.
Il caso dei genitori alle prese con gli adolescenti, o preadolescenti, è abbastanza emblematico. Per il genitore è sempre uno shock quando il figlio o la figlia reclamano uno spazio di indipendenza e quindi un bisogno di allontanamento che appare quasi minaccioso. In realtà questo conflitto ha una funzione generativa straordinaria, non per niente si dice che l'adolescenza rappresenti una seconda nascita, cioè il passaggio verso il mondo e la vita adulta da parte del bambino. Anche la trasgressione delle regole, nel momento in cui le regole ci sono, rappresenta per lui un confronto estremamente significativo, carico di sviluppi. Per i genitori è una grande fatica perché vivono anche loro un sogno di fusionalità e di permanenza con i figli molto forte.
Il conflitto adolescenziale è una necessità imprescindibile per costruire un allontanamento individuativo. Dal punto di vista pedagogico ci sono tanti modi per vivere questa situazione: lo si può fare in modo isterico, in modo punitivo, tirannico o anche in modo eccessivamente confidenziale. Quello che conta è capirne la sostanza e stabilire una distanza giusta che non è più quella dell'infanzia.

Tutt'altro che sinonimi

Nell'ideogramma cinese la parola conflitto ha il doppio significato di opportunità e di catastrofe. Nella tesi che sostengo la catastrofe non è il conflitto bensì la guerra e la violenza.
Se è vero che la cultura mediatica utilizza il termine conflitto come sinonimo di guerra, è anche vero che nella vita quotidiana questo è impossibile. Nessuno si sognerebbe di definire la dura discussione avuta col figlio sulle regole con lo stesso termine utilizzato per definire i combattimenti in Iran, in Iraq o in Afghanistan. In altre parole, la confusione appare anche legata a componenti ideologiche, abbastanza palesi, volte a edulcorare le componenti più tragiche dello scontro armato. Anche la tendenza a voler aggiungere parole di benevolenza al termine conflitto per caratterizzarlo in un certo modo - come gestione nonviolenta dei conflitti, gestione positiva dei conflitti - appare anch'essa frutto di una visione ancora piuttosto bipolare dove la polarizzazione è fra il mondo dell'armonia e il mondo del conflitto. Si tratta di una visione arcaica, tipica di una società rigida, volendo anche piuttosto patriarcale. Nel mondo attuale, sempre più complesso, la capacità di stare nei conflitti appare una necessità quasi di sopravvivenza in una società in cui i cambiamenti implicano una tensione quasi frenetica nell'affrontare nuove situazioni, leggerle, capirle, decodificarle.
Ho approntato una mappa orientativa nei confronti della gestione dei conflitti, e parlo di gestione non di soluzione, rimandando a una visione processuale e non finalistica:

  1. Distinguere la persona dal problema, in modo da evitare ogni forma di giudizio e di colpevolizzazione generalizzante, limitandosi a individuare i contenuti specifici del conflitto, restando sugli aspetti tangibili piuttosto che su componenti arbitrarie.
     
  2. Aspettare il momento giusto, lasciando decantare le emozioni negative, creando una distanza sufficiente per vedere il conflitto dall'alto piuttosto che dall'interno.
     
  3. Cogliere le ragioni altrui, dando senso e comprensione a quello che sta succedendo, cogliendone i significati soggettivi e non solo quelli della propria parte.
     
  4. Strutturare critiche costruttive, e in generale evitare un linguaggio giudicante, preferendo piuttosto una comunicazione che faciliti la comprensione del conflitto.
     
  5. Cercare l'interesse comune piuttosto che la vittoria a ogni costo, superando la forma del muro contro muro, uscendo dalla logica delle posizioni per entrare in quella dei vantaggi reciproci.

Più che ricette pronto-uso, ritengo questi punti un ottimo programma di lavoro e di apprendimento per tutti coloro che desiderano che la vita e le relazioni abbiano un esito felice.

tratto da: http://www.sgi-italia.org/riviste/bs/InternaTesto.php?A='2268'

Le diversità sono normali, necessarie e arricchenti, i pregiudizi no

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LGBTQ+: lesbiche, gay, bisessuali, transgender, transessuali, queer, ecc... il mondo è variegato e colorato

Diversità sessualeSeguono un articolo e un comunicato stampa che guardano all'omosessualità e alle sue dinamiche psico-sociali da un punto di vista scientifico, educativo e lessicale. Purtroppo cercando in Rete parole chiave come "omosessualità" e "scienza" escono tanta disinformazione e odio, per questo ho voluto dar voce a chi sa rispettare la dignità e l'umanità di ogni persona: l'articolo è scritto da Margherita Graglia, psicologa-psicoterapeuta e sessuologa, che progetta e conduce corsi sui temi dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere rivolti a psicologi, operatori socio-sanitari ed educatori, e il comunicato stampa è dell'AIP, Associazione Italiana Psicologi.

Ad ogni modo, e questo ci tengo a precisarlo, chi sa guardare le persone e i fatti della vita con gli occhi dell'Amore non ha bisogno di tante spiegazioni! :)


Omofobia, eterosessismo, omonegatività

di Margherita Graglia

L'essere umano è inconsapevole, emotivo e intuitivo... non agisce per ragione, ma per emozione!

Chi siamo?

I fattori limitanti della natura umanaL'essere umano è inconsapevole, emotivo e intuitivo... è follemente intelligente nella sua irrazionalità.
Le nostre decisioni - tutte le decisioni - prendono le mosse dalle emozioni, e tali decisioni sono già pronte "prima" che il pensiero conscio (la nostra coscienza, la nostra voce interna) se ne renda conto (per la precisione, mezzo secondo prima). Ovvero: prima le nostre decisioni si formano a un livello del tutto inconsapevole e secondo processi mentali a noi ignoti; soltanto in secondo momento, entrano nella nostra coscienza e le razionalizziamo, magari per giustificarle o comunque per dare al nostro pensare e al nostre agire un senso di coerenza interna, illudendoci che le "nostre" scelte siano la conseguenza di un pensiero cosciente e razionale (ma così non è). Sarebbe invece più corretto ritenere la razionalità come la serva delle emozioni e delle nostre decisioni già prese a un livello inconscio, non il contrario.

In altre parole... A un livello basso c'è il pensiero razionale, che da solo però non serve assolutamente a nulla, perché non muove né noi né l'intera umanità: con la sola razionalità, infatti, non saremmo capaci di prendere alcuna decisione che ci riguardi, nemmeno la più semplice (come scegliere un giorno per un appuntamento), non saremmo capaci di relazionarci in modo socialmente conveniente, né di svolgere efficacemente un lavoro. A un livello ben più alto ci sono le emozioni, che sono la vera forza che muove ogni persona e la società intera, e che ci rende veramente "vivi" ed "umani". Ovviamente non sono nostra prerogativa: come noi, anche gli animali hanno emozioni, e del resto l'homo sapiens appartiene al regno degli animali. Persino le piante provano emozioni.

Quanto ho fin qui scritto, sicuramente in controtendenza rispetto al comune sentire e all'idea (infondata) della pura razionalità, ha precise basi neurologiche, riscontrabili nell'esperiento di Libert e nel caso clinico di Elliot, di seguito illustrati.

Il potere di un sorriso: chi sorride è forte!

Fotografia di Francesco GalganiChi sorride è forte

La vita è lunga. Alcune volte vinciamo e altre perdiamo. Non dobbiamo sentirci imbarazzati da un insuccesso temporaneo, la cosa importante è vincere alla fine, non perdere mai lo spirito combattivo per quanto possa essere difficile una circostanza. Chi rimane positivo e allegro anche nelle avversità è veramente forte.
[...] Chi sorride è forte. Chi vive un'esistenza positiva è sempre allegro e ottimista
.
Se sembrate sempre stressati e depressi, butterete giù anche le persone che vi stanno intorno, non potrete essere d'ispirazione per gli altri né riuscirete a rinvigorirli. Proprio quando le cose vanno male è il momento di incoraggiare chi vi sta intorno con un sorriso splendente. Se la situazione è senza speranza, create voi la speranza. Non dipendete dagli altri, fate ardere la fiamma della speranza nel vostro cuore.

(Daisaku Ikeda, tratto dalla rivista "Buddismo e Società", n. 172, pag. 24)

Fotografia di Francesco GalganiUn sorriso fa bene al cuore

«Un sorriso allunga la vita». «Don't worry, be happy». Sono considerazioni, molto diffuse nella opinione comune, che hanno avuto negli ultimi tempi una conferma scientifica dai risultati di diverse ricerche cliniche.

Si sapeva da tempo che le emozioni negative - invidia, odio, astio, depressione - si associano ad un aumento del rischio di avere un infarto del cuore, ma è più recente invece la dimostrazione che le emozioni positive - gioia, felicità, entusiasmo, eccitazione - sono in grado di allungare la vita, migliorare le difese del nostro organismo contro gli agenti infettivi, ridurre il rischio di sviluppare ipertensione arteriosa e diabete mellito.

Un recentissimo studio effettuato nella Nuova Scozia (Stati Uniti), su oltre 1500 persone, ha ora anche documentato come vivere intense e frequenti emozioni positive comporta un più basso rischio di andare incontro ad un infarto cardiaco. Sappiamo qualcosa, ma non tutto, sul perché questo possa succedere. Innanzitutto le emozioni positive aumentano la attività di quella parte del nostro sistema nervoso autonomo, cioè non soggetta al controllo della volontà, chiamata «sistema parasimpatico».

[...]

Risulta quindi evidente, alla luce di tutte queste osservazioni, che cercare di vivere la propria vita con serenità, riuscendo ad apprezzare ogni piccolo piacere del quotidiano, limitando per quanto possibile le reazioni aggressive e rabbiose, permette di attivare nel nostro corpo processi che agiscono molto favorevolmente sulla salute del cuore. Possiamo tranquillamente affermare che «sorridere alla vita allunga la vita».

Cerchiamo quindi, per quanto chiaramente non sia sempre facile, di affrontare la nostra esistenza in modo sereno e positivo: non abbiamo che da guadagnarci.

(Flavio Doni, direttore della Cardiologia e Unità coronarica - policlinico «San Pietro» - Ponte San Pietro, l'articolo completo è su l'Eco di Bergamo)

L'intersoggettività dalla vita intrauterina alla vita di coppia (dott.ssa Serafina Barbara Greco)

Ringrazio la mia amata compagna di vita Serafina Barbara Greco, dott.ssa in Discipline Psicosociali, per avermi autorizzato alla pubblicazione della sua tesi di laurea, dal titolo "L'intersoggettività dalla vita intrauterina alla vita di coppia".

La tesi è disponibile anche su Google Libri, Google Play e Archive.org

Abstract

L’interesse nel comprendere il meccanismo insito nella lettura della propria mente e di quella altrui ha portato alla stesura di questo lavoro che tratta il tema dell’intersoggettività. Per indagare tale ambito sono state usate 130 fonti bibliografiche, consultate sia tramite materiale cartaceo che tramite materiale disponibile su Internet. La bibliografia è riconducibile a differenti aree del sapere: infatti l’intersoggettività viene analizzata da contributi scientifici diversi che fanno uso anche dei risultati provenienti dalle moderne tecnologie.

In ambito psicoanalitico l’intersoggettività si delinea come un fenomeno, ma anche come un punto di vista da cui studiare la mente umana in relazione alle altre menti. L’approccio intersoggettivo nasce come un’evoluzione degli studi basati sulla mente individuale, tuttavia questi ultimi mantengono la loro importanza psicoanalitica. L’interesse per questo tema è emerso in maniera preponderante nell’ambito dell’infant research contemporanea, che tratta l’intersoggettività in riferimento al primo sviluppo infantile. Il termine fu introdotto per la prima volta in questo ambito di studi negli anni Settanta da Colwyn Trevarthen e da quel periodo in poi l’intersoggettività è oggetto di un’attenzione che va sempre più crescendo. Recentemente alcuni autori hanno utilizzato il concetto di intersoggettività come chiave di lettura dei rapporti che si creano in età adulta: un esempio di ciò lo si riscontra negli studi di Giulio Cesare Zavattini per quanto riguarda la coppia romantica. Nell’affrontare la questione si è cercato di declinare l’intersoggettività durante le fasi evolutive, ed in particolare essa è stata collegata con i rapporti significativi che l’essere umano stabilisce nel corso della vita: tutto questo nel tentativo di studiarla nelle sue molteplici sfaccettature, in modo da poter restituire un quadro quanto più possibile integrato del tema in questione.

Nell’ultima parte sono presentati gli esiti di ricerche scientifiche risalenti a non più di un anno fa, i quali offrono un’indicazione sugli studi che attualmente si occupano di intersoggettività e che possono, eventualmente, stimolare riflessioni per direzionare la futura ricerca nel campo.

 

Un bisogno compulsivo ed endemico di conferma sociale

Solitudine e InternetA gennaio 2014, nella mia tesi di laurea su "Solitudine e Contesti Virtuali", scrissi:

«L'affettività non può essere mediata da alcuna tecnologia della comunicazione.
Ci culliamo nel pensiero che essere sempre connessi ci farà sentire meno soli, ma siamo a rischio, perché se non siamo in grado di stare soli, saremo ancora più soli.
Spinti dall’irresistibile impulso a riempire i vuoti della nostra vita con il mondo virtuale, accettiamo sempre di più la realtà come simulazione della vita invece di vivere ciò che di reale sta dentro e intorno a noi.»

Da allora sono passati più di tre anni... e la situazione attuale è ben riassunta dall'articolo seguente:

Psicologia. Nove americani su dieci sono “Internet addicted”

Fonte: http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=49079

L’American Psychological Association lancia l’allarme: solo uno statunitense su 10 non è dipendente da Internet. Alla base di questo “disturbo” ci sarebbe un bisogno compulsivo di conferma sociale.

Facebook è patologia degli affetti, patologia delle emozioni, patologia delle relazioni

Facebook è patologia degli affetti, patologia delle emozioni, patologia delle relazioni... e quindi patologia del pensiero.

Fonte del video seguente (a cui rimando per approfondimenti):
http://www.byoblu.com/post/minipost/la-societa-dei-like-mauro-scardovelli
Pubblicato su Youtube alla pagina:
https://www.youtube.com/watch?v=cyDauWYj_L4

La società dei Like – Mauro Scardovelli

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Sullo stesso argomento, riporto l'articolo:

Gli smartphone danneggiano i ragazzi, lo affermano due azionisti Apple

fonte "La Stampa" (licenza dell'articolo: Creative Commons - Attribuzione, Non Commerciale, Non opere derivate)
di Andrea Daniele Signorelli

Non è certo la prima volta che viene sollevato il tema della dipendenza da smartphone e degli effetti che può avere sulla salute mentale dei più giovani. Questa volta, però, ad affrontare la questione sono due azionisti di Apple: Jana Partners LLC e California State Teachers’ Retirement System (un fondo pensionistico per insegnanti), che il 6 gennaio hanno inviato una lettera ad Apple chiedendo maggiori finanziamenti per la ricerca sugli effetti sociali e psicologici dell’uso degli smartphone e di implementare strumenti che consentano ai genitori di limitare l’accesso ai telefoni.

“Ci sono sempre più prove che dimostrano come, almeno per i giovani che ne fanno un uso massiccio, gli smartphone possano avere conseguenze negative involontarie”, scrivono nella lettera i rappresentanti delle due società, che insieme detengono due miliardi di dollari in azioni del colosso di Cupertino. “Il disagio sociale crescente, a un certo punto, avrà un impatto negativo anche su Apple. Per questo è importante affrontare subito la questione”.

Il tema, di cui si parla ormai da anni, è stato recentemente oggetto di uno studio della sociologa Jean Twenge, che è arrivata a denunciare la possibilità che gli smartphone stiano distruggendo un’intera generazione. Le prime misure per impedire che l’utilizzo di questi strumenti si trasformi in una vera e propria droga iniziano però a vedersi: la Francia, per esempio, ha vietato l’utilizzo di smartphone nelle scuole elementari e medie; mentre Apple già oggi offre ai genitori la possibilità di inserire limiti al consumo di traffico dati e di impedire l’accesso ad alcuni contenuti.

Il cofondatore di Android Andy Rubin, invece, sta studiando come ridurre la dipendenza da smartphone attraverso l’intelligenza artificiale, consentendo a un bot di gestire da solo gli aspetti più abitudinari dell’utilizzo di smartphone (per esempio, verificare se le notifiche di Facebook sono interessanti o meno), liberandoci così dall’urgenza di controllare lo smartphone fino a 150 volte al giorno.

Anima ed Ego (poesia)

Anima ed Ego

Tra le tante illusioni
d'un'effimera realtà
c'è quella d'un Ego pazzo
che tristi passioni dà:

lacera il cuore
con ferite di fuoco
che bruciano l'Anima
bisognosa di quel poco

d'Amore e d'affetto,
di sane relazioni,
in un mondo che nega
le più giuste pulsioni,

che danno felicità
perché son sociali,
per il bene comune
collaborative e naturali.

Non c'è competizione
tra Anime libere,
c'è solo compassione
e un pacifico vivere...

ma la scuola macella,
la cultura schiavizza,
i media disgregano,
l'economia dogmatizza:

è sempre più difficile,
ormai non più in vigore,
quel governo dell'Io
che fa ordine interiore.

Ama il prossimo tuo
non è un comandamento,
è dell'Anima all'Ego
l'unico ammonimento

perché divino è ogni umano
quando non è straziato
da paure e aberrazioni
che da sé l'han separato.

Eppure c'è luce
che Ego non vede,
nell'Anima c'è armonia
d'un Amor che provvede

a curare ogni vivente,
a nutrirne la vita,
affinché sia splendente
e di gioia fiorita.

Nella farmacia del cuore
c'è sempre una cura,
perché un saggio donarsi
è la sua vera natura.

Grazie!

(Francesco Galgani, 24 gennaio 2018)
www.galgani.it

La vita comincia a finire quando non riusciamo più a dire le cose importanti

Quanto segue è un estratto dell'articolo "Non detto", di Mauro Scardovelli:
http://www.mauroscardovelli.com/PNL/Consapevolezza_di_se/Non_detto.html

Tale estratto contiene anche un suggerimento :)

«[...] Non dire, non dire tutto, trattenersi, rinviare, avere paura di manifestarsi pienamente, dire di sì quando non si è del tutto convinti: è un tema che riguarda solo me?

Certe persone ne sembrano immuni: parlano senza peli sulla lingua. Si fanno strada, ottengono rispetto, ma spesso offendono o feriscono gli altri. Ma questo non è dire le cose, è sgomitare, è usare violenza. E poi, siamo sicuri che dicano davvero le cose importanti?

Se guardiamo in profondità, il problema non è dire o non dire. Ci sono circostanza in cui non dire è senz’altro la cosa migliore. Altre volte, se si vuol essere efficaci, occorre scegliere i tempi giusti, gli argomenti che hanno presa sull’interlocutore. Non basta dire ciò che ci passa per la mente. No, il problema non è dire o non dire o come dire. Il vero problema è la paura.

Se siamo spaventati, la nostra parola non è sincera. Non siamo sinceri nel dire si o no. Non siamo veri e integri neppure con noi stessi. Se siamo spaventati, se ci sentiamo come imputati di fronte ad un tribunale, cercheremo di pensare e dire ciò che può convincere la giuria ad assolverci. La verità passa in secondo piano.

Se siamo spaventati, non siamo in grado di amare: dobbiamo troppo badare a noi stessi per prenderci cura di altri. Se non amiamo, perdiamo contatto dalla corrente vitale che ci attraversa. Perdiamo forze, ci indeboliamo.

Oggi, grazie a tanti aiuti ricevuti, ho compreso più da vicino il problema della paura, da dove viene, perché rimane e ristagna nelle nostre viscere e nel nostro cuore. E come si fa a superarla.

Proprio in questi giorni sto rileggendo Krishnamurti, La ricerca della felicità. Krishnamurti si rivolge ai giovani delle scuole, e più volte parla delle influenze e del condizionamento, a cui tutti siamo esposti, che fa appassire la nostra creatività e capacità di amare. Siamo condizionati ad aver paura, ad essere schiavi di idee non nostre. Siamo condizionati a sentirci inadeguati, insufficienti, in colpa, quindi a non essere noi stessi, ma a cercare di diventare qualcosa d’altro.

Le parole di Krishnamurti sono come la via dell’acqua che scorre. Sono pulite e cristalline, perché libere da ogni soggezione ad autorità: filosofica, politica, religiosa. Ci invitano a diventare consapevoli dei condizionamenti, che non sono solo famigliari, ma attraversano tutta la nostra cultura, nei suoi presupposti più profondi. Ci invitano a riflettere con la nostra testa, a smettere di dipendere e cercare fuori la soluzione.

La vita comincia a finire quando non riusciamo più a dire le cose importanti… Se questo è vero, allora la nostra vita comincia a finire quando siamo ancora molto giovani, spesso già da bambini. Assumiamo un ruolo, un’identità che non è vera identità, ma identificazione, e recitiamo quel ruolo, quel personaggio nel teatro dell’esistenza.

E la nostra anima dove finisce? Dove finisce la nostra forza, vitalità, capacità di amare?

Possiamo risvegliarci da un sogno che non è il nostro? Possiamo vivere in modo pieno, totale, istante per istante, invece che dispiaciuti per il passato e preoccupati per il futuro? Possiamo vivere immersi nel presente, con tutto il nostro essere, in contatto con ciò che c’è, consapevoli della straordinaria bellezza che ci circonda?

Sì, è ovvio che possiamo. Come un gatto può fare il gatto ed essere un gatto, così noi possiamo essere chi veramente siamo: liberi e creatori.

Cominciamo da subito, da un piccolo passo a portata di tutti. Un foglio bianco, una penna: cominciamo a scrivere ciò che non abbiamo detto in questi giorni, e che sarebbe stato importante dire. Manteniamo vigile l’attenzione su questo tema: lasciamo che questa pratica diventi un’abitudine. Al posto della vecchia: di non dire o dire a metà o dire male. [...]»

Articolo completo: http://www.mauroscardovelli.com/PNL/Consapevolezza_di_se/Non_detto.html

L'antidoto

L'antidoto

Parole senza lume
d'una mente annebbiata,

dei suoi stessi sogni
da paure trafugata,

incapace di gioire
di gioie lodevoli,

incapace d'apprezzare
sforzi meritevoli.

Possedere non è Amare,
è solo avvelenare

d'un veleno amaro
un frutto prezioso e raro.

Gratitudine e fiducia
sono il vero antidoto

affinché ogni dipendenza
divenga d'Amor appartenenza.

Quando l'Anima è pronta
a cambiar direzione,
la vita già lo è,
e saggia sarà l'azione.

Grazie

(Francesco Galgani, 21 marzo 2018, www.galgani.it)

In questa poesia tento di esprimere il passaggio interiore da una "incapacità appresa di amare" ad uno stato di amore, passaggio radicale e rivoluzionario che provoca grandi effetti sia interiori sia esteriori.

Gli esseri umani sono dotati di una naturale capacità di amare, così come sono dotati di una naturale capacità di muoversi, camminare, vedere, ascoltare, parlare. Ogni capacità ha però bisogno di essere esercitata. Ha bisogno del contesto adatto, ove siano disponibili esempi e modelli da imitare.
Tutti i problemi umani sono varianti di un unico tema: l’incapacità appresa di amare.

Paradossalmente, più cerchiamo di renderci degni d’amore, più creiamo le circostanze per allontanare l’amore dalla nostra vita.
La via è la meta. La via che porta all’amore è la pratica dell’amore stesso. Amore senza presupposti, senza condizioni da soddisfare.

Nella nostra cultura siamo abituati a pensare che per essere felici ci debba essere qualche motivo, delle determinate condizioni altrimenti è la normalità essere un po’ tristi: in realtà, quando siamo in contatto con le qualità dell'Essere (amore, benevolenza, gratitudine, compassione, sentirci parte di un tutto, ecc.), la felicità è la naturale conseguenza del fatto di essere vivi.

Siamo abituati a porre condizioni all'amore, ma questo è un modo di pensare e di relazionarci che ci rende incapaci di amare. In realtà, abbiamo un diritto intrinseco ad essere amati.

Quando un bisogno fondamentale (come quello di amore incondizionato) non viene soddisfatto (incontra un ostacolo) non è che si estingue, ma si perverte (cioè cambia direzione) e si trasforma nel proliferare dei desideri.

Chi pratica gli inquinanti della mente non ama, né sé né gli altri. Praticando danze distruttive, tutti ne pagano il prezzo. Nuovi semi di infelicità vengono sparsi nel mondo.

Amare è favorire la propria e l’altrui crescita spirituale.

Per approfondimenti: Incapacità d’amare, di Mauro Scardovelli
http://www.mauroscardovelli.com/PNL/Consapevolezza_di_se/Amare_(incapacita_di).html

Francesco Galgani,
21 marzo 2018

Graditudine: l'emozione più importante per vivere bene (psicologia + neuroscienze)

Il sentimento più bello

Il sentimento più bello
che ogni altro migliora,
alleggerendo il fardello
di ciò che addolora,

pari a una medicina
giusta per ogni male,
essenza genuina
nel viver fondamentale,

è una GRATITUDINE
così grande e così forte
da divenir sana attitudine
in qualunque sorte...

Ringrazio la Poesia,
Ringrazio chi m'Ama,
Ringrazio la Mistica Energia
che il mio Essere sfama.

Grazie!

(Francesco Galgani, 24 luglio 2015, www.galgani.it)

Quanto sopra, è ciò che scrissi circa due anni fa. Avevo compreso che cos'è la gratitudine "vivendola", e proprio vivendola e sperimentandola nel quotidiano compresi che è il sentimento più bello e più importante, che viene prima di ogni altro sentimento che ci fa vivere bene e prima di ogni relazione positiva, amicizia e amore compresi. Nella mia esperienza, la gratitudine è propedeutica e necessaria per relazionarci positivamente con noi stessi, con gli altri, con la vita, in poche parole per vivere appieno e bene. Tale consapevolezza mi è emersa grazie al mio percorso di vita buddista e tramite le relazioni con le persone meravigliose che ho incontrato. La "Mistica Energia" a cui mi riferisco nella poesia è "Nam-myoho-renge-kyo", o "Legge mistica", o "Daimoku del Sutra del Loto", a cui fa riferimento il Buddismo di Nichiren Daishonin .

Ciò che oggi ho scoperto, leggendo quanto segue, è che anche le neuroscienze e la psicologia confermano questo grande potere e primato della gratitudine. Più precisamente:

«Secondo gli esperimenti di laboratorio, le emozioni che generano il miglior stato di coerenza sono in primo luogo la gratitudine e, subito dopo, l'amore incondizionato e tutte le altre qualità del cuore: bontà, generosità, compassione, serenità, pace interiore, apertura alla vita e agli altri, gioia quieta, appagamento, eccetera, tutte emozioni di tipo "superiore" che non hanno niente a che vedere con quelle del circuito primitivo, delle quali sono addirittura l'opposto.

All'interno del grande serbatoio emozionale, il circuito del Maestro del cuore utilizza naturalmente le emozioni cosiddette "positive" o "elevate". Non si tratta di emozioni "delicate", ma piuttosto di emozioni potenti, cariche di compassione, di amore e di saggezza, che ci rendono persone forti, intelligenti, salde, stabili, sagge, generose, compassionevoli, e nello stesso tempo molto efficienti e creative nell'azione, perché l'energia non viene dispersa nell'agitazione o nell'opporre resistenza.»

L'articolo che segue è tratto dal sito di Mauro Scardovelli, dalla pagina seguente (che contiene anche un video):
http://www.mauroscardovelli.com/PNL/Consapevolezza_di_se/Cervello_del_cuore.html

Cervello del cuore

Annie Marquier, Usare il cervello del cuore, ed Amrita. E’ il libro che contiene la sintesi più efficace che conosca sui temi centrali del pensiero Aleph: Ego/Anima, il Potere, la Paura ecc.

Ne riporto un estratto, invitando tutti ad acquistarlo e a leggerlo con grande attenzione. La novità più importante deriva dalle neuroscienze: oggi finalmente siamo in grado di riconoscere una base neurologica del pensiero del cuore o pensiero dell’anima, che favorisce una comprensione moderna del fenomeno Anima...

Per il momento mi limito ad riportarne un estratto. Buona lettura.

Superare le paure

Le paure si superano: evitando di evitare, quindi affrontandole subito, senza procrastinare; non si chiede aiuto egoico, si chiede aiuto animico (non dovremmo chiedere a nessuno di sostituirsi al nostro governo interiore); evitando di controllare le emozioni che non sono controllabili (quello che invece è controllabile sono i pensieri e decidere a quali dare credito e a quali no).

Per approfondimenti:

Come superare le paure e come peggiorarle (video in cui Mauro Scardovelli spiega i punti riportati nella lavagnetta sopra fotografata)
https://www.youtube.com/watch?v=QBzgcaV0spo

Libertà dalla paura - Approfondimento su vari aspetti della paura, scritto da Mauro Scardovelli. I temi di questo articolo sono ripresi e trattati in vari video dello stesso autore:
http://www.mauroscardovelli.com/PNL/Consapevolezza_di_se/Liberta_dalla_paura.html

La compassione delle persone religiose è inferiore a quella delle persone non-credenti?

Premessa: per evitare fraintendimenti su quanto segue, preciso che con il termine "compassione", nell'articolo seguente da me tradotto dall'inglese, è definito come "l'emozione provata nel vedere la sofferenza di altre persone, emozione che poi si trasforma in stimolo per offrire loro aiuto, spesso con un costo o un rischio personale". Quindi, in questo contesto, la compassione non c'entra nulla con la commiserazione.

L'articolo scientifico seguente, frutto di tre ricerche e pubblicato dall'University of California il 30 aprile 2012, va ad evidenziare che il "grado di compassione" delle persone poco o per niente religiose, nell'offrire aiuto ad un sconosciuto, è complessivamente maggiore di quello delle persone che considerano se stesse come "altamente religiose".

Presumo che questo articolo offra un ottimo spunto di riflessione per chi, come me, ritiene che una buona religione sia anche una buona medicina per tanti mali...

Questa ricerca va ad integrarsi con una precedente ricerca analoga (che prende in esame i praticanti di otto religioni e il loro livello di compassione), citata nel libro "Parlare pace - Quello che dici può cambiare il mondo" di Marshall Rosenberg: ne parla Mauro Scardovelli, nell'audio 2 a partire dal punto 3:45, alla pagina seguente dedicata alla Comunicazione Non Violenta:
http://www.mauroscardovelli.com/PNL/Consapevolezza_di_se/CNV.html
Per chi non riesce ad aprire l'audio dalla pagina sopra linkata, indico il link diretto:
https://archive.org/download/ComunicazioneNonViolenta_991/ComunicazioneNonViolenta02.mp3

Attenzione però a non generalizzare, perché all'interno di ogni gruppo religioso c'è una parte ristretta (circa un sesto di ogni gruppo religioso, o anche meno) che è molto più compassionevole di quanto lo siano le altre persone (su questo punto, rimando all'audio di cui sopra).


Le persone altamente religiose sono meno motivate dalla compassione rispetto ai non-credenti

Titolo originale: Highly religious people are less motivated by compassion than are non-believers
Fonte: http://news.berkeley.edu/2012/04/30/religionandgenerosity/

"Ama il tuo prossimo" è largamente predicato, ma una nuova ricerca suggerisce che le persone altamente religiose siano meno motivate dalla compassione quando aiutano uno sconosciuto rispetto agli atei, agli agnostici e alle persone meno religiose.

In tre esperimenti, gli scienziati sociali hanno trovato che la compassione ha guidato in maniera significativamente ridotta le persone religiose ad essere più generose. Per le persone altamente religiose, tuttavia, la compassione era in gran parte non correlata a quanto generose sono state, secondo i risultati che sono pubblicati nella versione online del giornale "Social Psychological and Personality Science":
http://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1177/1948550612444137?journalCode=sppa

I risultati mettono in discussione una diffusa convinzione che gli atti di generosità e di carità siano in gran parte spinti da sentimenti di empatia e di compassione, hanno detto i ricercatori. Nello studio, il legame tra compassione e generosità è risultato più forte per coloro che si sono identificati come non religiosi o meno religiosi.

Panico da coronavirus: non rinunciamo a vivere

https://it.wikipedia.org/wiki/Trionfo_della_Morte_(Bruegel)dipinto a olio, "Trionfo della Morte" (Bruegel), 1562 circa

Il panico sul coronavirus si diffonde a causa della cattiva informazione.
Le informazioni sull'epidemia da coronavirus sono contraddittorie, a causa di valutazioni divergenti da parte degli esperti in materia di virologia. Anche se non sembra, la medicina non è una scienza esatta!

Questo genera il panico nella popolazione. Un panico comunque non giustificabile.

E’ difficile avere ricette già pronte su come affrontare l'epidemia da coronavirus. Interessante sono le parole di questo esperto:

“Non ci sono evidenze scientifiche su come contenere epidemie di questo tipo”. Pier Luigi Lopalco, epidemiologo di fama, professore di Igiene dell’Università di Pisa, taglia la testa al toro: “Tutte le misure che si stanno prendendo o che si possono prendere sono sperimentali. E sbagliare fa parte del gioco. Non c’è certezza."

L'unica cosa certa è invece la psicosi generale che si sta impadronendo dello stato d'animo degli italiani. La psicosi da coronavirus è più pericolosa del virus stesso.
Ognuno comincia a sospettare l'altro come possibile untore del virus.

In questo modo quel poco di umanità ancora presente nella società attuale viene distrutta dalla paura dell'altro, qualunque esso sia. L'uomo è un essere sociale, non possiamo rinunciare a vivere con e per gli altri.

Allora la paura si può vincere anche avendo la consapevolezza in che mondo viviamo e come ci comportiamo rispetto ad altri eventi anch'essi letali.

Di cosa si muore ogni giorno in Italia? Ecco i dati su alcune cause di morte:

Nel mondo , ogni anno, secondo dati dell’OMS muoiono per causa (diretta ed indiretta) del virus dell'influenza circa 600.000 persone.

In Italia, ogni anno, per causa (diretta o indiretta) del virus influenzale ci sono tra i 5-8 milioni di malati, e mediamente 8000 decessi per influenza e le sue complicanze. Quindi i morti di influenza  (per causa diretta ed indiretta) in Italia sono mediamente ogni giorno circa 22.
Fonte: https://www.epicentro.iss.it/influenza/sorveglianza-mortalita-influenza

Ogni giorno più di 130 persone muoiono nella sola Italia per malattie infettive contratte nel corso di un ricovero in ospedale.
Fonte: https://www.luogocomune.net/21-medicina-salute/5458-stefano-montanari-sul-coronavirus

In media ogni giorno oltre 485 persone muoiono in Italia a causa di un tumore.
Fonte: https://www.repubblica.it/oncologia/news/2019/09/23/news/ogni_giorno_485_persone_muoiono_per_tumore-236749530/

Più di 10 persone muoiono ogni giorno in incidenti stradali.
Fonte: https://www.repubblica.it/dossier/stazione-futuro-riccardo-luna/2020/02/24/news/coronavirus_e_terapia_antipanico_di_cosa_si_muore_ogni_giorno_in_italia-249454511/

Ogni giorno in Italia muoiono 3 persone sul posto di lavoro.
Fonte: https://www.repubblica.it/online/fatti/incidenti/incidenti/incidenti.html

Quante persone muoiono al giorno per il coronavirus?

Dal 30 gennaio, inizio dell'epidemia, al 6 marzo alle ore 18 i deceduti per coronavirus in Italia sono 197, circa 5 persone al giorno.
Fonte: http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus

Se questi sono i dati su alcune cause di morte in Italia, allora bisogna superare la paura ed affrontare l'epidemia, senza farsi schiacciare la propria vita dal panico che non risolve nulla.

Quindi se tutti gli Italiani fossero spaventati da queste cause di morte non dovrebbero più lavorare per paura degli incidenti sul lavoro, spostarsi in automobile per paura di un incidente stradale, andare in ospedale per paura di contrarre una infezione mortale, e via di seguito, in una sola parola rinunciare a vivere.

A causa del coronavirus non possiamo rinunciare a vivere la nostra socialità è l'opinione del psichiatra Morelli:
https://www.lopinionista.it/raffaele-morelli-coronavirus-dobbiamo-allontanare-il-pensiero-video-53109.html

Il contenimento dei contagi a causa del coronavirus è importante per non saturare le sale di rianimazione degli ospedali, necessarie per la terapia intensiva dei malati gravi contagiati da coronavirus.

Ma è paradossale che la sanità della Lombardia, considerata una delle “eccellenze” in Italia, sia già in collasso per mancanza di posti letto per i malati gravi di coronavirus. E' evidente che la sanità lombarda non era preparata per una emergenza provocata da una epidemia. Mancano i posti per la terapia intensiva perché la sanità Lombarda è basata su una forte presenza della sanità privata, che non è assolutamente organizzata per affrontare questa epidemia.

I nodi stanno venendo al pettine. Negli ultimi decenni in Italia, il taglio operato di 50.000 posti letto negli ospedali pubblici, e la mancanza nell’organico di migliaia di medici ed infermieri, per fare spazio alle cliniche private, dimostra tutta la sua cecità sociale. La politica dell’austerity e la rincorsa verso la sanità privata ha messo l’Italia  in ginocchio rispetto all’emergenza provocata dal coronavirus.

La volgata neoliberista sta mietendo così le sue vittime… e sta giocando sugli esseri umani allo stesso modo di come si scommette con i cavalli. Il rischio che la morte si stia tramutando in fiches di un lugubre casinò appare tutt’altro che remoto o frutto di impostazione preconcetta, visto che ci sono in ballo i catastrofe-bond. I finanzieri avranno lauti guadagni se l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) non classificherà l’attuale epidemia di covid-19 (coronavirus) come pandemia. Immaginiamo quante pressioni sta ricevendo l’OMS per dichiarare o meno la pandemia, a seconda degli interessi economici degli attori in gioco: https://it.businessinsider.com/pandemia-o-epidemia-per-loms-e-la-banca-mondiale-non-e-una-questione-di-vittime-ma-di-soldi/

Il vero virus infettivo mortale da combattere è proprio il neoliberismo, come fa ben notare Mauro Scardovelli in questo video sul coronavirus:
https://www.youtube.com/watch?v=gdSvuUjQ9d8

Buoni approfondimenti e buona salute fisica e mentale a tutti,
Giulio Ripa e Francesco Galgani, 9 marzo 2020

Sul funzionamento dei gruppi e della persona

Qualità veramente rare oggi sono la congruenza, la trasparenza, la coesione, tutte quante a livello sia interiore sia esteriore. E’ quindi altrettanto rara la persona che parla e che ha forza perché quello che dice viene dalla sua anima e non da condizionamenti di qualsiasi natura.

Quando più persone formano un gruppo, affinché questo adempia alla sua missione di “unire” e di “raggiungere gli obiettivi comuni”, il gruppo deve essere molto confortevole, molto gentile, in modo che ogni partecipante sia ascoltato con benevolenza. E’ assai controproducente covare dubbi sul fatto che l’altro faccia il doppio o il triplo gioco, perché gli aspetti ossessivi-paranoici e narcisistici distruggono qualunque gruppo. Ovviamente, però, vale anche l’ammonimento di Gesù: «Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi». Bisogna però mantenere il cuore aperto per capire i veri bisogni e i punti di vista altrui con un atteggiamento compassionevole e non-violento.

In un gruppo, ci vuole l’accordo di andare d’accordo, che è quello che possiamo (anzi, dobbiamo) fare al nostro interno, nella nostra comunità di forze interiori, se abbiamo un “io” che ne è capace.

Se una persona ha una individualità interna frammentata e conflittuale, non può che portarla così com’è al tavolo delle discussioni quando si confronta con gli altri. Quindi il nostro mondo interno e quello esterno sono due aspetti complementari.

Se uno non lavora su se stesso, se non vede le proprie debolezze, i propri errori, se non si perdona e quindi non si dà la possibilità di andare avanti, secondo la logica: «Va bene, ho fatto quello che ho fatto, ma oggi è un giorno nuovo, posso rimediare con me stesso e con gli altri», allora veramente gli diventerà difficile relazionarsi con gli altri senza portare tensioni distruttive. Questo purtroppo è all’ordine del giorno: tante persone vogliono fare tante cose, poi si mettono insieme e litigano. Questa modalità di esistere deve essere superata, perché questo è il male fondamentale degli individui, dei gruppi, della società.

(Francesco Galgani, 15 aprile 2020)

Sintomi internalizzanti ed esternalizzanti nella prima adolescenza: uno studio empirico sull'attaccamento e sulla regolazione emotiva

Tesi di laurea magistrale (Psicologia) in
Processi Cognitivi e Tecnologie - Tecnologie di supporto clinico alla persona

Università Telematica Internazionale Uninettuno

Elaborato finale in
Metodi di intervento nei gruppi e nelle organizzazioni

Autrice
dott.ssa Serafina Barbara Greco

Abstract

Dopo un’opportuna ampia analisi teorica degli approcci di studio dell’età preadolescenziale, con un focus sulla classificazione dei disturbi psicopatologici in “internalizzanti” ed “esternalizzanti”, lo scopo della parte sperimentale è stato quello di indagare nei preadolescenti le associazioni con caratteristiche auto-regolative, di controllo, relazionali e con l’effetto del genere. I risultati sono stati comparati con la letteratura scientifica esistente.
Il campione analizzato è composto da 104 ragazzi di cui 52 maschi e 52 femmine, di età compresa fra i 10 e i 14 anni, di una scuola secondaria di primo grado.
Gli strumenti utilizzati sono stati: lo Youth Self-Report/11-18 (YSR) del 2001, l’Inventory of Parent and Peer Attachment (nelle sue tre versioni: IPPA-Padre, IPPA-Madre e IPPA-Pari), la Barratt Impulsiveness Scale 11 (BIS-11) e la Toronto Alexithymia Scale (TAS-20). Per elaborare ed analizzare i dati è stato utilizzato SPSS, che ha restituito una sintesi delle migliaia di dati inseriti permettendone la descrizione e la comprensione, tramite correlazione di Pearson e ANOVA. In totale sono state consultate 215 fonti bibliografiche.
Il presente lavoro ha riscontrato associazioni tra il funzionamento emotivo-adattivo, la qualità del rapporto con le figure significative per il preadolescente, l'impulsività e l'alessitimia. Infine è emersa una significativa differenza di genere, rispetto ai sintomi esternalizzanti, all'impulsività e all'alessitimia. Tale differenza registra una prevalenza dei maschi nel riportare le suddette problematiche.

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PDF Tesi: Sintomi internalizzanti ed esternalizzanti nella prima adolescenza.pdf
PDF Slides: SLIDES - Sintomi internalizzanti ed esternalizzanti nella prima adolescenza.pdf

Epidemia di solitudine e di sfiducia?

La solitudine è l'unica malattia di cui l'anima può ammalarsi? Mi riferisco a questa frase: «[...] Può sembrare assurda quanto mai incredibile questa affermazione ma anima soffre di una malattia vera e propria. L’unica malattia che affligge o che può affliggere anima è la solitudine. [...]» (fonte)
Solitudine e sfiducia vanno insieme e lasciano tutte le porte aperte ai peggiori demoni?
Come si guarisce dalla solitudine?

Vorrei riportare la notizia seguente senza ulteriori commenti. Al massimo, suggerisco di confrontarla con:

fonte: LaStampa.it, 4 febbraio 2021, prima pagina

Giovani, “sei adolescenti su dieci vittime di bullismo o cyberbullismo”. Le ragazze terrorizzate dal Revenge porn

L’indagine di «Terre des Hommes»: il 93% dei giovani fra 13 e 23 anni si sente solo, e con l’emergenza Covid la percentuale è cresciuta

ROMA. Il 61% dei giovani afferma di essere vittima di bullismo o di cyberbullismo, e il 68% di esserne stato testimone. Sei adolescenti su 10 dichiarano inoltre di non sentirsi al sicuro online: per le ragazze, in particolare, l'incubo maggiore è il Revenge porn (52,16%). Bullismo o cyberbullismo sono considerati in questo momento per gli adolescenti la minaccia più temuta dopo droghe e violenze sessuali. Nell'anno del Covid-19, inoltre, il 93% degli adolescenti afferma di sentirsi solo, con un aumento del 10% rispetto al 2019.

E’ la fotografia tracciata dll'Osservatorio Indifesa 2020 di «Terre des hommes» e «Scuolazoo», diffusi in vista della Giornata Internazionale contro il Bullismo (in programma domenica 7 febbraio) e del Safer Internet Day. L'aumento della solitudine è ancora più significativo - viene fatto notare nel rapporto - se si pensa che la percentuale di chi ha indicato di provare solitudine «molto spesso» è passata dal 33% a quello che viene definito un «drammatico 48%».

I dati sono stati raccolti grazie alle risposte date da 6.000 adolescenti dai 13 ai 23 anni di tutta Italia. Ragazzi e ragazze esprimono sofferenza per episodi di violenza psicologica subita da parte di coetanei (42,23%) e in particolare il 44,57% delle ragazze segnala il forte disagio provato dal ricevere commenti non graditi di carattere sessuale online. Dall'altro lato l'8,02% delle ragazze ammette di aver compiuto atti di bullismo, o cyberbullismo, percentuale che cresce fino al 14,76% tra i ragazzi.

Tra i partecipanti alla rilevazione 6 su 10 dichiarano di non sentirsi al sicuro online. Sono le ragazze ad avere più paura, soprattutto sui social media e sulle app per incontri, lo conferma il 61,36% di loro. Tra i rischi maggiori sia i maschi sia le femmine pongono al primo posto il cyberbullismo (66,34%). A seguire, per i maschi, spaventa la perdita della propria privacy (49,32%), poi il Revenge porn (41,63%), quindi il rischio di adescamento da parte di malintenzionati (39,20%), lo stalking (36,56%) e le molestie online (33,78%). Dopo il cyberbullismo, l'incubo maggiore per le ragazze è il Revenge porn (52,16%) insieme al rischio di subire molestie online (51,24%) l'adescamento da parte di malintenzionati (49,03%) e la perdita della propria privacy (44,73%).

Un adolescente su 3 conferma di aver visto circolare foto intime sue, o di amici, sui social network. Quasi tutte le ragazze (95,17%) sostengono che vedere le proprie foto/video hot circolare senza il proprio consenso online, o su cellulari altrui è grave quanto subire una violenza fisica. La percentuale scende leggermente per i ragazzi (89,76%). Persistono, anche se minoritari, vecchi pregiudizi da sconfiggere: il 15,21% dei ragazzi etichetta come «ragazza facile» quella che decide di condividere foto o video a sfondo sessuale con il/la partner. Mentre per le ragazze questo è vero per l'8,39% dei casi.

«Questi dati – afferma Paolo Ferrara, direttore generale di “Terre des Hommes” – destano allarme e ci dicono come gli effetti della pandemia e i drastici cambiamenti che questi hanno portato nella vita dei ragazzi siano già oggi drammatici. L'isolamento sociale, la didattica a distanza e la perdita della socialità stanno provocando una profonda solitudine e demotivazione ma anche ansia, rabbia e paura».

Finalmente – sottolinea Ferrara, riferendosi in particolare al Revenge porn – «la legge n. 69/2019 ha disciplinato questa fattispecie come reato, ma non possiamo abbassare la guardia sugli aspetti educativi: il Revenge porn sottintende il tradimento di un rapporto di fiducia ed è fondamentale ribadire che non possono essere ammessi atteggiamenti ambigui o colpevolizzanti nei confronti delle vittime».

Linguaggio inclusivo di genere?

Identità di genereVorrei esporre una mia breve riflessione partendo da una notizia che inizia così: «Allattamento al seno, madre, latte materno: e se questi termini sparissero per sempre dal vocabolario per essere sostituiti da un linguaggio più inclusivo? E’ quello che starebbe avvenendo in Inghilterra, [...]» (fonte tg Byoblu24, 13 febbraio 2021, a partire da 15 minuti e 30 secondi).

Ovviamente la tentazione sarebbe quella di infilarmi nella discussione etichettando come "giusto" o "sbagliato" quanto sta avvenendo, visti anche gli analoghi problemi che abbiamo in Italia con i famosi "genitore 1" e "genitore 2" al posto di "padre" e "madre". Ma, essendo il modo con cui viene trattata l'inclusività di genere sotteso a una scelta ideologica, come tale la considero e vado oltre, cercando di osservare la questione da un punto di vista più globale.

Il linguaggio crea il pensiero e al contempo lo ingabbia. Cambiare il linguaggio, o parti di esso, per volontà propria o per costrizione, vuol dire semplicemente cambiare gabbia (o almeno provarci). Stare dentro ad una certa gabbia linguistica piuttosto che a un'altra può aiutare o al contrario ostacolare il proprio percorso esistenziale di consapevolezza, può anche spostarne la direzione, ma in nessun caso potrà offrire soluzioni ai problemi di fondo della natura umana. Al massimo può renderli più o meno evidenti. Così, possiamo sopprimere la parola "mamma" per spostare l'attenzione da certi problemi verso altri, possiamo anche creare un nuovo linguaggio completamente "asessuato", ma così facendo, di certo, non avremo risolto i problemi della sessualità e dell'identità di genere, li avremo soltanto spostati, nascosti o, peggio, ne avremo aggiunti di nuovi.

Ad ogni modo, coloro che cercano di costruire un linguaggio più "empatico" verso situazioni non così semplici da gestire, hanno tutta la mia solidarietà. Io stesso, in varie circostanze, mi sono trovato nella condizione di non disporre di aggettivi che non fossero né maschili né femminili in situazioni dove qualunque scelta duale avrebbe potuto non rispettare la sensibilità di chi si trovava di fronte a me. Quindi capisco il problema. Ma il vero problema è se l'empatia, la compassione e la comprensione reciproca ci sono davvero o no, soltanto in conseguenza di esse verranno "naturali" certe scelte linguistiche piuttosto che altre. Al di fuori di questi sentimenti, tutto il resto è finzione.

(Francesco Galgani, 13 febbraio 2021)

Epidemia di paura: vaccini e controindicazioni

I vaccini contro il virus infettivo della paura esistono, ma non possono essere acquistati in farmacia e non possono essere iniettati con una siringa.

Ce ne sono di vari tipi, la scelta è libera. Questi vaccini possono immunizzare direttamente o indirettamente contro la paura, in ogni caso dalla “scienza del cuore” sono considerati tutti validi.

Uno di questi immunizza contro il senso di solitudine, di isolamento, di unicità (nel senso di “essere uno ed uno soltanto”), di distanziamento: dopo l’assunzione, nei propri pensieri diminuisce sempre di più l’uso del pronome soggetto “io”, sostituito dal pronome soggetto “noi”. Tra gli effetti collaterali frequenti si nota una forte attenuazione del desiderio di sentirsi superiori, di ricercare consensi, di ricercare un amore esterno compensativo, di creare o accentuare contrasti; tra gli effetti poco frequenti è riportato un crescente distacco critico nell’uso della tecnologia e nel valore attribuitole, l’eventuale uso dei social si riduce o sparisce; tra gli effetti rari rientrano un cambiamento nell’uso del linguaggio, in particolare si riducono drasticamente i giudizi, le lamentele, le pretese e le accuse; tra gli effetti molto rari c’è un forte affievolimento e quasi sparizione della dicotomia bene/male, giusto/sbagliato, sparizione associata a pace interiore e piena gioia di vivere nel “qui ed ora”, con piena accettazione della complessità e contraddittorietà delle esperienze di vita. Nell’ultima casistica le condizioni generali di salute migliorano notevolmente.

Un altro di questi vaccini immunizza contro la “pretesa di conoscere”, cioè contro l’ignoranza; anche in questo caso si osservano importanti effetti collaterali nell’uso del linguaggio e nelle relazioni interpersonali, maggiore pace interiore e migliore salute generale.

Un altro ancora immunizza contro la paura di morire, di impazzire, di subire gravi malattie, menomazioni o di essere indigenti; l’effetto collaterale più comune è che sparisce anche la paura di vivere. Nei pazienti trattati con questo vaccino cambia il senso attribuito agli eventi sgraditi, spiacevoli o dolorosi, i quali divengono parte integrante e necessaria di un percorso personale di consapevolezza: più precisamente, tali eventi vengono ritenuti utili per “capire qualcosa che non abbiamo ancora capito”, sia a livello individuale, sia collettivo. Questo vaccino è particolarmente indicato per chi soffre di stati ansiosi, disturbi del sonno o crisi di panico.

Tutti questi vaccini sono ancora in via sperimentale, ma disponibili per chiunque ne faccia richiesta alla propria anima.

Francesco Galgani,
1 aprile 2021

Principio di igiene mentale (trasposizione del rasoio di Occam)

In linea di massima, una soluzione di un problema è semplice se rientra in ciò che, con un certo stato di consapevolezza, capiamo e riteniamo di poter realizzare, non-semplice in tutti gli altri casi. In questo senso, la semplicità o non-semplicità non sono strettamente legate a quanto tempo e impegno possa richiedere una soluzione, bensì a quanta comprensione ne abbiamo.

Con questa premessa semantica, dato un problema, se vogliamo salvaguardare la nostra salute mentale, fisica e relazionale:

  1. Se c'è una soluzione semplice tra quelle che riteniamo possibili, allora realizziamola.
  2. Se ci sono soltanto soluzioni non-semplici, allora occupiamoci di altro per permettere al nostro stato di consapevolezza di cambiare (al momento opportuno guarderemo il problema da un'altra prospettiva).
  3. Se non vediamo soluzioni, allora: o non esiste il problema o c'è qualcosa di importante che (ancora?) non abbiamo capito, in entrambi i casi è meglio se pensiamo ad altro.

Francesco Galgani,
3 aprile 2021

Covid e comunicazione (non?) violenta

Come sono migliorate o peggiorate le nostre relazioni umane in quest’epoca di costrizioni, divieti, arroganza, ipocondria, collera, violenza, non-lavoro, compressione delle libertà e dei diritti, lamentela, attenzione alla morte, ma anche amicizia, amore, ricerca, studio, lavoro, libertà, novità, gioia, gratitudine, attenzione alla vita? Gli opposti ci sono tutti, coesistono, tutto è interdipendente e vale il principio di contraddizione, ma cosa ne è di noi, del linguaggio che usiamo con noi stessi e con i nostri cari, cosa ne è della qualità della nostra vita e delle nostre relazioni?

Il percorso collettivo è fatto di tanti percorsi personali intrecciati. Qual è la nostra parte?

Il mio invito è mettere a confronto le questioni che qui ho sollevato con i video che, a suo tempo, avevo pubblicato in questa sezione dedicata alla comunicazione non-violenta:
https://www.informatica-libera.net/content/comunicazione-non-violenta-cnv-mauro-scardovelli

Grazie a tutti,
6 maggio 2021

Dal giudizio all'accoglienza con gratitudine: lo sguardo di Dio sulle disgrazie umane?

Quanto segue è un frammento di una conferenza dedicata ai “Tipi umani”, nel quale Mauro Scardovelli racconta una storiella secondo me meritevole di attenzione (per la quale lui ringrazia Raimon Panikkar, non mi è però chiaro quale sia la fonte). E’ una storia che negli anni ho sentito tante volte in occasioni diverse.

Sotto il video riporto i link dell’intera conferenza, tenutasi a Milano, nell’aprile 2009.

Quando Mauro parla del passaggio dal “linguaggio del giudizio” al “linguaggio dei bisogni e dei sentimenti”, si sta riferendo a quanto da lui meglio già spiegato nella serie di video dedicati alla “comunicazione non-violenta”, a loro volta basati sul libro “Parlare pace” di Marshall Rosenberg.

DOWNLOAD MP4

Video dell'intera conferenza: parte 1 - parte 2 - parte 3 - parte 4 - parte 5 - parte 6 - parte 7 - parte 8 - parte 9

Pillole di Psicologia - Il senso delle preghiere

Esistono un’infinità di forme di spiritualità e di modi di pregare, tutti quanti legittimi. Eppure, secondo me, nella grande impresa di “collegare” o di “far comunicare” il sé individuale con “ciò che è più grande del proprio sé individuale” (ammesso che sia questo il senso della preghiera), rischiamo di perdere la visione d’insieme. Indubbiamente il senso della preghiera dipende dal tipo e dalla qualità della spiritualità: anche laddove non sia presente una trascendenza verso cui rivolgersi, la preghiera potrebbe essere intesa come il tentativo di fondere ciò che è interno a sé con ciò che è esterno a sé, fino al punto in cui non ci sono più un interno e un esterno. La differenza rispetto a quanto ho scritto precedentemente è che non si tratta più di “far comunicare”, ma di “far coincidere”. Credo che questa sia la visione dei mistici di tutto il mondo, al di là dei contesti culturali e religiosi.

Eppure c’è qualcosa che “stona”, che non torna. Al di là della preghiera di chi ha riconosciuto la propria natura “divina” (o come altrimenti la si vuole denominare), ovvero di chi, messo da parte ogni egoismo, non fa appello unicamente a un potere esterno o a un potere interno, perché tutto è collegato a tutto, rimane il fatto che, nel senso comune, “pregare” è fondamentalmente sinonimo di “chiedere”. Di per sé non c’è nulla di male o di sbagliato, però potrebbe essere una trappola.

Provo a spiegare quest’ultimo punto, partendo dal presupposto che “nulla è per caso”, e che quindi ogni preghiera viene ascoltata e ottiene una risposta (al di là che questa risposta possa o meno piacere). Se non fossimo d’accordo su questo presupposto, la preghiera non avrebbe senso o quantomeno sarebbe fortemente depotenziata, ma se invece crediamo nel forte potere della preghiera, allora necessariamente crediamo che “tutto ha un senso”, ovvero che “nulla è per caso” (due modi diversi di esprimere lo stesso concetto).

Se fin qui siamo d’accordo, ovvero che “tutto ha un senso” e che “nulla è per caso”, quale effetto può avere una preghiera più o meno velatamente lamentosa, ovvero di continue richieste (o della stessa continua richiesta), fatta da chi si sente in continuo stato di bisogno? Una risposta può venire dagli studi delle discipline psico-sociali, che per anni mi hanno accompagnato. Nel 1948, il sociologo statunitense Robert King Merton (1910-2003), introdusse nelle scienze sociali il concetto di “profezia che si autoadempie”, definendola come «una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità». Merton trasse ispirazione dalla formulazione che un altro celebre sociologo americano, William Thomas (1863-1947), aveva dato di quello che è passato alla storia come Teorema di Thomas, che recita: «Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze». Orbene, qual è in questo caso la profezia che si autoadempie? Quella di essere in continuo stato di bisogno, perché con questa condizione interiore viene formulata la preghiera.

Se davvero tutto è collegato a tutto e tutto ha un senso, e se davvero la vita è la più alta forma di intelligenza che esista, cerchiamo di recuperare la visione d’insieme. Se siamo qui, c’è un motivo e per quel motivo (o missione) la vita già ci dà quel che ci occorre. E’ questione di crederci veramente o, in altre parole, di fidarsi della vita (senza giudizi, lamentele, pretese, accuse). Questa fiducia di fondo può cambiare completamente la condizione interiore rispetto alla preghiera, che non sarà più per “chiedere alla vita”, ma per “dare alla vita” ciò che Le occorre da noi, ovvero per adempiere alla nostra missione. Qual è in questo caso la profezia che si autoadempie? Quella di dare completo senso alla nostra esistenza e di avere già, adesso, in questo preciso momento, tutto ciò che ci occorre per adempiere alla nostra missione.

(22 luglio 2021)

Pillole di Psicologia - Darsi dei limiti = Darsi pace?

In questa piccola pillola di Psicologia, vorrei dedicare alcune parole riguardo al fatto che “darsi dei limiti” significa anche “darsi pace”.

In realtà nessuno di noi sa realmente quali siano i propri limiti in senso assoluto, in base al principio che “tutto sembra impossibile finché non viene realizzato”. Non è una questione di porsi dei limiti per non affrontare con coraggio le sfide e le opportunità della vita, è invece questione di darsi interiormente il permesso adulto e consapevole di “essere ok” così come siamo. Quando c’è una profonda accoglienza di noi stessi così come siamo, allora possiamo anche tirare fuori – con saggezza – il coraggio di fare ciò che sentiamo giusto e adeguato in base alle circostanze. Ciò richiede un atteggiamento fondamentalmente non giudicante e fiducioso nella vita.

Un importante atto di coraggio è anche quello di riconoscere l’esistenza di un limite, qualunque esso sia. Questo limite è ciò che ci rende umani e la pace sta proprio nell’accogliere con gratitudine la vita così com’è, con quello che siamo e per quello che abbiamo.

Darsi un limite significa, quindi, non solo darsi il permesso di “essere ok” così come siamo, ma anche il permesso di “essere felici e a proprio agio” nel qui ed ora (guardando al mondo come a un regalo gradito piuttosto che rifiutarlo come se fosse un inferno). Questi due sono i permessi fondamentali. Quando l’“Io adulto” sa darsi questi permessi, probabilmente è già abbastanza maturo da concedersi anche altri permessi, tra cui:

- discernere autonomamente, valutare, fare scelte;
- percepirsi e darsi credito come “grande e autonomo” e, al tempo stesso, “essere visto”, cioè riconosciuto e rispettato dagli interlocutori;
- darsi le proprie regole e costruire la propria etica, al di là delle regole apprese da bambini e delle pressioni sociali che ci accompagnano per tutta la vita;
- ribellarsi (possibilmente con intelligenza e saggezza) a ciò che è percepito come ingiusto o comunque non adeguato o rispettoso di sé;
- poter sbagliare, poter cambiare idee, stile di vita, comportamenti;
- potersi realizzare;
- poter dire di “no”;
- poter continuare a crescere e a svilupparsi per tutta la vita;
- potersi riposare;
- eccetera.

Se l’“Io” è davvero adulto e maturo, riconosce questi permessi anche alle altre persone e al contempo considera l’interazione con “l’altro diverso da sé” come fondamentale per la propria crescita e per un continuo cambiamento e arricchimento che non vuole bloccare.

Con queste premesse, chi sa darsi dei limiti davvero semina pace interiore e coesistenza pacifica e armoniosa.

Il più grande nemico di tutto ciò è un sentimento di fondo di “non sentirsi ok”, tale sentimento è un demone che ha comunque anche una funzione positiva. Il suo scopo, infatti, è quello di metterci continuamente di fronte alla scelta di credere alle critiche dell’oscurità giudicante o a quella di aver fede nella propria scintilla divina. Tale demone svolge una funzione positiva se la scelta è quella di amarci.

(22 luglio 2021)

Un suggerimento di lettura: “Io sono ok, tu sei ok – Guida all’Analisi Transazionale”, di Thomas A. Harris, editore BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2013 (traduzione e riedizione del saggio originale pubblicato negli Stati Uniti nel 1969).

Pillole di Psicologia - Trovare la giusta motivazione

Il fare umano, qualunque esso sia, spesso ha scopi ulteriori che trascendono l’“oggetto del farsi”, così come nel quadro di un pittore, o in qualsiasi altra opera o attività, possono esserci ragioni che stanno al di sopra della consapevolezza.

Tra queste ragioni, credo che molto del nostro “fare” sia un “sostituto relazionale”, ovvero, quando le interazioni sociali sono percepite come scarse e comunque non sufficientemente nutrienti e appaganti, riempiamo questa carenza affettiva con atti di natura diversa.

In particolare, ciò è vero nel campo delle arti, della letteratura, delle scienze e in ogni altro settore che necessiti atti creativi, sebbene ciò possa essere vero anche in qualsiasi altra situazione della vita. L’atto creativo in sé, a prescindere da quale esso sia, diventa occasione di relazione a volte nel “qui ed ora”, ma più spesso “a distanza nel tempo e nello spazio” (anche oltre la morte), diventa un possibile soddisfacimento del bisogno di riconoscimento, una maniera di affermare “io esisto” (o “io sono esistito”), ma anche un bisogno in sé che prescinde dalla relazione con l’altro, pur ricercandola.

Da questo punto di vista, qualsiasi atto creativo, o altro tipo di fatica, che non comporti una condivisione e un possibile riconoscimento, rischia di non essere sostenuto da sufficiente motivazione e di arenarsi. Non sempre è così, quel che intendo sottolineare è che si tratta di qualcosa al di sopra dell’“Io consapevole”, ovvero si tratta di un bisogno innanzitutto animico. Non è facile parlare di ciò in un contesto sociale, culturale, lavorativo e scolastico che riconosce e premia principalmente i bisogni egoici, cioè quelli contrapposti all’Anima e al di sotto dell’“Io consapevole” - vedi nota in calce (*). Eppure sono proprio i bisogni dell’Anima, espressi in sentimenti più o meno consapevoli, che motivano e sostengono il nostro agire.

Prima di impegnarsi in una qualsiasi attività, potrebbe essere questa la domanda fondamentale che ciascuno può porsi:

«Che tipo e qualità di relazione, condivisione o “atto creativo” comporta o può comportare il mio agire non soltanto in relazione con me, ma anche e soprattutto con “l’altro diverso da me”?»

Se a tale domanda non riuscissimo a trovare una risposta soddisfacente, probabilmente ci converrebbe mettere in seria discussione le nostre intenzioni, perché la vita è relazione, e in mancanza di relazione mancherebbe l’essenziale.

Tutto ciò può essere la motivazione profonda, reale e positiva alla base di una miriade di attività sociali, di volontariato, di condivisioni in cui il valore principale è proprio la “condivisione in sé”, a prescindere da possibili ritorni economici o di altro genere. A tal proposito, il mondo del Software Libero (come profetizzato dal maestro Richard Matthew Stallman) e delle licenze Creative Commons (di cui vediamo l’applicazione in progetti come Wikipedia) ne sono un esempio di grande valore umano e sociale.

Cercare “relazioni creative di qualità” è la testa d’ariete che può buttare giù il muro degli egoismi e regalarci una vita migliore.

(22 luglio 2021)

(*) Nota: in questo contesto, quando parlo dei bisogni animici, li considero “al di sopra” dell’“Io consapevole”, quando parlo dei bisogni egoici li considero invece “al di sotto” dell’“Io consapevole”. Tale modello che qui ho utilizzato è una trasposizione dell’ovoide di Roberto Assagioli, in cui faccio corrispondere l’Ego all’inconscio inferiore e l’Anima all’inconscio superiore. Tale modello è qui disegnato: http://www.psicosintesi.it/istituto/cosa-psicosintesi/ovoide. L'inconscio inferiore è il contenitore nel quale risiedono le funzioni fisiche automatiche, gli elementi istintuali primordiali, le pulsioni e tutto il materiale rimosso dal campo di coscienza. L’inconscio medio comprende il campo di coscienza e quegli elementi che possono volontariamente essere richiamati nel campo di coscienza. L'inconscio superiore contiene le qualità più elevate della psiche ed è il recipiente nel quale affluiscono le nostre intuizioni. Al centro dell'ovoide si colloca il "Sé personale" o "Io" (centro di coscienza e volontà) illuminato, dall’alto, dal "Sé transpersonale" o "Sé spirituale", che rappresenta l’animo profondo di ognuno e che pervade tutte le cose e dà accesso alle energie transpersonali. Tutti i livelli interagiscono tra di loro ed ogni struttura psichica è immersa nell’inconscio collettivo.

Pillole di discipline psicosociali - Dalla separazione all’unità

Vorrei cominciare questa breve riflessione con due frasi tratte da alcuni insegnamenti buddisti a me cari:

«Per adesso resta calmo e guarda cosa accade. E non andare in giro a lamentarti con altri di quanto ti sia difficile vivere in questo mondo. Un simile comportamento è del tutto sconveniente per un uomo saggio.» (tratto da “I tre tipi di tesori”, lettera di Nichiren Daishonin del 1277)

«La sfortuna viene dalla bocca e ci rovina, la fortuna viene dal cuore e ci fa onore» (tratto da “Gosho di Capodanno”, lettera di Nichiren Daishonin, anno non noto)

Già queste due frasi sono sufficienti, provo solo ad aggiungere una piccola considerazione riferita alla situazione attuale di noi italiani, che nell’ultimo anno, come popolazione, siamo riusciti a fare più di quattromila manifestazioni di protesta, anche con il nobile intento di attuare una “disubbidienza costituzionale”. Eppure siamo divisi? Anche le nostre famiglie sono spaccate?

Ogni evento della vita può e dovrebbe essere letto in maniera positiva. Se l’attuale disavventura può darci una lezione, forse è proprio quella di andare verso l’unità. Al di là delle separazioni ideologiche, è fondamentale plasmare la propria indole e comportamento.

Proviamo a parlare di meno, ad ascoltare, a non tentare di imporre una idea (anche perché sarebbe controproducente), a scoprire una “fiduciosa attesa” nell’apertura del cuore e dell’intelletto nostra e altrui, nell’accoglienza, nella pazienza.

Ragionare in “giusto e sbagliato” è una trappola, è la base di tutte le guerre e il rafforzamento proprio di ciò che si desidera combattere. E’ il contrario dell’unità, dell’amore, del rispetto, della conoscenza.

(9 agosto 2021)

Pillole di Psicologia - Non esiste una parola in tibetano per "bassa autostima"

Mia traduzione, con note tra parentesi e una precisazione linguistica in calce, di un paragrafo di "The one where I asked the Dalai Lama a question":

[...]

Una volta, molti anni fa [in una conferenza del 1990 a Dharmsala, in India, ndt], Sua Santità [Dalai Lama Tenzin Gyatso, ndt] era in riunione con un gruppo di terapeuti e insegnanti di meditazione occidentali.

Una di loro, Sharon Salzburg, gli chiese come poteva aiutare i suoi studenti con una bassa autostima.

«Bassa autostima? Che cos'è?» - chiese Sua Santità - «Non ne ho mai sentito parlare».

Il suo traduttore cercò di spiegarglielo, il che non fu affatto facile perché non esiste una parola in tibetano per "bassa autostima". Alla fine ci riuscì.

Sua Santità era incredulo: «Sei sicura che i tuoi studenti abbiano questo [problema]?», le chiese in modo pressante.

Lei rispose: «Certo che ce l'hanno. In effetti, io stessa ne soffro».

Una tale risposta lo fece saltare in aria, a quanto pare. Puntò col dito tutti i presenti nella stanza: «Ce l'avete anche voi [questo problema]? Ce l'avete?».

Tutti fecero cenno di sì e lui disse: «Come potete avere una bassa autostima se possedete [tutti quanti] la natura di Budda?».

[...]

Per chi vuole approfondire, quanto accaduto è confermato e raccontato dalla stessa Sharon Salzburg sul suo blog, in questo articolo qui linkato del 1 novembre 2002.

Una precisazione linguistica: le fonti che ho trovato in inglese relative a questo episodio a volte usano l'espressione "self-hatred" (odio di sé), a volte "low self-esteem" (bassa autostima). In questo contesto, il significato è lo stesso. L'espressione "odio di sé", infatti, è usata raramente da psicologi e psichiatri, che di solito descrivono gli individui affetti da tale sentimento come "persone con scarsa autostima" (fonte). Credo che l'equivalenza tra "odio di sé" e "bassa autostima" sia un ulteriore motivo di attenzione.

(13 agosto 2021)

Child regressions in an unmanageable reality

Reality is dual and carries contradictory facts, news, feelings, opinions, and beliefs. Opposites coexist. Usually, we can manage the conflicting nature of existence simply by focusing ourselves, that is, by creating a personal reality in which everything is coherent: as long as basic needs are satisfied (money, social recognition, love and friendships, health and sex, sports and other interests, etc.) this trick can work. This precarious attitude does not require great responsibility: we can divide things into "white" and "black," "right" and "wrong," "true" and "false," and spend an entire life in ignorance but satisfied. This comfortable view of reality forces us to make enemies: the existence of the enemy, who is always in error, justifies our way of life, which will therefore be, more or less, always correct.

However, the current social context makes this fake comforting living increasingly tricky. In general: money is lacking; social recognition implies complete masochistic prostitution to the dictatorship of the moment; love is more precarious than a job; friendships in social networks are often fake; health has given way to the fear of death and the near-certainty of not receiving help in case of need; etc.

These challenges do not affect all people; however, there is a substantial existential discomfort for the majority, partly because people lack reference points.

The information that comes through TV and social media is, on the whole, completely unreliable: it is contradictory and often based on a faithful adherence to an ideology. The words of the politicians in charge and their helpers are mandates; their words are truths lowered from overhead that are contradictory because politicians deny themselves without a moment of remorse or admission of guilt.

We live in "cognitive dissonance," a state of confusion of the human mind that leads the individual and the masses to regress to previous stages of the evolution of the reason, which is the child one.

In other words, when we live in a situation that rationally is not sustainable and without a solution because of hopeless conflict, our mind regresses to a child state. We ideally put ourselves in the hands of parental authority, which will solve the problem. Symbolically, we give this parental authority to those who govern us because reality has lost all sense, and therefore we have no choice but to rely on someone.

We can choose who we prostitute ourselves to; for example, some suitable authorities might be: the prime minister of the moment, any religious leader, the head of some cult, an angel, a demon, a lover, an alien, the office manager, our executioner, etc. Anyway, we sell our souls, replacing our conscience with someone else's.

From this point of view, asking God for help is just as childish and dangerous as asking Satan for help.

The alternative is to reject all faiths except faith in ourselves. This choice is the most challenging since it requires a lot of awareness and, in any case, it can lead to martyrdom, abandonment, social exclusion, loss. However, the similar attracts the similar, so, in reality, we are never alone.

(December 18, 2021)

Dream and sleep hacking, aka targeted dream incubation: an open letter signed by scientists

Dreams' Sacredness: let's not touch them
(Dreams' Sacredness: let's not touch them, December 21, 2021, go to the art gallery)


Dream Engineering

Advertising in Dreams is Coming: Now What?

Molson Coors recently announced a new kind of advertising campaign. Timed for the days before Super Bowl Sunday, it was designed to infiltrate our dreams [1]. They planned to use "targeted dream incubation" (TDI) [2] to alter the dreams of the nearly 100 million Super Bowl viewers the night before the game—specifically, to have them dream about Coors beer in a clean, refreshing, mountain environment—and presumably then drink their beer while watching the Super Bowl. Participants in what Coors called ‘the world’s largest dream study’ would get half off on a 12 pack of Coors; if they sent the link to a friend who also incubated their dreams, the 12 pack was free. With this campaign, Coors is proudly pioneering a new form of intrusive marketing. “Targeted Dream Incubation (TDI) is a never-before-seen form of advertising,” says Marcelo Pascoa, Vice President of Marketing at Molson Coors [3]. 

With brain imaging techniques beginning to capture the core contents of people’s dreams [4] and sleep studies establishing real-time communication between researchers and sleeping dreamers [5], the kind of dream incubation until recently assumed to be the pure science fiction of movies like Inception is now becoming reality. Coors is not the only company expressing interest in using these novel dream incubation technologies: Xbox's Made From Dreams uses TDI to give professional gamers dreams of their favorite video games, while Playstation advertises a new Tetris game based on a sleep study demonstrating that gameplay incubates Tetris dreams [5]. In 2018, Burger King created a "nightmare" burger for Halloween, claiming that a sleep laboratory study had ‘clinically proven’ it would induce nightmares [6]. And multiple marketing studies are openly testing new ways to alter and motivate purchasing behavior through dream and sleep hacking [7, 8]. The commercial, for-profit use of dream incubation is rapidly becoming a reality. 

Traditions of dream incubation—techniques employed during wakefulness to help a person dream about a specific topic—go back thousands of years and span indigenous practices across the globe. Over the last few years, brain scientists have begun to develop scientific tools that facilitate this incubation of specific dream content [2], making dream incubation more targeted and measurable, and allowing scientific experimentation on the nature and function of dreaming. They use sensors to determine when an individual’s sleeping brain is receptive to external stimuli and, at these times, introduce smells, sounds, flashing lights or even speech to influence the content of our dreams [9]. 

Dreams have ties to people’s well-being [10, 11], and dream content can predict how well someone will adapt to waking challenges and concerns, including those related to trauma and depression [12, 13]. Altering dream content can augment our creativity, boost our mood, and help us learn [14, 15]. We believe that targeted intervention in sleep and dreams could help alleviate several psychiatric conditions including depression and PTSD [12]. We know that targeted delivery of odors during sleep can help combat addiction; participants exposed during their sleep to the smells of cigarettes along with those of rotten eggs smoked 30% fewer cigarettes over the following week [16]. Researchers have not yet tested whether TDI can instead worsen addiction, but the Coors study, which paired images of beer cans not with odious smells but with images of clean mountain streams, may shine a disturbing light on this question. Regardless, such interventions clearly influence the choices our sleeping and dreaming brain make in how to interpret the events from our day, and how to use memories of these events in planning our future, biasing the brain's decisions toward whatever information was presented during sleep [17, 18].

These questions and developments should be considered in the broader context of sleep and memory research. The last twenty years have been a watershed for sleep research during which we have come to understand the importance of sleep for our memories and emotional health. It is while we sleep that our brain decides which memories to keep and which to forget, and how to organize those it keeps [19, 20]. It also can choose to keep the gist or the emotional core of a memory while letting other details be forgotten [20, 21]. Through this nocturnal process, the brain shapes the memories that together create our autobiographical past, our sense of who we are now, and our understanding of how best to live our lives in the future.

More recent studies have shown that dreaming represents another aspect of this nightly memory evolution. Our dreams are not attempts to suppress undesirable wishes, nor are they simply the result of random brain activity during sleep. Dreaming represents an evolved mechanism for exploring the relevance and importance of older memories to newer ones, seeking to position the events of our day among the innumerable memories and concepts we have accumulated across a lifetime [18], helping to make us just a bit wiser in the process. 

For now, TDI-based advertising requires our active participation, for example choosing to play an 8-hour Coors soundtrack while we sleep. But it is easy to envision a world in which smart speakers—40 million Americans currently have them in their bedrooms [22]— become instruments of passive, unconscious overnight advertising, with or without our permission. These tailored soundtracks would become background scenery for our sleep, as the unending billboards that litter American highways have become for our waking life. 

Our dreams cannot become just another playground for corporate advertisers. Regardless of Coors’ intent, their actions set the stage for a corporate assault of our very sense of who we are. And it is not difficult to imagine Coors' ad campaign negatively impacting abstinent alcoholics. Indeed, research has shown that abstinent drug users who report dreaming about their drug-use show higher levels of craving [23]. In the cigarette cessation study mentioned above, not only was the intervention effective in sleep (yet ineffective when the smells were presented during wake), but participants reported no memory of being exposed to these smells in the morning. The potential for misuse of these technologies is as ominous as it is obvious. 

TDI-advertising is not some fun gimmick, but a slippery slope with real consequences. Planting dreams in people’s minds for the purpose of selling products, not to mention addictive substances, raises important ethical questions. The moral line dividing companies selling relaxing rain soundtracks to help people sleep from those embedding targeted dreams to influence consumer behavior is admittedly unclear at the moment. While the Federal Trade Commission has indicated that subliminal ads during wake violate its statute requiring truth in advertising, there is no similar indication regarding exposure to advertisements during sleep. 

As sleep and dream researchers, we are deeply concerned about marketing plans aimed at generating profits at the cost of interfering with our natural nocturnal memory processing. Brain science helped design several addictive technologies, from cell phones to social media, that now shape much of our waking lives; we do not want to see the same happen to our sleep. We believe that proactive action and new protective policies are urgently needed to keep advertisers from manipulating one of the last refuges of our already beleaguered conscious and unconscious minds: Our dreams. 

Robert Stickgold  –  Harvard Medical School, Boston MA, coauthor of When Brains Dream

Antonio Zadra  –  Université de Montréal, Canada, coauthor of When Brains Dream

Adam Haar  –  M.I.T., Cambridge MA, co-developer of TDI tools

Signatories

Judith Amores  –  Harvard Medical School, Boston MA

Thomas Andrillon  –  Monash University, Australia

Kristoffer Appel  –  Institute of Sleep and Dream Technologies, Germany

Ryan Bottary  –  Boston College, Boston MA

Kelly Bulkeley  –  The Sleep and Dream Database, Portland OR

Tony Cunningham  –  Harvard Medical School, Boston MA

Per Davidson  –  Lund University, Sweden

Teresa DeCicco  –  Trent Univ, Canada

Eden Evins  –  Harvard Medical School, Boston MA

Rockelle Guthrie - David Geffen School of Medicine, University of California, Los Angeles 

David Kahn  –  Harvard Medical School, Boston MA

Alexandra Kitson – Simon Fraser University, Canada

Karen Konkoly  –  Northwestern University, Evanston IL

Célia Lacaux  –  Paris Brain Institute (ICM) - Paris, France

Anthony Levasseur - Université de Montréal, Canada

Pattie Maes  –  M.I.T., Cambridge MA

Louis-Philippe Marquis – Université de Montréal, Canada

Patrick McNamara  –  Boston University, Boston MA

Sara Mednick –  University of California, Irvine

Natália Bezerra Mota - Federal University of Pernambuco and Federal University of Rio de Janeiro 

Delphine Oudiette  –  Paris Brain Institute (ICM) - Paris, France

Edward Pace-Schott  –  Harvard Medical School, Boston MA

Ken Paller  –  Northwestern University, Evanston IL

Jessica Payne - University of Notre Dame, South Bend IN

Claudia Picard-Deland - Université de Montréal, Canada

Leila Salvesen - IMT School for Advanced Studies Lucca / Donders Institute

Sophie Schwartz  –  University of Geneva, Switzerland

Paul Seli  –  Duke Univ., Durham NC

Carlyle Smith  – Trent University, Canada

Matthew Spellberg -- Harvard University, Cambridge, MA

Katja Valli  –  University of Turku,  Finland

Tomás Vega  –  M.I.T, Cambridge MA

Erin Wamsley  –  Furman University, SC

Marco Zanasi  –  Torvergata Univ,  Italy

Morteza Zangeneh Soroush - Tehran University of Medical Sciences

(affiliations listed for identification only)

Citations

1. Coors. (2021). The Big Game Commercial of you Dreams. Retrieved from coorsbiggamedream.com.

2. Horowitz, A. H., Cunningham, T. J., Maes, P., & Stickgold, R. (2020). Dormio: A targeted dream incubation device. Consciousness & Cognition, 83, 102938. doi:10.1016/j.concog.2020.102938

3. businesswire.com. (2021). Spend Saturday Night Dreaming With Zayn Malik: Coors Light and Coors Seltzer Entice Chill and Refreshing Dreams. Retrieved from https://www.businesswire.com/news/home/20210204005955/en/.

4. Horikawa, T., Tamaki, M., Miyawaki, Y., & Kamitani, Y. (2013). Neural decoding of visual imagery during sleep. Science, 340(6132), 639-642. doi:10.1126/science.1234330

5. Konkoly, K., Appel, K., Chabani, E., Mironov, A. Y., Mangiaruga, A., Gott, J., . . . Witkowski, S. (2021). Real-time dialogue between experimenters and dreamers during REM sleep. Current Biology, in press. Retrieved from https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3606772

6. foodnetwork.com. (2018). Burger King Says New Burger Is ‘Clinically Proven to Induce Nightmares’. Retrieved from https://www.foodnetwork.com/fn-dish/news/2018/10/burger-king-says-new-burger-is-clinically-proven-to-induce-night.

7. Ai, S., Yin, Y., Chen, Y., Wang, C., Sun, Y., Tang, X., . . . Shi, J. (2018). Promoting subjective preferences in simple economic choices during nap. Elife, 7. doi:10.7554/eLife.40583

8. Mahdavi, M., Fatehi Rad, N., & Barbosa, B. T. r. o. d. o. a. i. p. i. D., 29(3), . https://doi.org/10.1037/drm0000110. (2019). The role of dreams of ads in purchase intention. Dreaming, 29(3), 241–252. doi:https://doi.org/10.1037/drm0000110

9. Solomonova, E., & Carr, C. (2019). Incorporation of external stimuli into dream content. In K. Valli & R. Hoss (Eds.), Dreams: Biology, Psychology and Culture (pp. 213-218). Westport, CT: Greenwood Publishing Group.

10. Pesant, N., & Zadra, A. (2006). Dream content and psychological well-being: a longitudinal study of the continuity hypothesis. J Clin Psychol, 62(1), 111-121. doi:10.1002/jclp.20212

11. Sandman, N., Valli, K., Kronholm, E., Vartiainen, E., Laatikainen, T., & Paunio, T. (2017). Nightmares as predictors of suicide: an extension study including war veterans. Sci Rep, 7, 44756. doi:10.1038/srep44756

12. Cartwright, R. (1991). Dreams that work: The relation of dream incorporation to adaptation to stressful events. Dreaming, 1, 3-9. 

13. Mellman, T. A., David, D., Bustamante, V., Torres, J., & Fins, A. I. (2001). Dreams in the Acute Aftermath of Trauma and Their Relationship to PTSD. Journal of Traumatic Stress, 14, 241-247. doi: https://doi.org/10.1023/A:1007812321136

14. Barrett, D. (2001). The committee of sleep : How artists, scientists, and athletes use dreams for creative problem-solving--and how you can, too. New York: Crown Publishers.

15. Erlacher, D., & Schredl, M. (2010). Practicing a motor task in a lucid dream enhances subsequent performance: A pilot study. The Sport Psychologist, 24(2), 157-167. 

16. Arzi, A., Holtzman, Y., Samnon, P., Eshel, N., Harel, E., & Sobel, N. (2014). Olfactory aversive conditioning during sleep reduces cigarette-smoking behavior. J Neurosci, 34(46), 15382-15393. doi:10.1523/JNEUROSCI.2291-14.2014

17. Hu, X., Antony, J. W., Creery, J. D., Vargas, I. M., Bodenhausen, G. V., & Paller, K. A. (2015). Cognitive neuroscience. Unlearning implicit social biases during sleep. Science, 348(6238), 1013-1015. doi:10.1126/science.aaa3841

18. Zadra, A., & Stickgold, R. (2021). When Brains Dream. New York: W.W. Norton.

19. Dumay, N., & Gaskell, M. G. (2007). Sleep-associated changes in the mental representation of spoken words. Psychological Science, 18(1), 35-39. Retrieved from http://www.ncbi.nlm.nih.gov/entrez/query.fcgi?cmd=Retrieve&db=PubMed&dopt=Citation&list_uids=17362375 

20. Payne, J. D., Stickgold, R., Swanberg, K., & Kensinger, E. A. (2008). Sleep preferentially enhances memory for emotional components of scenes. Psychological Science, 19(8), 781-788. doi:10.1111/j.1467-9280.2008.02157.x

21. Payne, J. D., Schacter, D. L., Propper, R. E., Huang, L. W., Wamsley, E. J., Tucker, M. A., . . . Stickgold, R. (2009). The role of sleep in false memory formation. Neurobiol Learn Mem, 92(3), 327-334. Retrieved from http://www.ncbi.nlm.nih.gov/entrez/query.fcgi?cmd=Retrieve&db=PubMed&dopt=Citation&list_uids=19348959 

22. voicebot.ai. (2020). Yes. The Bedroom is Now the Most Popular Location for Smart Speakers. Here’s Why and What it Means. Retrieved from https://voicebot.ai/2020/04/30/yes-the-bedroom-is-now-the-most-popular-location-for-smart-speakers-heres-why-and-what-it-means/.

23. Tanguay, H., Zadra, A., Good, D., & Leri, F. (2015). Relationship between drug dreams, affect, and craving during treatment for substance dependence. J Addict Med, 9(2), 123-129. doi:10.1097/ADM.0000000000000105

Coors ad: (https://youtu.be/tU_0jU0mMLw)

Quali parole possiamo scegliere per aiutare le persone a noi vicine a stare meglio?

Quali possibili reazioni possiamo avere quando ci vengono dette cose spiacevoli o quando accadono eventi sgraditi?
Quali parole possiamo scegliere per aiutare le persone a noi vicine a stare meglio?

video tratto da "La via della creatività spirituale", di Mauro Scardovelli (archivio video), della serie "La rivoluzione della Coscienza"

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Bullismo, Identità e Ruolo (di Klaus von Lorenz)

Prefazione

Ogni fenomeno è in grado di nascere, svilupparsi e progredire solamente in convivenza con il relativo fertile terreno di coltura che lo alimenta. Lo possiamo osservare, sia nella crescita batterica che nello sviluppo delle piante e quant'altro. Senza la presenza del substrato necessario il batterio non prolifica e, pertanto, egli non è in grado di compiere, ne una propagazione patologica ne una fermentazione alimentare. Nell'agricoltura osserviamo come una qualsiasi semenza è in grado di produrre piante in quantità e caratteristiche diverse secondo le differenti proprietà del terreno sul quale avviene la seminagione. Pertanto, in analogia al vitale legame fra il substrato e l'elemento da lui sostenuto, vediamo come l'insorgere del fenomeno bullismo è da attribuire, non solo all'autore di detto contegno, bensì ugualmente all'ambiente culturale che lo circonda. Ovvero, quella distinzione fra effetto e causa. Non per niente, ogni fenomeno comportamentale da noi osservato va recepito quale effetto d'una causa che, in modo retrospettivo, indica la fonte promotrice di tal contegno.

L'analisi d'un qualsiasi fenomeno può risultare bilanciata e tangibile solamente se l'effetto scatenante viene messo in relazione alla pertinente causa predisponente.

L'Essere Umano

L'essere umano, per natura, non è violento anche se, da parte di certe istituzioni, viene affermato ed insegnato esattamente l'opposto.

The three great epidemics

There are currently three significant epidemics: low self-esteem, guilt, and submission.
Usually associated with these sufferings of the soul are feelings of loneliness and shame.

Low self-esteem and fear of social judgment are a form of slavery and continuous suffering.
This suffering is a symptom of inner separation: one's internal parts do not dialogue, do not stay together, and one tries to prevail over the other.

Usually, one's masculine part (spirit) tries to subdue one's feminine part (soul). So the soul feels lonely and unloved; she feels "not ok." That's why she continuously pursue external confirmation that she is "ok," thus depending on social judgment. She seeks love externally, that is, in another person's spirit: from this arise infinite pathological forms of love.

This inner drama, this feeling of being "not ok," is because spirit and soul still do not know how to love each other; they are still disunited. External and invisible malicious entities are inserted within this separation, parasitizing the person. Usually, people call "demons" these inner voices that continuously disturb the inner harmony. Still, we can call them by other names as well.

"Not ok" feeling and "persistent guilt" are together: many people think that "all the evil in the world is because of me." Rationally we know that it is not so; unfortunately, however, we believe it.

Under these conditions, the human being feels to be lost. This drama is why we have an infinity of religions, political parties, gurus, leaders, and various characters that ask for our submission. In exchange for that submission, they promise us "salvation." Salvation from everything, of course, except their presence and the wars they cause.

Let our spirit and soul come together. Let our inner parts come together in an unbreakable marriage. So that within us, there is one integrated consciousness. In doing so, we first ask our soul to destroy all the internal entities within us, namely the demons.

At this point, we will have only one consciousness to obey, which is our own. We will no longer have to follow anyone else. Low self-esteem, guilt, and submission will be gone. We will return to what we have always been, a peaceful and beneficial presence in this world.

(March 7, 2022)

Die Kriegsmetapher (Sport und Wettkampf) - Klaus von Lorenz

Jede Form eines gesellschaftlichen Gefüges benötigt, um verwaltet zu werden, eine oder mehrere Bezugspersonen, welche fähig sind, die gemeinsamen Interessen der Gruppe zu erfassen und zu koordinieren. Diese Personen werden seitens der Gemeinschaft, aufgrund der erworbenen Erfahrungen und der persönlichen qualitativen Eigenschaften, die sie nachweislich besitzen, ausgewählt. Figuren, die man zielgerichtet der Gruppe zur Verfügung stellt. Dieses Vorgehen ist besonders gut bei kleinen und recht eigenständigen Einheiten von Naturvölkern zu beobachten. Diesen Verwaltern wird, seitens der Gruppe, eine eigene Identität erteilt, welche die diesbezügliche Persönlichkeit, sei es im Gehaben wie auch im Erscheinungsbild, von den anderen Bürgern differenziert. Es handelt sich um Mechanismen, die nicht der Selbstbetonung und der Mittelpunktstellung dieser Personen dienen sollen, sondern um diese Personen als Bezugspunkt zu betrachten für jedwede Hilfestellung, für eine Zusammenarbeit und zur Beratung. Grundlage des Erteilens, des Verteilens, der Hilfeleistung, der Gruppenkoordinierung und vieles mehr.

Spinte e Ingiunzioni: motivazioni nascoste dei nostri comportamenti

Osserviamo un modello della psiche umana, in cui ciascuno di noi potrà riconoscere qualcosa di sé, tratto dal libro "Dentro l'AT. Fondamenti e sviluppi dell'Analisi Transazionale". In alto osserviamo le spinte (sforzati, sbrigati, ecc.), in basso le ingiunzioni (non sentire, non esistere, ecc.).

Le spinte sono obblighi. Le ingiunzioni sono divieti più o meno letali, che funzionano come comandi interni che disturbano e contaminano il corretto funzionamento psicologico e alterano l'integrità e l'efficienza di un individuo.

Analisi Transazionale - Spinte e Ingiunzioni

Le spinte sono un modo per non entrare in contatto con il dolore provocato dalle ingiunzioni. In altre parole, ci aiutano a rimanere a galla, come mostra il disegno, e a non affogare in sentimenti molto dolorosi. Ma non è un aiuto sano, tutt'altro, e la qualità della vita ne risente negativamente.

Vediamo le principali ingiunzioni interiorizzate da piccoli e che possono influenzare tutta la vita, prendendo come riferimento il libro "Il cambiamento di vita nella terapia ridecisionale" e l'articolo "Comandi e proibizioni interiori: le ingiunzioni come spinte negative":

  • Non - Questa ingiunzione è data da genitori che hanno paura. A causa della loro paura, essi non permettono al bambino di fare molte cose normali: non avvicinarti alle scale (al bambino che trotterella appena); non arrampicarti sugli alberi; non pattinare; ecc. A volte questi genitori non volevano il bambino, riconoscono il loro desiderio primitivo che il bambino non esista e, sentendosi in colpa e terrorizzati dai loro stessi pensieri, diventano iperprotettivi. Altre volte il genitore diventa fobico, psicotico o iperprotettivo dopo aver perduto altri bambini a causa di una malattia o di un incidente. Man mano che il bambino cresce, il genitore si preoccuperà di qualsiasi azione il bambino proponga e dirà: "Ma forse sarebbe meglio se tu ci pensassi ancora un po’". Il bambino crede che niente di quel che lui fa sia giusto o sicuro, non sa che fare, e cerca qualcuno che glielo dica. Un bambino del genere avrà molta difficoltà a prendere decisioni, più avanti nella vita.
     
  • Non essere - Questo è il messaggio più letale e il primo da affrontare in una terapia. Può essere trasmesso in maniera sottile, come: "Se non fosse per voi bambini, divorzierei da vostro padre”. In modo meno sottile: "Vorrei che tu non fossi mai nato... così non avrei dovuto sposare tuo padre”. Il messaggio può essere trasmesso non verbalmente, attraverso il modo in cui il genitore tiene in braccio il bambino, senza cullarlo, si abbuia e brontola durante il bagnetto e i pasti, urla quando il bambino vuole qualcosa o è fisicamente violento. Ci sono un'infinità di maniere in cui si trasmette questo messaggio.
    Questa ingiunzione può esser data da madre, padre, bambinaie e governanti e da fratelli e/o sorelle.
    Un genitore può essere depresso perché il bambino è stato concepito prima del matrimonio o quando i genitori non volevano più bambini. La gravidanza può essersi conclusa con la morte della madre e il padre o i nonni danno al bambino la colpa di quella morte. Il parto può essere stato difficile e il bambino incolpato perché era troppo grande quando è nato: "Mi hai squarciato quando sei nato”. Questi messaggi, ripetuti molte volte in presenza del bambino, diventano il "mito della nascita”, che dice: "Se tu non fossi esistito, le nostre vite sarebbero migliori”.
    Il comando interiore "non essere" porta a un sentimento in cui la svalutazione di sé è talmente massima che la persona tende a non dedicarsi alla cura di sé come essere senziente e pensante. È una condizione che può facilmente spingere ad uccidersi.
     
  • Non entrare in intimità - Se un genitore scoraggia il bambino dall'avvicinarsi, il bambino interpreterà ciò come un messaggio: "Non entrare in intimità”. La mancanza di contatto fisico e la mancanza di carezze positive inducono il bambino a questa interpretazione. Inoltre, se il bambino perde un genitore a cui si sentiva vicino, per morte o per divorzio, può darsi da solo questa ingiunzione, dicendosi cose come: "Che scopo c'è ad entrare in intimità, tanto poi muoiono” e decidere di non entrare mai più in intimità con nessuno.
     
  • Non essere importante - Se, per esempio, un bambino non ha il permesso di parlare a tavola, gli si dice: "I bambini si devono vedere, ma non si devono sentire”, o lo si svaluta in qualche altro modo, lui può recepire questi messaggi come un: "Non essere importante”. Può ricevere questo messaggio anche a scuola.
    Questo è l'ordine interno che raccomanda alla persona di non sentirsi di valore. Quello che fa, sente, dice, pensa o percepisce, non ha molto valore ai suoi stessi occhi, e tutti i rimandi che tendono invece a potenziare o riconoscere le sue qualità sono minimizzati o deprezzati. È il tipico comportamento, molto usuale, di chi non fa caso, sminuisce, o devia un complimento, magari mettendo subito in evidenza una sua parte manchevole o deficitaria.
     
  • Non essere un bambino - Questo è il messaggio mandato da genitori che chiedono agli altri figli di occuparsi del più piccolo. È mandato anche da genitori che cercano di educare troppo presto alla pulizia, giudicano i bambini "ometti” o "donnine” dal momento in cui muovono i primi incerti passi, gli danno carezze perché siano educati prima che i bambini sappiano che cos'è l'educazione, e gli dicono, quando sono ancora in fasce, che solo i bambini in fasce piangono.
     
  • Non crescere - Questa ingiunzione è spesso data dalla madre al suo ultimo bambino, che sia il secondo o il decimo. E anche data spesso dal padre a una ragazza nel periodo pre-puberale o in piena pubescenza, quando egli comincia a sentire stimoli sessuali e se ne spaventa. Può allora proibire alla ragazza di fare le cose che tutte le sue amiche fanno come truccarsi, mettersi vestiti adatti alla sua età, uscire con ragazzi. Inoltre, il padre può interrompere le carezze fisiche appena la ragazza diventa troppo matura e lei interpreta ciò come: "Non crescere o non ti amerò più”.
     
  • Non avere successo - Se prima il padre batteva sempre il figlio a tennis ma quando il figlio comincia a vincere il padre smette di giocare con lui, ciò può essere interpretato dal figlio come: "Non vincere o non mi piacerai più”, che si trasforma in: "Non avere successo”. Le critiche costanti da parte di un genitore perfezionista danno il messaggio: "Non fai niente nel modo giusto”, che si traduce in: "Non avere successo”.
    Questo è il tipico comando interiore di chi, per sentirsi realizzato, paradossalmente, deve fallire, perché è in questo modo che si può riconoscere e giustificare alla vita. Se non riesce, conferma a se stesso di essere incapace, e tale abito, anche se lo invalida nelle sue competenze, lo rassicura circa l’idea di sé, che anche se squalificante gli dà il diritto di esserci.
     
  • Non essere te stesso - Questo messaggio è dato soprattutto al bambino che nasce del sesso "sbagliato”. Se la madre ha tre maschi, e ne nasce un quarto, essa può fare di questo bambino la sua "figlia”. Se un maschio vede che le femmine ricevono un trattamento di favore, può interpretare ciò come: "Non essere un maschio o non avrai mai niente” e avere problemi di identificazione sessuale. Un padre può non farcela più dopo quattro femmine, e insegnare alla quinta cose da "maschio” e da "uomo”, come giocare a calcio.
    Questo è il comando interiore di chi deve continuamente confrontarsi mediante la maschera, simulando emozioni che non ha, esprimendo pensieri ed identità che non gli appartengono; forse perché percepisce tutto questo come protettivo e cautelativo, rinunciando di fatto alla manifestazione autentica di sé, quindi anche in termini di bisogni, pagando alto il prezzo della mancanza di assertività; costruendo presumibilmente rapporti fittizi ed inconcludenti.
     
  • Non essere sano di mente e Non stare bene - Se i genitori fanno carezze ai bambini quando stanno male, e non gliene fanno affatto quando stanno bene, ciò è equivalente a dir loro: "Non stare bene”. Se comportamenti da matto sono ricompensati, o se si dà l'esempio di comportamenti folli e non li si corregge, l'esempio stesso si trasforma nel messaggio: "Non essere sano di mente”. Molti figli di schizofrenici hanno difficoltà nell'effettuare un esame di realtà, anche se non sono veramente psicotici. Si comportano da matti, e vengono spesso trattati come se fossero psicotici.
    Questo comando spinge a rendere precaria o compromessa la propria condizione psicofisica. Ciò porta a ricoprire il ruolo di vittima.
     
  • Non far parte - Se i genitori si comportano continuamente come se dovessero trovarsi da qualche altra parte, è difficile per il bambino sapere di che cosa fa parte. Egli potrebbe sentire sempre che anche lui non appartiene a nessun posto – anche se è nato in Italia, in Svezia o in America.
    Questo comando a non “sentirsi parte di” ha come conseguenza una sorta di fobia nel confronto sociale e nel condividere esperienza di gruppo, negandosi anche la possibilità di aiutare ed essere aiutato, negoziare o sottoscrivere patti, alleanze e valori comuni.
     
  • Non sentire - Questo comando giunge a chi, facendolo proprio, rinuncia ad abbandonarsi a percezioni emotive ed all’intuito, evitando di avvertire il mondo secondo le proprie percezioni sensoriali ed interne. La persona si difende attraverso una corazza fino a, in certi casi, deprivarsi sensorialmente, scollarsi dalla realtà per evitare di rimanere coinvolto o ferito. Come atteggiamento congiunto si potrebbe maturare una radicale attitudine a razionalizzare tutto (disconoscendo le proprie emozioni).

Vediamo adesso le spinte, ognuna delle quali rispecchia il messaggio interiore: "Io vado bene, se..." (mi sforzo, mi sbrigo, compiaccio, sono forte, sono perfetto). Ognuno di noi può esibire, in determinate circostanze, una o più spinte:

  • Chi si trova sotto l’influenza del “Sii Perfetto”, cercherà di essere sempre preciso e attento a non commettere alcun errore. Generalizzerà questo comportamento a più situazioni (relazioni, lavoro, famiglia, ecc.) pretendendo molto da sé e, spesso, dagli altri. Stabilirà standard elevati e irrealistici con il rischio di rimanere sempre insoddisfatto.

  • Chi è spinto dal “Sii Forte” è convinto che non bisogna mai mostrare fragilità, emozioni, debolezze, perché pericoloso o sconveniente. Il problema è l’assolutizzazione dell’ordine che ci porterà a non chiedere aiuto neanche quando necessario. In questo modo, svaluteremo importanti segnali del nostro corpo e messaggi nascosti dietro le nostre emozioni, perdendo un pezzo importante di autoconsapevolezza.

  • Sforzati” è il comando di chi è convinto che l’unico modo per raggiungere un obiettivo sia impegnarsi fino allo sfinimento. La vita va presa con sacrificio e impegno. Quello che è raggiunto senza “tentare disperatamente” non ha valore. I rischi possono essere il non avere tempo per altro (relazioni, interessi), senso di fatica e insoddisfazione. In genere la meta raggiunta non è mai abbastanza. Spesso “Sforzati” va a braccetto con “Sii Perfetto”.

  • Sbrigati” è il comando interno di chi non si dà mai tempo. Il tempo non è mai sufficiente: ”Devo sbrigarmi perché altrimenti perdo tempo!”. Ma è proprio correndo che si rischia di perdere tempo. Come capire di cosa si ha bisogno se non ci si ferma e ci si ascolta? E’ tipico avere attiva questa spinta quando siamo in ansia. Sbrigandoci, non ci diamo il tempo per pensare e scoprire le nostre risorse per affrontare i problemi.

  • La spinta “Compiaci” ci porta ad iper-adattarci a bisogni e desideri dell’altro, svalutando i nostri. Di conseguenza, non sappiamo cosa realmente vogliamo e desideriamo, trovandoci spiazzati quando, ad esempio, una relazione finisce. Cerchiamo negli altri qualcuno che ci indichi cosa fare, perché non sappiamo in che direzione andare. A fatica, riusciamo a dire la nostra. “Disubbidire” diventa difficile.

Riconoscere le nostre spinte, capire dove abbiamo imparato ad usarle e perché: una tale consapevolezza può aiutarci a scoprire modi più equilibrati e sani di vivere.

(11 agosto 2022)

L'attaccamento alle proprie idee come causa psicologica delle guerre

La guerra è un fenomeno complesso che ha molte cause, tra cui fattori sociali, economici, politici, morali e psicologici. Tra questi ultimi, rientra l'attaccamento alle proprie idee, inteso come l'identificazione di sé con le proprie convinzioni morali e politiche.

La teoria dei fondamenti morali

Uno dei principali studiosi che hanno sviluppato la teoria dell'attaccamento alle proprie idee è lo psicologo sociale Jonathan Haidt. Nella sua opera "The Righteous Mind: Why Good People Are Divided by Politics and Religion" (2012), Haidt sostiene che le persone siano attaccate alle proprie convinzioni morali e politiche in virtù di sei fondamenti morali universali:

  • cura / danni: apprezzamento e protezione degli altri;
  • giustizia / inganno: giustizia rappresentata da un accordo con norme condivise (nome alternativo: proporzionalità);
  • lealtà / tradimento: stai con il tuo gruppo, famiglia o nazione (nome alternativo: endogruppalità);
  • autorità / sovversione: obbedire alla tradizione e alla legittima autorità (nome alternativo: rispetto);
  • santità / degrado: antipatia per cose, cibi o azioni spiacevoli (nome alternativo: purezza);
  • libertà / oppressione: ci spinge alla ribellione quando ci sentiamo umiliati.

Secondo Haidt, le persone differiscono tra loro nella loro attenzione a questi fondamenti morali e questo può portare a conflitti intergruppi. Ad esempio, se due gruppi hanno un'attenzione diversa ai fondamenti morali della cura e della giustizia, potrebbero trovarsi in conflitto sui diritti sociali, come l'aborto o le questioni LGBTQ+ (approfondimento).

L'identificazione con le proprie idee

Un altro aspetto dell'attaccamento alle proprie idee è l'identificazione di sé con queste. L'attaccamento alle proprie idee può portare alla demonizzazione dell'altro e alla sua esclusione dalla comunità (come nel caso dell'attaccamento all'idea della mascherina, del vaccino e del green pass). L'identificazione con le nostre idee e con i nostri valori, infatti, può facilmente diventare un'ideologia, un insieme di credenze tanto solide da escludere gli altri. L'ideologia non permette di considerare le sfumature e le complessità del mondo, e può portarci alla demonizzazione di chi vediamo come un ostacolo alla realizzazione dei nostri obiettivi.

Un'ideologia rigida e dogmatica esclude la possibilità di considerare i punti di vista degli altri e di trovare un terreno comune per risolvere i conflitti.

L'identificazione con le proprie idee può essere accentuata dall'effetto delle camere d'eco, che si verifica quando ci circondiamo di informazioni e opinioni che confermano le nostre idee pregresse e tendono a ignorare o respingere informazioni e opinioni che le contraddicono.

Come l'attaccamento alle proprie idee può portare alla guerra

L'attaccamento alle proprie idee può portare alla guerra in diversi modi. In generale, le persone possono percepire le opinioni e le azioni degli altri come minacciose per i propri valori e quindi agire in modo aggressivo e violento. In secondo luogo, possiamo dividerci in gruppi contrapposti sulla base delle nostre convinzioni morali e politiche, con conseguenti conflitti intergruppi. Infine, l'identificazione con le proprie idee può portare alla demonizzazione dell'altro e al rifiuto di negoziare o di trovare un compromesso.

Un esempio di come l'attaccamento alle proprie idee possa portare alla guerra è l'attuale conflitto tra il cosidetto "blocco occidentale" a trazione statunitense e il blocco asiatico (Russia e Cina, quest'ultima non ancora direttamente coinvolta, ma poco ci manca). Questo conflitto ha radici storiche, politiche ed economiche complesse, probabilmente anche non-umane (mi riferisco alla contrapposizione tra Asura, cioè Stati Uniti, e Deva, cioè Russia), ma l'umano attaccamento alle proprie idee e l'identificazione di sé con esse sono fattori che ci stanno conducendo verso l'Apocalisse. Le due parti del conflitto hanno fondamenti morali e identità politiche forti e differenti, che si escludono reciprocamente. Ciascuna di esse considera se stessa come il Bene e l'altra come il Male. Da questo punto di vista, l'attuale guerra è percepita e dichiarata da molti come lo scontro tra il Bene e il Male, tra Dio e Lucifero, tra la Luce e le Tenebre, o come qualsiasi altra coppia di opposti che fanno riferimento a valori morali supremi. Non a caso molti politici invitano a stare dalla "parte giusta" della storia. Già, ma "giusta" in base a un criterio fideistico?

Dopo un conflitto mondiale che a breve potrebbe distruggere il mondo così come lo conosciamo, dalle sue ceneri nascerà un mondo migliore? Non lo so. Alcuni dicono di sì. Io ho seri dubbi al riguardo se non ci sarà anche un serio cambiamento nel modo di relazionarsi tra tutti noi, rinunciando all'attaccamento alle nostre idee e a identificarci con esse.

Possibili strade alternative

In questo conflitto finale, così come in tanti altri storici, le divisioni religiose hanno spesso portato a una forte identificazione con le proprie credenze e a un rifiuto degli altri. Non sto dicendo di diventare più ecumenici o più "inclusivi" (termine abusato e sovente capovolto nel significato), perché finché rimarremo solo nel mondo delle idee non potremo creare alcuna convivenza armoniosa.

E' più utile, invece, portare la nostra attenzione sul fatto che siamo tutti interdipendenti, ovvero ciascuno di noi esiste perché esiste l'altro diverso da sé. Come scrisse Daisaku Ikeda: «Nessun essere umano viene al mondo solo, o diviene adulto senza interagire con altre persone. In generale tutti nasciamo e cresciamo in un contesto familiare, fino a raggiungere la maturità. Marito e moglie, genitori e figli, fratelli e sorelle, siamo tutti uniti da un’invisibile legge naturale. Questi legami del cuore esprimono l’essenza di una vera famiglia».

Appunto, è il cuore che è importante.

(14 febbraio 2023)

Il miracolo della pace nella gioia dell’essere (Mauro Scardovelli)

DOWNLOAD MP4

(video del 25 febbraio 2023 - fonte - archivio video di Mauro Scardovelli)

Pillole di Psicologia - Profilo comportamentale del manipolatore e della manipolatrice

Riporto i seguenti due audio a cura dell’anonima autrice del canale Deabendata. La descrizione del modello comportamentale di chi ha l’abitudine di tenere sotto scacco familiari, colleghi o altre persone vicine mi sembra molto verosimile.

L'Era della Persuasione Bellica > Dinamiche comunicative e psico-sociali per giustificare la guerra

Mentre il mondo si schiera e il conflitto si espande, sorge una domanda pressante: «Perché ci infliggiamo simili sofferenze?». È una questione che sfida ogni tentativo di spiegazione esaustiva, poiché la guerra, nella sua brutale semplicità, è un antico modo di affrontare i problemi, radicato nelle profondità della storia umana.

Diverse chiavi di lettura cercano di dare senso a questo fenomeno ancestrale. Alcuni individui, ad esempio, evocano l'intervento di entità aliene, in una cosmica contrapposizione che si ripercuote sulla Terra, mentre altri scrutano le configurazioni astrali, attribuendo a Marte, il dio della guerra, un'influenza diretta sui nostri comportamenti bellicosi.

Tuttavia, preferisco ancorare la riflessione a noi stessi, ad una "introspezione collettiva". È nostro, infatti, il talento nel creare illusori giustificativi, nel raggirarci con argomentazioni che dipingono la violenza come un percorso necessario o addirittura giusto.

Ma quali meccanismi ci portano a sostenere la guerra? La risposta può risiedere in una serie di sofisticate trappole comunicative e psicologiche, che vanno ben oltre la propaganda superficiale:

1. Polarizzazione: dividere nettamente la popolazione in due gruppi contrapposti.

2. Mostrificazione: raffigurare uno dei due gruppi come intrinsecamente malvagio e mostruoso.

3. Morale binaria: assegnare etichette di "bene" e "male" ai due gruppi, stabilendo una dicotomia morale assoluta.

4. Legittimazione e delegittimazione: celebrare le azioni di un gruppo come giuste e legali, mentre si denunciano le azioni dell'altro come criminali.

5. Dissenso come eresia: etichettare come "traditori" o "simpatizzanti del nemico" coloro che mettono in dubbio la guerra o le sue giustificazioni.

6. Esaltazione del martirio: glorificare chi va in guerra e chi supporta la causa bellica come eroi.

7. Ostruzione al dialogo: commettere atti volti a rendere il dialogo tra i gruppi impossibile.

8. Rabbia indotta: sostituire il pensiero critico con emozioni negative attraverso l'uso di immagini e narrazioni che provocano indignazione.

9. Costruzione del conflitto: adottare la sequenza "(1) creare un problema, (2) creare un  nemico additandolo come causa del problema, (3) proporre l'annientamento del nemico come soluzione".

10. Revisionismo storico: inventare una narrativa storica che giustifichi la guerra, ignorando o distorcendo le vere cause e la storia recente o passata.

11. Propaganda: diffondere sistematicamente messaggi che rafforzino la narrazione di guerra, utilizzando i media per escludere prospettive alternative.

12. Censura informativa: controllare l'informazione disponibile per sopprimere punti di vista contrastanti e rinforzare il messaggio ufficiale.

13. Simbolismo: creare e utilizzare simboli e slogan per rafforzare l'unità interna e l'opposizione al nemico.

14. Autoritarismo: sfruttare l'autorità e la tradizione per legittimare l'azione bellica.

15. Manipolazione degli eventi: utilizzare o inventare incidenti e attacchi per giustificare il rinnovato fervore bellico.

Queste tattiche ingannevoli tendono ad essere speculari e parallelamente impiegate da entrambe le parti in conflitto, portando a crimini e giustificazioni simili sotto la bandiera di presunti beni supremi.

Stiamo attenti. Cerchiamo di rimanere vigili contro ogni manipolazione.

Finché rimarremo in contatto con la nostra Coscienza, avremo ben chiaro che l'unico bene supremo è la Vita stessa, intrinsecamente opposta agli orrori della guerra. Ogni filosofia di pace, ogni religione e ogni sistema etico degno di considerazione pone al centro i diritti umani, sostenendo la loro inalienabilità e sacralità. È dovere di ciascuno di noi proteggere e valorizzare la vita di ogni persona, a cominciare dalla propria.

Coloro che onorano e curano ogni vita umana con rispetto incarnano le qualità di un'umanità profondamente evoluta, che è ciò di cui oggi, più che mai, abbiamo bisogno.

(3 novembre 2023)

Coscienza (Francesco Galgani's art, November 3, 2023)
(Go to my art gallery)

La paura come radice del conflitto umano

Gran parte dell'agire umano è mosso dalla paura, anche se di solito tale paura non viene mai dichiarata come tale.
Ad esempio, le attuali guerre che sembrano voler infiammare il mondo intero nascono dalla paura, che in questo caso è paura dell'altro, della sua esistenza, del suo agire, del fatto che l'altro possa distruggere la propria identità. Con questa chiave di lettura, tutte le guerre, dal punto di vista di chi le vive e di tutte le parti coinvolte, sono sempre guerre difensive, anche quando un'osservatore esterno leggerebbe quello che accade in modo molto diverso. Anche lo sterminio di un popolo è, dal punto di vista di chi lo fa, un'azione difensiva mossa dalla paura, anche se tale paura non solo non è dichiarata, ma è ben nascosta sotto il macigno della mostrificazione dell'altro e della finta dualità di buoni e cattivi.

Se ascoltiamo le dichiarazioni, nessuno dice "io faccio questo perché sono cattivo", bensì la narrazione è "io faccio questo perché l'altro mi mette in pericolo".

E' solo una lettura psicologica, non sto giustificando alcuna barbarie. Il male non si combatte con i mezzi del male, cioè con odio, distruzione, guerra o, come vediamo in questi giorni, con i carri armati che passano sopra le persone schiacciandole come mosche. No, si combatte perseverando nel bene, resistendo nel bene, e di conseguenza essendo disposti a portare la propria croce.

Paura è sinonimo di separazione, e separazione è sinonimo di mancanza di amore, o appunto di unione. Al tempo stesso, il significato etimologico di cattivo è captivus, che indica il prigioniero di guerra ridotto in schiavitù, con riferimento alle sue lacrime, alla sua disperazione, che poi egli trasforma ed esterna in rabbia e ferocia. Questa etimologia dovrebbe metterci in guardia sulle vere origini della cattiveria. Captivus è "colui che viene catturato, fatto prigioniero". Potrei aggiungere, come deduzione, che "captivus", e quindi la cattiveria, indica una separazione dolorosa e importante, e che la prigionia è una prigionia dell'anima.

Riassumendo, parole come "paura", "separazione" e "cattiveria" indicano condizioni simili e sovrapponibili. A volte la paura è semplicemente quella di perdere il proprio "potere", e dove c'è potere inteso come "dominazione" c'è l'esatto opposto dell'amore, cioè dell'unione. Quindi anche la parola "potere" indica una "separazione", e quindi "paura" e "cattiveria".

Questi collegamenti semantici non sono immediatamente evidenti, ma scavando nelle proprie ombre troviamo questo e altro. Così, possiamo scoprire che crearsi dei "nemici" non è altro che un modo con cui estroiettiamo le nostre ombre attribuendole ad altri. E nelle nostre ombre c'è tutto, sia il carro armato, sia chi lo guida, sia chi soccombe sotto di esso.

(31 dicembre 2023)

Le nostre ombre

Certi uomini sono impermeabili alla ragione e al dialogo.
Questi individui desiderano solo vedere il mondo bruciare.
Sono maestri nel raccogliere consensi, nell'essere amati e serviti, nel dominare e illudere senza pietà.

Raccontano ciò che è più conveniente per suscitare emozioni, sentimenti, pensieri, suggestioni in chi li ascolta, senza conoscere né curarsi della verità.

Amano il potere, gestire denaro e persone, ma mai si mostrano per ciò che realmente sono, né lo ammettono a se stessi. Solo quando sono davvero spaventati e si sentono in trappola, le maschere cadono e il loro falso perbenismo si dissolve.

Il mondo è sempre andato avanti così. Tuttavia, ciò che possiamo vedere in questi uomini malati risiede anche dentro ciascuno di noi, nascosto nella nostra ombra.

L'ombra è un concetto introdotto da Carl Gustav Jung e rappresenta l'insieme degli aspetti della personalità che l'individuo non riconosce o rifiuta di ammettere in sé stesso. Questi aspetti possono includere desideri repressi, emozioni nascoste, e impulsi che contrastano con l'immagine ideale che la persona ha di sé stessa. L'ombra è una parte integrante della psiche umana e si manifesta in vari modi, a volte in forma di sogni, fantasie, o comportamenti inconsci.

L'ombra contiene anche Thanatos, l'istinto di morte, che si nasconde nelle profondità della psiche di ogni individuo. Anche nelle persone apparentemente sane di mente, esiste una parte oscura che può essere attratta dalla distruzione e dalla negatività. Questo istinto può emergere in situazioni di stress estremo, frustrazione, o quando l'individuo si sente minacciato. Thanatos rappresenta il desiderio di annullamento, di fine, e di ritorno a uno stato di non esistenza, che può manifestarsi attraverso comportamenti autodistruttivi o aggressivi.

La presenza di Thanatos nell'ombra non implica necessariamente che tutti agiscano in modo distruttivo, ma riconoscere la sua esistenza è cruciale per comprendere la complessità della natura umana. Solo affrontando e integrando l'ombra si può raggiungere una maggiore consapevolezza di sé stessi e, di conseguenza, un equilibrio interiore. Questo processo di integrazione richiede coraggio, poiché implica guardare dentro di sé e accettare aspetti che si preferirebbe ignorare o negare.

Infine, è importante riconoscere che l'ombra non è solo negativa. Anche Eros, l'istinto di vita, risiede nell'ombra. Aspetti positivi della personalità, come la creatività e la capacità di amare, possono essere repressi e diventare parte dell'ombra se non sono accettati o valorizzati. La chiave sta nel riconoscere e integrare entrambi gli istinti, Eros e Thanatos, per vivere in modo più autentico e equilibrato.

Pertanto, anche se possiamo vedere in certi uomini una manifestazione estrema di Thanatos, dobbiamo ricordare che questi impulsi esistono in misura diversa in tutti noi. La differenza sta nella nostra capacità di riconoscerli, accettarli e gestirli in modo costruttivo, piuttosto che lasciarli prendere il controllo della nostra vita.

(10 giugno 2024)

Quando l’inclusività esclude, come superiamo le logiche divisive?

È ormai ampiamente noto il fervente dibattito che ha inondato il web e i social media riguardo alle Olimpiadi del 2024. Le critiche all’organizzazione e all’ideologia sottostante sono state numerose e spesso intrise di polemiche e tensioni. Potrei approfondire queste discussioni, talvolta avvelenate dall’odio, ma non lo farò. Tutto ciò che di negativo poteva essere detto è già stato espresso. Preferisco invece astenermi dalle polemiche specifiche e offrire una riflessione più ampia, guardando la questione da una prospettiva più metacomunicativa.

Invito i miei (pochi) lettori a rasserenarsi prima di proseguire. Mettiamo da parte tutto ciò che può averci turbato e di cui i social continuano a parlare. Mettiamo da parte le nostre idee, e andiamo oltre, altrimenti rimarremo impigliati in una ragnatela mortale. Ricordiamoci che i social alimentano le divisioni e le ideologie estreme, e che ci fanno vedere nemici anche dove non ci sono. Stesso discorso per i giornali e la televisione.

Ciò premesso, le Olimpiadi del 2024 ci offrono uno spunto per analizzare la complessità delle dinamiche sociali e psicologiche che possono derivare da una narrazione pubblica mal calibrata. Quando parliamo di inclusività, ci riferiamo all'idea di abbracciare e valorizzare la diversità, creando un ambiente in cui tutte le persone si sentano accettate e rappresentate. Tuttavia, se la comunicazione che accompagna questi sforzi è gestita male, il risultato può essere esattamente opposto, generando divisione e alienazione sociale.

Il paradosso dell'inclusività

Uno dei paradossi più significativi emersi da eventi come le Olimpiadi è la contraddizione tra il messaggio dichiarato di inclusività e gli effetti reali di tale messaggio. L’intento di creare un ambiente inclusivo e accogliente per tutti, attraverso simboli, rappresentazioni o dichiarazioni di principio, può involontariamente escludere o offendere segmenti della popolazione che non si riconoscono in quella narrazione. Questo fenomeno non è solo una questione di comunicazione fallita, ma rappresenta una sorta di “follia cognitiva” in cui dichiariamo di voler ottenere un certo effetto (inclusione), ma otteniamo l’effetto contrario (esclusione).

Questo paradosso è alimentato da una tensione tra l'intenzione dei comunicatori scelti dalle istituzioni o da società o enti di grande rilevanza e la percezione del pubblico. In un contesto sociale frammentato e diversificato, è inevitabile che non tutti condividano gli stessi valori, simboli e narrazioni. Quando un evento globale si propone di rappresentare valori universali, c’è il rischio che quei valori, per quanto ben intenzionati, non riescano a risuonare con tutti. In questi casi, coloro che si sentono esclusi dalla rappresentazione possono percepire il messaggio come imposto, provocando reazioni di resistenza, rabbia, offesa, sdegno o alienazione sociale.

La soggettività dell’offesa e l'incoerenza sociale

Il concetto di soggettività dell’offesa gioca un ruolo centrale in questo scenario. Nella società moderna, abbiamo sviluppato un crescente interesse verso il riconoscimento delle percezioni individuali. Secondo questa logica, ciò che conta non è l'intenzione di chi comunica, ma la percezione di chi riceve il messaggio. Se qualcuno si sente offeso o escluso, quella sensazione è legittima a prescindere dall’intenzione iniziale. Ciò è in linea con la saggezza dei principi della Programmazione Neuro Linguistica (PNL):

LA MAPPA NON È IL TERRITORIO
 
1. Le persone agiscono in funzione della propria percezione della realtà.
 
2. Ogni persona ha una propria mappa del mondo. Nessuna mappa del mondo è più ‘reale’ o ‘vera’ di altre.
 
3. Il significato della propria comunicazione è nella risposta che si riceve, indipendentemente dall’intenzione di chi comunica.
 
4. Le mappe più ‘sagge’ e più ‘compassionevoli’ non sono quelle più ‘reali’ o più ‘accurate’, ma quelle che mettono a disposizione il più ampio ed il più ricco numero di scelte.
 
5. Le persone possiedono (o hanno potenzialmente) tutte le risorse necessarie per agire in modo efficace.
 
6. Le persone operano le migliori scelte possibili fra le possibilità che vengono loro date e le capacità che percepiscono disponibili dal loro modello del mondo. Qualsiasi comportamento, non importa quanto malvagio, pazzo o bizzarro sia, è la scelta migliore a disposizione della persona in quel momento – se alla persona viene data la possibilità di una scelta più appropriata (nel contesto del suo modello del mondo) essa sarà propensa ad usarla.
 
7. Il cambiamento avviene quando si libera una risorsa appropriata per il contesto che si sta vivendo, o quando si attiva una potenziale risorsa, all’interno di un contesto particolare. In entrambi i casi la mappa del mondo di una persona si arricchisce.
 
tratto da: I presupposti della PNL

Ciò è in netto contrasto con l'idea diffusa che ciascuno sia responsabile di ciò che dice e che fa, e non di ciò che viene compreso dagli altri delle proprie parole o azioni. Lascio che ciascuno di noi rifletta su questo contrasto, usando gli accadimenti delle Olimpiadi 2024 come caso di studio.

Inoltre, c'è un ulteriore incoerenza o contrasto. L'approccio di legittimare completamente la soggettività e le esperienze individuali può portare a incoerenze quando applicato in modo selettivo. Se da un lato difendiamo la sensibilità di gruppi specifici, dall'altro possiamo ignorare o minimizzare la legittimità delle reazioni di coloro che si sentono esclusi o offesi dalle stesse manifestazioni che dichiarano di promuovere l'inclusività. Dovremmo quindi stare molto attenti.

Il ruolo della metacomunicazione

La metacomunicazione, ovvero il messaggio che va oltre il contenuto esplicito della comunicazione, gioca un ruolo cruciale in queste dinamiche. La metacomunicazione riguarda il “come” qualcosa viene comunicato e quale impatto sociale e psicologico questo ha su chi lo riceve. Nel caso delle Olimpiadi 2024, la metacomunicazione ha creato una significativa divisione a livello globale. Il modo in cui l’inclusività è stata rappresentata, invece di unire, ha finito per polarizzare l’opinione pubblica. Questo avviene perché la metacomunicazione spesso opera a un livello subconscio, attivando reazioni emotive che possono essere in conflitto con l’intenzione dichiarata del messaggio.

La polarizzazione è amplificata dalla natura moderna dei media e della comunicazione, dove le narrazioni vengono rapidamente amplificate e frammentate attraverso i social media e le piattaforme digitali. In questo ambiente, qualsiasi messaggio, anche quello più benigno, può essere interpretato e reinterpretato in mille modi diversi, a seconda delle esperienze e delle convinzioni personali degli individui.

Inclusività come strumento di esclusione

Questo processo ci porta a riflettere sul fatto che l’inclusività, quando applicata in modo non critico, può trasformarsi in uno strumento di esclusione. Un messaggio che si propone di includere tutti può diventare escludente se non tiene conto delle varie sfumature culturali, sociali e individuali delle persone a cui si rivolge. Questo fenomeno è indicativo di una più ampia tendenza nella società contemporanea: l’imposizione di un pensiero unico sotto il pretesto dell’inclusività. Tale imposizione può alienare socialmente coloro che non si riconoscono in essa, portando a un aumento della divisione sociale.

Suggerimenti per superare le logiche divisive nella comunicazione pubblica

Per affrontare e superare queste dinamiche divisive, dobbiamo agire su due livelli: promuovere politiche pubbliche più inclusive e critiche, e lavorare a livello individuale e psico-relazionale. Mentre il cambiamento nelle politiche mediatiche e pubbliche potrebbe richiedere tempo e, nel breve periodo, continuare a proseguire sul binario morto dell'inclusività escludente, ciascuno di noi può intraprendere azioni concrete per contribuire a un ambiente sociale più armonioso.

Cominciamo a tracciare il "possibile" cambiamento di direzione della comunicazione pubblica. Quando dico "possibile", intendo che è realmente possibile, perché tutto ciò che esiste è in continuo cambiamento. Se invece non lo riteniamo "possibile", allora non abbiamo comprenso la legge dell'impermanenza (anitya). La storia è fatta di continui cambiamenti, anche improvvisi e imprevedibili.

1. Riconoscere la complessità del pubblico

Riconosciamo che il pubblico non è un blocco monolitico, ma una moltitudine di individui con esperienze, valori e percezioni differenti. Ogni iniziativa che punta all'inclusività dovrebbe partire dall’ascolto delle diverse voci presenti nella società, senza presupporre che un solo messaggio possa andare bene per tutti. Dovremmo sempre ricordarci che le opinioni contrastanti sono comunque legittime, e che non esiste "una" verità, ma "tante" verità che si completano a vicenda nella loro interdipendenza e contrapposizione.

2. Promuovere una comunicazione autentica e aperta

Cerchiamo di promuovere un dialogo aperto e autentico, in cui tutte le voci possano essere ascoltate. Questo include il riconoscimento delle critiche e delle preoccupazioni di coloro che si sentono esclusi, cercando di integrare queste prospettive nella narrazione complessiva.

3. Valorizzare la pluralità di opinioni

Valorizziamo la pluralità di opinioni, vedendola come una risorsa e non una minaccia. Un ambiente davvero inclusivo è quello in cui tutte le opinioni possono coesistere, anche quelle che sono in disaccordo con la narrazione dominante. Questa pluralità dovrebbe essere coltivata e rispettata.

4. Evitare la polarizzazione mediatica

Contrastiamo attivamente la tendenza alla polarizzazione amplificata dai media. Le piattaforme digitali e i media tradizionali hanno il potere di amplificare le divisioni, quindi promuoviamo contenuti che incoraggino la comprensione reciproca piuttosto che la conflittualità.

5. Educare alla comprensione e alla riflessione critica

Promuoviamo un'educazione alla comprensione reciproca e alla riflessione critica, preparando le nuove generazioni a gestire la complessità delle dinamiche sociali. Dobbiamo incoraggiare le persone a comprendere non solo i propri sentimenti, ma anche quelli degli altri, sviluppando la capacità di vedere le cose da diverse prospettive.

Azioni a livello individuale e psico-relazionale

Mentre lavoriamo per un cambiamento nelle politiche pubbliche e nella comunicazione collettiva, possiamo anche agire a livello individuale per contrastare le logiche divisive e promuovere relazioni più sane e inclusive. Ecco alcuni suggerimenti pratici:

1. Coltivare la consapevolezza di sé

Iniziamo con la consapevolezza di sé, che è la base di qualsiasi cambiamento personale. Riflettiamo su come reagiamo ai messaggi di inclusività ed esclusività che riceviamo dai media e dalla società. Chiediamoci se le nostre reazioni sono basate su paure, pregiudizi o esperienze passate, e lavoriamo per comprendere le radici di queste emozioni. La pratica della riflessione su noi stessi può aiutarci a riconoscere le nostre tendenze e a rispondere in modo più equilibrato.

2. Praticare l'empatia attiva

L’empatia non è solo una qualità innata, ma è anche una competenza che possiamo coltivare attraverso la pratica attiva. Cerchiamo di metterci nei panni degli altri, soprattutto di coloro con cui non siamo d'accordo. Ascoltiamo attentamente le loro esperienze e opinioni, cercando di capire da dove provengono. Questa pratica ci aiuta a ridurre la polarizzazione nelle nostre interazioni quotidiane e a creare connessioni più profonde e significative.

3. Costruire la capacità di gestire le emozioni

Nel mondo moderno, siamo costantemente esposti a messaggi contrastanti e potenzialmente divisivi. Costruiamo la nostra capacità di gestire le emozioni imparando a non reagire impulsivamente a tutto ciò che vediamo o sentiamo. Possiamo sviluppare questa capacità attraverso attività come la meditazione, l'esercizio fisico regolare e il mantenimento di relazioni sane. Essere emotivamente stabili ci permette di mantenere la calma e la chiarezza di pensiero anche di fronte a situazioni polarizzanti.

4. Sviluppare una mentalità aperta

Una mentalità aperta ci permette di accogliere la diversità di pensiero senza sentirci minacciati. Invece di cercare conferme alle nostre convinzioni, pratichiamo l'apertura verso nuove idee e prospettive. Possiamo farlo leggendo libri e articoli di autori che hanno opinioni diverse dalle nostre, partecipando a discussioni con persone di diverso background e mantenendo una curiosità attiva verso il mondo che ci circonda.

5. Promuovere la comunicazione non violenta

La comunicazione non violenta (CNV) è un metodo che ci aiuta a esprimere le nostre esigenze e sentimenti senza accusare o ferire gli altri. Quando ci troviamo in disaccordo, cerchiamo di usare un linguaggio che sia rispettoso e aperto al dialogo. Invece di concentrarci su ciò che ci divide, poniamo l'accento su ciò che abbiamo in comune e lavoriamo insieme per trovare soluzioni.

6. Agire come modelli positivi

Una conseguenza indiretta e inevitabile della nostra presenza nel mondo è che le nostre azioni quotidiane possono avere un impatto significativo su chi ci circonda, sia in una direzione che nell'altra. Da questo punto di vista, il nostro miglioramento interiore è anche una responsabilità sociale.

Conclusione

Superare le logiche divisive richiede un impegno sia collettivo che individuale. A livello pubblico, possiamo promuovere politiche che incoraggino una comunicazione autentica e rispettosa della pluralità. A livello individuale, possiamo coltivare l'auto-consapevolezza, l'empatia e la stabilità emotiva, adottando comportamenti che favoriscono la comprensione e l'inclusione. Anche se il cambiamento a livello di politiche pubbliche potrebbe richiedere tempo, le nostre azioni quotidiane possono fare una differenza immediata nel creare un mondo più armonioso e coeso.

(9 agosto 2024)

Olimpiadi 2024 (Francesco Galgani's art, August 9, 2024)
(Olimpiadi 2024, go to my art gallery)

Esame di realtà e realtà immaginata: manipolazione e disconnessione dalla realtà

Questo è un articolo di psicologia, che prende le mosse da una notizia del 16 agosto 2024:

L'OMS e l'UNICEF hanno richiesto una tregua umanitaria nella Striscia di Gaza tra fine agosto e inizio settembre 2024, con l'obiettivo di vaccinare 640.000 bambini sotto i dieci anni contro la poliomielite. Questa notizia, riportata da fonti autorevoli come il sito dell'UNICEF (fonte) e l'ANSA (fonte), sottolinea l'importanza della campagna vaccinale per prevenire la diffusione della polio in una zona martoriata da conflitti devastanti. Secondo l'UNICEF, la vaccinazione verrà effettuata da 708 squadre mediche, supportate da circa 2700 operatori sanitari.

Il problema di questa notizia è che solleva interrogativi profondi su cosa significhi veramente comprendere la realtà e le priorità in un contesto di emergenza estrema come quello di Gaza, che potremmo paragonare a un cataclisma.

Da un punto di vista razionale, questa notizia è surreale, come se fosse frutto di un'analisi di realtà gravemente compromessa. In una situazione dove la sopravvivenza quotidiana è quasi impossibile, con un popolo che soffre la fame, la sete, la distruzione delle infrastrutture e gli orrori di una violenza incessante, l'idea di concentrarsi su una campagna di vaccinazione, per quanto possa apparire (falsamente) sensata in condizioni normali, è completamente disconnessa dalla realtà immediata.

Chiunque di noi si trovi in uno scenario del genere, non avrebbe dubbi che le priorità sarebbero l'accesso a cibo, acqua, cure mediche di base, un alloggio decente e soprattutto sicurezza, senza il rischio costante di essere uccisi, mutilati, invalidati e di perdere da un momento all'altro familiari e amici. Invece, è grottesco e offensivo che l'attenzione venga deviata su una campagna vaccinale in un contesto dove la morte e la distruzione sono all'ordine del giorno, e in cui i prigionieri vengono rinchiusi in lager con trattamenti brutali sovrapponibili a quelli del nazismo storico.

Questa inverosimile narrativa dell'OMS e dell'UNICEF è probabilmente costruita non tanto sulla base di un'analisi di realtà, ma piuttosto sulla manipolazione della realtà immaginata, al fine di creare una determinata percezione (non reale) nel grande pubblico. E' come se si volesse indurre un senso di urgenza che, per quanto (falsamente) legittimo possa essere in altri contesti, qui appare come un tentativo di distogliere l'attenzione dai veri problemi.

L'implicazione sottostante è che i vaccini siano sempre e comunque salvifici, nonostante le crescenti e vistose controevidenze che hanno caratterizzato gli ultimi anni, e non solo quelli. Questo tipo di narrazione negazionista, che finge l'assenza di dubbi sull'utilità dei vaccini, l'assenza di prove certe dei loro gravi danni (morte compresa) e, nel caso specifico, l'assenza di opposizione da parte dei bambini in questione o di chi ne esercita la tutela, ci ricorda le distopie orwelliane, nelle quali la realtà viene continuamente riscritta per conformarsi alle esigenze del potere.

In psicologia, l'analisi di realtà è un concetto cruciale che fa riferimento alla capacità di una persona di percepire e interpretare correttamente il mondo esterno e le sue circostanze. Freud e altri psicoanalisti hanno descritto l'analisi di realtà come una funzione essenziale della mente, che ci permette di distinguere tra ciò che è reale e ciò che è frutto della fantasia o della distorsione. Quando questa funzione è compromessa, come nel caso di alcune psicopatologie, si possono manifestare sintomi quali deliri o allucinazioni. Nell'odierno panorama mediatico, c'è l'intento deliberato di invalidare drammaticamente l'analisi di realtà delle masse, creando una percezione del mondo funzionale ai deliri delle guerre, della finanza, dei padroni delle Big Tech e di Big Pharma.

Ciò che stiamo osservando potrebbe essere come una forma indotta di psicopatia, dove la capacità collettiva di distinguere tra realtà e finzione viene manipolata. Questa manipolazione non solo confonde il grande pubblico, ma può anche portare a scelte politiche e sociali che sono gravemente disfunzionali e pericolose.

In un mondo dove la verità è costantemente capovolta, diventa sempre più difficile e faticoso per tutti noi mantenere una visione chiara e sana della realtà. Tutti noi siamo vulnerabili alle distorsioni e alle manipolazioni orchestrate da coloro che detengono il potere. Dobbiamo stare molto attenti, perché le tecnologie che usiamo quotidianamente ci erodono dentro e compromettono la nostra capacità di comprendere e di relazionarci.

Vediamo più in dettaglio come le tecnologie che usiamo quotidianamente influenzano la nostra analisi di realtà, in particolare a livello di auto-riflessione, empatia e compassione:

L'auto-riflessione è la capacità di analizzare e comprendere i propri pensieri, emozioni e comportamenti. L'uso costante di tecnologie come smartphone, social media e altre forme di intrattenimento digitale riduce il tempo che dedichiamo all'auto-riflessione. La continua "distrazione" fornita da queste tecnologie ostacola lo sviluppo di una profonda comprensione di sé stessi e delle proprie azioni, portando a una diminuzione della consapevolezza personale e del benessere mentale.

L'empatia è la capacità di comprendere e condividere i sentimenti degli altri. L'interazione mediata dalla tecnologia, rispetto alla comunicazione a tu per tu, manca del necessario nutrimento affettivo e riduce la nostra capacità di empatizzare con gli altri. Le tecnologie digitali creano una distanza emotiva tra di noi, nascondendo o alterando i segnali emotivi sottili che sono fondamentali per costruire connessioni empatiche. Per di più, possiamo tranquillamente dire che i social media sono deliberatamente costruiti per "far litigare".

Questa distanza emotiva negli ultimi anni è stata esacerbata anche dall'uso diffuso delle mascherine, che ha creato gravi danni nello sviluppo emotivo e relazionale dei bambini più piccoli. Tutto ciò ci sta conducendo sempre di più in un agglomerato di individui emotivamente isolati, di monadi senza comunità. Ne seguono il non-senso dell'esistenza e l'insoddisfazione costante, che possono scivolare facilmente in dipendenze e depressione, perché l'essere umano trova senso della propria esistenza all'interno di comunità empatiche, del riconoscimento reciproco e di relazioni sicure.

La compassione, strettamente legata all'empatia, è la capacità di provare preoccupazione per le sofferenze degli altri e il desiderio di alleviarle. La tecnologia ci sta desensibilizzando sempre di più ai bisogni degli altri, compromettendo la nostra capacità di provare compassione e di agire sulla base della compassione. Non è solo una questione di distacco e di intermediazione tecnologica tra le persone. L'esposizione costante a immagini e notizie di grave sofferenza, simulata o reale, tramite i media digitali (cinema, televisione e social) causa una sorta di "esaurimento empatico", che ci conduce verso l'insensibilità.

Inoltre, tendiamo a mettere sullo stesso piano la simulazione del cinema, e dei contenuti falsi generati con l'IA, con gli accadimenti reali, come ben esemplificato dal finale del film "The Truman Show". Dopo che Truman esce dal set e si chiude la porta dietro di lui, ci sono delle scene che mostrano le reazioni del pubblico che ha seguito il suo "show" per anni. In una di queste scene, due guardiani notturni che stavano guardando lo spettacolo su un monitor esclamano qualcosa come "Che altro c'è in TV?" o "Cambiamo canale?", quasi immediatamente dopo che Truman ha lasciato il suo mondo fittizio. Questa breve scena serve a sottolineare come, nonostante la vita di Truman fosse una realtà per lui, per il pubblico era solo un programma televisivo, facilmente sostituibile con qualcos'altro. È un commento sottile ma potente sulla natura della televisione (e oggi dei social) e sulla disumanizzazione che può derivare dal consumo passivo di contenuti.

Senza auto-riflessione, empatia e compassione, non può esserci una sana analisi di realtà.

La storia ci insegna che la realtà, per quanto brutale, deve essere affrontata con chiarezza e onestà. Non possiamo permettere che la nostra capacità di giudizio venga offuscata da narrazioni superficiali o distorte, che spingono agende specifiche a scapito di una comprensione autentica dei fatti. E' fondamentale per ciascuno di noi sviluppare una capacità critica che ci permetta di analizzare e interpretare gli eventi.

E' nostro dovere, come individui e come collettività, resistere alle facili manipolazioni e rimanere vigili di fronte alle strategie che cercano di ridefinire la nostra percezione del mondo.

(19 agosto 2024)

Seguire il proprio daimon: un viaggio verso l'autenticità e la realizzazione

Premessa

Nella frenesia della vita moderna, spesso associata a solitudine, isolamento, scarsa empatia, sfiducia e autosvalutazione, siamo spesso portati a considerare salute e malattia, benessere e malessere, come stati fisici o mentali da curare con rimedi esterni o psicoterapici. Tuttavia, esiste un'altra prospettiva, più profonda e antica, che invita a guardare a queste esperienze come segnali di una realtà interiore più complessa.

In questa visione, la malattia è ben più di un problema da risolvere, essendo un messaggio del nostro "daimon", quell'entità messaggera tra il divino e l'umano che guida le nostre scelte e il nostro destino.

Ascoltare il proprio daimon può rivelarsi la cura più autentica ai mali dell'esistenza, portandoci a riallineare la nostra vita con il nostro vero sé e a vivere in armonia con la nostra essenza più profonda. Questo approccio ci spinge a interrogare direttamente il nostro daimon, e ad ascoltarlo costantemente, per uscire dal disagio.

Origini e sviluppo del concetto di daimon

Il concetto di daimon interiore ha radici profonde nella filosofia antica, specialmente in quella greca. Il termine "daimon" in origine non aveva una connotazione negativa come potrebbe avere oggi la parola "demone" nella tradizione cristiana, ma indicava piuttosto uno spirito o una forza divina che guidava l'individuo. Platone (428-348 a.C.), nel suo "Simposio", descrive il daimon come un intermediario tra gli dèi e gli esseri umani, una sorta di entità che connette il mondo terreno con quello divino. In questo contesto, il daimon rappresenta una guida, una voce interiore che conduce l'individuo verso la realizzazione del proprio destino.

Nel corso della storia, questa idea è stata reinterpretata da diversi pensatori. Ad esempio, durante il Rinascimento, Marsilio Ficino (1433-1499) riprese l'idea platonica del daimon, arricchendola con influenze neoplatoniche e cristiane, e lo identificò come una sorta di angelo custode che guida l'anima umana verso il suo compimento. Anche Carl Gustav Jung (1875-1961), il fondatore della psicologia analitica, rielaborò questo concetto associandolo all'archetipo dell'ombra, quella parte inconscia della personalità che contiene tanto gli aspetti oscuri quanto le potenzialità inespresse dell'individuo.

James Hillman (1926-2011), psicologo e filosofo, ha svolto un ruolo fondamentale nella rivisitazione moderna del concetto di daimon. Nella sua opera "Il Codice dell'Anima", Hillman descrive il daimon come una figura centrale nella vita di ogni individuo, rappresentante l'essenza unica e irripetibile di ciascuno. Per Hillman, il daimon non è un'entità separata o sovrannaturale, ma una realtà psichica interna, una forza o energia che guida l'individuo verso la realizzazione del proprio destino o vocazione. Hillman considera il daimon come un "codice" che ciascuno porta dentro di sé, una sorta di progetto preesistente che determina le nostre inclinazioni, passioni e scopi nella vita.

Questo concetto moderno differisce dall'idea originale del daimon come entità autonoma o intermedia tra il divino e l'umano, tipica della filosofia antica. Nella visione classica, il daimon era visto come una figura spirituale esterna, potenzialmente benevola o malevola, che influenzava la vita umana dall'esterno. Era un intermediario tra l'uomo e il divino, un'ispirazione o un messaggero che poteva orientare il destino degli individui. Con l'evoluzione del pensiero psicologico, specialmente grazie all'influenza di Jung e Hillman, il daimon è stato interiorizzato, diventando una parte integrante della psiche umana, un simbolo delle forze interne che guidano le nostre scelte di vita.

Il daimon come guida interiore

Il daimon interiore, sia che lo si voglia concepire nella maniera più antica o più moderna, cioè come entità tra il divino e l'umano o come forza psichica interiore, in ogni caso spinge l'individuo verso certe direzioni, anche se queste possono apparire contraddittorie o difficili da comprendere razionalmente. Questa forza interiore può esprimersi in modo grossolano, attraverso il corpo e le emozioni, influenzando la salute fisica e mentale della persona. È come se il daimon cercasse di comunicare con noi attraverso segnali che non sempre siamo pronti e aperti a comprendere.

Ad esempio, la malattia può essere interpretata come un segnale che il daimon utilizza per indicare che qualcosa nella vita dell'individuo non è in armonia con la sua vera natura. Quando ignoriamo il nostro daimon o lo reprimiamo, cercando di conformarci a ciò che la società o gli altri si aspettano da noi, questo può manifestarsi in disturbi fisici o psichici. La malattia, in questo contesto, diventa un messaggio del daimon che ci invita a riconsiderare le nostre scelte e a riallineare la nostra vita con il nostro vero sé.

Al contrario, quando seguiamo il nostro daimon, possiamo sperimentare un senso di serenità e realizzazione. Questo non significa che la vita diventi facile o priva di ostacoli, ma piuttosto che sentiamo di essere sul cammino giusto, in armonia con il nostro scopo interiore. Il daimon ci spinge a realizzare il nostro potenziale, a vivere autenticamente, e questo può portarci a una profonda soddisfazione personale, anche se il percorso può essere faticoso e pieno di sfide.

Le emozioni forti, come il malessere o la svalutazione, possono anch'esse essere interpretate come espressioni del daimon. Quando ci sentiamo insoddisfatti, frustrati o depressi, potrebbe essere perché stiamo vivendo in disaccordo con la nostra natura profonda. Il daimon ci avvisa che stiamo tradendo noi stessi, che stiamo trascurando i nostri veri desideri e bisogni. Ignorare queste emozioni significa ignorare il nostro daimon, il che può portare a un progressivo allontanamento da ciò che siamo destinati a essere.

Ascoltare il daimon richiede coraggio, poiché spesso ci conduce verso l'ignoto, verso scelte che possono sembrare irrazionali o rischiose. Tuttavia, è proprio in questi momenti che il daimon si rivela più potente: ci spinge a superare le nostre paure, a uscire dalla nostra zona di comfort e a esplorare nuove possibilità di crescita e trasformazione.

Il daimon, quindi, può essere visto come la parte più autentica e profonda del nostro essere. E' la nostra vocazione interiore, il nostro vero sé, la nostra guida. Il daimon ci ricorda continuamente chi siamo e cosa dobbiamo fare per realizzare il nostro destino, e lo fa attraverso una comunicazione che può essere sottile ma anche brutale, attraverso il corpo, le emozioni e le esperienze della vita quotidiana.

Il daimon interiore è quindi una guida preziosa nella complessità della vita. Ci invita a vivere in modo autentico, a seguire la nostra vocazione, a non tradire la nostra vera natura. Anche quando la sua voce è difficile da comprendere o accettare, è sempre lì, pronta a mostrarci la via verso la nostra realizzazione più profonda. Ascoltarlo significa aprirsi alla possibilità di una vita piena di significato, anche se questo richiede di affrontare le sfide e i conflitti che inevitabilmente emergono lungo il cammino.

(4 settembre 2024)