Riflessioni su un passo della Bibbia
Passo della Bibbia su alimentazione vegetariana e sul rapporto con la natura
Il passo è Genesi, cap. 1, frase 29:
Poi Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo.»
(fonte, sito del Vaticano: http://www.vatican.va/archive/bible/genesis/documents/bible_genesis_it.html)
Nello stesso capitolo, Dio dice che l'uomo deve "dominare" su tutti gli animali, ma in quel passo specifica che non deve "mangiarli". Dominare su tutto il creato, secondo me, può significare tante cose, a cominciare dal fatto di averne rispettosamente cura e attenzione, perché noi esseri umani siamo effettivamente l'unica specie vivente del pianeta che può intervenire sulla natura. Avevo già incontrato questi passi della Genesi duranti i miei studi di Psicologia. Nella mia tesi di laurea su "Solitudine e contesti virtuali", nella sez. 2.4.1, avevo scritto:
La graduale specializzazione dell’homo sapiens sapiens, con la prima separazione “tacita” dalla natura, è iniziata circa 30000 anni fa e trova un’analogia nel racconto biblico: «Nella Genesi, 1, 27, troviamo il resoconto della visione che i primi agricoltori avevano di sé in relazione al mondo naturale. “Dio disse prolificate, moltiplicatevi e riempite il mondo, assoggettatelo e dominate su tutti gli animali che si muovono sopra la Terra”. Eldredge ritiene che questa sia la più grande dichiarazione di indipendenza mai pronunciata dall’umanità. L’indipendenza alla quale si riferisce è, ovviamente, quella dal resto della natura» (Tattersall, 2004). Tale mito dell’indipendenza dalla natura è oggi estremizzato ed esasperato nelle attività umane moderne, che stanno persino mettendo a rischio la stessa sopravvivenza della specie umana (Eldredge, 2000). A livello psicologico, la coscienza dell’unicità umana e della separazione dal mondo naturale ha portato con sé un’emozione profonda, continua e non eliminabile: la solitudine (Cutolo et al., 2013). Questo è ancor più vero nella nostra epoca ipertecnologica e individualistica: secondo il sociologo polacco Zygmunt Baumann, l’individualismo esasperato è causa ed effetto della solitudine (Bauman, 2002).
Secondo me, è tempo di entrare nell'ordine di idee che ritrovare unità con la natura e con noi stessi è più che mai necessario.
Tornando al discorso dell'alimentazione, come ho scritto nella poesia "L'ultima guerra", l'importante è "uccidere la voglia di uccidere": di tutti i possibili comandamenti, sento che questo è il più importante. Per me ciò significa, come minimo, vivere vegan. Questo tema compare anche nella Religione dell'Ultima Lotta, pure essa si presenta come testo rivelato.
Mi viene a mente Plutarco, che nell'opera "Sul mangiar carne", scrisse:
«Tu chiedi per quale ragione Pitagora si astenesse dal mangiar carne; io invece, mi chiedo, stupito, con quale sentimento, con quale stato d'animo o in base a quale ragionamento, il primo uomo abbia toccato con la bocca ciò che era frutto di un assassinio, abbia accostato alle labbra la carne di un animale morto e, poste dinnanzi a sé tavole di corpi morti e corrotti, abbia chiamato pietanze e nutrimento quelle parti che poco prima muggivano, emettevano voci, si muovevano, vedevano il mondo.
Ma quale furore e quale follia spinge voi oggi alla sete di sangue, voi che avete in abbondanza tutto quanto è necessario? Perché accusate falsamente la terra, come se non fosse in grado di nutrirvi?
E poi chiamate selvaggi i serpenti, i leopardi, i leoni, mentre proprio voi siete assetati di sangue; quanto a crudeltà non siete affatto inferiori a quelli. Essi infatti uccidono per avere di che nutrirsi; voi per avere pietanze prelibate.»
Sarebbe interessante confrontare il passo della Bibbia sopra citato con il Vangelo Esseno della Pace: Gesù dà indicazioni chiare in tema di alimentazione.
Francesco Galgani,
inizialmente scritto il 21 aprile 2014, finito di scrivere il 23 novembre 2019.
Piccolo diario di pensieri (di Francesco Galgani)
L'inganno del nostro tempo
Ho una sensazione. Non credo di avere la verità in mano, ma nemmeno di sbagliarmi troppo...
La mia sensazione è che quando una persona o un insieme di persone hanno "troppi" soldi rispetto alla gente comune, da qualche parte sia stato commesso un inganno nei confronti di molti, anche quando tali soldi non implichino attività considerate illecite.
La malattia è un'opportunità
Ci sono malattie che non conoscono religione, politica, filosofia, credo, istruzione, genere, reddito, lavoro, ecc.: quando arrivano, non si curano del fatto se sei una persona buona o cattiva, bella o brutta, intelligente o stolta, con famiglia o sola, con figli a carico o meno.
Quando arrivano, arrivano. Ma la vera differenza possiamo farla noi.
Lo spazio e il tempo
Ho un pensiero, riguarda la dimensione spaziale e temporale della vita, ovvero come cambiano i nostri pensieri e comportamenti in base a quanto piccolo o grande concepiamo il nostro microcosmo e a quanto corto o lungo è il tempo nel quale immaginiamo gli effetti del nostro agire.
Durata della vita
Nella mia precedente riflessione, intitolata "Lo spazio e il tempo", avevo espresso l'importanza di allargare la concezione degli effetti delle proprie azioni oltre la durata della presente esistenza, ovvero oltre la morte.
Il ruolo del "capitale sociale" nei disastri che colpiscono un intero territorio
Vorrei proporre una riflessione sul concetto di "capitale sociale" e su come esso si traduca nella realtà quotidiana, specialmente quando capitano problemi molto seri. Farò riferimento all'alluvione che ieri ha colpito le Marche e che sicuramente avrà effetti nel lungo periodo, ma ovviamente le stesse considerazioni sono estendibili a eventi analoghi.
La radice di tutte le guerre: da quelle personali a quelle mondiali
E' facile parlare di pace o sperare passivamente (e in verità con poca convinzione) in un mondo meno violento, è invece molto più difficile essere protagonisti di un cambiamento che porti giorno dopo giorno alla pace. Tale difficoltà non è solo una questione di intenti, ma deriva principalmente dalla mancata comprensione di quale sia la radice da cui partono tutte le guerre, da quelle piccole e personali verso una persona o un gruppo di persone, a quelle di portata ben più ampia, come le guerriglie, il terrorismo o un vero e proprio conflitto armato tra nazioni.
Libero decalogo
Libero decalogo
- Non giudicare.
- Dimentica ogni morale che ti è stata insegnata.
- Osserva i comportamenti e cerca di comprenderli.
- Lascia che la vita ti istruisca.
- Ricorda sempre che nessuno può giudicare la ragionevolezza dei propri pensieri.
- Sorridi e gioisci di cose semplici.
- Condividi i punti di vista, ma non cercare di imporne alcuno.
- Ama chi è con te.
- Ama quel che sei.
- Ama quel che fai.
Il battito della speranza (canzone)
Ringrazio le giovani donne dell'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai che hanno creato e cantato la canzone che segue:
Il sorriso è la causa, non l'effetto, della felicità
La casa accogliente di un mio amico ha la seguente scritta, grande, su una parete:
Daisaku Ikeda, con questo semplice messaggio, ci dà un'indicazione di vita.
IL SORRISO
Felicità in questo mondo
Aggiornamento 2 settembre 2014
Ringrazio un'amica che mi ha segnalato la seguente citazione:
«La felicità è reale solo se condivisa»
(Chris McCandless)
In calce riporto un articolo che ho pubblicato il 28 giugno 2014. Oggi, 27 luglio, ad un mese di distanza, torno sullo stesso tema, per aggiungere una semplice frase, che sintetizza tutto quel che ho precedentemente cercato di comunicare:
Il ruolo delle religioni
I mass media, in generale, assai di rado si occupano seriamente e coscienziosamente della pluralità religiosa esistente in Italia: manca una conoscenza che dissolva pregiudizi e timori. Specialmente nell'attuale tempo della globalizzazione e dell'informazione veloce, è facile etichettare un intero movimento religioso (qualunque esso sia) con semplici aggettivi.
Aspetta per tre anni in ogni cosa, anche sopra una pietra
«La pazienza è una caratteristica di cui sono sempre più carenti i giovani del dopoguerra, e questa tendenza si andrà accentuando. In qualsiasi ambito, affinché una persona possa compiere una grande crescita è indispensabile una fase di allenamento, un periodo in cui dovrà essere in grado di stringere i denti e tener duro. Possiamo dire che questa fase sarà un continuo susseguirsi di momenti duri, spiacevoli, dolorosi e tristi; ma solo dopo averli superati, quando verrà il momento sbocceranno e fioriranno magnificamente meravigliosi fiori e frutti.
Gestione del conflitto
Da alcuni giorni sto vedendo, in uno dei luoghi che frequento quotidianamente, alcuni volantini che fomentano l'odio per una delle due parti coinvolte in una guerra che tutti conosciamo. Presumo che chi l'abbia affissi creda di essere nel giusto, ma forse non ha considerato che l'odio porta solo ulteriore guerra, morte, miseria e disperazione.
La fiducia crea fiducia
Ci sono momenti in cui un semplice abbraccio è tutto ciò di cui hai bisogno per ricaricarti e vivere...
Nel video, Peter Sharp si è bendato nel bel mezzo di una piazza, ha messo un cartello davanti a sè con su scritto: “Io mi fido di te, tu ti fidi?” e con le braccia aperte ha aspettato che la gente lo abbracciasse. Ecco le reazioni delle persone...
Con la felicità, l'obiettivo comune è il rispetto - Domanda e risposta
«Cosa pensi del califfato islamico e delle crocifissioni e decapitazioni dei cristiani che non si convertono?»
La domanda è molto importante, e senz'altro meriterebbe una risposta che non può entrare in poche righe.
La nostra vita sia il nostro messaggio
fotografia scattata al Bioparco di Roma il 17 settembre 2014,
all'interno del Museo dei Crimini Ambientali
(Francesco Galgani)
Snowmen (video by Amedeo Greco) - We can choose our own happiness
L'eccellente videografo Amedeo Greco ha pubblicato, con licenza Creative Commons BY-NC-ND 3.0 , il video Snowmen su Vimeo, sotto riportato, il cui senso può essere riassunto nella frase "We can choose our own happiness".
Da pecora a Leone! Un cartone animato istruttivo...
Alla ricerca della felicità
«La felicità è già dentro di te, è tutta dentro di te, nulla ti manca.
Tu hai parlato di "Felicità" (con la F maiuscola) dopo aver letto alcuni miei messaggi. Io, al massimo, in questa fase della vita, pur con tutti i miei limiti, a volte posso avere comportamenti tali da aiutarti a tirar fuori la "tua" felicità, che è anche "mia", perché desiderio che tu sia felice... comunque quello che ti serve per essere felice e per realizzare i tuoi desideri è già dentro di te, ricordatelo sempre.
Il ruolo della discoteca nella società liquida
La discoteca è uno dei massimi esempi, se non addirittura l'emblema, della società liquida di Bauman[nota 1], che tenta, peraltro invano, di compensare i suoi eccessi e mancanze con altri eccessi, che nella loro liquidità rimarranno come palliativi. E' il luogo di stravolgimento dei paradigmi, in cui l'irreale diventa normale e l'ordinario lascia il posto alla fascinazione[nota 2].
Pensiero positivo: essere attivi in qualcosa
Può darsi che non siamo responsabili della situazione in cui ci troviamo, ma lo diventeremo se non faremo nulla per cambiare.
Martin Luther King
Chi ama davvero, ama anche se stesso. Chi ama solamente gli altri, ha qualcosa che non va.
Erich Fromm
Chi non ha mai commesso un errore non ha mai provato nulla di nuovo.
Albert Einstein
Ci sono tre grandi cose al mondo: gli oceani, le montagne e una persona impegnata.
Winston Churchil
Ogni dialogo è tale se non ha una conclusione prestabilita
«Con qualcuno possiamo provare simpatia e affinità; altri invece possono infastidirci, qualche volta senza neppure sapere bene il perché, magari solo per il timbro di voce, un certo modo di esprimersi, troppo formale, o forse troppo poco. Per il modo di vestirsi, il lavoro che fanno, per le loro scelte di vita che possono cozzare con la nostra etica. Di motivi ce ne sono sempre tanti; qualche volta non riusciamo neppure a comprendere perché una tale persona o un tale comportamento ci disturbano così tanto.
Natale: la pace è possibile! Un'immagine e un video in ricordo del centenario della tregua durante la Prima Guerra Mondiale
Io ho rispetto per il Natale e per quello che di buono può darci, a cominciare da un messaggio pace.
Una frase per Natale... e per ogni giorno dell'anno!
La pecora nera (di Italo Calvino)
“C’era un paese dove erano tutti ladri. La notte ogni abitante usciva, coi grimaldelli e la lanterna cieca, e andava a scassinare la casa di un vicino. Rincasava all’alba, carico, e trovata la casa svaligiata.
Fare la propria parte per cambiare il mondo
Di solito le persone non cambiano se stesse di una virgola in base alle informazioni ricevute, ma adattano la propria visione della realtà in base alle comodità immediate, alle necessità contingenti, alle mode e ad altri stimoli endogeni ed esogeni.
Noi siamo inseriti in una società che vuole solo ed esclusivamente consumatori stupidi, ignari delle conseguenze del proprio agire. Tutto il mondo mediatico e della ricerca scientifica è asservito a tale logica, fatte salve rare eccezioni.
Tecnologia = Benessere (?!)
Regalo a tutti una vignetta, senza commenti: buone riflessioni!
Il declino dell'umanità... nel pozzo dei desideri infiniti (di Giulio Ripa)
«La tecnologia non ci fa felici.
La sua intermediazione rompe le relazioni fisiche tra le persone e tra le persone e la natura, facendoci cadere nel buco nero del pozzo dei desideri infiniti.
Studio di Gongyo e Daimoku (registrazioni)
Premessa: quanto segue è solo un supporto "tecnico" per lo studio di Gongyo e Daimoku, che come è stato utile a me, all'inizio della mia pratica buddista, potrebbe essere utile anche ad altri. E' solo un ausilio per imparare a recitare e nulla di più, che integra quanto è già disponibile sul sito della Soka Gakkai, a cui rimando per ogni informazione.
In origine era un CD che avevo fatto nel 2008 per uso personale mio e di alcuni amici.
L'evoluzione della specie: riflessione concettuale su che cos'è il "caso"
Ricopio una frammento di Wikipedia, tratto dalla voce "Pensiero di Jacques Monod" (a cui rimando per la bibliografia), con in calce una mia riflessione:
Lo spirito della condivisione
La frase "Quando piove divido il mio ombrello, se non ho l’ombrello, divido la pioggia", che nei primi mesi di vita del blog era riportata in alto in tutte le pagine, è da attribuirsi, secondo alcune fonti web, a Enrique Ernesto Febbraro. Sebbene la paternità di tale frase non possa considerarsi certa, sicuramente esprimere in maniera sintetica ed efficace cosa significhi andare oltre il proprio egoismo. Similmente Daisaku Ikeda, nel libro "Giorno per giorno" (Esperia Edizioni) ha scritto:
Una scienza robotica degli esseri umani
Propongo qui alcune mie modeste riflessioni, potenzialmente stimolo di ulteriori riflessioni epistemologiche, scaturitemi dopo aver ascoltato un docente affermare che le teorie psicologiche non sono dimostrabili e che, pertanto, non rientrano nel novero delle scienze propriamente dette (approfondimento).
Democrazia, filosofia, esperienza, libertà
«L'esperienza e la filosofia che non generano l'indulgenza e la carità sono due acquisti che non valgono quello che costano»
(Alexandre Dumas, figlio)
Segue una citazione di Daisaku Ikeda del 18 nov 1989:
Il vero significato della vita
Siamo visitatori su questo pianeta.
Siamo qui per novanta o cento anni al massimo.
Durante quel periodo dobbiamo cercare di fare qualcosa di buono,
qualcosa di utile, con le nostre vite.
Se contribuisci alla felicità di altre persone, troverai il vero obiettivo,
il vero significato della vita.
(Dalai Lama)
In omaggio a Gandhi
"Il vero devoto" (Gandhi)
L'inesattezza, l'incompetenza non vi diminuiscono la presunzione, anzi (Marcel Proust)
Quanto segue è tratto da Wired e ha licenza "Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported".
Fonte: http://www.wired.it/scienza/2015/04/14/lillusione-saggezza-folle/
La sfortuna viene dalla bocca e ci rovina, la fortuna viene dal cuore e ci fa onore
«La sfortuna viene dalla bocca e ci rovina, la fortuna viene dal cuore e ci fa onore» è una famosa frase di Nichiren Daishonin (1222-1282), da lui scritta nel Gosho di Capodanno.
Quel che veramente conta nella vita
Quanto segue è una citazione tratta da "Buddismo e Società" n.171, speciale "La vita e la morte", brani scelti di Daisaku Ikeda a cura della SGI:
Cercare di raddrizzare le corna ad una mucca può ucciderla
«[...] Un proverbio giapponese dice che cercando di raddrizzare le corna di una mucca si rischia di ucciderla. Anziché evidenziare le debolezze degli altri, è di gran lunga più fruttuoso incoraggiarli, dando loro speranza e mettendoli in grado di trovare degli scopi di vita. Così facendo, possiamo aiutare ad esempio chi ha la tendenza ad essere impaziente a non vedere l'ora di compiere azioni meritorie.
Ciò si applica tanto alla crescita degli altri quanto a quella personale. Non c'è alcun bisogno di apparire ciò che non siamo. [...]»
Un insegnamento buddista
Non preoccuparti di quello che gli altri dicono o fanno.
Vivi la tua vita, segui la tua strada.
Non esiste distinzione tra egoismo e altruismo, perché sono un'unica cosa: il bene emana e attira altro bene, il male emana e attira altro male.
L'arte di ascoltare (con poesia)
Le sette regole dell'Arte di Ascoltare, di Marianella Sclavi (fonte)
1. Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca.
2. Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista.
La sindrome di Prometeo ovvero i limiti del desiderio (di Giulio Ripa)
"Sappiamo ciò che c'è, ma non sappiamo ciò che potrebbe esserci. Desiderare un mondo migliore è possibile."
I fattori limitanti della natura umana - di Giulio Ripa e Francesco Galgani
Perché la tecnologia riesce a persuadere e ad illudere l'uomo?
Perché c'è un condizionamento reciproco tra norma sociale e tecnologia?
Perché l'uomo è un essere desiderante? Da dove viene questo oscuro desiderio del piacere infinito?
I limiti umani della conoscenza e della comprensione, tra scienza, religione e agnosticismo
I paragrafi seguenti, che sono tratti dal libro "Felicità in questo mondo - Un percorso alla scoperta del Buddismo e della Soka Gakkai" (IBISG ed., 2006), offrono uno spunto per riflettere sui limiti che noi tutti abbiamo nella conoscenza e nella comprensione dei fatti della vita, siano essi dimostrabili o non dimostrabili, indagabili o non indagabili:
E' tutto dentro di noi, tutto dipende da noi: una visione buddista della vita
Dalla rabbia alla pace: un viaggio interiore
Il mare, il cielo, gli alberi, i prati fioriti, il sole, la luna e le miriadi di stelle sono tutti dentro di noi, così come i problemi ambientali e i problemi di ogni essere vivente. Il bene e il male, il bello e il brutto, il fuoco e l'acqua, il femminile e il maschile, la rabbia e la pace, la felicità e la disperazione, la voglia di vivere e la voglia di morire... tutto, nei suoi opposti e nelle sue mille sfaccettature, è sempre dentro di noi. Nell'antica filosofia cinese, il concetto di yin e yang esprime l'idea che ogni cosa ha il seme del suo opposto e che con esso è interdipendente. L'esistenza e la non esistenza di un qualunque fenomeno della vita fanno parte del nostro Essere, nulla esiste a prescindere da noi: tutto e tutti facciamo parte di un'immensa rete, nulla è isolato, nulla esiste di per sé. Siamo connessi, interrelati, interdipendenti.
Paragonarsi agli altri è controproducente
«Quanto alla fiducia in se stessi, essa deriva dallo sforzo e dal duro lavoro. Se pensate di poter costruire la fiducia in voi stessi senza sforzarvi duramente, vi state solo illudendo. Soltanto coloro che stabiliscono degli obiettivi e si impegnano a realizzarli col proprio passo e a proprio modo, soltanto coloro che continuano a tentare, per quante volte possano aver fallito, riescono a sviluppare un'incrollabile fiducia in se stessi. Fiducia in se stessi è sinonimo di volontà invincibile. Non si può dire che abbiate una vera fiducia in voi stessi se l'opinione che avete di voi vacilla ogni volta che vi paragonate agli altri. Una vita trascorsa a giudicare se stessi in base al confronto con gli altri sarà solo causa di frustrazione e arriverà a un punto morto.»
(Daisaku Ikeda, Protagonisti del XXI secolo - Personalità e carattere, pag. 30)
Risorse di felicità umana
Come disse il sociologo Zygmunt Bauman, ci sono enormi risorse di felicità umana che non vengono sfruttate: le relazioni, le famiglie, i quartieri, le comunità, il significato della vita... e invece cosa stiamo facendo?
Il nostro reale bisogno dovrebbe essere di prenderci cura dei nostri cari e di intessere autentiche e profonde relazioni umane... ma oggi le persone danno molta più importanza al loro smartphone che alle persone a loro vicine. Dovremmo riprendere un cammino realmente umano, un cammino fatto di reciproci ascolto, comprensione, valorizzazione.
Oggi le persone sono più devote a Facebook, Whatsapp, Instagram, Twitter e simili, di quanto lo fossero gli antichi per gli dèi e le forze sovrannaturali... però i social non sono buoni, nemmeno quando vengono usati a fin di bene, visto che ormai sono diventati uno strumento per reprimere sul nascere l'esercizio delle libertà democratiche (anche nei paesi cosiddetti democratici).
Suggerisco di guardare questo video con attenzione, dopodiché sarà ancora più chiaro il senso della poesia in calce.
Senza volto
Nelle illusioni
d'un tempo cronofagico,
tinto d'isolamento
in un continuo fluire,
andiamo e veniamo
senza un incontro vero,
senza mai approfondire
i perché del nostro divenire.
Nella densa foschia
ci muoviamo,
ci sfioriamo,
a volte persino amiamo,
ma il capo è mascherato,
verso terra inclinato,
e nel volto che davvero abbiamo
non ci guardiamo.
(Francesco Galgani, 26 ottobre 2016)
L'impegno ultimo a cui siamo tutti tenuti: Non Uccidetevi
«Desidererei suggerire che una formulazione ragionevole e approssimativa di questo ordine morale soggettivo, o verità ultima, è che le persone sono importanti in quanto sono tutte legate da una connessione universale che trascende la loro esistenza individuale.» (1)
«Io sono una persona. Tu sei una persona. Senza di te io non sono una persona, perché solo grazie a te il linguaggio è una cosa possibile, e solo tramite il linguaggio è possibile il pensiero, e solo tramite il pensiero è possibile essere uomini. Tu mi hai reso importante. Perciò io sono importante e tu sei importante. Se io svaluto te, svaluto me stesso. Questo è il fondamento razionale dell'atteggiamento IO SONO OK – TU SEI OK. Solo grazie a questo atteggiamento siamo persone invece di cose. La restituzione all'uomo della sua dignità di persona che gli spetta di diritto è il tema della redenzione, o riconciliazione, o illuminazione spirituale, che è il punto culminante di tutte le grandi religioni mondiali. Questo atteggiamento esige che siamo responsabili l'uno per l'altro e l'uno di fronte all'altro, e questa responsabilità è l'impegno ultimo a cui siamo tenuti tutti in egual misura. Da esso possiamo innanzitutto dedurre l'imperativo Non Uccidetevi.» (2)
Il libro “Io sono OK, Tu sei OK”, da cui ho estratto questi due paragrafi, è stato scritto da uno psichiatra americano nel 1967. Contengono un messaggio che, secondo me, è nel nostro interesse non scordare mai. La connessione universale di cui lui parla è raffigurata nel Buddismo dalla “rete di Indra”: sospesa sopra la reggia del dio Indra, simbolo delle forze naturali che nutrono e proteggono la vita, vi è una vastissima rete. A ognuno dei suoi nodi è legato un gioiello. Ogni gioiello riflette in sé l’immagine di tutti gli altri, rendendo la rete meravigliosamente luminosa. Questa intensa immagine illustra il concetto di “origine dipendente”, una dottrina buddista fondamentale che rivela la coesistenza di tutte le cose nell’universo, inclusi gli esseri umani e la natura, in una relazione di interdipendenza. Ogni gioiello, per come io mi immagino questa rete, rappresenta un essere vivente.
Le conseguenze di questo modo di vedere sono di straordinaria importanza soprattutto nel campo etico: affermare che tutti gli esseri viventi e i loro ambienti sono legati indissolubilmente, e che la loro essenza non è assoluta ma “di relazione”, porta al rispetto di ogni individuo e dei suoi diritti connaturati, porta a vivere e ad agire senza distinguere l'altrui dalla propria felicità.
Su questo tema, invito i miei lettori a rileggere la pagina “L'ultima guerra - Non è guerra di religione - Un vero uomo non odia nessuno”, che sicuramente potrà ispirare tante riflessioni.
Grazie,
Francesco Galgani,
12 novembre 2016
(1) Thomas A. Harris, “Io sono OK, Tu sei OK – Guida all'Analisi Transazionale – Come vivere al meglio il rapporto con gli altri”, BUR Rizzoli, quinta edizione 2016, ISBN 9788817070478, pag. 291. Titolo originale: “I'm OK – You're OK”, 1967
Insultare è come uccidere
«La sfortuna viene dalla bocca e ci rovina, la fortuna viene dal cuore e ci fa onore.»
(Nichiren Daishonin, Gosho di Capodanno)
«[...] ma, noi siamo abituati a insultare, è come dire “buongiorno”. E quello è sulla stessa linea dell’uccisione. Chi insulta il fratello, uccide nel proprio cuore il fratello. Per favore, non insultare! Non guadagniamo niente».
(papa Francesco, Angelus del 13 febbraio 2017)
L'illusione di conoscere la realtà
«Ieri ho visto una scena terribile: un grosso cane lupo - ma forse era proprio un lupo - che cercava di azzannare una bambina. Questa non aveva il coraggio di scappare perché sapeva che l'animale era molto più veloce di lei. Per difendersi gli ha dato prima da mordere una specie di coperta, già a brandelli, poi, vedendo che quello non desisteva, ha cercato di distrarlo buttando lontano la palla con cui giocava. Questo per due o tre volte, infine la bambina, terrorizzata, mentre l'altro aggrediva la palla, si è nascosta dietro un albero, ma invano... Non so come è andata a finire perché sono corso via a chiedere aiuto».
Oppure:
«Ieri ho visto una scena deliziosa: una bambina che giocava con un cane lupo più grosso di lei. Cercavano di strapparsi a vicenda una vecchia coperta a brandelli, ma si vedeva chiaramente che il cane tirava piano per non far cadere la bambina. Poi lei ha cominciato a lanciargli una palla e quello correva a riprenderla. Questo per due o tre volte, finché la bambina si è nascosta dietro un albero, e il cane per un po' ha fatto finta di non vederla... A una certa distanza c'era un altro bambino che evidentemente avrebbe voluto giocare anche lui, ma qualcuno deve averlo richiamato, perché un certo punto è corso via».
Storielle che aprono la mente anche a bambini molto piccoli: non ci sono soluzioni precostituite su qual è il modo corretto di interpretare [la realtà]. Te lo devi cercare da solo.
(tratto da un'intervista a Boris Porena, pubblicata sulla rivista "Buddismo e Società" n. 162, gennaio / febbraio 2014)
Non esiste una realtà, non esistono fatti oggettivi: esiste piuttosto il nostro personale modo di interpretarli. Noi non percepiamo e interpretiamo il mondo in un certo modo perché la realtà è in un certo modo, ma innanzitutto perché noi, in un certo momento, siamo fatti in un certo modo e ci troviamo in un certo stato psico-fisico e relazionale.
Mi tornano a mente le parole che Bud Spencer, nel ruolo di Bulldozer (film del 1978), disse a un giovane: "Non dar credito a quello che gli altri dicono, ma impara a cercarti da solo la verità".
Francesco Galgani,
19 marzo 2017
La condizione umana: problemi, reazioni, soluzioni
Riporto in questa pagina l'articolo "Divagazioni sull'uomo", di Giulio Ripa. Il titolo che ho scelto per presentare questa pagina - "La condizione umana: problemi, reazioni, soluzioni" - è sicuramente molto impegnativo, inserendosi in una discussione millenaria che non avrà mai termine. Vorrei avvertire i lettori che questo articolo di Giulio Ripa è naturalmente completato da "La sindrome di Prometeo ovvero i limiti del desiderio", scritto dallo stesso autore.
Del suo articolato pensiero, mi ha attirato il fatto che alla visione imperante consumistica, che di per sé è irrazionale e autodistruttiva, viene proposta in alternativa la "sobrietà" come risposta adeguata alla difficoltà del vivere e di conoscere se stessi. La sobrietà non è un mero contenimento dei desideri, ma una loro trasformazione verso qualcosa di più grande e al tempo stesso più sintetico, più essenziale, meno dispersivo. In questo ritorno alla vera natura spirituale ed emotiva dei desideri, io vedo una gabbia, una prigione da cui è assai difficile evadere: la prigione degli atteggiamenti e delle opinioni. Nella sua folle razionalità, l'essere umano è capace di argomentare ciò che pensa, di giustificare (innanzitutto a se stesso) i propri comportamenti, ma raramente è capace di capirli veramente e di cambiarli per viver meglio, soprattutto se li ha agganciati al proprio senso di identità.
Una volta creata un’opinione, la mente umana si affeziona ad essa e cerca in tutti i modi di preservarla. Non basta incrementare la quantità di informazioni su un dato argomento per cambiare opinione su di esso, perché la mente non è permeabile a tutte le informazioni e non è predisposta a riceverle tutte indistintamente: di solito selezioniamo solo quelle informazioni che confermano le opinioni che già avevamo e non ci facciamo condizionare dalle informazioni contrarie. Ciascuno di noi può irrigidirsi su una posizione, fissarsi su una scelta, anche se non è realistica né autentica, ma frutto di condizionamento o mode transitorie. Anche quando sarebbe opportuno (nel nostro stesso interesse) cambiare tale posizione, generalmente ci opponiamo a ogni cambiamento, azionando una modalità di pensiero tutt'altro che razionale. Innanzitutto sono le emozioni a muoverci e a indirizzare i nostri ragionamenti. Spesso cadiamo in posizioni rigide e intransigenti anche per la confusione indotta dalla complessità della vita, confusione che ci rende più seducibili dalle mode e che ci predispone verso soluzioni-ancoraggio a cui aggrapparci per non farci risucchiare da un caos intollerabile. Le pressioni sociali ci manipolano continuamente. Solo una presa di consapevolezza delle nostre prigioni mentali può aiutarci a liberarcene, per poi attuare "veri" cambiamenti di vita.
Buona lettura di questo e di altri articoli di Giulio Ripa, tutti riuniti nel suo archivio.
Francesco Galgani,
26 marzo 2017
Un cuore grato ti rende felice
C'è sempre qualcosa di cui essere grati.
Non essere così pessimista se ogni tanto le cose non vanno come vorresti.
Sii sempre riconoscente per gli affetti e le persone che già hai vicino a te.
Un cuore grato ti rende felice.
Il potere delle parole, degli stati d'animo, delle intenzioni
Noi siamo composti per tre quarti di acqua.
Tra i vari esperimenti condotti da Masaru Emoto, che ha fotografato come reagisce l'acqua in base alle parole a cui è sottoposta, c’è anche il curioso esperimento della Consapevolezza del Riso.
In questo esperimento, il Dr. Emoto ha messo del riso cotto in tre vasi sigillati: ha scritto delle parole su ogni vasetto ed ha incaricato dei bambini di una scuola di leggere le etichette scritte sul barattolo ogni giorno quando vi passavano davanti. Sul primo vasetto aveva scritto "Ti Amo" e ogni giorno i bambini glielo ripetevano ad alta voce. Sul secondo vaso aveva scritto "Ti odio" e anche a questo i bambini lo ripetevano ogni giorno. Il terzo vaso non aveva etichette ed è stato messo da parte e ignorato. Dopo poche settimane, il riso nel primo barattolo sembrava fresco come il giorno in cui era stato sigillato. Il riso nel secondo barattolo era muffo e marcio. Tra lo stupore generale, anche il riso nel terzo vaso era completamente marcio.
Noi siamo fatti principalmente di acqua, ricordiamocelo. Le parole che usiamo, le intenzioni che abbiamo e i nostri stati d'animo influiscono sulla nostra e sull'altrui salute. E' meglio percorrere la vita dell'Amore e della Gratitudine, piuttosto che altre strade.
Francesco Galgani,
13 agosto 2017
La legge della vita umana è la legge dell'amore (Tolstoj, "Lettera ad un indù")
Riporto parte di uno scritto di Lev Tolstoj che mi ha colpito molto e che mi ha ispirato molte riflessioni, anche una poesia. Questo scritto influenzò molto il pensiero di Gandhi, che rispose a Tolstoj chiedendogli il permesso di ripubblicare la lettera in questione (come documentato nel libro che ho riportato come fonte). Riporto poi in calce alcune parole su Tolstoj e sull'importanza che ebbe per la sua gente.
Tratto da "Lettera ad un indù", di Lev Tolstoj (fonte: "Gandhi", pag. 109-110, di Yogesh Chadha, traduzione di Mario Prayer, supplemento a Famiglia Cristiana n. 26 del 30 giugno 2002, editore Mondadori, ISBN 9788804473534):
«Solo liberandosi dalla credenza nei vari Ormuzd, Brahma, Sabaoth, nelle loro incarnazioni in Krishna e nei Cristi, dalla credenza nel paradiso e nell’inferno, negli angeli e nei demoni, dalle reincarnazioni e dalle resurrezioni, dall’idea dell’intromissione di Dio nell’esteriore vita terrena; liberandosi soprattutto dal riconoscimento dell’infallibilità dei vari Veda, Bibbie, Vangeli, Triptaka, Corani, ecc.; liberandosi al tempo stesso dal credere ciecamente nelle varie dottrine scientifiche su atomi e molecole infinitamente piccoli e su mondi infinitamente grandi e infinitamente remoti, sui loro movimenti e sulle loro origini, sulle forze [che li governano]; liberandosi dalla fede cieca nella certezza di sedicenti leggi scientifiche cui l’umanità dovrebbe essere soggetta: le leggi storiche ed economiche, le leggi della lotta e della sopravvivenza, ecc.; solo liberandosi della terribile accumulazione di oziosi esercizi delle facoltà inferiori della mente e della memoria che vengono chiamati scienza, da tutte le innumerevoli suddivisioni di ogni sorta di storie, antropologie, omiletiche, batteriologie, giurisprudenze, cosmografie, strategie - il loro nome è legione -; solo liberandosi da tutta questa zavorra rovinosa e intossicante, allora quella legge dell'amore, semplice, chiara, accessibile a tutti, così connaturata all'umanità, che solve tutte le domande e tutte le incertezze, diventerà da se stessa evidente e vincolante...
L'indù, al pari dell'inglese, del francese, del tedesco e del russo, non ha bisogno di costituzioni, rivoluzioni, conferenze di sorta, congressi, di nuove e ingegnose invenzioni per navigare sott'acqua o per volare nell'aria, di esplosivi potenti o di comodità di ogni genere per il piacere delle classi ricche e dominanti: non di nuove scuole, di università in cui si insegnano innumerevoli scienze, né dell'aumento dei giornali e dei libri, e dei grammofoni e dei cinematografi, né di quelle stupidaggini puerili e per lo più corrotte che vengono chiamate arti. Una sola cosa è necessaria, la conoscenza di quella semplice, chiara verità che giace sul fondo dell'animo di ogni uomo che non sia offuscato dalle superstizioni religiose e scientifiche: che la legge della vita umana è la legge dell'amore, la quale dà la suprema felicità a ogni singolo uomo e all'umanità intera.»
E adesso, due parole su Lev Tolstoj (fonte: La Nuova Rivoluzione Umana – Puntata 63, vol.30 Capitolo III: Slancio impetuoso):
«[...] Il giorno seguente si recò presso la casa museo di Lev Tolstoj, a Mosca. La dimora del grande scrittore, conservata così com’era nel diciannovesimo secolo, era una costruzione di due piani in legno, il cui pavimento scricchiolava evocando i ricordi del passato. Tolstoj aveva trascorso gli ultimi diciannove anni della sua vita in quella modesta abitazione. Nel suo studio si conservavano un tavolo, una sedia, un portapenne, una boccetta d’inchiostro e altri oggetti, così come lui li aveva lasciati. Vi era esposta anche l’accetta con cui tagliava la legna per la stufa, e il grembiule che era solito indossare per quel lavoro. In quella casa erano nati molti dei suoi capolavori, tra cui Resurrezione, una delle sue ultime opere più famose. La delegazione entrò nel museo. Nell’austero edificio con i soffitti alti tipici del periodo in cui visse l’autore, erano conservati i componimenti di Tolstoj ai tempi delle elementari, il diario che aveva tenuto fino alla fine dei suoi giorni, i manoscritti di opere quali Guerra e pace e Anna Karenina, una statua e alcuni suoi ritratti. In particolare attirò l’attenzione di Shin’ichi un fermacarte di vetro verde posto accanto a una bozza in cui si notavano alcune parti censurate. Sulla superficie erano state impresse numerose firme ed espressioni di ammirazione rivolte allo scrittore. Era un dono degli operai di una vetreria. «Lei si è costruito lo stesso destino di numerosi grandi precursori dell’epoca», «Il popolo russo la annovera tra le grandi personalità, così care e preziose, e sarà eternamente il nostro orgoglio». Mentre si prodigava per sostenere le persone in stato di indigenza, Tolstoj aveva impugnato la penna per lottare contro le falsità e l’ipocrisia di una chiesa e di un governo caduti nella corruzione. Per tali ragioni le sue opere furono sottoposte a una severa censura, la pubblicazione venne ostacolata ed egli finì per essere scomunicato dalla chiesa. Ma il popolo infuriato lo difendeva e lanciava potenti grida di giustizia. Quel popolo risvegliato che aveva smascherato gli inganni dei religiosi dell’epoca, ricercava una religione che si ponesse dalla parte del popolo, degli esseri umani. Le persone sagge sanno discernere accuratamente tra le religioni.»
La legge dell'Amore (poesia)
La legge dell'Amore
Tra opulenza e povertà,
vedo la miseria
tra le pieghe della società,
a volte mascherata,
altre più evidente,
specie nella faccia
di chi più ha niente.
Penso a Gandhi,
alla forza reale
di chi mai accetta
di servir quel male
che separa le persone,
violenta gli onesti,
sputa veleni
con scopi perversi.
La soluzione c'è,
oltre le apparenze
il Cuor sa dov'è...
sotto la zavorra
d'un vivere indecente,
oltre collera e stupidità
che deturpano la gente.
Vera povertà
è amarissimo regalo
dell'umana avidità,
l'unica ricchezza
si trova nell'Amare,
dove c'è virtù vera
Vita sa ringraziare.
(Francesco Galgani, 24 agosto 2017)
https://www.galgani.it/poesie/index.php/poesie/679-la-legge-dellamore
Ogni giorno è un giorno fortunato! ;-)
Ogni giorno è un giorno fortunato! ;-)
A volte troppo distratti
per gioire della Vita,
per coglierne l'Essenza,
nei bambini che giocano,
nella Luna sul mare,
nell'Amore universale
che qui ci vuole,
per Amore e Lodare,
e sempre Ringraziare,
perché ogni persona
è un mondo speciale,
perché ogni vivente
anela d'Amare.
(Francesco Galgani, 27 agosto 2017)
https://www.galgani.it/poesie/index.php/poesie/680-ogni-giorno-e-un-giorno-fortunato--
Per chi ama gli animali...
E se fosse dentro di te il Piccolo Hiawatha?
cartone animato di Walt Disney (1937)
In omaggio a Jiddu Krishnamurti
«C'è una rivoluzione che dobbiamo fare se vogliamo sottrarci all'angoscia, ai conflitti e alle frustrazioni in cui siamo afferrati. Questa rivoluzione deve cominciare non con le teorie e le ideologie, ma con una radicale trasformazione della nostra mente.»
(Jiddu Krishnamurti, citazione tratta da Wikipedia)
Alla ricerca della verità… oltre la politica, oltre la religione
Stamani stavo leggendo l’ennesima dimostrazione di come siano ritoccate o censurate le notizie sui media tradizionali, con lo scopo, evidentemente, di indirizzare i pensieri (e quindi il voto politico) delle persone in una certa direzione. Tra i vari commenti ad un articolo apparso oggi sul blog di Beppe Grillo, intitolato “Il patto sui media contro il MoVimento 5 Stelle”, mi ha colpito questa esternazione, probabilmente banale, ma efficace nella sua sinteticità: «Quando un direttore di giornale omette, declassa o storpia una notizia lo fa con un unico pensiero: i miei lettori sono una massa di idioti manipolabili. Fine.»
Ma andiamo oltre… in questo mio articolo non voglio parlare di quanto sia imbavagliata e ingiusta la stampa nostrana, ne ho già scritto abbastanza nel mio blog. Mi interessa invece soffermarmi su un altro aspetto della questione: “Che cos’è la verità?”.
Nel titolo del presente articolo ho scritto “oltre la politica, oltre la religione”, perché ho l’impressione che il fatto di schierarsi (nel senso di identificarsi) con un partito politico e il fatto di aderire (anche in questo caso nel senso di identificarsi) ad una religione spesso possano avere tratti in comune sul lato del fanatismo… specialmente quando i diretti interessati ritengono il proprio in-group depositario di qualcosa che il resto del mondo non ha. Il fanatismo politico, religioso o di altro genere ha sempre le proprie basi in qualcosa che riguarda la “verità”.
Qualcuno fa della ricerca della verità il proprio scopo di vita, ritenendo “la verità” (come se ne esistesse una) il massimo valore verso cui tendere. Altri, più semplicemente, accettano come vera la verità ricevuta da altri, risparmiandosi il calvario che la ricerca della verità potrebbe comportare.
Ritorno però alla domanda centrale: “Che cos’è la verità?”
Secondo la mia opinione, qualsiasi verità è autorefenziale (o riconducibile ad altre verità autorefenziali), nel senso che, in ultima analisi, è vero ciò che riteniamo tale... né più, né meno. La verità non è una proprietà intrinseca di un pensiero, di un fatto o di una serie di eventi, è piuttosto un’attribuzione “esterna” operata dalla mente umana su ciò che essa è in grado di concepire, allo scopo di agevolare se stessa. La mente umana, infatti, “ha bisogno” di “possedere” alcune verità per il proprio funzionamento, ma tale attribuzione di verità è e rimane arbitraria.
Il pensiero scientifico, da Galileo in poi, si basa sulla ricerca della verità, ma accetta di non poter mai giungere ad essa. La scienza non elargisce verità ed è sempre pronta a mettere in discussione ogni suo assunto… o almeno così dovrebbe essere, altrimenti, più che di scienza, dovremmo parlare di religione. Con questo intendo dire che i dogmi religiosi sono verità assiomatiche, ad es., come affermato da Ariel Di Porto, rabbino capo della Comunità Ebraica di Torino, l'esistenza di Dio non può essere dimostrata, ma deve essere considerata al pari di un assioma (fonte: "Incontro con i teologi, 6 marzo 2016, trascrizione ufficiale del convegno", pag. 15).
A proposito di assiomi, la matematica è serva e regina di tutte le scienze, ma la matematica non contiene in sé alcuna verità: essa si basa su pochi assiomi ritenuti arbitrariamente veritieri, ma nessun assioma è intrinsecamente vero o falso. La matematica è proprio la dimostrazione per eccellenza dei limiti della ragione umana. A tal proposito, mi viene a mente il primo teorema di incompletezza di Kurt Gödel, il quale dimostra che qualsiasi sistema che permette di definire i numeri naturali è necessariamente incompleto: esso contiene affermazioni di cui non si può dimostrare né la verità né la falsità. In altre parole, non è mai possibile giungere a definire la lista completa degli assiomi che permetta di dimostrare tutte le verità.
In sintesi, tutte le scienze si basano in qualche modo sulla matematica, ma la matematica non contiene verità o falsità assolute, ma soltanto affermazioni ritenute vere o false in base a ciò che può essere dedotto dagli assiomi, i quali sono assunti come veri soltanto per “comodità”.
Tornando dalla matematica alla vita di tutti i giorni… non è forse la stessa cosa? Non assumiamo come vero ciò che ci fa comodo ritenere tale? Ciascuno di noi non “possiede”, consciamente o inconsciamente, alcune “verità ultime indimostrabili” che, similmente agli assiomi matematici, ci aiutano a comprendere il mondo e a prendere delle decisioni?
Non esiste "la verità". Esistono infinite parziali verità, tutte da relativizzare. Ogni affermazione del tipo “La verità è...”, in questa mia ottica sicuramente opinabile, è priva di senso.
Come scrissi nel mio precedente articolo “L'illusione di conoscere la realtà”, mi tornano a mente le parole che Bud Spencer, nel ruolo di Bulldozer (film del 1978), disse a un giovane: «Non dar credito a quello che gli altri dicono, ma impara a cercarti da solo la verità».
Buone riflessioni,
Francesco Galgani,
15 ottobre 2017
P.S.: Sullo stesso tema, segnalo il mio articolo successivo "Alla ricerca della scienza..."
Alla ricerca dell'intelligenza "naturale"... ben oltre quella "artificiale"
Dopo i miei precedenti articoli "Alla ricerca della verità... oltre la politica, oltre la religione" e "Alla ricerca della scienza...", stavolta sono alla ricerca dell'intelligenza nel suo posto "naturale", cioè nelle svariate forme di vita che rendono prezioso il nostro pianeta... e tra queste, magari, anche negli esseri umani.
Per l'appunto proprio oggi stavo leggendo che ormai l'intelligenza artificiale ha "superato" (?!) quella umana o, per dirla più correttamente, si sta sviluppando autonomamente facendo a meno degli esseri umani e delle loro conoscenze, percorrendo un proprio sentiero dalle conseguenze abbastanza inquietanti. Mi riferisco, nello specifico, a quanto è scritto nell'articolo "Google, la IA può fare a meno dell'uomo", in cui leggiamo che «non usando dati umani o esperienza umana sotto ogni profilo, abbiamo rimosso i limiti della conoscenza umana».
Onestamente ho serissime perplessità sul fatto che l'essere umano possa creare un'intelligenza migliore della propria in un macchina, nel senso più esteso e complesso che il concetto di "intelligenza" può assumere... Ritengo anche fuorviante considerare i limiti umani essenzialmente come limiti legati alla "conoscenza": gli antichi saggi, come ad es. il Budda storico vissuto in India due millenni e mezzo fa circa, disponevano sicuramente di una "quantità" di conoscenze inferiori a quelle di una persona contemporanea mediamente istruita, eppure... ciò di certo non rappresentò un limite alla loro capacità di vivere pienamente la vita, di amarla, di lodarla, di ringraziarla e di dare un senso profondo alla propria esistenza.
Più che preoccuparsi di superare i limiti della propria intelligenza, secondo la mia modesta opinione, l'essere umano contemporaneo potrebbe invece concentrarsi sul provare a superare i limiti della propria stupidità autodistruttiva, vista la condotta suicida da parte della specie umana, che sta distruggendo senza sosta il proprio ecosistema (e quindi la propria possibilità di vita), generando al contempo guerre su guerre e creando tanta povertà e sofferenza ovunque.
In un altro articolo, intitolato "Cassandra Crossing/ Il vero, il falso, la guerra e la cultura", sempre a proposito di intelligenza artificiale, leggiamo che:
«[...] L'Intelligence americana è preoccupata che nel prossimo futuro, grazie all'Intelligenza Artificiale, possa essere prodotto materiale informativo falsificato di qualità indistinguibile da quello vero, e in quantità talmente massiccia da poter essere usato per "corrompere" la conoscenza preesistente.
Ovviamente questo viene inquadrato in un contesto di supremazia presente, nonché di conquista e mantenimento della supremazia futura, in un nuovo settore strategico. [...]
La cosa inquietante, anzi preoccupante per i normali essere umani, è considerare le conseguenze di una guerra informativa su larga scala, combattuta generando grosse quantità di informazioni false indistinguibili da quelle vere. [...]
Come distinguere il vero dal falso dopo una "catastrofe informativa"? Come ripristinare la cultura "vera" dopo una "guerra informativa globale"?
E ancora... Sarebbe possibile "ricostruire la cultura" o dobbiamo prendere in considerazione la possibile fine della cultura come oggi la conosciamo, una "estinzione della verità" equivalente ad un mondo spopolato da una guerra termonucleare globale?
In tutta sincerità, "sic stantibus rebus", non è mai troppo presto per occuparcene.»
Orbene, qualcuno dei miei lettori ha visto il film "Sesso e Potere"? La problematica affrontata è la stessa, e senza bisogno di intelligenza artificiale.
Se continuiamo così, allora stiamo continuando a prenderci in giro. Ho l'impressione che tutta questa intelligenza artificiale serva a rendere ancora più deleteri i limiti esistenziali di alcuni esseri umani, andando ad amplificarne gli aspetti negativi legati all'avidità, alla malata ossesione per il potere e per i soldi, al disprezzo per la vita altrui.
Non abbiamo bisogno di intelligenza "artificiale" per migliorare le nostre esistenze e contribuire a migliorare le sorti dell'umanità. Abbiamo già tutto ciò che ci occorre e che ci è connaturato.
Francesco Galgani,
30 ottobre 2017
Non c'è più tempo
Non c'è più tempo
Non c'è più tempo per non Amare
Non c'è più tempo per stare divisi
Non c'è più tempo per sentirci separati
Non c'è più tempo per sentirci soli, giacché mai lo siamo stati
Non c'è più tempo per dimorare nell'Ego
Non c'è più tempo per dividere, ne rimane soltanto per unire
Non c'è più tempo per lamentarci
Non c'è più tempo per non ascoltare la nostra Anima
Non c'è più tempo per odiare, per disprezzare, per giudicare
Non c'è più tempo per nuocere
Non c'è più tempo per cercare una verità diversa dall'Amore
Non c'è più tempo per avere nemici né per essere nemici: non esiste il nemico, esistono soltanto l'orgoglio e l'ignoranza
Non c'è più tempo per dare voce, dare forza e prestare il fianco alla nostra arroganza
Non c'è più tempo per cercare un potere diverso dall'Amore che tutto unisce e che a tutto e a tutti dà salute, forza, vigore e gioia di vivere
Non c'è più tempo per credere in un Dio che giudica e condanna, giacché Dio mai ha giudicato qualcuno, l'unica cosa che ha fatto è chiedere di Amare la vita. Dio altro non è che l'unione delle nostre Anime, ovvero l'insieme del meglio e della verità che è in ognuno di noi.
Non c'è più tempo per credere in un amore possessivo, non c'è più tempo per le gelosie o per la paura di perdere qualcosa: chi Ama veramente è parte di ciò che Ama e comprende la profonda interconnessione di tutte le cose, di tutte le persone, di tutte le forme di vita e di non vita.
Non c'è più tempo per credere alla propaganda, alla televisione, alla scuola, alla scienza non guidata dal cuore e alle religioni in cui qualcuno sta in alto e gli altri stanno in basso
La volontà di Dio è semplice e giusta: ama la vita, loda la vita, ama le persone, gli animali, le piante, le cose, ama quel che sei, ama quel che fai, sentiti unito al tutto, sentiti parte di una grande vita che comprende anche tutte le altre vite, e contribuisci meglio che puoi, con i tuoi talenti, a questa grande vita universale. Questa è esattamente la volontà della mia Anima, della tua Anima.
Non c'è più tempo per non attingere alla giustizia, alla verità, al bene e alla divinità che è in ciascuno di noi
Siamo sull'orlo di un precipizio: non c'è più tempo per non cambiare, non c'è più tempo per non rivelare ciò che realmente siamo
Non c'è più tempo per non lasciarci guidare dalla nostra Anima e per non mettere a tacere un Ego avvelenato dai giudizi, dalla separazione, dalla cultura di morte di questa società malata
Non c'è più tempo per essere frammentati nei nostri pensieri, nei nostri sentimenti, nella nostra visione del mondo e delle cose
Non c'è più tempo per avere paura
Non c'è più tempo per non avere la massima fiducia nella vita e nelle persone
Non c'è più tempo per non essere pienamente coerenti e per non vivere bene
Non c'è più tempo per non iniziare ogni giornata con tanta gratitudine e gioia
Non c'è più tempo per non assaporare la grande pace che deriva dall'assenza di giudizio, che a sua volta nasce da una profonda visione e comprensione delle cose
Non c'è più tempo per la collera, per l'avidità e per la stupidità
Non c'è più tempo per dire "no" alla vita
Non c'è più tempo per credere che il mondo sia ingiusto, perché in realtà tutto è come è perché deve essere esattamente com'è: nessuno di noi può giudicare né comprendere le infinite cause che hanno portato alla situazione attuale, ma ciascuno di noi può fare la sua parte per un presente vissuto bene e un futuro migliore
Non c'è più tempo per non adempiere alla nostra missione, così come ogni cellula del nostro corpo adempie alla sua missione per il bene e per l'unità di tutto l'organismo
Lo so: in questo grande organismo molte cellule sono malate e confuse, ma adesso è il tempo di guarire
Non c'è più tempo per non rivelare la verità splendida che è in ciascuno di noi
Grazie
Francesco Galgani,
17 febbraio 2018
È il tempo di pensare se hai tempo!!! (di Alessandro Pacenti)
Breve storia ma significativa per capire il pessimo rapporto che abbiamo con il "tempo".
Vado dal primo benzinaio per gonfiare una ruota della bicicletta e chiedo se è possibile farlo.
La risposta è: «Sì, ma adesso non ho tempo, passi più tardi».
Al che mi giro in cerca di un ipotetica persona in fin di vita, che il benzinaio doveva massaggiare fino al momento dell'arrivo dei soccorsi.
Beh, non c'era nessun bisognoso nei paraggi.
Pensavo agli 11 secondi di orologio, i quali un essere umano non è più capace né di dare né di gestire, perché lo percepisce come tempo perso.
Quindi mi è venuto da pensare al disagio che spesso sentiamo quando paghiamo un professionista per un lavoro e ci sentiamo e ci fa sentire come se gli stessimo rubando del tempo prezioso, mentre in realtà abbiamo pagato per il suo tempo.
Quindi, figuriamoci 5 secondi in modalità del tutto gratuita.
Tutto ciò è strano, in una società dove l'aiuto della tecnologia dovrebbe aumentare il tempo.
Quindi senza scomodare i grandi tomi della filosofia passata e neppure i poket book new age di autoaiuto, credo basterebbe pensare a:
Che rapporto abbiamo con il tempo?
Cosa significa spendere bene il nostro tempo?
Infine, cosa è il tempo?
Mettere il cambio in folle, spegnere il motore, e cercare di capire perché ci sentiamo "schiavi del tempo" sarebbe una piccola grande soluzione.
Giorno per giorno di Daisaku Ikeda (web-app)
Piccola web-app per leggere la guida "Giorno per giorno" di Daisaku Ikeda:
https://www.informatica-libera.net/giorno-per-giorno-ikeda/
Per chi usa Google Chrome su Android o Safari su iPhone, è installabile nella home. E' installabile anche da Google Play (con in più la funzionalità di sharing). Apple, invece, ne ha rifiutato la pubblicazione nel suo App Store.
La Legge della Relatività dei Punti di Vista
Una delle leggi della Fisica è che non è possibile superare la velocità della luce. La prendo per vera, ci hanno già pensato altri a dimostrarla. Piuttosto… stavo pensando una cosa…
La velocità, in senso assoluto, non esiste, nel senso che è sempre relativa a qualcos’altro. Ad es., un passeggero seduto all’interno di un treno in movimento a che velocità si sta muovendo? Beh, ovviamente dipende dal punto di vista: rispetto al suolo sotto il vagone, la sua velocità è uguale a quella del treno, mentre rispetto al vagone la sua velocità è zero (perché ho ipotizzato che è seduto). Fin qui nulla di straordinario…
A ben vedere, però, si potrebbe obiettare che sia normale prendere come punto di riferimento per la velocità qualcosa di “fermo”. Peccato, però, che nell’universo non ci sia nulla di fermo, o meglio, qualcosa può essere considerato fermo (cioè a velocità zero) solo se si sta muovendo nella stessa direzione e verso di ciò che prendiamo come punto di riferimento. Come nell’esempio precedente, il passeggero è fermo solo nel senso che si sta muovendo nella stessa direzione e verso del treno. Al tempo stesso, il suolo è fermo? Direi proprio di no, tutti sanno che la Terra si muove sia su se stessa, sia intorno al Sole. Il Sole è fermo? No, si muove insieme a tutta la galassia. E così via… qualunque punto di riferimento non è fermo in senso assoluto, quindi qualunque cosa può essere legittimamente presa come punto di riferimento per il calcolo di una velocità. Anche fin qui, nulla di straordinario…
Continuando questo ragionamento, prendiamo come punto di riferimento per il calcolo della velocità di me stesso, mentre scrivo al computer queste riflessioni, un fotone che si sta muovendo dal Sole verso la Terra. Qual’è la mia velocità rispetto al fotone?
Semplice: il fotone, essendo il nostro punto di riferimento, è fermo (rispetto agli altri fotoni che si stanno muovendo insieme a lui nella stessa direzione e verso), mentre io mi sto muovendo alla velocità della luce “verso di lui”. Chiaro? Se poi, invece di starmene seduto al computer, salgo su un ascensore e comincio a salire andando incontro al fotone, la mia velocità, che prima era pari a quella della luce, la supera, seppur di poco. Ovvio, no?
Questa è la Legge della Relatività dei Punti di Vista, con la quale ho superato (di poco) la velocità della luce.
Potrei concludere qui… e invece preferisco concludere con un altro esempio per chi desiderasse superare di molto la velocità della luce. Basta prendere due puntatori laser direzionati lungo la stessa linea, ma con verso opposto: prendendo come punto di riferimento uno qualsiasi dei fotoni del primo laser, i fotoni del secondo laser si muoveranno al doppio della velocità della luce rispetto ad esso (in questo caso, il segno della velocità sarà positivo se i due laser puntano l’uno verso l’altro, negativo altrimenti).
E se volessi ottenere una velocità pari al triplo di quella della luce? Lascio questo esercizio ai miei lettori dotati di fantasia. Quel che spero di essere riuscito a comunicare è che i nostri punti di vista possono essere molto illusori perché tremendamente agganciati a ciò che conosciamo: cambiando punto di vista, anche ciò che sembra impossibile può essere superato. E questo, ovviamente, non vale solo per la velocità della luce.
A proposito di velocità della luce, il ragionamento fin qui esposto contiene una contraddizione tra la tesi iniziale (l'impossibilità di superare la velocità della luce) e la sua conclusione (velocità della luce superata). Ne segue che una parte di questo ragionamento è sbagliata (o che è sbagliata l'ipotesi iniziale), proprio perché "agganciata a ciò che conosco". I nostri ragionamenti possono essere molto fallaci se si basano su conoscenze, deduzioni o ipotesi che a loro volta sono incompleti, inesatti o falsi. Non solo: da un punto di vista strettamente logico, da una ipotesi falsa si può arrivare a qualsiasi conclusione, ovvero è possibile dimostrare tutto ciò che vogliamo, anche in contrasto con la realtà, se ci basiamo su ipotesi che non sono corrette nel senso di aderenti alla realtà. Qui però si aprirebbe un altro discorso su cosa è reale e cosa no, e sul fatto che non è reale ciò che è reale ma ciò che noi riteniamo tale... ma ora davvero mi fermo qui.
Buone riflessioni,
Francesco Galgani,
23 aprile 2019
Fortuna o sfortuna... vedremo!
Fortuna o sfortuna... vedremo!
Cerchiamo di relazionarci con gli aspetti positivi di noi stessi e degli altri.
Fonte del video seguente: https://www.youtube.com/watch?v=uK8i89rii7M
curato da: https://ngalso.org/it/
Nel video, dopo un breve canto di alcuni minuti, Michel Rinpoche (maestro buddista) espone le sue riflessioni e i suoi consigli sul tema della lamentela, della critica e del giudizio. Al termine, conclude con mezz'ora di meditazione guidata.
Un degno rappresentante...
Un degno rappresentante di chi veramente Ama la vita e sue Creature. Grazie!
Pratica meditativa e guarente della gratitudine
I bambini vivono in un mondo sognante dove tutto è sacro, in cui la logica non esiste e dove non servono pensiero e concetti, ma solo cuore e sentimento.
Lo stesso vale per questa pratica della gratitudine, dove lo sguardo adulto e consapevole si fonde con l'innocenza e sacralità del proprio bambino interiore.
Questi spunti di meditazione interiore sono esempi di partenza, da personalizzare come si desidera, perché ogni giorno, in ogni momento, abbiamo sempre qualcosa per cui essere grati.
In calce ho aggiunto alcune riflessioni su questa pratica.
- Ringrazio di essere qui, adesso.
- Ringrazio, rispetto e accolgo la diversità dei tuoi bisogni e dei tuoi punti di vista come il più bel regalo: la varietà è vita!
- Sono grato che tu sei come sei: non ho bisogno di dispensare consigli.
- Sono grato di avere la possibilità, ogni giorno, di migliorarmi, cioè di ascoltare sempre di più la volontà della mia Anima.
- Sono grato di poter contribuire al bene comune, sono grato di poter contribuire a rendere la vita più bella da vivere.
- Sono grato di potermi prendere cura delle mie parti tossiche (lamentele, giudizi, pretese, accuse, sfiducia, inconsapevolezza, competizione, rabbia e ogni altra emozione che fa male al cuore) e dei miei vissuti ancor doloranti, avvolgendoli con gratitudine, amore, compassione.
- Io sono OK, tu sei OK: grazie!
- Io sono OK, il mio lavoro, il mio studio e le mie passioni sono OK! Grazie!
- Ringrazio il sacro e sufficiente cibo di cui mi nutro, ringrazio la sacra e sufficiente acqua che mi lava e disseta. Faccio voto di nutrirmi causando la minor sofferenza possibile.
- Ringrazio quando ho fame, ringrazio quando digiuno, perché ciò mi aiuta a ricordare i bisogni di innumerevoli altri viventi.
- Ringrazio l'aria che respiro, ringrazio il sole che mi riscalda, ringrazio il mare e la luna, ringrazio ogni miracolo della natura.
- Acqua Ti Amo, Sole Ti Amo, Aria Ti Amo, Terra Ti Amo: grazie! grazie! grazie!
- Ringrazio le persone da cui imparo.
- Ringrazio quel che sono, ringrazio quel che ho.
- Ringrazio la vita così come l'ho vissuta, quella che sto vivendo, quella che vivrò: faccio voto di usarla a beneficio di innumerevoli esseri viventi.
- Ringrazio ogni mia paura, ringrazio ogni mio coraggio, ringrazio ogni mia emozione, ringrazio il mio cuore.
- Ringrazio la vita che sempre ci protegge, ringrazio la scintilla divina che è in ogni vivente.
- Riverisco come bella e sacra ogni parte del mio corpo e del mio essere: ne sono grato, l'accudisco con protezione e amore.
- Ringrazio i Maestri dell’umanità e ringrazio il mio desiderio e la mia possibilità di ascoltarli.
- Ringrazio di essere nato in questa epoca, ringrazio i miei genitori, ringrazio tutto l'amore ricevuto, che ricevo, che riceverò.
- Ringrazio i miei studi, ringrazio il mio lavoro e ogni altra opportunità che ho avuto, che ho e che avrò di realizzare me stesso e di dare il mio contributo alla società.
- Ringrazio di essere una goccia del grande fiume della vita, ringrazio di poter partecipare insieme alle altre gocce alla grande avventura di scendere dalla montagna fino al mare, ringrazio tutto ciò che incontro durante il cammino, ringrazio ogni altra goccia.
- Riconosco come vere gratificazioni quelle che nascono dalla mia gratitudine, dal mio amore a tutto tondo, dalle sacre condivisioni cuore a cuore, dal mio spirito di ricerca e dal coraggio di sfidarmi, dalla mia fede, dal provare a guardare le cose con lo stesso sguardo innocente e meravigliato di un bambino.
- Ringrazio come unica e sacra ogni occasione in cui mi posso relazionare con altre persone.
- Ringrazio le persone che mi ascoltano con il cuore e con l’intelletto, prego per essere a mia volta capace di un ascolto profondo.
- Prego affinché i miei pensieri siano sempre pieni di gratitudine, di rispetto, di accoglienza, di amore, di fede. Prego affinché le mie parole siano consapevoli, affinché le mie azioni siano benefiche.
- Prego affinché la mia lingua si fermi prima di parlare male, prego affinché io sia pronto a correggermi quando mi accorgo di essere caduto nella lamentela o nel rancore, rialzandomi e guarendomi nella gratitudine.
- Mi impegno a riconoscere e a trattare con amore ogni mio lato oscuro, tendente verso la sofferenza e la disgregazione, e a trasformarlo con la sacra medicina di una preghiera che sa ringraziare.
- Prego per la felicità e la protezione di ogni persona che, intenzionalmente o non intenzionalmente, libera o non libera nel suo agire, sicura o dubbiosa, schiava o non schiava di demoni o altre catene interiori, ha fatto o non fatto qualcosa a cui io ho reagito con una sofferenza che ancora è con me.
- Prego per la felicità e la protezione di ogni persona che ha provato sofferenza per ciò che io ho fatto o non fatto.
- Prego per vedere nell'altro un essere umano come me, limitato e bisognoso.
- Accolgo, ringrazio e do amore a ogni sofferenza necessaria, riconoscendola come propellente per migliorarmi attraverso una preghiera piena di gratitudine e di fiducia nella vita.
- Prego per riconoscere e curare prontamente ogni sofferenza non necessaria, cioè conseguente al rifiuto della vita così com’è.
Grazie!
La gratitudine è alla base della felicità, della pace interiore ed esteriore, di ogni sentimento ed emozione positivi. Dalla gratitudine possono nascere la compassione, l'amore, la solidarietà, la fratellanza e la sorellanza, un vivere migliore. Questa pratica della gratitudine permette infatti di superare la separazione tra noi e gli altri, tra noi e la natura, tra noi e il resto del mondo, che è causa di solitudine e di sofferenza. Riscoprendo giorno per giorno la nostra unione e profonda inseparabilità con tutto ciò che esiste ritroviamo noi stessi e la nostra felicità.
La gratitudine va oltre la razionalità e oltre la limitata comprensione che da essa deriva, perché è espressione dell'Anima. La gratitudine libera da ogni giudice interiore, da ogni tribunale interiorizzato, dalla paura del giudizio sociale, è per sua natura non-giudicante, rispettosa, fiduciosa, accogliente e immensamente amorevole, come un sole che illumina e indirizza ogni pensiero e ogni azione.
Questa pratica della gratitudine consiste nel ripetere interiormente queste frasi, o frasi di analogo significato o ispirazione che si accordino alla propria sensibilità e preferenza, ogni volta che lo si desidera e per quanto tempo lo si desidera, fino a farle diventare un'abitudine, un modo ricorrente di pensare e di vivere, un modo di essere. Le frasi qui proposte sono punti di partenza, infinite altre espressioni di gratitudine possono nascere dal proprio cuore.
Oltre alle espressioni di gratitudine, ho riportato anche esempi di preghiere: ogni preghiera intenzionale, consapevole, autentica e ben presente nel proprio cuore trascende le specificità di ogni religione e ritualità e arriva dove deve arrivare. Le nostre azioni, se consapevoli e ben dirette, sono esse stesse una preghiera.
Questa pratica può essere di ausilio e integrazione a ogni altra pratica spirituale che vada nella stessa direzione.
«La gratitudine apre alla pienezza della vita, trasforma ciò che abbiamo in qualcosa che è più che abbastanza, trasforma il diniego nell’accettazione, il caos nell’ordine, la confusione nella chiarezza, può trasformare un pranzo in un banchetto, un riparo in una casa, uno straniero in un amico. La gratitudine dà senso al nostro passato, porta la pace per l’oggi e crea una visione per il domani».
Melodie Beattie, citata in "Parlare Pace" di Marshall Rosenberg, cap. 12 su "La Gratitudine", libro usato come base nella sezione "Comunicazione Non Violenta".
Namasté,
Francesco Galgani, iniziato a scrivere l'11 agosto 2019, finito di scrivere il 16 settembre 2019
Affrontare la propria ombra, stare nell'anima
Alla ricerca di maestri...
Dopo i miei precedenti articoli "Alla ricerca della felicità", "Alla ricerca della verità... oltre la politica, oltre la religione", "Alla ricerca della scienza...", "Alla ricerca dell'intelligenza "naturale"... ben oltre quella "artificiale", continuo le mie ricerche e riflessioni con questo nuovo articolo.
Vorrei partire da questa considerazione: io sono un essere umano come te.
Nessun testo può essere autoreferenziale, per questo ti invito ad approfondire e a cercare collegamenti con altri autori rispetto a ciò che non solo scrivo io, ma che in generale ti piace leggere, ovvero a trovare i tuoi veri maestri, e a ritrovarli ogni giorno.
Non smarrire mai la tua capacità di discernimento: troppo spesso la nostra capacità di rimanere in contatto con la realtà e con ciò che di autentico è in noi è contaminata da pensieri, parole e modi di agire che abbiamo interiorizzato dalla famiglia, dalla scuola, dalla società. I mass-media e i falsi poteri che attraverso di essi si esprimono ci avvelenano continuamente i sentimenti, l’intelletto e il corpo, per questo dovremmo imparare a discriminare ciò che è buono per noi e ciò che non lo è. Ovviamente non è tutto da buttare: così come la scuola, l’università e gli ambienti di lavoro spesso si traducono nell’accettare la propria posizione di “stare in basso” rispetto ad un’autorità che “sta in alto” (o viceversa), allo stesso modo al tempo della scuola e dell’università ho avuto la grande fortuna di incontrare alcune persone veramente umane e veramente “insegnanti” con il loro esempio: grazie!
Non c’è conoscenza senza amore e non c’è amore senza conoscenza. Allo stesso modo, non esiste un problema che sia “mio” o “tuo”: tutti siamo in relazione. Se questo vale per i problemi piccoli e facilmente superabili, in cui se c’è un minimo di amore allora un problema tuo è anche un po’ mio e viceversa, a maggior ragione ciò è vero per i problemi globali. I grandi maestri dell’umanità si sono sempre occupati proprio di questo, indicandoci la via per uscire dalla “caverna di Platone” e per risolvere i nostri problemi comuni, a cominciare dalla nostra incapacità di relazionarci con la nostra pluralità interiore e con la comunità esterna.
I problemi degli esseri umani hanno tutti la medesima essenza, sono problemi comuni. Le filosofie e le religioni prima, e assai recentemente vari rami della psicologia, hanno provato a dare una risposta a questi problemi. Se non ci rendiamo conto però della nostra comune umanità, allora le religioni, le filosofie e le psicologie, anziché essere d’aiuto, rischiano di provocare ulteriore divisione, aggravando i problemi. Sentirsi nel “vero” e nel “giusto” può essere molto pericoloso, sentirsi “grati” e parte di qualcosa che è più grande di noi e che ci unisce tutti può cambiare l’esistenza in meglio, dando un sapore diverso alla vita quotidiana e alla sua imprevedibilità. Per questo spero che anche tu potrai trarre beneficio della Pratica della Gratitudine.
Vorrei farti un esempio del perché occorre essere molto cauti nell’identificarci in un certo tipo di credo piuttosto che in un altro. Al di là di casi eclatanti in cui la religione, in Italia, è usata come mezzo per giustificare crimini (ricordo i culti mariani di certi capi-mafia), vorrei invece portare l’attenzione su noi persone comuni. Milton Rokeach, uno psicologo ricercatore all’Università dello Stato del Michigan, in pubblicazioni come "Religious Values and Social Compassion" (1969), ha studiato quanto le persone che affermano di praticare seriamente la loro religione siano più o meno compassionevoli delle altre (nella ricerca che ho citato, prese un campione di 1400 adulti americani). In sintesi, e con la dovuta cautela nell’interpretazione dei suoi risultati, che hanno un valore statistico e sono riferiti al contesto storico delle sue ricerche, in generale trovò un atteggiamento più insensibile e meno compassionevole tra i religiosi che tra i non religiosi. Quindi facciamo attenzione, cerchiamo di mantenere il cuore e le orecchie aperte, senza pretendere di avere una verità più vera delle verità altrui.
Ovunque oggi prevale un pensiero giudicante (che è l’opposto dell’amore e della capacità di comprensione), associato a sensi di colpa, di vergogna, di sfiducia, di logiche di potere: questa è un forza distruttiva molto potente, è una danza demoniaca, ma per fortuna ci sono anche forze benefiche e guarenti ancora più grandi. L’umanità ha avuto e continua ad avere grandi anime, grandi maestri che ci hanno indicato e continuano ad indicarci come liberarci dalle nostri prigioni di sofferenza. Per questo ripeto che è importante provare ad ascoltarli. Ricordiamoci anche che le situazioni, le persone, la natura e il mondo in generale non ci appaiono in un certo modo perché sono in un certo modo, ma perché noi siamo fatti in un certo modo. Spesso proiettiamo sull’esterno ciò che noi siamo e i nostri stati d’animo.
Ciò che negli anni ho scritto nel mio blog e nelle mie poesie, per lo meno per quanto riguarda i temi psicologici, politici, economici, sociali, salutistici, pedagogici, del software libero e di educazione alla tecnologia, di rapporto con la tecnologia e di sua intermediazione, di filosofia, di religione e di dialogo interreligioso, ecc., che ho affrontato e talvolta scritto in modo approfondito, facendo anche ricerche protratte nel tempo, è quanto la mia anima mi ha comandato di scrivere: in questo senso, è come se non avessi avuto scelta, ho dovuto farlo (ovviamente ho pubblicato anche altro che esula da questo discorso). Il dovere a cui mi riferisco è un dovere dharmico, etico, è il senso del mio essere qui. Per meglio spiegarti cosa intendo, vorrei citarti un video di due minuti (riportato in calce), presentato dalla prof.ssa Wangari Maathai, premio nobel per la pace, che si apre con le immagini di un vasto incendio nella foresta. I grandi animali, i giaguari, le scimmie e altri scappano davanti al fronte del fuoco, ma a un certo punto si vede un minuscolo colibrì che va nella direzione opposta, con il suo beccuccio pieno d’acqua. I grandi animali gli dicono: "Dove corri, c’è l’incendio, scappa via", ma il colibrì risponde: "Io faccio il meglio che posso, faccio la mia parte". L'idea è proprio questa: fare la propria parte, che non è scritta in alcun posto, ma è la capacità di cogliere quello che la vita ci propone e rispondere con l’anima, cioè con le qualità dell’amore e della gratitudine, e non con l’ego, cioè con le qualità distruttive dei demoni. Non ci dobbiamo far paralizzare dal fatto che la realtà possa apparirci troppo grande per poter essere cambiata: questo tipo di paralisi è un inganno delle forze demoniache, mentre le forze angeliche, anch’esse dentro di noi, percepiscono le cose in un modo assai più ampio, unitario, gioioso e propositivo.
Infine, visto che ho scritto la Religione dell’Ultima Lotta, la cui lettura può essere fatta a vari livelli, e visto anche ciò che poco fa ho espresso sulle religioni, vorrei ricordare che grandi anime come il Mahatma Gandhi (suggerisco la biografia di Yogesh Chadha) e Paramahansa Yogananda, che tra di loro si conoscevano, hanno sempre avuto una visione il più possibile unitaria di tutte le religioni. Ciò che ci identifica come essere umani pienamente umani, infatti, non è la nostra religione, ma il nostro “ubuntu”, cioè la nostra capacità di sentirci parte di qualcosa di più grande che ci unisce tutti.
Ti ringrazio,
Francesco Galgani,
5 ottobre 2019
Intelligenza Senz'Anima = Intelligenza Artificiale
Esattamente due anni fa scrissi l'articolo «Alla ricerca dell'intelligenza "naturale"... ben oltre quella "artificiale"».
Oggi vorrei ritornare sullo stesso argomento, partendo da una considerazione semantica. L'aggettivo "artificiale", riferito ad una intelligenza, viene ormai usato in contrapposizione a "naturale" per significare che l'intelligenza artificiale è in competizione con quella naturale (questo tipo di narrazione, per quanto falsa, è utile a precisi interessi economici e di potere, ma su questo aspetto adesso non voglio entrare). Come ho già scritto nell'articolo sopra linkato, tale modo di vedere le cose è molto fuorviante e, in effetti, se proprio di intelligenza vogliamo parlare, allora paragonarci alle macchine fa torto a noi stessi e alla nostra intelligenza.
L'essere umano non è e (per fortuna) non potrà mai essere soltanto una mente calcolante finalizzata al processamento di informazioni, come invece fanno i computer e come l'HIP (Human Information Processing) ha teorizzato. Ho citato l'HIP, che è un settore della Psicologia Cognitiva, perché l'ho incontrato più volte nei miei studi di Psicologia all'università. Questo approccio riduzionista, per quanto "verosimile" e perciò tendenzialmente credibile, è però intrinsecamente falso, almeno dal mio punto di vista, perché riduce l'essere umano a ciò che non è.
Vediamo meglio la questione: le decisioni dell'essere umano sono conseguenza di calcoli precisi o di emozioni? Dipende dai contesti, ad ogni modo anche quando l'essere umano adotta un approccio il più possibile razionale è mosso da motivazioni di fondo che nulla hanno a che vedere con le decisioni che sta per prendere. Mi sto riferendo a motivazioni sia sopra sia sotto la soglia di coscienza: c'è di tutto nel nostro inconscio, nei nostri vissuti, nei nostri sentimenti (e nei loro doppi legami, cioè sentimenti contrapposti come amore e odio che coesistono), nei nostri desideri. Detto in altre parole: non c'è decisione umana che non sia guidata dalle emozioni, siano essere coscienti, incoscienti, fisiologiche o patologiche. Anche la nostra memoria non è neppure lontanamente simile a quella di una macchina calcolante: la nostra memoria è innanzitutto emotiva e filtrata dalle emozioni. Avete mai conosciuto un computer che ha una rimozione freudiana di un trauma, che ha uno stato emotivo alterato da un problema contingente o che ha voglia di fare l'amore con la donna amata?
L'essere umano è intrinsecamente parte del suo ambiente: tutto dipende da noi e noi dipendiamo da tutto, a tutti i livelli. Siamo parte di qualcosa di più grande.
Abbiamo corporeità, sentimenti, spiritualità, anima, capacità di porci problemi etici e problemi di scopo dell'esistenza. Vorrei invitarvi a rileggere "Tra le fiamme", in cui parlo dei due occhi dell'anima. Per favore, rileggetelo e ditemi se una "intelligenza artificiale" può vivere interiormente ciò che ho scritto.
Per favore, smettiamola di chiamarla "intelligenza artificiale". Chiamiamola più propriamente "intelligenza senz'anima", pseudo-intelligenza governata da arroganti algoritmi (cioè calcoli) «[...] che sono così "intelligenti" da passare come un carro armato sulla testa delle persone», come ho scritto nell'articolo «[Censura] I social (Facebook, Twitter, Instagram, Youtube) violano i diritti umani e la Costituzione Italiana».
Per favore, smettiamola con qualsiasi approccio riduzionista dell'essere umano. E' vero che le semplificazioni sono utili per elaborare modelli e teorie, ma a semplificare troppo il rischio è di perdere la visione d'insieme e la consapevolezza di ciò che siamo. Anche ridurre l'essere umano, e la vita in generale, a un ammasso di cellule e di reazioni chimiche è già di per sé un falso, noi siamo assai di più. Spesso gli innamoramenti giovanili vengono definiti "ormoni": a qualcuno non sorge il dubbio che questo modo di ridurre a un fattore chimico, per quanto esistente, un'esistenza estremamente complessa con vissuti interiori e relazionali preziosissimi, sia quasi un'offesa?
Ci sono aspetti della vita che la scienza non può spiegare e che nessuno può insegnare, se non la vita stessa. Lo sguardo meravigliato e stupito dell'essere umano di fronte al mistero e alla sacralità della vita accomuna noi ai nostri avi, ma neanche lontanamente ci avvicina o ci rende simili alle macchine senza vita e senza anima da noi costruite. Anzi, se non siamo noi a mettere i due occhi dell'anima in ciò che facciamo, gli strumenti che creiamo e usiamo diventano semplicemente diabolici.
Come ha detto tante volte il mio caro amico Giulio Ripa (link al suo archivio), «la tecnologia non risolve i problemi, semplicemente li sposta». I problemi fondamentali dell'essere umano, soprattutto esistenziali e relazionali, sono sempre gli stessi, con o senza l'ausilio della tecnologia. Tra l'altro, l'«intelligenza senz'anima» (e quindi intrinsecamente stupida) non potrà mai risolvere i problemi della stupidità umana, che può raggiungere livelli abbastanza rari nel regno vivente.
Francesco Galgani,
17 ottobre 2019
Pena di morte digitale
Un appello a tutti i rivoluzionari: se vogliamo combattere il neo-liberismo, allora non usiamo i mezzi che ne sono la massima espressione, cioè i social.
Se vogliamo uscire dal neo-liberismo, allora prima usciamo dai nostri individualismi e da quei narcisismi competitivi tanto favoriti dai social (e da tutta la società in genere).
I social creano solo relazioni patologiche. Fuori dai social, a volte, è pure peggio, ma può anche essere assai meglio.
Anche se hai dedicato anni a costruire un profilo social, la pena di morte digitale è sempre in agguato. Anche se hai creato il più grande movimento di opposizione al regime dominante, in un attimo può essere cancellato da qualsiasi social, senza possibilità di difesa.
Relazioniamoci con la vita così com'è, con tutta la sua complessità e con la sua bellezza.
Guardiamo con stupore le meraviglie della natura e stiamo fuori dai social. L'unica alternativa al neo-liberismo è la comunità reale, a cominciare dalla famiglia.
Stiamo anche attenti ad identificarci in qualche organizzazione piuttosto che in un'altra: l'organizzazione per realizzare un ideale può corrompere gli individui? Mi riferisco ad esempio a religioni, partiti politici, scuole e università, movimenti vari, ecc.
Il cambiamento è possibile solo se individuo e società cambiano insieme. L'individuo che si organizza per cambiare la società in funzione degli ideali pensati, deve agire contemporaneamente per cambiare sé stesso con l'impegno a vivere nella vita comune i propri ideali da realizzare.
«Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo»tratto da: https://archiviodigiulioripa.sytes.net/#/home/oltre-il-dualismo
A proposito di lotte, di ideali, di voglia di cambiamento, di manifestazioni (come la recente del 12 ottobre 2019 a Roma), avrei una proposta politica: non rincorrere i soldi e il potere, ma ubbidire alla propria Anima, nel senso più nobile, amorevole e compassionevole del termine.
Grazie!
Francesco Galgani,
17 ottobre 2019
Aforismi di Giulio Ripa
tratto dall'Archivio di Giulio Ripa
fonte: https://archiviodigiulioripa.sytes.net/#/home/aforismi-in-archivio
TECNOLOGIA
- L'uomo postmoderno quando s'innamora dell'immagine di sé e la potenza creatrice della sua conoscenza usa la tecnologia per dare forma visiva ai sogni, si altera la realtà vissuta, vivendo in una spettacolarità dove l'apparire si confonde con l'essere.
- La socialità virtuale, è una dimensione simulativa, un surrogato della vita, contrassegnato da una modificazione della realtà. La realtà non è aumentata dalla virtualità ma viene solo alterata.
- L'agire dell'individuo come figurante interattivo sempre connesso, comunicando in modo frenetico e guardando soprattutto immagini virtuali inerenti alla sua vita simulata in rete, si riduce ad essere attore e spettatore di se stesso.
- La mancanza di un percorso spirituale, di valori condivisi, sono alla base di questa crisi dell'umanità. Comunicare online nella situazione attuale è solo dannoso, se nessuno più ascolta l'altro. Per ascoltare l'altro ci vuole affetto. Ma l'affettività non nasce da una migliore tecnologia.
- È irreale pensare che la tecnologia possa liberare l’uomo dalla sua condizione esistenziale, in realtà la tecnologia gli serve a vivere, ma non lo rende libero.
- La tecnologia non ci fa felici. La sua intermediazione rompe le relazioni fisiche tra le persone e tra le persone e la natura, facendoci cadere nel buco nero del pozzo dei desideri infiniti.
- Comunicando mediante le tecnologie digitali multimediali (es.facebook, twitter, WhatsApp), accettiamo sempre più di vivere nel mondo virtuale di una realtà simulata, invece di vivere ciò che di reale sta dentro ed intorno a noi.
- Paradossalmente più che le informazioni veicolate dai dispositivi elettronici, è l'abitudine all'uso della tecnologia dell'informazione a modificare nel tempo i comportamenti delle persone.
- Mentre la natura, indifferente alla voglia di vivere dell’uomo, segue le proprie leggi per mantenere l’equilibrio nel suo insieme, l’uomo invece attraverso la tecnologia cerca di sollevarsi dalla propria condizione umana illudendosi di svincolarsi dalle leggi naturali.
VITA
- E' la voglia di vivere che limita la capacità di ragionare, spingendo l’essere umano a vivere di illusioni e desideri infiniti, poiché è difficile sopportare la realtà della propria vita reale, pochi resistono alla fatica di un lungo esame di coscienza ed all’accettazione della complessità della vita nelle sue molteplici forme.
- il mistero della vita ci lega alla sacralità della vita stessa, al rispetto di un tutt’uno di cui l’uomo ne fa parte.
- Ci vuole troppo tempo per capire il mondo e c'è troppo poco tempo per imparare a vivere.
- Infelicità e felicità fanno parte di un tutt'uno, avendo come unico desiderio il piacere della vita nella sua complessità, accettando la vita così come è, mentre cerchiamo di cambiarla.
- E' possibile avere un atteggiamento equilibrato verso la vita che comprende la relazione tra gli estremi superando la separazione tra le posizioni opposte.
- Il modo di vivere particolare di ogni individuo, sperimentando nel tempo sentimenti ed emozioni, condiziona la ragione umana dal primo fino all’ultimo istante di vita.
- La vita pensata (coscienza) dove si percepisce l’essere in sé, cioè il modo di pensare riconducibile alla propria esistenza nel mondo, è condizionata dall’aspetto particolare “dell’esserci” come vita vissuta.
- Il condizionamento della vita vissuta sulla vita pensata e la inevitabile fragilità della vita stessa provocano illusioni o autoinganno che inconsciamente servono ad ognuno di noi per reagire alla difficoltà di vivere.
- In definitiva la vita va accettata così come è, una fusione fra gioia e dolore, senza perdersi tra futili ottimismi che creano solo illusioni ed inutili pessimismi che creano solo depressioni.
- L'insegnamento fondamentale della vita a cui partecipiamo è comprendere la vita stessa, ovvero sentire realmente cosa significa essere vivi, che è realmente la presenza, la nuda sensazione di esserci.
- L'illusione dà un senso alla nostra vita nel mondo, ma è il vivere nel mondo senza illusioni che ci fa conoscere l'intera realtà.
ECONOMIA
- Il monoteismo del mercato polverizza l'intero genere umano, in un pulviscolo di atomi di consumo, reciprocamente indifferenti, dove si accentua la polarizzazione, tra chi dispone del superfluo e chi è privo dell'indispensabile.
- Sempre di più si governa controllando lo stato d'animo della popolazione più che agire in uno stato di diritto attraverso il confronto democratico.
- Nel nostro modo di pensare più profondo e inconscio, tutti siamo diventati succubi del pensiero patologico neoliberista.
- Il pensiero unico del sistema economico neoliberista resta indiscusso: crescere economicamente nella quantità delle cose da consumare e non nella qualità delle relazioni umane per emanciparsi, per cui prevale l’idea che i problemi si possono risolvere solo individualmente, mai socialmente.
- Con la sobrietà possiamo non solo semplificarci la vita, ma anche renderla molto più gradevole.
- Il cambiamento è possibile solo se individuo e società cambiano insieme. L'individuo che si organizza per cambiare la società in funzione degli ideali pensati, deve agire contemporaneamente per cambiare se' stesso con l'impegno a vivere nella vita comune i propri ideali da realizzare.
FILOSOFIA
- L'agire umano dipende da una irrazionalità insita nell'uomo che affiora ogni volta che la ragione cede il passo a tutta una serie di comportamenti che non sono il frutto di una logica ma di emozioni, istinti, sentimenti giustificati a posteriori, con argomenti che si sforzano di essere razionali nel tentativo di dare a noi stessi un ordine che non esiste.
- Vogliamo credere che siamo razionali, ma la ragione si rivela essere il modo in cui - a fatto compiuto - razionalizziamo ciò che le nostre emozioni già vogliono credere.
Sono le cose in cui crediamo che creano la nostra realtà. Per cui non è la ragione ma la vita vissuta a modificare nel tempo il comportamento delle persone.
- L'uomo sceglie sempre la strada più facile per risollevarsi dalla sua condizione esistenziale, per questo è fondamentale riconoscere i suoi limiti naturali.
Solo mettendo a nudo i limiti della natura umana è possibile conoscere meglio se stessi avendo compassione dell'umanità nel desiderare la felicità per tutti.
- L'uomo manifesta una forma di egoismo profondo di cui non è di solito consapevole, una evidente concentrazione su se stesso negli scambi interpersonali ed una incapacità di vedere il mondo dal punto di vista degli altri.
- Sappiamo ciò che c'è, ma non sappiamo ciò che potrebbe esserci. Desiderare un mondo migliore è possibile.
- La condizione precaria dell'uomo spinge la natura umana a vivere di illusioni poiché è difficile sopportare la fragilità della propria vita reale.
- Ognuno difende se stesso come una goccia d'acqua che si rifiuta di finire come acqua nell'oceano dell'immensità. Perdersi in questo oceano provoca dispiacere se si resta goccia, ma la possibilità di prendere coscienza del sé può evitare quella tensione (desiderio individuale) di restare goccia e di diventare acqua in mezzo all'acqua dell'oceano.
- Un uomo è in grado di incarnare un senso di nostalgia del possibile, nostalgia di ciò che ancora non è stato ma potrebbe essere, capace di trascendere la realtà, realizzando così diversi possibili modi di essere uomo.
- Le condizioni esistenziali producono una perdita di senso o di vuoto nella vita delle persone. Ci si sente soli. La solitudine esistenziale è uno stato dell’animo che fa parte della natura umana. Sentirsi soli rispetto al problema esistenziale è uno stato che dipende dal proprio "essere interiore".
- Rincorrere continui desideri produce continuamente infelicità che nasce dallo scarto tra l'attaccamento al desiderio del piacere infinito e il piacere che una volta soddisfatto è finito.
- Per realizzare desideri che non hanno confini, l'individuo viola lo spazio, la dignità, l'identità, il rispetto dell'altro. Quando si perseguono interessi indivisibili, cioè individuali, farsi individuo violenta l'individualità di un'altra persona.
- Si diventa individui dando espressione singolare al sapere comune. Si sa insieme e si sta insieme nella comunità basata sulla pratica della libera condivisione nell'uguaglianza di potere di tutti, dove ciascuno è ugualmente libero rispetto a ogni altro in quanto parte dell'umanità comune a tutti.
- Non esiste questo o quello. ma esistono entrambi. Non esiste un prima e un dopo. Tutto accade insieme nello stesso tempo. Oltre ogni scelta manichea, superare il dualismo io/altri significa "io sono gli altri" e "gli altri sono me".
- Tutto dipende da noi ma anche noi dipendiamo da tutto.
- Unico modo per osservarla intera la realtà è uno sguardo disinteressato, distaccato, senza illusioni, senza partecipazione, senza tempo, cosmico, dove l'osservatore si identifica con l'oggetto osservato (la vita, la realtà) e tutto le parti si manifestano in un tutt'uno reale nelle sue molteplicità ed opposizioni.
- La debolezza umana con tutte le sue miserie è il risultato di un’assurda condizione esistenziale che l’uomo fa fatica ad accettare per vivere in modo consapevole e cosciente.
- Mentre cerchiamo nell'oscurità di fare luce per conoscere il vero, tutto quello che ci interessa accade nell'ombra, davvero.
L’essenza dell’essere umano
L’essenza dell’essere umano è un “io” all’interno di un “noi”. Al di fuori di questa consapevolezza, che è l’unica base per un vivere sociale, anzi, tout court, per poter “vivere”, ci sono soltanto abbrutimento e cattiveria. La croce uncinata, che nel secolo scorso ha rappresentato il punto di arrivo della cattiveria umana, si è basata sulla scissione dell’“io” di un popolo dal “noi” collettivo, in questo caso inteso come umanità. E oggi è ancora così, per questo guerre, violenze e miseria imperversano ovunque. Più in generale, l’ego individualista umano è ciò che, a livello di specie, sta distruggendo la natura, cioè la nostra casa, cioè noi stessi.
Tutti gli esseri umani, più o meno consapevolmente e più o meno credendoci, ricercano la felicità, che non ha nulla in comune con la nostra era neoliberista e suicidiaria, in cui la presenza umana sul pianeta è diventata il pericolo numero uno per il proseguimento della vita. La felicità non sta nelle bassezze umane, ma nel massimo splendore di quella saggezza e di quell’amore che ci rendono divini. Quando guardiamo le nostre bassezze, non dovremmo mai dimenticare la bontà, la bellezza, l’estro, i talenti, le emozioni positive, amorevoli, solidali e ogni altro splendore che ci rendono pienamente umani; al contempo, quando guardiamo i massimi livelli raggiunti dall’individuo e dalla società umana, dalla filosofia e dalla spiritualità, dalle arti e dalle scienze, non dovremmo dimenticarne le bassezze.
La felicità è esser parte di una comunità basata sull’amore e su tutte le qualità dell’essere che ne conseguono (fratellanza, sorellanza, amicizia, gratitudine, rispetto, onestà, solidarietà, dedizione al bene comune, gioia per la diversità, ecc.). La prima comunità è la famiglia. La felicità è uno stato animico di amore radiante e di unione con l’essere animico degli altri viventi. Al di fuori dell’appartenenza ad una comunità, ovvero quando l’“io” non ha un “noi”, non può esserci felicità... anzi, a ben vedere, non può esserci neanche vita.
La ricerca della felicità individuale, ovvero separata dagli altri, nel senso di “a prescindere dagli altri”, pur per quanto attraente ed enfatizzata dal separatismo competitivo criminale neoliberista, è un non senso. Al massimo potrebbe essere un edonismo implosivo, nichilista, logorante, destinato al nulla. Stesso discorso per la ricerca di una felicità a prescindere dalle questioni ambientali o dalle contaminazioni neoliberiste di noi stessi e dei rapporti interpersonali: ovunque ci sia la ricerca del piacer proprio trascurando tutto il resto, c’è solo aberrazione della nostra natura.
Nell’era dei like, della patologia dei social, sovente le persone mettono in mostra il peggio di sé, della propria solitudine, del proprio narcisismo delirante. E mentre ciò avviene, altri si disperano e si rivoltano perché non hanno neppure l’acqua. Il bisogno di apparire, di avere “successo” con tanti like, followers e numeri affini, a me pare come un mascheramento del bisogno primario di amore, di nutrimento affettivo, di contatto, di comunità: molte persone vivono l’amore come “condizionato”, ovvero si sentono “degne di amore” e “capaci di poter amare” se si sentono in forma, se sono attraenti e se hanno una buona o ottima performance, caratteristiche queste che, nei social, si traducono nei like e nei contatori di visualizzazioni (*). O almeno questa è la mia impressione, visti anche i casi recenti di suicidi di giovani ragazze a causa della “mancanza di like” sui social (semplificando, ovviamente la causa primaria di tali gravi depressioni è altrove).
Queste condizioni di amabilità, che sono tipiche soprattutto delle subpersonalità psicosomatiche (approfondimento), sono un auto-inganno: l’amore, se è tale, non è condizionato e il nutrimento affettivo non può essere tecnomediato. Esistono altre condizioni di amabilità, in sintesi riconducibili ad una logica do ut des, e pure esse sono un inganno. La nostra essenza è un’altra. Cerchiamo la nostra comunità di appartenenza mentre cerchiamo di divenire individui, ma tale comunità, all’interno della società liquida di Bauman, non c’è più... e i social non ne sono neanche il riflesso.
Francesco Galgani, 29 ottobre 2019
(*) Questo è uno dei motivi per cui nel mio blog non ho inserito alcun contatore di visite né di letture, né la possibilità di inserire like o commenti. Credo che ciò non mi sarebbe utile, anzi. Chi vuole scrivermi può usare l’e-mail, che tra i vari mezzi di comunicazione online, come ha scritto Torvalds, ancora si salva perché «generalmente c'è un po' di contenuto reale».
Verso il fallimento dell'intelligenza artificiale
Per approfondimenti su questo tema:
- L’intelligenza biologica non è equiparabile a quella artificiale (di Federico Faggin)
- Xenobot, primi robot viventi ottenuti da rane: “organismi programmabili”
tratto da corrispondenza privata:
«[...] Interessante l'analisi che fa Federico Fagin. Concordo su tutto tranne però sul finale. Anche lui si illude che il problema si possa ridurre alla fine su come si usa la tecnologia. "Il vero pericolo è dato dagli usi malevoli dell’intelligenza artificiale." Invece il vero pericolo è la tecnologia stessa qualunque uso se ne faccia. Almeno la storia così ci ha dimostrato.
Inoltre io credo, che la scienza abbandonerà nel tempo gli studi sull'intelligenza artificiale partendo da materia inerte, per l'impossibilità di costruire robot uguali agli esseri umani, così come chiaramente ci spiega Fagin, per intraprendere gli esperimenti che hanno lo scopo di costruire macchine viventi, cioè partendo da materiale vivente (cellule staminali). Su questo la biogenetica è abbastanza avanti nella ricerca.
Da sempre l'uomo ha avuto il desiderio di creare se stesso, di essere come un Dio creatore di tutte le cose.
La tecnologia ora è si è avvicinata con la biogenetica a realizzare questo sogno. L'uomo vuole creare a sua immagine e somiglianza l'uomo, con una differenza essenziale rispetto ad oggi, di programmare nei laboratori un uomo con caratteristiche predeterminate (modificando il DNA) e non semplicemente ereditate come succede oggi. [...]»
«[...] la vita è già intelligente. Cercare di forzare la sua intelligenza connaturata in una direzione che non le è propria, significa renderla stupida. Questa è una legge universale: non vale solo nell’educazione, dove il danno inflitto dal voler forzare i discenti su discipline lontane dalla loro sensibilità è evidente, ma vale anche per la cosiddetta intelligenza artificiale, dove l’uso di cellule vive per scopi diversi da quelli per cui natura le ha concepite non potrà che portare guai seri. Anche le pene inflitte dalle manipolazioni genetiche a piante e animali sono tutto fuorché una dimostrazione di intelligenza, anzi. Mi pare che ci siano tutte le premesse affinché l’intelligenza artificiale possa rivelarsi un grande fallimento. Forse, quando ciò accadrà, cominceremo a sviluppare più rispetto e devozione per la vita così com’è. [...]»
«[...] Se adesso mi addormentassi e poi mi risvegliassi tra mille anni, la prima cosa che chiederei è se le persone sono felici di vivere e in armonia tra di loro con amorevole gentilezza, senza che qualcuno cerchi di imporsi sugli altri. [...]»
(Giulio Ripa e Francesco Galgani, 7-9 febbraio 2020)
Meditazione Vipassana, ritiro di 10 giorni (audio mp3)
Dalla tirannia incostituzionale televisiva a Baruch Spinoza
In questi giorni è circolata la notizia che l'Agcom ha sospeso i canali di La7 che hanno lasciato che una persona esprimesse opinioni in tema di salute che evidentemente a qualcuno non piacciono. Nello specifico, leggiamo: «[...] Nelle ultime settimane il nome di Adriano Panzironi è tornato agli onori delle cronache per via di diverse ospitate nella trasmissione Non è L’Arena, condotta da Massimo Giletti. La scelta di La7 di mandare in onda un personaggio così controverso che porta avanti dei discorsi medico-alimentari senza aver mai conseguito una Laurea – tra l’altro il tutto è stato già diffidato proprio dai comitati scientifici – è stata contestata da molti. Ora arriva anche l’intervento dell’AgCom che ha avviato sanzioni e sospensioni per quei canali televisivi (satellitari) che mandano in onda la sua trasmissione. [...]». Chi vuole può leggersi il resto dell'articolo alla pagina: https://www.giornalettismo.com/adriano-panzironi-agcom-sospensione/
Non conosco il sig. Panzironi, non l'ho mai sentito parlare e del fatto che sia laureato o meno non me ne importa (anzi, ritengo insensato il fatto di voler dare importanza a questo aspetto per quanto riguarda la libertà di espressione e per quanto riguarda la credibilità); leggendo il proseguo dell'articolo sembra che il suo "crimine" sia stato quello di aver consigliato le vitamine C e D di una specifica marca per affrontare il coronavirus... sull'uso di tali vitamine (a prescindere dalla marca), tra l'altro, una parte della scienza medica è sicuramente d'accordo.
Ma andiamo oltre... questa è solo la punta dell'iceberg. La televisione e i mass media in generale sono polarizzati verso un'unica forma di pensiero, sopprimendo ogni pensiero "diverso da quello che si vuole imporre alle masse", qualunque esso sia. Anche i social stanno ricevendo vincoli legali sempre più stringenti (per quanto non banali da attuare) per ridurre il più possibile, o meglio eliminare, le "voci fuori dal coro".
Mentre già stiamo passando dallo stato di diritto allo stato d'animo generalizzato pronto ad accettare qualsiasi tirannia (cfr. "Ai tempi del coronavirus l'Italia sta diventando un regime totalitario?"), mentre la disinformazione è diventata l'unica forma istituzionalizzata di informazione protetta dallo Stato, in funzione evidentemente neoliberista e pro-Europa, e mentre il finanza-virus sta mietendo assai più vittime del coronavirus (cfr. video di Mauro Scardovelli "Uscire in bellezza dal covid-19"), mi tornano a mente l'art. 21 della Costituzione e il pensiero di un grande uomo, Baruch Spinoza, che quattro secoli fa si espresse sulla libertà di pensiero asserendo che «in una libera comunità dovrebbe essere lecito a ognuno pensare quello che vuole e dire quello che pensa», attirandosi le ire sia dei cattolici che dei protestanti... oggi, probabilmente, quello stesso uomo si sarebbe attirato le ire di tutto il sistema mass-mediatico, che è diventato la nuova forma di religione, nel senso di "pensiero unico" e di inquisizione.
Nel libro "Finalmente ho capito la filosofia", di Marina Visentin (ISBN 9788869873201, anno 2017), c'è una piccola ma essenziale sezione dedicata a Baruch Spinoza che, secondo me, merita di essere letta per riflettere attentamente sulla libertà di pensiero e di espressione del pensiero, visto che oggi viene continuamente messa in discussione, osteggiata, denigrata e sanzionata. Questo succede fin da bambini dalle scuole elementari in poi, dove la libertà di pensiero viene per lunghi anni messa alla prova scontrandosi con le verità imposte dall'alto (e dal gruppo di pari).
Ecco cosa ha scritto Marina Visentin a proposito di Spinoza:
BARUCH SPINOZA
(Amsterdam, 1632 - L’Aia, 1677)
Nato in una benestante famiglia di ebrei portoghesi fuggiti in Olanda per sfuggire alle persecuzioni dell’Inquisizione, compie i suoi primi studi presso la scuola ebraica, ma ben presto si allontana dalla religione per accostarsi al pensiero di Bacone, Hobbes e Cartesio. Nel 1656 viene accusato di eresia, scomunicato e costretto a lasciare Amsterdam. Si rifugia allora in un piccolo villaggio nei pressi di Leida, dove inizia a guadagnarsi da vivere come tagliatore di lenti. Nel 1670 pubblica in forma anonima il Tractatus theologico-politicus, in cui difende la libertà di pensiero, suscitando le ire sia dei cattolici che dei protestanti. Nel 1673 rifiuta una cattedra di Filosofia presso l’Università di Heidelberg, preferendo proseguire in libertà i propri studi e conservarsi libero da ogni condizionamento. Muore di tubercolosi quattro anni dopo, a soli quarantaquattro anni. Dopo la sua morte, vedranno finalmente la luce le sue opere maggiori: Ethica more geometrico demonstrata e il Tractatus de intellectus emendatione, che in vita non aveva potuto pubblicare, per l’ostilità culturale che lo aveva sempre circondato e per le continue accuse di eresia e ateismo che lo avevano perseguitato.
Panteismo contro dualismo
Anche il pensiero di Spinoza nasce come superamento del dualismo cartesiano, che vedeva l’universo diviso in sostanze spirituali (pensanti) e sostanze materiali (estese).
Per Spinoza esiste un’unica sostanza che è al tempo stesso Dio e mondo. La sua è una concezione panteista, in qualche modo avvicinabile al panpsichismo rinascimentale, ma in realtà molto diversa nella misura in cui rappresenta non un’intuizione di tipo qualitativo, ma la compiuta espressione di una razionalità deduttiva di carattere geometrico-matematico.
Ma perché è così importante definire la sostanza?
Sostanza, lo abbiamo già visto, è una delle parole-chiave della nostra tradizione filosofica. Capire la sostanza delle cose significa individuare il loro vero essere, ciò che di esse permane al di sotto dei mutamenti accidentali e temporali. Aristotele, il primo pensatore a porre con chiarezza tale questione (e infatti è considerato il padre della metafisica occidentale), pensava a una pluralità di sostanze, tante quante sono gli esseri, Cartesio aveva ridotto tale molteplicità a due sole sostanze: la materia e lo spirito. Spinoza riparte dal concetto classico di sostanza, come «ciò che non ha bisogno di null’altro per esistere», per concludere che la sostanza può essere soltanto una e deve per forza di cose coincidere con Dio, che a sua volta coincide con il mondo.
Dio e il mondo come una cosa sola
«Deus, sive natura» (“Dio, ovvero la natura”): è con questa espressione che Spinoza descrive la propria concezione panteista, che dimostra con una serie di argomentazioni logico-razionali. Vediamo adesso più da vicino la concatenazione dei ragionamenti proposti dal filosofo.
Il punto di partenza – lo abbiamo già visto – è la definizione di sostanza come ciò che esiste in sé e si può concepire senza riferimento ad altro, ciò che è quindi «causa sui», (“causa di se stessa”). Ciò significa che la sostanza non può coincidere con gli enti finiti – le creature limitate che dipendono da altro per la propria esistenza – deve essere invece perfetta, infinita, autosufficiente (perché solo in questo modo potrà essere «causa di se stessa»). Da ciò deriva l’affermazione che può esistere un’unica sostanza, e che tale sostanza coincide con Dio (poiché non è certo pensabile che esistano più sostanze infinite, e la sostanza infinita per definizione è appunto quella divina). Ma una sostanza unica non potrebbe essere tale se ammettesse qualcosa d’altro fuori di sé, quindi non è concepibile un mondo rispetto al quale Dio si ponga come trascendenza.
In aperta opposizione con la tradizione giudaico-cristiana che ritiene Dio trascendente (cioè, esterno) al mondo, Spinoza lo descrive come immanente (cioè, interno), e quindi come perfettamente coincidente con la natura.
Dio e mondo coincidono, ma c’è una distinzione da fare
Spinoza distingue fra «natura naturans» (causa) e «natura naturata» (effetto), ovvero fra Dio, inteso come causa dei singoli esseri finiti, e tali esseri finiti. Quindi, se è vero che Dio e mondo sono un tutt’uno, c’è comunque una distinzione fra gli aspetti diversi di quell’unica sostanza infinita. Una distinzione che serve a fare i conti con l’innegabile differenza fra finito e infinito.
I modi e gli attributi della sostanza
Le due res cartesiane, materia e spirito, ben lungi dal poter essere ancora considerate sostanze, devono essere invece viste come meri attributi (cioè manifestazioni, aspetti) dell’unica sostanza. Mentre tutte le cose finite – compresi noi stessi – sono solo modi, cioè determinazioni, concretizzazioni particolari di tali attributi, e non esistono se non come aspetti della divinità.
Ogni singola cosa è dunque parte di Dio, come suo aspetto o sua modificazione, e intrattiene con Dio la stessa relazione di dipendenza necessaria che un teorema ha nei confronti delle sue premesse.
Panteismo uguale ateismo?
Il panteismo di Spinoza è stato accusato di ateismo. Un’accusa priva di fondamento, in realtà, in quanto Spinoza non nega affatto l’esistenza di Dio; piuttosto, il Dio di Spinoza somiglia ben poco al Dio della tradizione giudaico-cristiana: non possiede intelletto e volontà, e non crea il mondo in base a un atto di libera scelta; e questo perché non ha alcun carattere antropomorfo, cioè non è in alcun modo concepibile come una persona, distinta dal mondo e intenta a programmare e agire in vista di un fine.
Secondo Spinoza, Dio è ben più di tutto ciò: è l’ordine razionale e necessario che pervade ogni cosa. In questo senso, Dio non ha intelletto ma è intelletto.
Un universo privo di libertà
Spinoza pensa all’universo come una grande macchina, in cui ogni cosa accade in modo necessario e meccanico. Una concezione che ha in comune con altri pensatori del Seicento, ma che lui conduce alle estreme conseguenze. Se tutto ciò che accade avviene per necessità, non c’è spazio per la contingenza, per qualcosa che potrebbe (ma potrebbe anche non) accadere. Al contrario, se qualcosa è possibile, sarà in accordo con le inesorabili leggi che governano l’ordine geometrico del cosmo, ma ciò implica anche che finirà inevitabilmente per essere prodotto da queste leggi. Quindi il possibile è reale e il reale è necessario: una conclusione che, ancora una volta, non lascia alcuna illusione di libertà né al cosmo né all’individuo.
Ma che spazio è concesso all’uomo in un mondo retto da un’inesorabile necessità?
Da un punto di vista assoluto, guardando le cose «sub specie aeternitatis» (“nel loro aspetto eterno”), il bene e il male non esistono. Ogni cosa segue semplicemente la propria natura e da essa necessariamente deriva: dal punto di vista infinito dell’universo, Nerone che uccide la madre non è un male, ma soltanto l’esito della natura di Nerone. Dal punto di vista finito dell’uomo, tuttavia, è possibile porsi il problema di una retta via, intesa come quella che a noi può procurare il maggior bene possibile.
Un’etica stoica
L’etica di Spinoza somiglia a quella degli stoici: il filosofo ci invita a guardare il cosmo in modo impersonale e obiettivo, allontanandoci dalle passioni determinate ed elevandoci fino all’ «amore intellettuale di Dio», inteso come una sorta di mistica unione fra l’intelletto umano e quello divino. Si tratta di una visione etica che identifica virtù, razionalità e liberazione dalle passioni. L’obiettivo è una condizione di serenità, di saggia e disincantata contemplazione dell’universo, che l’individuo può raggiungere soltanto dopo aver abbandonato – grazie all’intelletto – la visione limitata e distorta del mondo corrispondente al proprio punto di vista finito.
Contro il potere politico e religioso
«In una libera comunità dovrebbe essere lecito a ognuno pensare quello che vuole e dire quello che pensa»: questa massima riassume il nucleo delle tesi politiche di Spinoza, espresse, suscitando grande scandalo, nel suo Tractatus theologico-politicus. Secondo il filosofo, il potere politico dovrebbe rispettare la libertà di pensiero, evitando di interferire in tutte le questioni che riguardano la coscienza dei singoli. Lo Stato dovrebbe essere laico e dovrebbe essere garantito il diritto a vivere la fede come un fatto esclusivamente privato, interiore. Gli unici veri obblighi sanciti dalla Bibbia, afferma Spinoza, sono la pratica della giustizia e l’amore per il prossimo, mentre gli articoli di fede sono solo strumenti del potere per indurre all’ubbidienza le masse, che sono incapaci di elevarsi all’uso della ragione. Chi è capace di usare l’intelletto, infatti, non ha bisogno del dogmatismo autoritario delle Chiese. Inoltre, seguendo gli unici veri precetti della pura fede, secondo Spinoza, anche gli uomini non avvezzi all’uso della ragione possono essere condotti sulla via della virtù.
Una filosofia scandalosa
Per la prima volta dall’avvento del cristianesimo, viene proposta una visione metafisica della realtà che si distacca radicalmente ed esplicitamente dall’immagine fornita dalle Sacre Scritture: è inevitabile che la filosofia di Spinoza provochi scandalo fra i suoi contemporanei. Inoltre, proprio nel momento in cui in tutta Europa si va affermando l’assolutismo in campo politico, Spinoza si schiera a favore della libertà del singolo individuo, che deve essere difeso dall’oppressione del potere politico e religioso. In seguito, i pensatori illuministi rimprovereranno a Spinoza di aver costruito un sistema filosofico oscuro e metafisico, mentre i romantici apprezzeranno assai la sua identificazione di Dio con la natura.
Buona filosofia e buone riflessioni,
Francesco Galgani,
23 marzo 2020
Lo scopo del lavoro?
Riflessioni sul lavoro, tratte dalla Prima Pagina di "Ha Keillah (La Comunità)" di maggio 2020, bimestrale sia cartaceo sia online del gruppo di studi ebraici di Torino: https://www.hakeillah.com/2_20_01.htm.
Qual è lo scopo del lavoro? Perché lavoriamo? Nell'articolo seguente si fa riferimento a bereshit, che in questo contesto indica l'inizio della narrazione biblica, ovvero si riferisce alla Genesi.
Evidenzio in grassetto due paragrafi che mi hanno fatto molto riflettere, fermo restando che io "non so nulla", ma mi piace ragionare. Oltre al grassetto, ho aggiunto anche una sottolineatura.
Francesco Galgani,
20 giugno 2020
Corona, Pil e Messia
di Manuel Disegni
All'inizio ho pensato: e se il coronavirus fosse il messia?
La pandemia, mi son detto, è una chance rivoluzionaria. Quale occasione migliore per cambiare radicalmente il nostro rapporto sociale con la natura, se non quella in cui farlo è il modo più sicuro di sopravvivere, e forse l'unico?
La natura... bisogna ancora che troviamo una maniera di andarci d'accordo. Nei suoi confronti ci comportiamo come degli adolescenti fanatici; oscilliamo fra estremi opposti, incapaci di una visione sobria e oggettiva. O la veneriamo come una divinità materna e protettiva (una sorta di eco-paganesimo vegano), oppure la sfruttiamo e ne abusiamo come se fosse lì, gratis, a nostra disposizione, non avesse valore, e potesse essere buttata via e sostituita a nostro piacimento (una sorta di antropocentrismo solipsistico).
La verità è che la natura ci procura molti benefici – come per esempio la salute, il nutrimento, i cieli stellati e molti altri comfort – ma anche tanti pericoli – come per esempio la fame, le intemperie, il coronavirus e altri malanni. Per godere dei primi, e per evitare i secondi, noi lavoriamo. Le cose pare che stiano così fin da principio, fin da bereshit, in cui sta scritto: bezeat apecha tochal lechem, mangerai pane col sudore del tuo volto. Anche i bambini lo sanno.
Ma oggi noi lavoriamo anche per altri propositi (di chi siano questi propositi, è una bella domanda). Lavoriamo per espandere i profitti. I profitti sono – per definizione – quella cosa che può espandersi solo grazie al fatto che del lavoro venga svolto. Dunque noi lavoriamo affinché del lavoro venga svolto. È questo un fine diverso da quello immaginato dall'autore della narrazione di bereshit. Lavorando noi però tendiamo a dimenticarci del principio e del motivo per cui stiamo lavorando (godere le gioie e allontanare i dolori che ci offre la natura), e continuiamo a lavorare.
Sto parlando del capitalismo. Il capitalismo potrebbe essere definito correttamente come quella forma di organizzazione sociale nella quale il lavoro è un fine in sé. Il punto è: lavorare il più possibile. Fra gli inconvenienti di “lavorare il più possibile” vi è quello di nuocere alla salute. Così il capitalismo può essere definito anche come un virus, molto contagioso, che si è diffuso in tutto il mondo negli ultimi due o trecento anni e dal quale la nostra società continua a essere affetta. E non solo la società, ma anche il nostro cervello. Infatti l'idea che il lavoro sia lo scopo finale dell'esistenza umana sta avendo molto successo. Non sono solo i nazisti a pensare che il lavoro renda liberi, ma a quanto pare anche l'Assessorato alle Politiche e al Lavoro del Comune di Napoli, e in certa misura pure gli autori dell'articolo 1 della Costituzione italiana. A guardar bene, tutti quanti lo crediamo almeno un poco.
Che lo crediamo o meno comunque non conta, perché praticamente siamo tutti obbligati a produrre lavoro svolto svolgendo lavoro. Tant'è vero che il principale problema economico delle nostre società ricche e tecnologiche sembra essere la disoccupazione. Non c'è nulla che le spaventa di più del tempo libero. Esse si sforzano di lavorare di più, acciocché si espandano i profitti, acciocché aumenti il PIL (di cui, è bene ricordarlo, la Bibbia non parlava), acciocché l'anno seguente vi sia più lavoro per più gente, acciocché si espandano i profitti… In circostanze ideali lavoreremmo tutti quanti, ininterrottamente e fino a tardissima età. Purtroppo questo non è possibile, ma noi proviamo del nostro meglio. Provando e riprovando, danneggiamo sia la natura esterna, sia la nostra natura propria, la nostra salute e qualità di vita. Senza mai smettere.
Adesso però bisogna smettere – ho pensato quando è arrivato il coronavirus – se non lo facciamo, morremo. E non fra vent'anni, di superlavoro e consunzione, ma fra poche settimane a causa di una polmonite non curata. La pandemia rendeva la minaccia di morte implicita nel lavoro improvvisamente esplicita e immediata per i lavoratori di tutti i paesi e per gli amanti del lavoro di tutte le classi. “Il lavoro uccide” cessava di essere solo uno slogan da scansafatiche. La disoccupazione diveniva la virtù sociale più importante, poiché l'unico modo di prevenire la diffusione del contagio era evitare il maggior numero possibile di contatti interpersonali, e dunque sospendere la nostra quotidiana cooperazione sociale. Non andare al lavoro era quanto di meglio potessimo fare per proteggere tanto la nostra salute individuale quanto quella altrui – quasi come se una mano invisibile si fosse premurata di garantire con matematica certezza l'armonia fra gli interessi individuali e quelli collettivi.
Il coronavirus sembrava sfidare il capitalismo in questo senso: se fino a febbraio 2020 vivevamo in una situazione universale fondata sul principio “lavorare il più possibile”, cioè il capitalismo, a partire da marzo e fino almeno alla distribuzione di un vaccino anti-Covid entravamo in una situazione universale (la pandemia) che richiedeva l'adozione del principio opposto: “lavorare il meno possibile”. La salute pareva spodestare la “crescita” dal suo posto di imperativo categorico dominante. La battaglia fra la protezione di questo bene comune, la salute, e l'esigenza di espansione dei profitti privati non era mai stata tanto aperta da cent'anni (?) a quella parte. Assistevamo a un fatto per tutti noi completamente inedito: erano i medici, e non gli economisti, a dettare la linea politica. “Lavorare il meno possibile”. Nel frattempo Greta Thunberg cominciava già a notare che il cielo era sempre più blu da quando il prezzo del petrolio aveva preso a calare così rapidamente.
Ma che vuol dire – mi sono domandato quando è arrivato il coronavirus – lavorare il meno possibile? Infatti smettere del tutto di lavorare non sembra materialmente possibile (sempre per quella vicenda del peccato originale di cui sopra). “Lavorare il meno possibile” richiederebbe di organizzare il lavoro in maniera diversa dal capitalismo, una maniera che sarà difficile a realizzarsi ma è pur sempre abbastanza facile a dirsi: per lavorare il meno possibile occorrerebbe sospendere la produzione di merci e il libero commercio, e sostituirli con una catena produttiva grande, efficiente e minimale di produzione dei beni essenziali, e con la loro distribuzione gratuita. Si tratterebbe di impossessarsi della tecnologia e delle conoscenze logistiche di cui disponiamo e disporne davvero, impiegandole per garantire a tutti cibo, medicine e servizi sanitari minimizzando il dispendio e il movimento di forza lavoro umana.. I beni prodotti e distribuiti in tal maniera potrebbero poi diventare più vari e più ricchi, via via, con la regressione del contagio.
Per un momento ho pensato che il 2020 non sarebbe stato ricordato solo come l'anno senza scuola e senza gli Europei di calcio, ma anche come l'anno senza PIL. Forse come il primo anno senza PIL.
Invece non sarà così. Quando Ha Keillah va in stampa, le nazioni del mondo si preparano a ripopolare di bacilli maligni i loro luoghi di lavoro (che sono spesso anch'essi maligni). Sfidano la sorte esponendosi ai fragili equilibri di domanda e offerta dell'infezione per scongiurare il rischio di ritrovarsi, l'anno prossimo, disoccupate. E poi se la prendono con le donne, il tempo ed il governo; coi cinesi, gli olandesi e con chi va a fare jogging, perché il messia non arriva mai.
Manuel Disegni
Le illusioni sono necessarie?
Nelle riflessioni seguenti, di Giulio Ripa, il termine "illusione" ha un'accezione positiva, indica una passione necessaria per vivere, proiettata dal presente verso il futuro, di cui non conosciamo gli esiti, che possono essere sia in accordo con i nostri desideri, sia no. L'illusione, in questa accezione, è quella spinta interiore che può portarci a fare le cose più belle della nostra vita... e a volte anche le più contraddittorie, ma pienamente vissute e degne di essere vissute. Chiarito il senso linguistico di quanto segue, necessario per evitare facili fraintendimenti, aggiungo una mia riflessione: intenzioni e desideri ci danno la massima energia quando valorizziamo il nostro percorso di vita assai di più dei risultati che otteniamo strada facendo (questo, in alcune filosofie, è chiamato "non-attaccamento al risultato", che è da considerarsi sempre momentaneo).
Nel testo, ho aggiunto il grassetto per evidenziare il concetto-chiave su cui mi sono soffermato.
[...] la lotta contro le grandi piattaforme informatiche è una giusta lotta ma, nello stesso tempo è una lotta perdente.
E' una vita che lotto contro l'illusione tecnologica, come Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento, una lotta che però ha dato un senso alla mia vita.
Ma, è inutile nascondere che la storia dell'uomo è anche storia dello sviluppo tecnologico: dalla clava fino all'ultima piattaforma digitale WhatsApp Pay partita in Brasile come servizio per i pagamenti digitali (link alla notizia).
La tecnologia, l'applicazione della scienza, è diventata, sovrapponendosi alla religione, il nuovo dio in cui credere, che ci dà la possibilità di realizzare desideri senza limiti, compreso il desiderio di immortalità. Ci illudiamo di superare le nostre mancanze con l'ultima innovazione tecnologica, alimentando la speranza di una vita migliore o addirittura eterna, proprio come fanno le religioni.
Le illusioni (religiose, ideologiche, tecnologiche, utopiche etc) danno un senso alla nostra vita, ma è senza le illusioni che possiamo vedere la realtà così come è. E' in questa contraddizione che si gioca la vita dell'uomo.
Tutti vogliono essere sempre felici, pur sapendo che la vita è fatta di gioia e dolore.
Vivere ed affrontare la vita significa mettere a nudo le proprie contraddizioni, le proprie oscurità. Nessuno vuole conoscere ed accettare i propri limiti umani, la propria fragilità.
La vita resta un mistero meraviglioso. La realtà così come è si manifesta in forme molteplici, tutte connesse fra di loro, in una totalità a noi sconosciuta quindi sacra. Cerchiamo certezze nella vita, ma l'indeterminazione è il suo carattere fondamentale.
Inutile arrabbiarsi perché le cose non vanno come vorrei, bisogna gioire invece per le cose piacevoli che accadono e pazienza se accadano cose che non piacciono.
L'unica cosa che può fare l'uomo è colludere con la vita, cioè giocare insieme alla vita, accordarsi intimamente con essa senza prendersi troppo sul serio. [...]
Darsi pace: chi ha il coraggio di vivere, non ha paura di morire
Lettera di Maria Fida Moro (fonte), agosto 2020:
“Insomma credete davvero che siamo tutti stupidi?! L’allerta permanente, alla lunga, ottiene l’effetto contrario come nella famosa storia di “Al lupo, al lupo”. La sicurezza non esiste, a nessun livello ed a nessun titolo, e, cionondimeno, è necessario vivere, lavorare, andare a scuola, fare le cose di tutti i giorni, viaggiare, riposarsi. Non si sentono altro che numeri che si contraddicono e che sono anche molto noiosi. Mentre “giocate” ai bollettini, la vita continua senza di voi. Ogni giorno che passa restate più indietro. Siete terrorizzati dalla vita della quale la morte fa parte integrante. E non c’è cura, non c’è vaccino, non perché non ci sia vaccino, ma perché risolto un problema se ne presenta subito un altro. La vita è in divenire e ci mette alla prova di continuo. Bisogna imparare ad esistere in pace ad a convivere anche con le cose brutte. Dobbiamo darci pace altrimenti la nostra non sarà mai vita, ma puro terrore.
Lasciate che i ragazzi vadano a scuola in un modo possibile. Lasciate che loro ed anche noi respiriamo ossigeno e non anidride carbonica. La vita si cura da sé: lo fa da millenni. Ricordate che la vita avanza verso la vita non, come tendiamo a pensare noi, verso un oscuro oblio. Nella nostra epoca – cosiddetta civile – manca la cultura della morte, che è solo un momento di passaggio verso uno straordinario meglio che noi non possiamo nemmeno immaginare perché siamo limitati dal gioco di ruolo che stiamo vivendo qui. Se solo ricordassimo un barlume della magnificenza che ci attende andremmo via subito. Per favore restiamo fermi solo un attimo a respirare lentamente ad a guardaci intorno. La bellezza ci parla di amore, di gioia e di verità. Vi sarà capitato di vedere dormire un neonato serafico, al sicuro da tutto, al suo posto nel cosmo. Noi ci agitiamo ed invece dovremmo rallentare. L’eternità è. Non va e viene: è il nostro destino cosmico – nessuno può togliercela – l’eternità è, da sempre e per sempre, ed in questo preciso momento qui, noi siamo insieme con lei in tutte le cose. Gocce di mare, granelli di sabbia, alte montagne, piccoli fiori delicati, galassie sconfinate. Se il nostro destino è l’Eterno cosa volete che ci faccia un virus che peraltro ha un posto ed una funzione a sua volta nel creato? Noi siamo qui per uno scopo ben preciso, sperimentare e scegliere, dopo molti tentativi ed errori, l’AMORE dal quale proveniamo e che tutto tiene insieme. Il nostro destino non è la sofferenza né la morte, bensì luce risplendente e gioia senza fine. Non ci lasciamo rinchiudere in un bozzolo di numeri lasciamo invece che la gioia “la più alta espressione della vita stessa” sia dovunque e per tutti. Noi, Gaia, il Covid, il clima, le donnole, gli opossum ed i cristalli di rocca, i guerriglieri, gli afroamericani, i malati siamo uno e stiamo giocando insieme al gioco della vita che ci riporta come un fiume, ansa dopo ansa all’iridescente meraviglia dalla quale proveniamo ed alla quale faremo ritorno ineluttabilmente.”
Sintesi di millenni di filosofia
La vita è un laboratorio di ricerca sperimentale.
In questo laboratorio, chi non ha pretese gioisce.
Per non avere pretese e quindi gioire,
è sufficiente dialogare con la propria anima
e sentire ogni istante come un miracolo,
con lo sguardo innocente e meravigliato di un bambino.
(riflessioni e pittura digitale di Francesco Galgani, 14 ottobre 2020)
Amore o odio per la natura?
Ci sono due tipi di disegni: quelli fatti dalla natura, e quelli fatti da noi. Di solito i primi sono migliori dei secondi, per cui prendiamo l’arte della natura come modello. Questo vale non solo nella pittura, ma in tutti i campi dell’esistenza: la natura è maestra.
Quando però, mossi dalla volontà di dominio e di potenza, che di per sé è estranea all’ecosistema - o meglio esistente in forme limitatissime e funzionali all'equilibrio delicato e precario della vita - creiamo forme aliene alla natura, ovvero brutte forme: lì iniziano i problemi. Più la cultura si allontana dalla natura, maggiore è il disagio e la non voglia di vivere.
Storicamente, l'odio per la natura è stato considerato come odio per il limite: questo è un tipo di ideologia che, portata alle estreme conseguenze, vede l'essere umano come dio di se stesso, che può fare su stesso e sugli altri tutto ciò che vuole, compresa la propria e l'altrui distruzione. Questa ideologia liberale vuole lo smantellamento dello stato, della famiglia, delle varie comunità, delle religioni, di qualsiasi limite alla sessualità e all'uso del proprio e altrui corpo, allo scopo di liberare l'uomo. Ma quale libertà è quella che si basa sull'odio per la natura? Parafrasando la "Leggenda del re infelice" di Fabrizio De André: «Quanto giusta pensate che sia una libertà che decreta morte?».
Più siamo separati dalla natura, più siamo separati da noi stessi e quindi dalla nostra anima... e più siamo separati dalla nostra anima, e maggiore è il nostro stato di morti viventi. Questo vale anche per le persone che hanno successo nel nostro mondo alienato, che premia la demenza e castiga il talento.
La paura del covid, portata ai livelli disastrosi attuali, è la messa in scena della paura di vivere nel teatrino della società. Le politiche di sanità pubblica di questo periodo aiutano a non vivere, quindi rafforzano la nostra condizione di zombie.
I fiori prendono nutrimento dalla terra e dalla pioggia, dall’aria e dal sole, e sono meravigliosamente belli così come sono. Anche gli esseri umani sono meravigliosamente belli nel corpo e nello spirito quando sono lasciati liberi di amarsi e di fare comunità, in un clima interiore ed esteriore di armonia con l’anima, che è l’unica condizione risolutiva di ogni conflitto. Ma tutto ciò non c'entra niente con il liberismo sopra accennato: senza l'esistenza del limite e senza una interconnessione armoniosa e rispettosa degli altri viventi, neanche i fiori potrebbero esistere.
Il quadretto sottostante, che ho fatto mentre riflettevo su queste cose, si intitola "Amore per i fiori".
(testo e pittura digitale di Francesco Galgani, 23 ottobre 2020)
Noi creatori dell’universo
E’ tipico dell’essere umano “confondere” la realtà con i propri desideri, paure, sentimenti e credenze? “Confondiamo” la realtà oppure “costruiamo” la realtà?
Desideri, paure, sentimenti e credenze derivano dalla propria consapevolezza di sé, che è personale, e quindi non contestabile, ma al contempo fortemente condizionata da tutte le relazioni (con le persone, gli animali, le piante, l’ambiente) e dalle necessità e caratteristiche corporee.
La vita è relazione, le relazioni dirigono i desideri, le paure, i sentimenti e le credenze, quindi la vita dà precise indicazioni su cos’è la realtà.
Non c’è altra realtà, però, oltre a quella creata dalle proprie credenze e dal proprio stato vitale, in quanto al cambiare di credenze e stato vitale (che potremmo immaginare come un continuum da quello più egoico, sofferente e separativo a quello più animico, gioioso e tendente all’unione), corrisponde sempre un cambiamento della realtà, che pertanto è personale, non contestabile e non oggettivabile. Da questo punto di vista, l’unica vera scienza, intesa come ricerca della realtà, è quella che si basa sul “dubbio”, in quanto una realtà non oggettivabile non può dare certezze. Paradossalmente, la realtà esperita è basata su credenze che, in quanto tali, non ammettono dubbi: per tale ragione, i “bias di conferma” sono la normale modalità umana di costruzione della realtà.
Quando tante realtà personali hanno elementi importanti in comune, che portano al perseguimento di interessi comuni, allora può nascere una realtà più grande, sovrapersonale e comunitaria, che a sua volta plasmerà il più possibile e dirigerà le realtà personali per renderle conformi al vivere sociale e compatibili con esso.
Come non è contestabile la realtà personale (in quanto esternalizzazione della propria consapevolezza di sé), non lo è neanche quella comunitaria, negli infiniti modi in cui essa può esprimersi.
Questa accettazione delle consapevolezze altrui così come sono è la base della “comunicazione non violenta” e dell’“essere pace”.
Ognuno persegue interessi in funzione della propria consapevolezza di sé, e quindi della propria realtà: da questo punto di vista, quando singole persone o gruppi hanno interessi affini o almeno compatibili con i nostri, potremmo etichettarli come “buoni” o “giusti”, quando hanno interessi che ostacolano o confliggono con i nostri potremmo definirli “cattivi” o “sbagliati”, ma... a ben vedere, non ci sono né il buono né il cattivo, né il giusto né lo sbagliato, né il bene né il male. Siamo immersi in una realtà duale in cui tutti gli opposti coesistono e sono l’uno funzionale (e quindi necessario) all’altro. Il male non può essere “male” se il bene ha bisogno di esso per esistere… e viceversa.
Più che preoccuparci della nostra o altrui posizione in una realtà duale, che altro non è che un sogno dentro un sogno, all’interno di un ologramma che noi chiamiamo “realtà”, ovvero all’interno di un “universo” non più grande di un chicco di riso e non più duraturo di una frazione di secondo, ma che alla nostra ingannevole e trasognata percezione appare infinito ed eterno, ci conviene ascoltare questo saggio ammonimento: «Affrettatevi a cambiare i princìpi su cui si basa il vostro cuore!». Il tacito presupposto è che raccogliamo ciò che seminiamo, ovvero la nostra realtà sarà in funzione dei sentimenti con cui la costruiamo: la pace semina pace, la violenza semina violenza, l’amore semina amore, la rabbia semina rabbia, e così via. Per fare qualche esempio, ne segue che all’avidità umana la vita risponderà con altrettanta avidità, offrendo come ricompensa miseria e disperazione; di contro, alla gratitudine, lode e compassionevole rispetto per la vita, essa ci risponderà con altrettanta gratitudine e compassione.
La realtà esterna estroietta quella interna, quindi «la fragranza interna otterrà protezione esterna».
Dovremmo pertanto essere molto cauti, quando la realtà esterna non ci piace, a cercare salvatori o colpevoli. Ancora più cauti dovremmo essere nei confronti dei nostri pensieri. Ogni volta che in cuor nostro c’è qualcosa del tipo “non ho scelta...”, “questa è l’unica scelta...”, “non vedo vie d’uscita”, e simili, stiamo negando di disporre di libero arbitrio, ovvero di poter creare la realtà che più desideriamo, ovvero di essere noi stessi la scintilla divina creatrice della nostra vita. Tale negazione è un inganno, non funzionale al nostro interesse e con lo scopo principale di bloccare il nostro processo di acquisizione di consapevolezza. Molte forze agiscono per indurre in noi questo stato vitale deprimente, ovvero per ingannarci e rubarci la vita (ovvero la nostra Anima). Ma a ben vedere, però, tali forze ingannatrici non possono nulla contro di noi e contro la nostra Anima, che è fuori dal tempo e più potente di qualsiasi altra forza esistente… a meno che non siamo noi, con le nostre paure, a volerlo.
Noi siamo i creatori dell’universo, ciascuno di noi lo è. Cosa vogliamo creare oggi?
(Francesco Galgani, 12 gennaio 2021)
La scienza contemporanea è inadeguata, religiosa, disumanizzata e lontana dalla comprensione della realtà?
In un mio precedente articolo di più di tre anni fa, avevo già mosso seri dubbi sull'attuale modo di "fare scienza", mi riferisco alle denuncie, documentate, che riportai in: «Alla ricerca della scienza...».
Qui voglio mettere in evidenza alcune problematicità insite nel metodo scientifico.
Innanzitutto la domanda che pongo nel titolo di questo articolo è già di per sé problematica, ovvero: «La scienza contemporanea è inadeguata, religiosa, disumanizzata e lontana dalla comprensione della realtà?». E' una domanda problematica per tanti motivi.
Il primo aspetto problematico è che non esiste "la scienza", ma casomai tante scienze, fatte di scienziati che spesso litigano tra di loro: ciò nonostante, ho di proposito scritto "la scienza" per sottolineare che ciò a cui mi sto riferendo è il cosiddetto "metodo scientifico", che dovrebbe mettere in comune le varie scienze. Metodo che, nei miei anni di studi e di ricerche, ho sovente contestato su un aspetto specifico. Mi riferisco alla piena adesione generalizzata, di più o meno tutto il mondo scientifico contemporaneo, a quanto disse il fisico inglese William Thomson, meglio conosciuto come Lord Kelvin:
«Ogni qualvolta vi è possibile misurare ed esprimere per mezzo di numeri l'argomento di cui state parlando, voi conoscete effettivamente qualcosa: quando ciò non vi è possibile, o non ne siete capaci, scarsa e insoddisfacente è, da un punto di vista scientifico, la vostra conoscenza».
Per quello che è il mio sentore, ricondurre un fenomeno complesso e reale a numeri asettici e astratti non significa né conoscerlo, né averne dato una descrizione che necessariamente corrisponda a qualcosa di esistente. Gli esempi sarebbero infiniti, quelli a me più vicini provengono dal mondo della Psicologia accademica e scientifica, nella quale si vuole, per forza, far rientrare l'essere umano dentro schemi fatti di numeri, grafici, tabelle, test. Forse ricondurre l'essere umano a numeri legati da formule significa negarne il libero arbitrio e le infinite possibilità creative, trasformative e imprevedibili?
All'atto pratico, comunque, la degenerazione, anzi, putrefazione, dovuta a questo modo di ragionare, si concretizza in "splendidi" risultati come l'uso dell'intelligenza artificiale per distinguere i criminali dai non criminali soltanto dalle caratteristiche fisiche del volto (per inciso, ciò fa parte di quel settore della psicologia "predittiva" che mai mi è piaciuta).
Il secondo aspetto problematico della mia domanda è l'aggettivo "religiosa". La scienza è religiosa? Qui mi riferisco a due contrapposizioni. La prima è che la scienza dovrebbe sempre basarsi sul dubbio e sulla falsificabilità, e mai su verità, che invece sono proprie delle religioni. La seconda è che la scienza non dovrebbe essere un luogo chiuso, per pochi "iniziati" che hanno titolo di poter scrivere su riviste scientifiche, con un linguaggio codificato e comprensibile a pochi... ma, al contrario, dovrebbe essere un luogo aperto, per tutti. Su questo aspetto il discorso sarebbe molto lungo, mi limito a constatare che l'attuale approccio "per pochi eletti" non funziona, essendo le più prestigiose riviste scientifiche un luogo di riciclaggio di informazioni false e tendenziose (cfr. La maggioranza delle ricerche scientifiche sono false). Vorrei inoltre richiamare l'art. 33 della nostra Costituzione, disapplicato da tutti coloro che ritengono che un certo sapere debba rimanere all'interno di una certa cerchia di persone (come nel caso di vari codici deontologici che vietano il libero insegnamento, come ben esemplificato dall'art. 21 del Codice deontologico degli psicologi italiani).
Il terzo aspetto problematico della mia domanda iniziale è che la scienza possa essere disumanizzata e lontana dalla comprensione della realtà. La problematicità è nei presupposti: esiste una realtà oggettiva, ovvero indagabile a prescindere da chi la studia? Secondo me, no. Parimenti, rendere l'approccio scientifico come qualcosa di indipendente dal ricercatore, in quanto osservatore di una realtà esterna ed oggettiva, significa spazzare via tutti i problemi di etica e di sentimento. Ciò non può che degenerare in una scienza dove tutto è ammesso. Ma una tale scienza a cosa serve?
Dopo tutti questi aspetti problematici, lascio la parola a Corrado Malanga, che nel libro "Alien Cicatrix" (vedi e-book integrale in PDF, fonte), a pag. 141 e seguenti, ha messo in evidenza seri problemi del metodo scientifico, ne riporto un estratto:
MAGIA, MADRE DI SCIENZA E RELIGIONE: VERSO UNA NUOVA COMPRENSIONE DEL TERRITORIO DELLA PNL
UN GRAFICO PER DESCRIVERE LA COMPRENSIONE DELL’UNIVERSO NEL TEMPO
Adesso è di moda parlare di un nuovo modo di vedere le cose che sarebbe necessario per comprendere a fondo l’Universo che ci circonda.
L’uomo, durante la sua evoluzione, ha modificato il suo rapporto con l’Universo, visto come insieme geometrico al cui interno egli si colloca. Ciò, ovviamente, è accaduto poiché l’uomo non è sempre stato in grado di comprendere, o meglio, lo stato di comprensione delle cose che l’essere umano mette in opera attualmente nulla ha a che fare con quello di cui egli disponeva anche soltanto pochi anni fa. Se l’uomo impara, acquisisce strumenti migliori e vede, è vero, le stesse cose che vedeva prima, ma in modo sostanzialmente differente. Da un punto di vista puramente meccanicistico si può ammettere che l’uomo, quello che, nel nostro caso, rappresenta l’osservatore del fenomeno fisico, sia in grado, a seconda dei prerequisiti in suo possesso, di descrivere in modo talmente diverso il medesimo osservabile, cosicché due descrizioni dello stesso oggetto, eseguite in momenti diversi ma lette dopo parecchio tempo da un ricercatore ignaro, indurrebbero quest’ultimo ad interpretarle come riguardanti due realtà completamente diverse.
Per fare un banale esempio possiamo prendere l’idea suggerita dall’apparizione di un fulmine ed esaminarne l’evoluzione nel tempo.
L’uomo primitivo, privo di conoscenze di fisica, probabilmente vedeva nel fulmine una manifestazione del mondo divino.
Con il passare dei secoli la visione del fulmine ha acquisito sfumature sempre più precise ed oggi esso ci appare come una scarica elettrica tra cielo e terra, poiché tra questi due si accumulano, in certe condizioni, forti differenze di potenziale.
Questo modo di interagire con la natura non ci sorprende ed è utile per comprendere anche come il nostro cervello, con i suoi modelli mentali, si adegui alle situazioni secondo il proprio livello di conoscenza.
Particolarmente difficile è quella fase dell’osservazione del fenomeno fisico nella quale si è già consci della sua esistenza, ma non si possiedono ancora i prerequisiti per identificarne la natura.
Esiste, infatti, un periodo temporale in cui il problema non si pone: quando non ci si è ancora accorti che esiste un fenomeno da studiare.
In questa situazione non ci si pongono problemi, non si studia il fenomeno e non ci si arrovella per trovare la spiegazione di qualcosa di cui non si conosce ancora l’esistenza. Nello stesso istante in cui ci si accorge dell’esistenza di un fenomeno inaspettato, ma ancora non lo si sa identificare, ci si trova immediatamente ad utilizzare, da un lato, i modelli mentali imparati in precedenza ed a rifiutare l’esistenza del fenomeno stesso, dicendo a se stessi che i propri sensi, le proprie apparecchiature e quant’altro si sbagliano; dall’altro lato si è invogliati a creare universi dotati di nuove regole, fatte apposta perché il fenomeno che si è osservato possa trovare in essi adeguata collocazione.
Fenomeni che non sono presi in considerazione dalla scienza ufficiale semplicemente perché questa non se n’è ancora accorta, come, ad esempio, quelli di natura paranormale, gli UFO, i fantasmi od altro, sono un esempio di quanto appena detto e chi, invece, si è già accorto della loro esistenza non ha, d’altra parte, che pochi strumenti per dimostrarla.
Dopo questo periodo, di durata più o meno lunga, si passa, senza esitazione, al riconoscimento dell’esistenza del fenomeno e, da quel momento in poi, ci si avvicina progressivamente, in modo più o meno rapido ma sempre asintotico, alla sua giusta interpretazione.
Se, in un classico grafico cartesiano, si disegna una retta orizzontale ad indicare il 100% della comprensione del fenomeno, mentre sull’asse x si pone il tempo, con lo zero in corrispondenza dell’istante in cui la presenza del fenomeno stesso viene notata, il grafico che descrive la sua comprensione nel tempo si avvicinerà progressivamente alla retta orizzontale, pur rimanendo sempre sotto di essa. Se arrivasse a toccarla si avrebbe la completa comprensione del fenomeno che si sta studiando e questo ci è vietato dalla Fisica moderna; questo divieto è legato all’esistenza del principio di indeterminazione di Heisemberg.Tale principio dice, in parole povere, che, se si cerca di conoscere con la massima precisione una particolare caratteristica di qualcosa, non ci si possono attendere, nel contempo, dati precisi riguardo ad altre sue caratteristiche.
Se, ad esempio, si conosce perfettamente la velocità di una particella elementare, non se ne conoscerà la posizione esatta nello spazio (figuriamoci nel tempo - nda).
Per maggior precisione bisogna osservare che la funzione matematica che descrive il processo di comprensione del fenomeno fisico comprende una componente oscillatoria. Tale componente fa sì che la funzione si alzi e si abbassi, in modo più o meno marcato, rispetto al grafico costruito per mezzo del processo matematico di best fitting.
Il carattere oscillatorio della comprensione del fenomeno attorno ad una posizione media significa che, col trascorrere del tempo, esso viene a volte percepito più precisamente ed a volte meno, mentre ci si avvicina, ad ogni oscillazione, mediamente un po’ di più alla sua corretta interpretazione. Le oscillazioni sono di ampiezza sempre più piccola, ma con una frequenza in aumento con trascorrere del tempo, ovvero, mentre ci si avvicina sempre più alla comprensione finale del fenomeno, si fanno sempre più frequenti le piccole correzioni, in contrasto con le poche, ma grandi, variazioni di comprensione che avvengono appena dopo la scoperta dell’esistenza del fenomeno stesso.
Questo grafico rappresenta, dunque, l’evoluzione del sistema percettivo dell’uomo e, di conseguenza, della sua capacità di conoscere quanto di osservabile c’è attorno a lui, in accordo con la sovrapposizione dei sistemi induttivo e deduttivo e con quelli divergente e convergente tanto cari al Piajet.
Non è per niente vero che l’uomo impara attraverso una semplice sequenza di esperimenti disposti in modo tale da permettergli di aumentare la propria conoscenza di un fenomeno in modo lineare, sequenziale nello spazio e nel tempo, come ci vorrebbero far credere alcuni moderni fisici meccanicisti. Per costoro un osservatore potrebbe acquisire conoscenza del fenomeno solamente attraversando una sequenza di tappe disposte come le lettere dell’alfabeto: non si può comprendere il fenomeno G se prima non si è fatto l’esperimento F e così via.
Tuttavia ciò è in netto contrasto con quello che succede in realtà, cioè che le più importanti scoperte scientifiche, se non addirittura tutte, avvengono mentre lo scopritore si occupa d’altro, in momenti in cui non pensa neppure lontanamente ad un esperimento al riguardo. Evidentemente le scoperte vengono fatte utilizzando un’altra procedura.
Sto parlando, in particolare, di quella parte del grafico che rappresenta il momento in cui il fenomeno viene recepito dall’osservatore; in quel momento ancora non esistono regole che lo descrivano, quindi non possono nemmeno esistere progetti da mettere in atto per identificare quale esperimento sia più opportuno eseguire per capirci qualcosa.
Questa condizione si avvicina molto ad un attimo di Buddità e non certo ad un momento in cui si mette a frutto l’esperienza di studio acquisita in tanti anni di lavoro, come vorrebbero farci credere i fisici meccanicisti (e Piero Angela - nda).SCIENZIATO MODERNO O DISADATTATO SOCIALE?
È stato divertente esporre più volte l’analisi della psiche di molti uomini di scienza, ma non per questo scienziati, la quale mostra perché essi si sono dedicati spesso a scienze difficili, considerate “occulte” dai comuni mortali.
Capita frequentemente di studiare la fisica perché non si è in grado di mettersi in relazione con gli altri, così si pensa che, dopo, si potrà parlare a loro come se si fosse un sacerdote di una setta antica e sconosciuta, nella quale si è gli unici a capire le proprie parole, superando in tal modo la paura di una possibile incomprensione.
L’incomprensione sarebbe giustificata dalla difficoltà di una materia che solo gli eletti possono comprendere; di conseguenza ci si autoproclamerebbe eletti.
In realtà il fisico moderno si è davvero posto da solo nella posizione di eletto, chiudendosi in una gabbia dorata nella quale la comunicazione con gli altri è preclusa dal linguaggio iniziatico utilizzato. D’altra parte questo atteggiamento nasce dalla paura di comunicare
mediante il linguaggio comune, perché, scendendo sul terreno che è di tutti, forse il fisico moderno dovrebbe ammettere la sua incapacità a relazionarsi con gli altri.
Dunque per il fisco moderno ciò che proprio non deve poter esistere è che la comprensione sia alla portata di molti (se non di tutti) e non solamente di coloro che hanno studiato a lungo nei centri di studio “autorizzati”.
Ammettere che molti possono capire significherebbe demolire il muro di protezione che egli ha costruito a sua difesa.
Fisico o chimico che sia, costui (lo scientista) perde, così, il contatto con la realtà che lo circonda, dimostrandosi capace, è vero, di elaborare dati anche in modo complesso, ma pure totalmente incapace di osservare l’Universo che lo circonda, con il quale non sa più relazionarsi da tempo.
Lo scientista fallisce, quindi, proprio laddove voleva emergere. Se egli voleva essere l’anello di congiunzione tra l’Universo ed il comune mortale, ebbene, non può più esserlo, poiché non ascolta, non guarda, non si accorge dell’Universo, essendo sostanzialmente pauroso di esprimersi e di interagire con l’esterno.
La sindrome da paura dello scientista meccanicista si evince, poi, dal suo sviscerato amore per gli algoritmi matematici, insomma per le formule.
Il suo amore per quest’aspetto della scienza galileiana nasce dal fatto che l’esistenza stessa della formula pone lo scientista di fronte al fatto compiuto: non di fronte all’incertezza su come vanno le cose nell’Universo, ma ad una certezza che elimina ab initio l’esistenza di un eventuale libero arbitrio.
Sempre e comunque la Fisica classica nega l’esistenza del libero arbitrio e questo punto fermo, per lo scientista moderno e galileiano, è una garanzia che tutto andrà secondo regole predeterminate dalle leggi fisiche.
Tutto nasce dal desiderio di deresponsabilizzarsi di fronte agli uomini, sostenendo che, se le cose vanno così, non è colpa o merito dello scienziato, bensì delle formule matematiche che descrivono il fenomeno fisico in esame.
Così lo scienziato moderno, totalmente deresponsabilizzato nei riguardi delle proprie azioni, studia “cose” senza interessarsi di “come” le “cose” verranno poi utilizzate. Dall’inquinamento alla clonazione, dai cibi GM (Geneticamente Modificati) al progetto segreto MKultra (Mind Kontrol ultra) lo scienziato moderno studia e basta, ed ha un atteggiamento totalmente asettico riguardo al resto del mondo. Lo scienziato “perfetto” non ha cuore e non fa suonare il campanello del sentimento, perché, se così fosse, si relazionerebbe con quella società con la quale non è in grado di correlarsi per paura di risultare ad essa inadatto; egli trasforma la sua incapacità di comunicare in una qualità assolutamente desiderabile. Allo stesso modo lo psichiatra può arrivare a sostenere che non deve esistere nessun rapporto emotivo tra sé ed il proprio paziente, il quale deve essere curato asetticamente, onde evitare i processi di transfert e controtransfert a volte presenti in terapie come l’ipnosi e persino nelle semplici terapie di sostegno psicologico.HEISEMBERG CONTRO EINSTEIN COME SANSONE CONTRO I FILISTEI?
Lo stesso Heisemberg, profondamente marxista e quindi determinista, si lamentava, nelle sue memorie, del fatto che fosse toccata proprio a lui una siffatta scoperta, che lo sconvolgeva interiormente e distruggeva le sue più radicate convinzioni ideologiche.
La scoperta del Principio d’Indeterminazione è una spina nel fianco della Fisica moderna, la quale non sa perché esiste, non sa come interpretarlo in senso fisico e non sa niente sull’indeterminazione e su cosa la provoca.Dall’altra parte della barricata c’era l’idea einsteiniana che Heisemberg si sbagliasse, perché “Dio non gioca a dadi!” (Albert Einstein).
Al di qua di quella barricata, che allora divideva la scienza in due partiti e che divide tuttora gli scienziati di mezzo pianeta, c’erano, e rimangono tuttora, i fisici quantistici.
Essi, sorvolando sull’inadeguatezza della scienza moderna, rimanevano in attesa di un loro futuro messia, il quale, sotto forma di una nuova matematica, avrebbe rimesso le cose a posto. Questo messia non è ancora arrivato e nessuno dei fisici di oggi si è degnato di prendere in considerazione il fatto che, forse, era stato compiuto un errore di fondo, a monte di tutta la Fisica, quello di non voler guardare al significato che sta dietro una formula e di non voler interpretare le sacre scritture rappresentate dalle leggi della Fisica, poiché tale interpretazione altro non può essere che soggettiva.
Se la scienza consiste nel vedere in modo oggettivo e non soggettivo, quest’ultimo tipo di approccio deve essere per sempre negato ai fisici.
Chiedendo lumi ad alcuni chimici quantistici del mio dipartimento sul significato di certe formule concernenti il comportamento degli elettroni, mi sentii raggelare il sangue quando questi mi risposero nello stesso modo che avrebbe utilizzato Khomeini riguardo ai suoi dogmi religiosi.
La domanda era semplice: cosa succede ad un elettrone mentre passa da un orbitale ad un altro? La Fisica mi dice cosa c’è prima e cosa c’è dopo, ma non quello che accade nel mezzo, perché mancano le formule, gli algoritmi.
La risposta fu che non mi dovevo preoccupare di quello che succedeva nel mezzo e che anzi, cercando di capirlo, avrei corso il rischio di impazzire.CHI DI FORMULA FERISCE...
Dunque, finita la garanzia dell’esistenza della formula, finita la ricerca. Quest’atteggiamento, come vedremo più avanti, è lo stesso che caratterizza la religione, dalla quale la scienza, erroneamente, vuole distaccarsi.
Einstein (http://digilander.libero.it/n8/) era, invece, profondamente convinto dell’esistenza del divino e dava ad esso la responsabilità di aver creato l’Universo con tutte le sue regole. Per Einstein interpretare le leggi dell’Universo voleva dire comprendere Dio, mentre Heisemberg, dal suo punto di vista totalmente ateo, rimaneva momentaneamente sconfitto, poiché lo scientismo marxista faceva acqua da tutte le parti.
Secondo Einstein bastava recitare le formule matematiche per guardare Dio negli occhi. http://www.segreto.net/segreto/cap01.htm.
Ma anche Einstein doveva subire una dura sconfitta: vediamo come.
Newton, scopritore della cosiddetta forza di gravità, pensava che, siccome i conti gli tornavano, la sua formula fosse giusta, quindi giusta la formula, giusta la teoria e si poteva dire che la forza di gravità esisteva, perché esisteva una formula che descriveva il fenomeno fisico che l’aveva ispirata.
Un bel po’ di decenni dopo, Einstein s’inventava la piegatura dello spazio-tempo: per Newton era la fine! Non esistevano più neppure le forze, figuriamoci quella di gravità. Wimberg, in una sua pubblicazione scientifica popolare, dichiarava:
“Non esiste nessuna ragione per cui le mele caschino per terra.”
Quindi la formula esisteva, ma non esisteva il fenomeno fisico da essa descritto!
Qualche decennio dopo l’invenzione della curvatura dello spazio-tempo, Einstein si trovava completamente spiazzato dalle nuove teorie, quando queste affermavano che non esiste nessuno spazio-tempo che si pieghi e, se lo spazio-tempo deve proprio esistere, questo sta fermo e non si sgualcisce nemmeno un pochino.
Sono anche fatti dell’attualità quotidiana, mentre la NASA sta provando ancora a misurare piccoli effetti della relatività generale, tentando di far tornare le cose e soprattutto le formule, le quali, invece, cominciano a non tornare più.
Da un punto di vista puramente filosofico quello che stava (e sta) accadendo alla fisica ed alla scienza tutta, era (ed è) che la certezza che l’esistenza di formule matematiche desse garanzia di verità, crollava (e crolla tuttora) di fronte alla totale inadeguatezza delle formule stesse a descrivere l’Universo.
Da un lato, alla fine dei conti, Einstein dice che l’Universo non si può osservare con chiarezza, perché tutto è relativo, e dall’altro Heisemberg afferma che, mentre si osserva qualcosa la si perturba, cosicché essa ci si presenta in modo palesemente diverso da ciò che è in realtà.
Queste due affermazioni riducono a pezzi il metodo galileiano!
A Galileo la scienza moderna fa dire che la prima cosa da fare è osservare il fenomeno fisico e descriverlo bene, poi riprodurlo anche in laboratorio ed infine creare l’algoritmo che lo descrive. Ma se il fenomeno fisico non può essere correttamente osservato e se ciò viene affermato persino dalle formule di Einstein e di Heisemberg, allora a cosa servono le formule della Fisica, se non a dire che le formule della Fisica non servono più?(tratto dal libro "Alien Cicatrix" di Corrado Malanga, e-book integrale in PDF, fonte, pag. 141 e seguenti)
(Francesco Galgani, 23 gennaio 2021)
Amore di coppia?
L’amore di coppia è forse l’incontro tra due follie che, per ragioni misteriose e fuori da qualsiasi schema, scelgono di provare, in qualche modo, a stare insieme?
Tale incontro di follie è forse dominato da un vortice di energie creatrici e distruttrici che, a seconda della prevalenza delle une o delle altre, ne determinano l’esito?
Non lo so, forse tra tutti gli aspetti della vita questo è quello in cui regole e leggi meno si adattano.
O forse è tutto diverso da ciò che ho scritto. Gli antropologi ne sanno qualcosa, forse.
(Francesco Galgani, 28 gennaio 2021)
Cestinare le opinioni?
Amore per le opinioni
Le idee sono i prodotti creativi della nostra mente individuale e collettiva, ma le opinioni... se diventano qualcosa da difendere, o per cui lottare e morire, allora sono una maledizione?
Rientrano tra le opinioni tutte le personali rappresentazioni della realtà (rappresentazioni però sempre parziali e faziose, perché siamo noi a creare la realtà duale in cui ci troviamo), che poi si trasformano in giudizi, pregiudizi, preconcetti, previsioni, classificazioni in buono e cattivo, giusto ed empio, corretto e sbagliato.
Le opinioni possono portarci persino a gioire della sofferenza di chi ha opinioni diverse, o contrapposte, alle nostre, facendoci perdere la nostra comune umanità.
Una santa benedizione può essere quella di cominciare a cestinare le proprie opinioni, lasciando soltanto le idee, che di per sé sono sempre mutevoli e vanno bene finché non diventano opinioni da difendere?
Anni di mie riflessioni e opinioni, scritte in questo blog, mi sono servite per capire che mi conviene non identificarmi nelle mie opinioni, anzi, è più salutare che io mi limiti soltanto a guardarle, lasciandole scorrere come l’acqua mutevole di un fiume e senza attaccarmi ad esse.
Credo che quel che conti veramente è come è indirizzato il nostro cuore e in cosa riponiamo la nostra fede.
(testo e pittura digitale di Francesco Galgani, 28 gennaio 2021)
Perché scrivere?
Scrittura creativa
Siamo in un’epoca in cui la produzione di testi (e altri tipi di contenuti) è esplosa. Forse, in questi ultimi anni, abbiamo prodotto più testi che in tutta la restante storia dell’umanità? Se l’ipotesi è verosimile, è altrettanto degna di nota l’essenziale superfluità di tale produzione. Forse tra un millennio saranno ancora studiati i testi dell’antichità, ma quelli dell’attuale contemporaneità lo saranno? Dati questi dubbi, perché scrivere ancora?
Posso parlare per me. La mia risposta più onesta è che quando produco qualcosa di creativo (un articolo, un disegno, una poesia, un pensiero, ecc.) lo faccio perché mi va di farlo e perché mi fa piacere farlo; oserei dire che una coscienza più grande di me si esprime tramite me. Quest’ultima asserzione è come io percepisco me stesso in rapporto all’arte, ma non solo. In almeno uno dei miei scritti esplicito chiaramente che io faccio da “tramite”, mi riferisco alla “Religione dell’ultima lotta”.
Scrivo, comunque, anche per altre ragioni. Una di queste è per conservare una memoria, una traccia, delle cose che studio e su cui rifletto in un certo periodo, pur non sapendo se in futuro potranno tornare utili a me o ad altre persone. Semplicemente evito che finisca presto nel dimenticatoio, o peggio nel nulla, ciò che può ancora continuare ad esistere, almeno finché io continuerò a pagare i miei siti e a manutenerli.
Un’altra mia motivazione primaria nello scrivere è che l’atto della scrittura serve a formare le idee in una modalità più precisa e profonda che senza la scrittura difficilmente sarebbe possibile. In questo senso, l’utilità della scrittura è nel “qui ed ora”.
Ulteriori motivazioni nello scrivere possono riguardare il mio senso di identità. Di sfondo, a volte, c’è l’auspicio che ciò che faccio sia utile per un mondo migliore, ma spesso questo auspicio lascia il posto alla consapevolezza che il mio agire è in conseguenza del mio essere o semplicemente che la creatività è l’unica forma espressiva che a volte ho per esprimere certi sentimenti o emozioni. In tutto questo, scavando, c’è l’incontro con la solitudine, che è il tema del mio quadretto "Senza una grande solitudine nessun lavoro serio è possibile".
E’ ovvio che in questo modo di pormi prevalgono motivazioni emotive. Per dirla più brevemente: la scrittura creativa, e ogni altra forma di arte, nascono da un bisogno interno, a prescindere dal rapporto che poi le altre persone avranno con tale produzione.
(testo e pittura digitale di Francesco Galgani, 28 gennaio 2021)
Surrealtà della notizia: obbligo di tampone anale
A chi non ci crede, suggerisco di leggere qui:
https://www.iltempo.it/esteri/2021/03/04/news/cina-tamponi-anali-obbligatori-stranieri-covid-proteste-giappone-stati-uniti-26421406/
A chi invece ci crede, gli assicuro che è un mio fotomontaggio.
A chi crede alla notizia riportata su "Il Tempo" e anche alla prima pagina del "Corriere della Sera" qui riportata, gli assicuro che è vicino alla verità.
A chi non crede né alla notizia de "Il Tempo", né a questa qui riportata, faccio notare che entrambe si riferiscono ad una realtà immaginata, surreale, allucinatoria, in una sola parola falsa, quindi anche queste notizie sono false.
In sintesi, la notizia è contemporaneamente vera e falsa, difficilmente potrebbe essere "solo vera" o "solo falsa".
Francesco Galgani,
22 marzo 2021
Collaborazionismo autolesivo umano nell’aderire a verità assolute
L’essere umano, a livello di specie, è fondamentalmente collaborazionista rispetto ai poteri “esterni”, cioè disumani o non umani, che lo opprimono. Si tratta di una forma di collaborazione solitamente percepita come funzionale alla propria sopravvivenza, persino giudicata come “giusta”, anche di fronte alle peggiori ostentazioni di prevaricazione, oppressione, gusto nell’infliggere patimenti atroci e fini a se stessi, distruzione della bellezza, della vita, dell’amore. In altre parole, l’essere umano è abituato ad obbedire, e non è escluso che questa attitudine non sia soltanto culturale, ma anche codificata nel DNA.
Le dittature e i genocidi del passato ne sono una delle più palesi dimostrazioni, così come lo è l’attuale situazione a livello mondiale. La specie umana si dimostra pronta a qualunque tipo di vessazione, con una pazienza pressoché senza limiti e senza dignità, senza neanche un accenno di anelo di libertà, quando incontra un potere violento percepito come superiore e legittimato tramite la paura, il senso di impotenza e la violenza (sentimenti particolarmente inculcati oggi tramite la televisione).
Per queste ragioni, la storia dell’umanità, in quanto specie facilmente addomesticabile e già da millenni addomesticata (da chi?), è stata fortemente turbata, e continua ad esserlo, da interferenze che hanno caratteristiche non umane o disumane. Le persone, tra di loro, costruiscono spesso modelli relazionali basati sulla violenza appresa, che è l’aspetto complementare dell’incapacità appresa di amare.
In base al principio che tutto è in collegamento con tutto, è però evidente che questa interferenza non può essere unilaterale e che essa durerà soltanto finché la maggioranza degli esseri umani sentirà il bisogno di padroni, di protettori, di esseri esterni a sé in cui riporre la propria fiducia. Nel momento in cui una persona comincia a rendersi conto di essere creatrice attiva e principale del proprio mondo, non si affida più a poteri esterni ma ricerca il proprio potere interno; la stessa cosa vale per l’umanità nel suo complesso.
La continua accettazione dell’inaccettabile, attraverso i millenni e fino ad oggi, avviene grazie a dogmi (di cui quello più recente è il “covid”, in passato quello dominante era “dio”), cioè verità assolute e sovente rivelate (e persino “dimostrate”), che servono a creare una rappresentazione della realtà funzionale agli scopi del potere, scopi solitamente alieni e alienanti rispetto alle reali necessità umane. Chi asserisce queste cose, anche laddove esista la formale libertà di pensiero e di espressione, solitamente non viene compreso e, laddove le sue affermazioni siano di disturbo, viene appeso in croce: questo vale soprattutto per i personaggi potenzialmente influenti. Eventi recenti hanno dimostrato che anche in Italia l’atto di pensare e di esternare qualcosa di diverso rispetto a quanto è comunemente noto è punito con varie forme di ricatto, che arrivano anche alla reclusione in ospedali psichiatrici, in cui vengono commessi indicibili abusi; nel resto del mondo, purtroppo va anche peggio. Gli esempi in tal senso e attuali sono continui, quelli del passato troppi per essere contati.
I dogmi, o verità assolute, tanto cari alle religioni, alle parti incancrenite della scienza e della politica, al pensiero popolare dominante, spesso espressione del pensiero “unico” inoculato tramite il “main stream” e dalle sue controparti (la cosiddetta “controinformazione”), rafforzato o direzionato dai “filter bubble” dei social, sono basati su una creazione di realtà in cui non è ammessa la compresenza degli opposti e la loro contemporanea verità e legittimità di esistere. Si tratta di una visione/costruzione della realtà che tiene conto solo di quegli aspetti che sono coerenti ai dogmi stessi e che trova fondamento nei tre principi aristotelici di non contraddizione, di identità e del terzo escluso, che hanno senso soltanto all’interno di un sistema isolato (che di per sé è un’astrazione utile, ma mai reale). Nel momento in cui passiamo da un sistema isolato a un sistema più verosimile, in cui tutto è connesso a tutto e in cui vige l’interdipendenza e la mutevolezza istante dopo istante di tutti i fenomeni, ovvero in cui non esista un sistema di riferimento ovunque valido, ne segue che i principi fondanti diventano il principio di contraddizione, di interdipendenza e di compresenza degli opposti. In altri termini, ogni cosa esiste perché esiste il suo opposto ed è in relazione con esso, inoltre ciò che è vero è al contempo anche falso, in quanto verità e falsità non sono mai caratteristiche stabili e indipendenti, almeno per due motivi: per prima cosa, non esiste qualcosa che non sia identificato e identificabile dalle relazioni con ciò che è diverso da sé (nulla esiste di per sé), secondariamente la verità o falsità di un concetto sono in relazione al sistema di riferimento. Così come cambiando gli assiomi cambia la matematica, così cambiando quella parte della dualità dell’esistente che è assunta come vera cambiano di conseguenza tutti i valori di verità e falsità. Poiché ciò che esiste è sempre duale, in quanto identificato quantomeno dal suo opposto, ed è in continuo cambiamento, in quanto interdipendente con tutto l’esistente, ne segue che la sua verità e falsità sono in funzione del sistema di riferimento in un dato istante, quindi mutevoli e compresenti.
In alternativa, potremmo tentare di non guardare soltanto una parte della dualità e cercare invece di comprenderla nella sua totalità, con tutte le sfumature. Millenni di logica aristotelica hanno reso questo compito particolarmente arduo, ma non impossibile.
La liberazione dalle briglie dell’addomesticamento al pensiero funzionale ad un potere esterno, e disfunzionale al nostro comune interesse di vivere in una società armoniosa, inizia dal rigettare l’assolutismo dei concetti di vero e di falso, mettendo in continua discussione i nostri stessi pensieri.
Quando accadono cose che non ci piacciono, esse possono metterci in evidenza qualcosa che ancora non abbiamo capito (se lo vogliamo). La stessa cosa può valere per l’incontro con ciò che contraddice le nostre presunte certezze.
Ciò che ho fin qui scritto è vero, è falso, è in parte vero e in parte falso, non è né vero né falso. Ha contemporaneamente tutte queste caratteristiche ed ha inoltre una grossa pecca: per osservare la realtà, sono costretto ad astrarmi da essa, come se io non ne facessi parte. Questo è un mio grosso limite che, probabilmente, condivido con te che hai avuto la pazienza di leggere fino a qui.
Francesco Galgani,
26 marzo 2021
Il massimo della stupidità è usare solo la razionalità?
La più pericolosa e distruttiva forma di ottusità, che può arrecare ingenti danni e atroci sofferenze al singolo e alla società, è l’uso esclusivo della razionalità. Tale patologica condizione della mente, che di fatto consiste in uno scollegamento tra cuore e intelletto (che sono i due occhi dell’anima), in molti contesti è innalzata a virtù, a dimostrazione che le genti spesso sono attratte più dalla stupidità che dall’intelligenza. Questo dramma di uso esclusivo di un pensiero calcolante, separativo e logico-matematico è proprio di una parte degli esseri umani e di tutte le forme di “intelligenza artificiale”. Il fatto che una macchina non viva, non cosciente e senza anima possa essere definita “intelligente” non esprime una reale caratteristica della macchina, piuttosto dice qualcosa su chi entusiasticamente la definisce tale.
Francesco Galgani,
2 aprile 2021
Sull’esistenza e non-esistenza di Dio
Per quanto il problema dell’esistenza e non-esistenza di Dio, inteso nell’archetipo di padre creatore, sia già stato sufficientemente affrontato nel corso dei secoli, stamani la mia Anima mi ha suggerito che il problema, nell’ottica semplicistica e riduttiva in cui sovente viene posto (del tipo: “Sei un credente?”), non sussiste.
Il motivo fondamentale è che il mio comportamento di essere umano trascende i concetti di esistenza e di non esistenza di Dio, perché sarebbe lo stesso in entrambi i casi: l’amore, la gratitudine e il rispetto per la vita non hanno bisogno di giustificazioni ulteriori; stesso discorso per le necessità imposte dal viver quotidiano e dai bisogni psico-fisici-relazionali. Quando una persona vive pienamente nel "qui ed ora" ed è in pace con se stessa e con la vita, probabilmente non ha bisogno di farsi troppe domande. Allo stesso modo, quando una persona è serena, il suo stato mentale è come un sole in mezzo a un cielo terso e il proprio agire è già ripulito dai tanti veleni che spesso affliggono noi esseri umani. La vita sorride a chi le sorride, tutto qua.
Il motivo accessorio, non essenziale ma al contempo meritorio di essere esplicitato, è che, in base al principio di contraddizione, di interdipendenza e di compresenza degli opposti (come trattato in: “Collaborazionismo autolesivo umano nell’aderire a verità assolute”), è vera l’esistenza di Dio ed è vera la sua non-esistenza (o, se lo si preferisce, a libera scelta, sono false entrambe). Al contempo, se ammettessimo che il problema della esistenza e non-esistenza di Dio esista, allora probabilmente rientreremmo nella terza casistica proposta dal principio di igiene mentale (come trattato in: “Principio di igiene mentale, trasposizione del rasoio di Occam”) e, forse, come suggerito dal principio in questione, potremmo concludere che il problema non esiste. Entrambi i principi filosofici qui citati ci indirizzano a guardare il problema da una prospettiva diversa da quella usuale, che potrebbe essere sintetizzata in: “Non ti preoccupare di Dio, non importa se Dio esiste oppure no. Metti da parte paure, pregiudizi e preconcetti. Ciò che importa è come è indirizzato il tuo cuore e quale consapevolezza hai del tuo agire”.
Ad ogni modo, so che quanto ho fin qui esposto potrebbe risultare inaccettabile. Chi ritiene che io abbia scritto cose insensate ha pienamente ragione; parimenti, chi ritiene che io abbia scritto cose ragionevoli e giuste ha altrettanto ragione. In entrambi i casi, il percorso di acquisizione di consapevolezza è personale. Spesso, per comodità, preferiamo seguire persone o cose che ci fanno credere di avere la soluzione dei nostri problemi a prescindere dal nostro stato di consapevolezza: ci conviene stare molto attenti, perché in questo modo possono accadere cose molto spiacevoli, se non veri e propri disastri.
Vorrei concludere con una storiella:
«C’era una volta un pesciolino che stava cercando l’oceano. Un giorno, incontra il vecchio pesce saggio e gli domanda: “Pesce saggio, sto cercando l’oceano, sai indicarmi la strada?”. Il pesce saggio rispose: “Dove pensi che stiamo nuotando? Nell’oceano, questo è l’oceano!”, subito il piccolo pesciolino ribatté: “Ma quale oceano, questa è solo acqua!” e se ne andò a cercare in un’altra direzione».
Francesco Galgani,
5 aprile 2021
Vaccini, mascherine, lockdown: costi e benefici nella partita della vita
In una partita a scacchi, un bravo giocatore riflette bene prima di ogni mossa, per calcolarne i possibili costi e benefici. Un abile giocatore potrebbe persino sacrificare la propria regina, se nei suoi calcoli ciò gli convenisse per vincere la partita.
Allo stesso modo, nel caso del torneo di scacchi “covid”, ognuno valuta bene la propria strategia di gioco: se vincesse chi meglio riuscirebbe a distruggere le fondamenta della società, ridurre in grave indigenza quasi tutta la classe media, affliggere nelle pene del panico quasi tutta la popolazione e a mettere fratello contro fratello, causando la maggior sofferenza possibile alle persone, allora le attuali mosse sarebbero già ottime, comunque migliorabili. Una volta l’istigazione all’odio e il procurato allarme erano reati penalmente rilevanti, ma, come è ben noto, la legge non è e non è mai stata uguale per tutti.
Fuor di metafora: è mai possibile che nel calcolo dei costi/benefici di cui tanti si stanno riempendo la bocca per giustificare la legittimità di certe scelte (o più propriamente l’imposizione di certi obblighi decisi unilateralmente), nessuno si metta a considerare veramente tutto ciò che è in ballo, a cominciare dalla felicità e dal benessere psico-fisico-relazionale delle persone? Un calcolo del genere va oltre l’aritmetica e la statistica, la matematica è solo di parziale aiuto e nel complesso insufficiente.
Secondo me, non contano le opinioni né quanto siano giuste o sbagliate (chi può dirlo?), né tanto meno ho opinioni da difendere. Forse l’unica cosa importante, che trascende le opinioni, sono le relazioni tra le persone e più in generale tra tutti i viventi: se questa non è una partita fatta con pezzi di legno (come può essere una partita a scacchi), ma fatta con le persone e con i loro sentimenti, allora non ha senso parlare soltanto di “calcoli”, perché i calcoli si possono fare in un gioco da tavolo, ma non si possono fare con la “vita”, di cui noi facciamo parte e che è infinitamente più intelligente dell’intelligenza di ciascuno di noi.
Stesso discorso ovunque si guerreggi in una dialettica di vero/falso, giusto/sbagliato, buono/cattivo. La paura attenua la capacità di ascoltare la propria intelligenza, il panico quasi la silenzia. Soltanto quando il cuore è limpido e compassionevole può collaborare con l’intelletto: questa magica collaborazione non punta il dito contro nessuno, ma è capace di rimettere tutto in discussione, suggerendo percorsi alternativi e creativi rispetto a quelli già praticati.
Buona partita,
Francesco Galgani,
10 aprile 2021
Brevi appunti di viaggio
Appunti di viaggio di un viaggiatore tra infiniti viaggiatori diretti alla stessa meta, ma ognuno con un percorso diverso…
1. Serena attenzione nelle relazioni
Non è mai una questione di chi ha ragione o di chi ha torto, ma è solo una questione di qualità delle relazioni con le persone (compresi noi stessi), gli animali, le piante, l’ambiente.
La serenità è una conseguenza della fede nella vita, grazie alla quale la voglia di vivere prevale sulla paura di morire.
La malattia, l’invecchiamento e la morte non sono più fonte di inquietudine, uno scandalo o un problema da risolvere con qualche stregoneria tecnico-medico-scientifica o altri tipi di magie, sono soltanto una naturale conseguenza della nascita, e quindi un dono. Le pratiche di mantenimento della buona salute psico-fisico-relazionale diventano quindi un’espressione della gratitudine per tale dono, ma senza eccessivo attaccamento e senza ricercare l’immortalità, che è sinonimo di non-vita.
La serena attenzione nelle relazioni implica il riconoscimento che la propria anima fa parte di una comunità di anime.
2. Disidentificazione dai pensieri
I pensieri, al pari dei sogni, non hanno proprietari, sono entità che si muovono nello spazio e nel tempo, che attraversano noi esseri umani e che ci usano per rendersi manifesti, ma non ci appartengono: ogni pensiero è frutto di infinite relazioni.
Non attaccarsi ai pensieri percepiti come “propri”, ovvero non sentire alcun bisogno di guerreggiare per difendere un’ideologia, una credenza, un principio, un piccolo pensiero o quant’altro possa collocarsi in un ipotetico continuum duale del giusto e dello sbagliato, non significa soltanto “darsi pace”, ma anche predisporsi all’amore e a poter imparare qualcosa di nuovo da qualsiasi esperienza.
3. Comprensione mistica della vita
Se da una parte il principio di contraddizione e di compresenza degli opposti spianano la strada ad un relativismo assoluto senza punti di riferimento a priori, ovvero ad una visione dell’esistenza in cui ogni pensiero e atto umano è intrinsecamente legittimo, dall’altra il principio di interdipendenza ci ammonisce che tutto quello che facciamo agli altri lo stiamo facendo anche a noi stessi, e viceversa. La visione aperta, critica, tollerante, discutibile, amorevole e senza giudizi della vita e delle persone, in cui ogni sistema di pensiero è considerato portatore di contraddizioni interne, ovvero una visione relativistica, è al contempo accompagnata da un sentimento di sacralità e di rispetto per tutto ciò che esiste, in quanto parte di un tutto di cui tutti facciamo parte e che, al contempo, è parte di noi. Non ci sono persone in buona o cattiva fede, ci sono soltanto persone che hanno consapevolezze qualitativamente diverse.
Scritto da un’anima,
14 aprile 2021
Proteggersi dalle follie della società contemporanea
Nulla è a caso. Il fatto che la nostra società sia costruita in un certo modo, e che la maggior parte delle persone abbia per lo più certi comportamenti, corrisponde a un preciso progetto di vita eterodiretto, cioè risultante dal completo o quasi completo soggiacere agli stimoli e ai condizionamenti imposti soprattutto dai mezzi di comunicazione di massa. Anzi, più che di un progetto di vita, mi parrebbe più appropriato parlare di un progetto di distruzione della vita. Questa è la via più comoda, cioè adeguarsi alla maggioranza e ubbidire al potere. Da questo punto di vista, non soltanto la democrazia è completamente delegittimata in partenza, ma il primo dovere di ogni cittadino è soltanto quello di ubbidire alle leggi, al potere costituito, alle consuetudini: l’opinione personale rispetto al potere diventa priva di significato, depotenziata e persino additata come arrogante, in quanto sono soltanto gli “esperti” cooptati dal potere nel diritto di decidere tutto per tutti. In questa visione distopica e tremendamente attuale, con situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi perché contrari alla vita, l’opposizione non soltanto è fortemente punita, ma trattata come una follia da ospedalizzare, o equiparata ad un misantropico disadattamento da curare con la peggiore delle pedagogie.
L’alternativa è quella di non conformarsi, costruendo un proprio progetto di vita che nasca da una visione diversa da quella dominante. Cambiando i presupposti, cambia tutto il resto. Il primo dovere del cittadino diventa quello di costruirsi una propria etica e di studiare, studiare e ancora studiare per non farsi prendere in giro dalle malate follie di chi è al potere e dall’informazione per lo più menzognera a reti unificate. In questa visione, molte cose sono capovolte rispetto al sentire comune. Al centro non c’è più il rispetto delle leggi, ma il rispetto della vita.
La posizione di chi non si conforma è molto difficile, perché è come quella di un funambolo che, senza protezioni, cammina su una fune tesa sopra una fossa piena di coccodrilli affamati. Come proteggersi, quindi?
Sarebbe bello se ci fosse una risposta. Purtroppo in una società che incoraggia e premia lo spegnimento del cuore e dell’intelletto, ovvero l’incapacità appresa di amare e di pensare, in un contesto che normalizza il patologico e medicalizza il fisiologico, è molto facile rischiare la lapidazione se invece teniamo vivi e nutriamo continuamente sentimenti e pensieri orientati alla protezione e all’amore per la vita.
Forse, nel nostro esercitarci da funamboli, la cosa migliore che possiamo fare è prestare attenzione alla nostra asta che fa da bilanciere: questa asta è il simbolo delle nostre emozioni prevalenti e della qualità prevalente delle nostre relazioni. L’asta ci aiuta a mantenere l’equilibrio se le emozioni e le relazioni sono di buona qualità, qualità che fa da cartina di tornasole sulla bontà del nostro progetto di vita e sulle nostre pratiche alimentari, spirituali, sportive, sociali, familiari, lavorative, ecc.
(13 giugno 2021)
Pillole di Filosofia - Preghiera della Luce
Paramahansa Yogananda, nel suo libro “Autobiografia di uno Yogi”, scrisse che la yogini Giri Bala praticava una particolare tecnica che le permetteva di vivere senza mangiare né bere. Varie persone si sono interessate al suo caso, inclusi diversi scienziati e il Maharaja, il quale, per verificarne l’autenticità, fece rinchiudere a chiave la santa in una delle stanze del palazzo, tenendola sotto stretta osservazione per tre periodi differenti: il primo di due mesi, il secondo di venti giorni e il terzo di quindici giorni. Alla fine si arrese, dovendo ammettere che effettivamente Giri Bala digiunava perennemente.
Yogananda raccontò del suo straordinario incontro con la donna che visse per oltre cinquant’anni senza mangiare né bere, documentandolo nei particolari, persino con alcune fotografie. Giri Bala riferì che il suo passatempo preferito era quello di cucinare per sfamare gli altri, pur rimanendo indifferente al cibo solido dall’età di dodici anni fino al tempo dell’intervista, in cui ne aveva sessantotto. Oltre cinquantasei anni senza assumere acqua né cibo e soprattutto senza sentire lo stimolo della fame e della sete.
Attraverso le parole di Yogananda, scopriamo che la santa si alimentava di Sole e di aria, riuscendo ad assorbire le energie vitali presenti in essi, e che dormiva pochissimo, essendo immune dalla necessità di alternare la veglia al sonno. La vita di questa donna è stata veramente straordinaria se si pensa che non si è mai ammalata, non aveva bisogno di eliminare feci e riusciva tranquillamente a controllare i battiti del cuore e il respiro.
Esiste una parte dell’intervista in cui a Giri Bala venne posta una questione di fondamentale importanza e cioè del perché non insegnasse ad altri questa tecnica. Poter vivere senza necessità di nutrimento risolverebbe i problemi di fame di milioni di persone? La donna rispose che non poteva intromettersi nel “dramma della creazione di Dio” e che i frutti che la natura concede sarebbero rimasti a marcire nel suolo. Nelle parole di Giri Bala si trova una visione dell’esistenza molto particolare: la fame, la sofferenza, la miseria e le malattie sarebbero dei mezzi attraverso i quali ci evolviamo e ci purifichiamo, sono gli strumenti attraverso cui siamo indotti a interrogarci e a cercare il vero significato della vita.
Spesso noi cerchiamo continuamente all’esterno, dimenticando la scintilla divina che abbiamo dentro. Proviamo a guardare anche all’interno. E se il Sole non fosse una sorgente di luce esterna, ma lo specchio di noi stessi? E se qualunque “potere esterno” non fosse che un riflesso del nostro “potere interno”? E se avessimo già dentro il nutrimento che stiamo cercando all’esterno?
Preghiera della luce
Io sono la felicità, il nutrimento, la luce.
Prego per essere un ottimo nutrimento per i miei genitori e per tutta l’umanità.
(15 luglio 2021)
Per approfondimenti: Daniel Lumera, “Il codice della luce - Nutrirsi e guarire con il Sole”, Anima Edizioni
Pillole di Filosofia - Non esistono domande stupide
Questo nostro mondo così traboccante di sofferenza è un luogo dove ognuno di noi va avanti grazie alla capacità di saper ascoltare.
Per molti anni, per un giorno alla settimana, Gandhi restava in assoluto silenzio. Era convinto che fosse un modo per rimettere ordine nella sua mente, per ritrovare quella pace compromessa dal continuo parlare.
E’ cruciale dare il giusto spazio all’ascolto e alle domande, sia a quelle che nascono dentro di noi, sia a quelle delle persone a noi vicine.
Anche se la mia risposta potesse non essere la migliore o non aver centrato il problema, o anche se non avessi alcuna risposta, comunque non esisterebbe una domanda stupida. L’importante è accettare e accogliere le domande, e porle. In questo modo progrediamo insieme nel cammino della consapevolezza.
Lasciamo che siano altre persone a giudicare contando solo gli errori, se è questo ciò che vogliono. Noi, piuttosto, cerchiamo di essere riconoscenti e grati per tutto quel che è bello, sia che provenga da noi, sia che provenga da altri, o semplicemente che sia un dono della vita.
E’ molto importante scoprire, lodare e incoraggiare gli aspetti positivi delle persone a noi vicine: questa abitudine ci aiuterà non solo a vedere anche i nostri aspetti positivi, ma a costruire giorno dopo giorno una crescente fiducia nella vita nostra e altrui, che è alla base di ogni sano coraggio.
(30 luglio 2021)
Pillole di Futuro - Una buona notizia
Al di là delle metafore e delle scelte linguistiche con cui Corrado Malanga si esprime, ci sono percezioni del futuro a lungo termine che rasentano la soglia dell'incomunicabilità, anzi la superano con chi già non ha la stessa percezione. In questo video di agosto 2021, Corrado Malanga, con il suo consueto stile comunicativo che, secondo me, presume una pregressa conoscenza delle ricerche a cui lui ha dedicato la vita e della visione dell'essere umano e dell'universo che ne ha ricavato, dà una "buona notizia" che ha il sapore di una profezia, indimostrabile nel momento presente ma che, già da tempo, percepisco come veritiera.
Mi trovo in sintonia con le sue considerazioni sulla situazione attuale che, per quanto difficili da sostenere su un piano strettamente logico-razionale, assumono pieno significato e coerenza se osservate dal punto di vista di una evoluzione di consapevolezza e del superamento della paura della morte, grazie alla presenza di Anima nel nostro agire (che Corrado, nel video, chiama "parte animica" riferendosi implicitamente alla coesistenza nell'essere umano di Anima, Spirito, Mente e Corpo).
Il sito ufficiale di Corrado Malanga è: https://corradomalangaexperience.com/
Pillole di Filosofia - Ogni visione del mondo è una metafora
La realtà non può essere da noi percepita così com’è, nella sua vera essenza e interezza, giacché noi, come umani, siamo scissi al nostro interno e normalmente obnubilati nel pensiero e nel sentimento.
Qualunque punto di vista è parziale e illusorio: la vita è un mistero, è un sogno dentro un sogno, quindi i nostri pensieri sono tanto sensati quanto quelli dentro un sogno.
Dai sogni dell’umanità nascono le tradizioni e i miti.
Il mito contiene la consapevolezza del passato, del presente e del futuro, nascosta dietro il significato letterale delle storie tramandate.
Noi possiamo solo raccontarci delle storie e inventarcene di nuove per esprimere la cangiante realtà dell’esistenza.
Ogni nostra visione del mondo è una metafora di ciò che è, da non prendere mai alla lettera perché il linguaggio intrappola una specifica parziale realtà umana, limitata e fallace, ma molto interessante se riusciamo a intuire cosa c’è oltre le parole.
(17 settembre 2021)
Il "tutto" e il "nulla" sono la stessa cosa?
Se ritenessimo che un punto dello spazio sia vuoto dovremmo chiederci se è vuoto perché non c’è nulla oppure se è vuoto perché in quel punto ci sono il tutto ed il contrario del tutto che si annichiliscono a vicenda. Ed ecco che il "tutto" ed il "nulla" divengono la stessa cosa...
(20 settembre 2021)
Il non-amore (o non-attaccamento) alla verità come strumento di gentilezza e migliore realtà
La verità è divisiva e distruttiva, perché nel mondo duale in cui viviamo necessariamente esclude ciò che è l’opposto di se stessa, opposto che comunque esiste e ha pari dignità di esistere, perché, nel nostro universo, affinché esista un ente deve esistere anche il suo opposto. Ad es., affinché esista un fotone deve esistere anche un anti-fotone, affinché esista la materia deve esistere anche l’anti-materia, affinché esista un’onda deve esistere contemporaneamente anche una particella (dualismo onda-particella), affinché esista un tempo che scorra verso il futuro (come nel caso del fotone) deve esistere anche un tempo che scorra verso il passato (come nel caso dell’anti-fotone), affinché esista un’energia positiva (nella nostra parte di universo) deve esistere anche un’energia negativa (in un’altra parte di universo), ecc.
Tutto è duale, quindi, passando dalla fisica alle esperienze umane: affinché esista un bene deve esistere anche un non-bene (male?), affinché esista una verità deve esistere anche una non-verità (falsità?), affinché esista un giusto deve esistere anche un non-giusto (sbagliato?), affinché esista un maschile deve esistere anche un non-maschile (femminile?), e parimenti per tutti gli opposti cambiando ciò che, preso per riferimento, può essere negato, ad es. affinché esista un femminile deve esistere anche un non-femminile (maschile?). Il punto cruciale, però, è che la scelta di cosa prendere come riferimento per la creazione della propria realtà significa, dato un insieme di coppie di opposti, dividerlo a metà prendendo di ogni coppia un solo elemento: questo sottoinsieme così formato, cioè composto di elementi che tra di loro non si annullano, costituisce la propria visione delle cose, la propria realtà, il proprio mondo e, soprattutto, la base di credenze con cui ci relazioniamo con noi stessi, con gli altri, con la vita. Per lo meno ciò sarebbe vero se ammettessimo che tale creazione individuale di realtà fosse coerente con se stessa, cioè non schizofrenica, né piena delle tante dissonanze cognitive in cui siamo immischiati sia per la nostra difficoltà di comprendere la vita, sia per cause indotte dal sistema sociale (scuola, famiglia, tv, politica, religione, scienza, ecc.).
Non sarebbe possibile far diversamente, cioè evitare una propria creazione di realtà (coerente o contraddittoria che sia), a meno di non poter vivere in una continua esperienza mistica in cui l’“io” e il “tutto” (cioè il “nulla”) coincidono, ovvero in cui "tutto ciò che esiste" è tale perché creato dal proprio pensiero, ovvero dal pensiero dell’unica cosa esistente, cioè la Coscienza (potrebbe sembrare un pensiero egoistico, ma non lo è, perché in tale visione il proprio ego non esisterebbe più, giacché l’ego individuale può esistere solo dove c’è dualità). Ciò è assolutamente non praticabile nella vita di tutti i giorni e, anche se lo fosse, ci impedirebbe di fare l’esperienza della dualità, necessaria per prendere consapevolezza di noi stessi. Ho scritto che il “tutto” e il “nulla” sono la stessa cosa perché tutti gli opposti coesistenti, se invece di essere separati così come lo sono nel nostro (finto?) universo duale venissero lasciati liberi di riunirsi e fondersi, si annullerebbero a vicenda, così come un suono unito al suo opposto (cioè alla medesima onda sonora in controfase) dà come risultato il completo silenzio (per inciso, la coincidenza tra "tutto" e "nulla" può dar senso come da un apparente "nulla" possa nascere "il tutto", cioè l'universo duale, inteso come separazione di ciò che inizialmente era unito). Arriverà il momento in cui tutto sarà riunito e quindi in cui la dualità sarà superata (ovvero in cui la “finzione”, o “sogno”, o “teatro” in cui siamo immersi finirà), ma “ora” dobbiamo stare nella dualità. Quando dico “ora” sto ancora parlando in termini duali perché il nostro stesso lessico è basato sulla dualità: da un altro punto di vista, anche il tempo (come tutto il resto) è una finzione o sogno (seppur necessario). Il fisico David Bohm ha spiegato che l’universo è non-locale, ovvero tempo e spazio, così come li percepiamo, non esistono.
Faccio un breve accenno alla non-località, per poi tornare al tema di questo articolo, cioè al non-amore (o non-attaccamento) alla verità. Secondo il “principio di località”, tra due eventi lontani ci può essere un rapporto di causa-effetto solo se essi sono connessi da una catena causale di eventi che si propaga con una velocità minore o uguale alla velocità della luce. La fisica di Bohm trascende il principio di località: l’universo è olografico, ovvero prevede che l’informazione attiva sia distribuita ovunque ed istantaneamente. Detto in altri termini, tutto avviene in un unico punto (non esiste lo spazio) e nello stesso istante (non esiste il tempo), quindi l’universo così come lo percepiamo nella vita di tutti i giorni non esiste.
«[...] David Bohm, noto fisico dell'Università di Londra, recentemente scomparso, sosteneva che le scoperte di Aspect implicavano che la realtà oggettiva non esiste. Nonostante la sua apparente solidità, l'universo è in realtà un fantasma, un ologramma gigantesco e splendidamente dettagliato. [...] ogni parte di un ologramma contiene tutte le informazioni possedute dall'ologramma integro. [...] Alla luce di questa consapevolezza, Bohm si convinse che il motivo per cui le particelle subatomiche restano in contatto indipendentemente dalla distanza che le separa risiede nel fatto che la loro separazione è un'illusione. Egli sosteneva che, ad un qualche livello di realtà più profondo, tali particelle non sono entità individuali ma estensioni di uno stesso "organismo" fondamentale. [...] Secondo Bohm il comportamento delle particelle subatomiche indica che vi è un livello di realtà del quale non siamo minimamente consapevoli, una dimensione che oltrepassa la nostra. Se le particelle subatomiche ci appaiono separate è perché siamo capaci di vedere solo una porzione della loro realtà, esse non sono "parti" separate bensì sfaccettature di un'unità più profonda e basilare [...] Tutto compenetra tutto. In un universo olografico persino il tempo e lo spazio non sarebbero più dei principi fondamentali [...] Al suo livello più profondo la realtà non è altro che una sorta di super-ologramma dove il passato, il presente ed il futuro coesistono simultaneamente [...] Dalle particelle subatomiche alle galassie giganti, tutto è allo stesso tempo parte infinitesimale e totalità di “tutto”. [...] A questo punto la realtà non esisterebbe, sarebbe solo un paradigma olografico, il mondo sarebbe solo una realtà secondaria, un insieme di frequenze olografiche che vengono trasformate dal cervello in percezioni sensoriali, mentre la realtà oggettiva non esisterebbe. [...] In tal caso, anche la struttura fisica individuale sarebbe una proiezione olografica della coscienza, pertanto ognuno di noi sarebbe responsabile della propria salute più di quanto mai possano fare le moderne scoperte farmacologiche. Le famose guarigioni miracolose potrebbero in realtà essere dovute ad un mutamento dello stato di coscienza che provochi dei cambiamenti nell'ologramma corporeo. [...]» (fonte)
Orbene, chiarito ciò, cioè che la realtà oggettiva, o assoluta, non esiste, arrivo alle conclusioni, cioè al concetto di “verità”. La propria visione delle cose, come accennato all’inizio, è la propria realtà (nel senso di costruita da noi stessi), la propria verità, il proprio punto di riferimento, che entra necessariamente in conflitto con ciò che è opposto a sé, e quindi con le altre persone, se ritenessimo assoluta la nostra creazione (nel senso di unica verità ammissibile). La soluzione per progredire in un’esistenza non-violenta e armoniosa, ovvero bella da vivere, inizia con il rinunciare all’amore, o attaccamento, alla propria visione delle cose, alla propria realtà, giacché attaccarsi con le unghie e con i denti ad essa è come aggrapparsi ad un sogno dentro a un sogno.
Vorrei citare, a tal proposito, Pasolini:
Parlando genericamente (e dando fiducia al lettore) si potrebbe quindi dire che Pasolini ama la realtà: ma, parlando sempre genericamente, si potrebbe forse anche dire che Pasolini non ama - di un amore altrettanto completo e profondo - la verità: perché forse, come egli dice, «l’amore per la verità finisce col distruggere tutto, perché non c’è niente di vero». (fonte)
Per concludere, tu non sai cosa ciascuno di noi sta vivendo, in cosa sta credendo e quale realtà sta creando, quindi cerca di essere gentile con tutti, sempre.
(17 ottobre 2021)
Perché, dopo due anni, fonti ufficiali ci dicono che i morti per covid sono minori di quelli per influenza?
Un articolo de "Il Tempo" di due giorni fa, intitolato "Gran pasticcio nel rapporto sui decessi. Per l'Iss gran parte dei morti non li ha causati il Covid (21 ottobre 2021)", inizia così:
«Secondo il nuovo rapporto (che non veniva aggiornato da luglio) dell'Istituto Superiore di Sanità sulla mortalità per Covid, il virus che ha messo in ginocchio il mondo avrebbe ucciso assai meno di una comune influenza. [...]»
Orbene, "Il Tempo" rientra nel cosidetto "main stream", e l'ISS (Istituto Superiore di Sanità) rientra tra le fonti ufficiali. Nel caso in cui l'articolo in questione dovesse essere rimosso, per futura memoria resterà comunque in copia a questo link.
Perché, dopo due anni, fonti ufficiali ci dicono che i morti per covid sono minori di quelli per influenza, visto che fino a ieri è stato affermato l'esatto contrario dalle stesse fonti? Anzi, per essere più precisi, fino a ieri è stata collettivamente costruita una realtà divisa in due, una realtà duale, che (estremizzando e semplificando) è stata (da noi) costruita in due modi specularmente opposti: da una parte l'assoluta fede nella mortalità e pericolosità del covid, dall'altra l'assoluta fede nella mortalità e pericolosità delle scelte governative per imporre misure di contrasto al covid (che, in questo tipo di costruzione di realtà, di per sé non è considerato pericoloso).
So di aver semplificato, ma a volte le semplificazioni aiutano a mettere in evidenza l'essenziale. Ad es., è duale la modalità di porsi del cosiddetto "movimento no-vax" e del governo? Probabilmente no, perché sebbene le pretese siano diverse, e ben diversi siano anche i rapporti di forza, a volte l'arroganza e la separatività sono le stesse. Quindi non è una realtà duale, da questo punto di vista almeno.
E' duale la realtà di chi teme fortemente di venire in contatto con il covid (magari portando tre mascherine contemporaneamente mentre cammina da solo in mezzo a un prato) e la realtà di chi ha una risposta emotiva e intellettuale completamente diversa al problema covid? Forse no, perché questi due individui immaginari, che esemplificano i due principali modelli di comportamento antitetici di fronte alla dichiarata pandemia, comunque devono confrontarsi entrambi con il problema dell'inevitabile morte. Quindi non abbiamo due realtà, ma una sola, quella dell'ineluttabilità della morte, quindi non è duale.
Da un altro punto di vista, però, poiché viviamo in un ologramma frattalico (vedi il mio precedente articolo) in cui tempo e spazio sono sostanzialmente due illusioni, ne segue che in questo universo nessuno nasce e nessuno muore.
Qui non muore nessuno.
Quindi, sì, c'è una grande illusione, ma non è il covid, al massimo quello è solo un diversivo per legittimare l'imposizione di un mondo infelice.
(23 ottobre 2021)
Ars Vivendi
Non ho conoscenza delle cose,
talvolta ho l’impressione che siano più loro a conoscere me...
Alessandro Pacenti, dal “Diario di un iniziato”.
26/11/2021
Good news and bad news
Bad news almost always comes from the human heart and its actions. In other words, this world is hell because human beings make it so. And, perhaps, each of us chose to be born into this hell to experience it.
Good news almost always comes from nature. When I look at the sun, the sky, the hills, the sea, the rainbows, they are full of good news. Nature itself is positive if we fine-tune our hearts to it.
Good news and bad news all come from our hearts. In this dream that we call life, we have built the entire universe through duality, that is, through the division into two of what was one: everything has its reverse (female and male, good and bad, high and low, day and night, hot and cold, etc.). In the same way, we built our hearts. All opposites cohabit within us.
The key to all suffering is division. Reuniting what we have separated brings peace and prosperity; separating what was united brings war and destruction. This way is also how diseases work.
For every good news, there is a bad one: this is called pessimism.
For every bad news, there is a good one: this is called optimism.
Pessimism and optimism both reside within our hearts. Each of us tends to polarize toward one of the two extremes.
Being aware of this helps us know ourselves and live in peace. The integration of opposites is the starting point for living in harmony.
(December 1, 2021, photo taken on this magical early morning)
Teoria di Darwin e dogmi scientifici: cosa c'è che non va? Interviste a Valentino Bellucci
Le interviste sotto riportate sono state fatte nel 2019 da Massimo Mazzucco a Valentino Bellucci (fonte), morto nel dicembre 2021. E' stato filosofo e scrittore, esperto di storia e spiritualità orientali, autore del libro "La chiesa di Darwin".
Nel 2015, nelle conclusioni dell'articolo «L'evoluzione della specie: riflessione concettuale su che cos'è il "caso"», scrissi:
Riflessione personale... ma che cos'è il "caso"?!! Esiste realmente o è un artificio concettuale per dare ragione di tutto ciò che non è prevedibile dalla mente umana?! Postulare l'esistenza del caso non è forse un modo per spiegare ciò che altrimenti non è spiegabile? Se le cose stanno così, allora postulare il caso non è tanto diverso dal postulare un'essere trascendente... perché in entrambi i casi il risultato è sempre lo stesso: ricorrere ad un espediente per spiegare quello che non può essere spiegato.
Karma or randomness or both?
(Ego Illusions, December 23, 2021, go to the art gallery)
The concept of karma is not very dissimilar to divine justice. Thanks to karma or God, a good or bad reward follows our actions.
Karma contrasts with randomness, which is the idea that things happen for no particular reason. But are we sure there is any opposition?
Pure determinism (karma) believes that existing causes entirely determine all events. Pure randomness is the opposite idea. Both these are two equally not provable ways to make sense of the mystery of life.
What is wrong with the concept of karma? It can justify our claims that the facts of life are as we like them because we have been good; or that our life is as we do not want it because we have been evil. For example, we can perform seemingly good actions not because we are good but because we expect a reward. Same with divine justice.
What's wrong with the concept of randomness? Essentially, it tends to deny that the entire universe is intelligent and has a purpose; thus, it tends to take away meaning from our existence. On the other hand, pure randomness does not exist in our daily experiences. We instead notice causes and effects. Randomness is philosophically closely related to materialism, and both can justify every human aberration.
A third way can be to get out of this opposition. Each of us is not a single person opposed to an external reality. The universe is a fractal, and we are within this fractal. Geometrically, each part of a fractal is equal to the whole fractal. So each of us is the entire universe, and we create a reality that corresponds to our awareness.
Then it's no longer a matter of karma or randomness; it's just a matter of recognizing one's ego as an illusion.
(December 23, 2021)
Quid est veritas?
(Plato's Allegory of the Cave)
"Est enim verum index sui et falsi," Baruch de Spinoza wrote. It means: "Since the truth is the touchstone of itself and of the untruth." Furthermore: "Sane sicut lux se ipsam et tenebras manifestat, sic veritas norma sui et falsi est", that is: "Indeed as light reveals itself and darkness, so the truth is the norm of itself and of untruth." (source)
Truth stands on its own, while lies can stand if they find accomplices.
Lying means betraying both others and ourselves. Telling the truth frees us, helps us to live together and learn from our mistakes. No one is infallible, and everyone has the right to make mistakes: the important thing is to admit them, accept our responsibilities, without alibis or excuses that first seem to make us feel better, but in the long run wear us down. Lies may seem like easy and straight paths, but that inevitably leads to a dead end.
The truth stands on its own, the lie needs the constant support of lie upon lie, but it's only a matter of time before it ends up collapsing under its weight. Behind a lie, there is always something unresolved that drags on for a long time, losing pieces along the way and making us lose the right direction.
Political communication is a continuous lie. The lie needs violence and blackmail (even psychological) to impose a false truth. Is our communication better than political communication?
Whoever tells the truth does not need to repeat themselves, justify themselves, or impose their vision of things. The truth is enough for itself and does not need to proselytize since it is evident to anyone who wants to see it.
Lies, on the contrary, need continuous repetitions, justifications, suggestions, influencing, and impositions: this is the policy of the state, of religion, of scientism, of social networks, of school, and also that of many of us. Socrates would never have thought of setting up fake news commissions.
The truth I've talked about so far corresponds to what the ancient Greeks called "ἀλήθεια" (the state of not being hidden, the state of being evident). This word is reminiscent of Plato's allegory of the cave. In this sense, truth exists and is apparent only to those who want to see it.
However, the truth is never absolute. What is true is so because our awareness makes it so here and now, into the fleeting moment. Wanting to grasp the truth is like wishing to catch the water of a river with our own hands.
(December 24, 2021)
Don't ever think of a goal. If you're devoted to the process, something will come out, something more beautiful than you imagined
Two videos on how to realize our potential, with Italian subtitles
We slaves of truth (Plato's allegory of the cave, revisited)
(We slaves of truth, January 3, 2022, go to my art gallery)
Truth is iridescent, elusive. At the exact moment we believe we possess it, it owns us. We become its slaves and are even willing to die for it: all the martyrs of the world know something about it.
We all create a reality for ourselves because we need it to live. When we don't like it anymore, we make another one. More or less, it's like when a person abjures their religion and converts to another one. But all this does not change the primary problem: reality is personal, subjective, temporary, and arbitrary. Above all, we are slaves to it.
To make a comparison, it's like a mathematical problem. If we replace one variable with another in an expression, we get another expression utterly equivalent to the original one. So, in life, if we replace one religion with another or one reality with another, the starting problem remains the same: we are slaves to our imaginary creations.
Reality creations are rarely exclusively the work of the individual. They are usually creations within a group.
All this could make us rethink Plato's cave allegory from a new point of view: the person who comes out of the cave is as deluded as the people who remain inside the cave.
The person who comes out of the cave feels the need to create a new reality: for that reason, they search and find it. But the new truth is not more accurate than the previous one was: both realities (inside and outside the cave) coexist and are equally valid. The only thing that has changed is the person's level of awareness because an effort has produced a change.
The journey of awareness and research could continue until we discover that the reality outside the cave is another illusion. There is another reality to find. And so on.
All this leads to a new question: what changes from being a slave to one reality rather than another?
As Thomas' Theorem says: «If men define situations as real, they are real in their consequences.»
(January 3, 2022)
Asymptomatic intelligence
We know that something exists because it shows us concrete evidence of its existence.
To admit that something can exist without any obvious sign is an act of faith or an ideology.
From this point of view, we can admit that anything exists.
E.g., if it is sunny outside and the sky is clear, we can say that there is an asymptomatic thunderstorm.
If a person is underweight, we can say that they are asymptomatically obese.
If a person is needy, we can say they are an asymptomatic billionaire.
And so on.
What can we say about our intelligence? Is it symptomatic or asymptomatic?
(January 9, 2022)
The truth will set you slave
The word "slave" may be considered dehumanizing. Still, in my opinion, this painful word is the most appropriate to refute the biblical verse: "The truth will set you free."
My impression is that "the truth makes us slaves," incarcerating us in a tight cage from which it is challenging to get out. This slavery is more concrete when our idea of truth is fused and confused with our identity.
From this point of view, we need neither masters to follow nor religions to practice. We only need to reunify our Consciousness and listen to it day by day, hour by hour, minute by minute.
Each so-called "life master" has had their own life experience, which is precisely theirs, not ours. We should never try to conform our Consciousness to that of a group or a master, nor should we replace our Consciousness with that of someone else.
Masters of different cultures and eras describe experiences that are often universal. They tell what each of us has already experienced, or will experience, because all roads lead to Rome.
See also: "We slaves of truth (Plato's allegory of the cave, revisited)."
(January 27, 2022, go to my art gallery)
Promemoria universale
In today's time of war, a prayer from millennia ago
Oṃ
Saṃgacchadvaṃ saṃvadadhvam / saṃ vo manāṃsi jānatām /
Devā bhāgaṃ yathā pūrve / saṃjānānā upāsate /
Samāno mantraḥ samitiḥ samāni / samānaṃ manaḥ saha cittam eṣām /
Samānaṃ mantramabhi mantraye vaḥ / samānena vo haviṣā juhomi /
Samānī va ākūtiḥ samānā hṛdayāni vaḥ /
Samānam astu vo manaḥ yathā vaḥ susahāsati /
Meet together, talk together, let your minds apprehend alike; in like manner as the ancient gods concurring accepted their portion of the sacrifice.
Common be the prayer of these (assembled worshippers), common be the acquisition, common the purpose, associated be the desire. I repeat for you a common prayer, I offer for you with a common oblation.
Common, (worshippers), be your intention; common be (the wishes of) your hearts; common be your thoughts, so that there may be thorough union among you.
Venite insieme, parlate insieme! In accordo siano le vostre menti, come in passato gli dei sedettero insieme per la rispettiva parte!
Comune sia la parola sacra, comune l’assemblea!
Comune sia la mente con il loro pensiero!
Io santifico questa vostra parola comune, io sacrifico con la comune oblazione!
Comune sia il vostro proposito, comuni i vostri cuori!
Comune sia la vostra mente affinché siate felicemente concordi.
(Ṛgveda, 10.191.2-3-4, source of the English translation)
у нас есть то, что нельзя уничтожить
Моё впечатление такого, что разрушительные силы сейчас захватили власть повсюду.
Кажется, ничто не мешает и не останавливает их.
Мы единственные, кто остался, чтобы сохранить возможность достойного будущего, потому что у нас есть то, что нельзя уничтожить.
Impresia mea este că forțele distructive au pus stăpânire peste tot.
Nimic nu pare să le împiedice sau să le oprească.
Noi suntem singurii care au mai rămas pentru a menține în viață posibilitatea unui viitor demn, pentru că avem ceea ce nu poate fi distrus.
My impression is that destructive forces have now taken over everywhere.
Nothing seems to be hindering or stopping them.
Only we are left to keep alive the possibility of a worthy future since we have what cannot be destroyed.
La mia impressione è che le forze distruttive abbiano ormai ovunque preso il potere.
Sembra che niente le stia ostacolando o fermando.
Siamo rimasti solo noi a lasciare viva la possibilità di un degno futuro, giacché abbiamo ciò che non può essere distrutto.
(March 11, 2022, go to my art gallery)
Una umanità nuova
«Noi esseri umani abbiamo delle qualità, ma queste possono emergere solo insieme agli altri.
Da soli neanche esistiamo.»
Il Potere, mediante la società della tecnica e dei consumi, ha trasformato gli individui in profondità, li ha toccati nell’intimo cambiando loro l'anima, una sorta di illusione ottica della coscienza, ha dato loro altri modi di vivere e di pensare, altri modelli culturali, un altro linguaggio imposto dalla dittatura del pensiero unico funzionale al sistema dominante.
Un fascismo imprevedibilmente nuovo ha in pochi anni deformato e degradato la coscienza degli individui, complice la manipolazione artificiale delle idee con cui il capitalismo della sorveglianza sta esercitando un nuovo potere tecnocratico che si basa su una falsa libertà concessa dall'alto, falsa perché è revocabile ogni qualvolta il Potere ne senta il bisogno, dichiarando una emergenza dopo l'altra senza soluzione di continuità.
La nuova forma di fascismo è una riorganizzazione totalitaria di un mondo senza pace, più subdola e insidiosa, dove la norma è l'isolamento, l'alienazione (separazione dal sé e dall'altro), lo scontro tra uomini egoisti e bellicosi, sempre in continua competizione tra loro, uomini che sfruttano altri uomini ridotti a semplice flusso di dati senz'anima.
Per trasformare questa realtà, c'è bisogno di un uomo nuovo capace di una liberazione interiore, di un mutamento di stato della coscienza, mettendo in discussione il proprio Io egoico-bellico, che libera l'uomo da una individualità separata da tutto il resto, riscoprendo la propria natura universale.
Un uomo in grado di incarnare un senso di nostalgia del possibile, nostalgia di ciò che ancora non è stato ma potrebbe essere. Uno spirito libero capace di trascendere la realtà, realizzando così diversi possibili modi di essere uomo, essere quel che è possibile diventare, facendo pace con la vita.
Una nuova umanità, dove quello che conta sono le relazioni reciproche tra le parti, conoscere ed accogliere la vita nell'unità degli opposti, cioè definire le cose per opposizione, in una visione (com)unitaria della realtà.
La vita è un continuo ricominciare...
Living in hell without becoming devils (quotes of Lev Nikolayevich Tolstoy)
"Так же, как мы не можем погасить огонь огнем или высушить воду водой, мы не можем искоренить насилие насилием".
"Just as we cannot extinguish the fire with fire or dry water with water, we cannot eliminate violence with violence."
"Così come non possiamo spegnere il fuoco con il fuoco o asciugare l'acqua con l'acqua, non possiamo eliminare la violenza con la violenza".
следующие фразы из: Лев Николаевич Толстой. Путь жизни (1910)
the following phrases from: Leo Tolstoy. The Way of Life (1910)
le seguenti frasi da: Leo Tolstoy. Il modo di vivere (1910)
«Сказать, что люди не равны, все равно что сказать, что огонь в печи, на пожаре, в свече не равен между собой. В каждом человеке живет дух Божий. Как же мы можем делать различие с носителями одного и того же духа Божия? Один огонь разгорелся, другой только разгорается, но огонь один, и ко всякому огню мы относимся одинаково.»
«To say that men are not equal is like saying that the fire in the furnace, in the fire, in the candle is not equal among themselves. The spirit of God lives in every person. So how can we make a distinction with bearers of the same spirit of God? One fire is kindled, another is only kindled, but the fire is one, and to every fire we treat the same.»
«Dire che le persone non sono uguali è come dire che il fuoco nella fornace, nel fuoco, nella candela non è uguale tra loro. Lo spirito di Dio vive in ogni persona. Allora come possiamo fare una distinzione con i portatori dello stesso spirito di Dio? Si accende un fuoco, se ne accende un altro, ma il fuoco è uno solo, e ad ogni fuoco si fa lo stesso trattamento».
«Отказаться от насилия не значит, что нужно отказаться и от охраны жизни и трудов своих и других людей, а значит только, что охранять все это надо так, чтобы охрана эта не была противна разуму и любви. Охранять жизнь и труды людей и свои нужно тем, чтобы стараться пробудить в нападающем злодее добрые чувства. А для того, чтобы человек мог это сделать, надо, чтобы он сам был добр и разумен. Если я вижу, например, что один человек намерен убить другого, то лучшее, что я могу сделать, это поставить самого себя на место убиваемого и защитить, накрыть собою человека и, если можно, спасти, утащить, спрятать его, - все равно как я стал бы спасать человека из пламени пожара или утопающего: либо самому погибнуть, либо спасти. Если же я не могу этого сделать, потому что я сам заблудший грешник, то это не значит то, что я должен быть зверем и, делая зло, оправдывать себя.»
«To renounce violence does not mean that one must give up guarding one's own and other people's lives and works, but only that one must guard all these things in such a way that this guarding is not contrary to reason and love. It is necessary to guard people's lives and works and one's own in order to try to awaken good feelings in the attacking villain. And in order for a person to be able to do this, it is necessary that he himself be good and reasonable. If I see, for example, that one person intends to kill another, the best thing I can do is to put myself in the place of the murdered person and protect, cover the person with myself and, if possible, save, drag away, hide him, just as I would save a man from the flames of a fire or a drowning man: either to die or to save him. But if I cannot do this because I myself am a lost sinner, it does not mean that I must be a beast and, in doing evil, justify myself.»
«La rinuncia alla violenza non significa che si deve rinunciare a custodire la propria e l'altrui vita e le proprie opere, ma solo che si deve custodire tutte queste cose in modo tale che questa custodia non sia contraria alla ragione e all'amore. È necessario proteggere la vita e le opere delle persone e la propria per cercare di risvegliare i buoni sentimenti nell'aggressore. Per poterlo fare, bisogna essere gentili e ragionevoli. Se vedo, per esempio, che un uomo intende ucciderne un altro, allora la cosa migliore che posso fare è mettermi al posto dell'assassinato e proteggerlo, coprirlo e se posso salvarlo, trascinarlo via, nasconderlo, - come salverei un uomo dalle fiamme del fuoco o un uomo che sta annegando: o essere ucciso o essere salvato. Ma se non posso farlo perché io stesso sono un peccatore perso, non significa che devo essere una bestia e, facendo il male, giustificarmi».
«Было большое собрание людей, больше тысячи, в большом театре. В середине представления один глупый человек вздумал пошутить и крикнул одно слово: "Пожар!" Народ бросился к дверям. Все столпились, давили друг друга, и, когда опомнились, было раздавлено насмерть 20 человек и больше 50 поранено. Такое великое зло может сделать одно глупое слово. Тут, в театре, видно зло, которое сделало одно глупое слово, но часто бывает, что вред глупого слова хотя и не сразу виден, как в театре, а делает понемногу и незаметно еще больше зла.»
«There was a large gathering of people, over a thousand, in a large theater. In the middle of the performance, one silly man made a joke and shouted one word: "Fire!" The people rushed to the doors. Everyone crowded together, crushed each other, and when they came to their senses, 20 people were crushed to death and more than 50 were injured. Such a great evil can be done by one stupid word. Here, in the theater, you can see the evil that one stupid word has done, but it often happens that the harm of a stupid word, though not immediately visible as in the theater, does little by little and imperceptibly more evil.»
«C'era un grande raduno di persone, più di mille, in un grande teatro. Nel mezzo dello spettacolo un uomo stupido fece uno scherzo e gridò una parola: "Fuoco!" La gente si precipitò alle porte. Tutti si sono accalcati, si sono schiacciati a vicenda e quando sono tornati in sé, 20 persone sono state schiacciate a morte e più di 50 sono rimaste ferite. Un male così grande può essere fatto da una parola stupida. Qui, nel teatro, si può vedere il male che ha fatto una parola stupida, ma spesso accade che il danno di una parola stupida, anche se non immediatamente visibile, come nel teatro, fa a poco a poco e inosservato ancora più male».
«Легко переносить горе, когда оно не от людей, а от болезней, пожаров, наводнений, землетрясений. Но особенно больно бывает человеку, когда он страдает от людей, от братьев. Он знает, что людям надо бы любить его, а вот они вместо этого его мучают. "Люди, все люди ведь то же, что я, - думает такой человек. - Зачем же они мучают меня?" От этого-то и бывает легче переносить горе от болезней, пожаров, засух, чем от недоброты людей.»
«It is easy to bear grief when it is not from people, but from diseases, fires, floods, earthquakes. But it is especially painful for a man when he suffers from people, from his brothers. He knows that people should love him, but they torment him instead. "People, all people are the same as I am," thinks such a person. - "Why do they torment me?" That is why it is easier to bear the sorrow of diseases, fires, and droughts than the unkindness of people.»
«È facile sopportare il dolore quando non proviene da persone, ma da malattie, incendi, inondazioni, terremoti. Ma è particolarmente doloroso per un uomo quando soffre a causa della gente, dei suoi fratelli. Sa che la gente dovrebbe amarlo e invece lo tormenta. "La gente, tutta la gente è come me", pensa una tale persona. - "Perché mi tormentano?". Ecco perché è più facile sopportare il dolore delle malattie, degli incendi, della siccità, che la scortesia della gente».
«Все беды людей не от неурожая, не от пожаров, не от злодеев, а только от того, что они живут врозь. А живут они врозь потому, что не верят тому голосу любви, который живет в них и влечет их к единению.»
«All people's troubles are not from bad harvests or fires or villains, but only from the fact that they live apart. And they live apart because they do not believe the voice of love that lives in them and draws them to unity.»
«Tutte le disgrazie della gente non sono dovute a cattivi raccolti, a incendi o a cattive persone, ma solo al fatto che vivono separati. E vivono separati perché non credono alla voce dell'amore che vive in loro e li attira all'unità.»
L’anello infinito
L'universalità dell'essere umano in una canzone (Иванушки Int. - Тополиный пух)
Mentre il mondo è in guerra, stamani ho ascoltato "Иванушки Int. - Тополиный пух". Nell'estate del 1998, il video musicale di questa canzone, qui sopra riportato, è stato ampiamente trasmesso sui canali televisivi russi. Nello stesso anno, la canzone raggiunse la vetta delle classifiche radiofoniche russe. Nel 2020, è stato il brano più ascoltato della band su Spotify e Apple Music.
Secondo me, le immagini sono armoniche. I movimenti dei giovani sembrano danze, danno un senso di libertà e di gioventù.
La musica è fluida, ha la giusta carica di energia, in un connubio di forza e dolcezza, senza essere aggressiva.
Il testo è poetico, dai significati molteplici.
"Stai toccando la tempesta con il palmo della tua mano" e "tu voli via come un uccello spensierato nel cielo" sembrano frasi contraddittorie, eppure la vita è proprio questa. È il giusto distacco dalle cose che accadono e la capacità di gioire in ogni situazione, e di continuare a sognare.
È una canzone di giovani, per i giovani.
"Comprendi che un primo bacio - Non è ancora amore, è solo la legge degli opposti."
Di solito noi adulti non pensiamo più al primo bacio, ma finché il cuore rimane giovane, beh... allora quello è un evento fondamentale, pari alla nascita o a qualsiasi altro "rito di passaggio".
"Dove trovare una piccola porta della felicità"
"C'è così poca felicità in questa vita..."
Oltre al primo bacio, questa canzone tocca un altro tema esistenziale, quello della sofferenza e della ricerca eterna della felicità.
Verso la fine della canzone, ritroviamo le contraddizioni della vita nell'ossimoro "estate nevosa".
Bellissima la conclusione "E l'amore è venuto da te".
Anche questa è una visione giovanile, giacché mentre il giovane cerca l'amore che venga da lui o da lei, l'adulto sa che lui stesso o lei stessa è amore. Questo è particolarmente vero per chi è diventato padre o madre.
Questa canzone in russo ci ricorda l'universalità dell'essere umano, con le sue gioie, dolori e sogni in ogni luogo del mondo.
In questo modo, coloro che oggi sono additati come nemici, in cuor nostro scopriamo essere uguali a noi.
(26 aprile 2022)
Le parole formano la realtà
Coloro che, come me, hanno una sensibilità linguistica, coscienziale e filosofica, ritengono che le parole “formino la realtà”. In modo più pragmatico, i politici e gli altri specialisti di marketing (cioè di menzogne) ritengono che una scelta accurata delle parole serva a formare una certa “immagine di realtà”. Sono concezioni simili, ma con una differenza profonda.
Nel primo caso, le parole “formano la realtà” nel senso che, essendo la vera natura di tutto l’esistente non indagabile, non descrivibile e al di fuori dello spazio e del tempo, ciò che ci appare come reale (compreso il nostro corpo e le altre persone) non è altro che una creazione illusoria della nostra mente individuale e delle sue interazioni con la mente collettiva. A sua volta, la mente crea categorie, enti, narrazioni, giudizi e, in generale, tutto ciò che fa parte della nostra esistenza, in base alle parole. Cambiando le parole, quindi, cambia anche la realtà esperita. Estremizzando, la logica conseguenza di queste premesse è che ciascuno di noi, in interazione con gli altri, crea l’intero universo. E’ evidente, però, che un universo così costruito è tanto solido e reale quanto i nostri sogni della notte.
La prospettiva del venditore di menzogne e dell’esperto di propaganda è molto più semplice: il mondo ci appare in un certo modo non perché è in quel modo, ma perché noi “lo interpretiamo” e “lo capiamo” in un certo modo. In questo caso l’esistenza di una realtà oggettiva non è messa in discussione, semplicemente non interessa. L’intento infatti è quello, tramite la comunicazione pervasiva e persuasiva, di indurre quante più persone possibili a raffigurarsi il mondo in una maniera utile all’azienda o al padrone di turno. In questo contesto, le parole agiscono come una sorta di stregoneria o di incantesimo, capaci non solo di indurci ad una rappresentazione della realtà diversa dalla realtà oggettiva (che in questo caso si presume esistente), ma addirittura nettamente contrapposta ad essa.
Oggi sempre più persone socialmente rilevanti usano le parole per indurre un'ingestibile dissonanza cognitiva (o bipensiero), funzionale all'istupidimento e all'asservimento ad una autorità superiore, umana o “non umana” che sia.
Parafrasando George Orwell, sento di poter affermare con ragionevole sicurezza che la ripetizione e l'interiorizzazione delle parole “ricevute dall'alto” (cioè da scuola, genitori, gruppo di pari, televisione, pubblicità, social, capo di stato, psicologo, amante, essere trascendente o alieno, ecc.), può persino portarci a:
- credere fermamente di dire verità sacrosante mentre pronunciamo le menzogne più artefatte;
- ritenere contemporaneamente valide due opinioni che si annullano a vicenda;
- fare uso della logica contro la logica per far fronte alla contraddittorietà delle nostre opinioni;
- rinnegare la morale proprio nell’atto di rivendicarla;
- credere che la democrazia sia impossibile e nello stesso tempo vedere nel “Partito” l’unico suo garante;
- dimenticare tutto ciò che è “necessario” dimenticare, ma, all’occorrenza, essere pronti a richiamarlo alla memoria, per poi eventualmente dimenticarlo di nuovo.
Ecco la sottigliezza estrema nell'uso delle parole: essere pienamente consapevoli nell’indurre l’inconsapevolezza e diventare poi inconsapevoli della pratica ipnotica che abbiamo appena messo in atto. Se questa si potesse chiamare “arte”, allora dovremmo dire che il mondo è pieno di artisti.
Detto ciò, ti propongo un esercizio di consapevolezza: fai attenzione alle parole che usi, a ciò che dai per scontato e alle implicazioni di quel che affermi. Proviamo insieme a scegliere parole che aiutino sia noi stessi sia i nostri cari a vivere meglio. Possiamo farlo, visto che siamo “creatori di realtà”. Così magari, invece di affondare nelle sabbie mobili del bipensiero, potremmo scegliere parole più consapevoli, più empatiche, più compassionevoli e il più possibile non ambigue.
(28 aprile 2022)
Completa accettazione, ovvero darsi pace
Le cose che accadono, accadono perché devono accadere, che noi lo vogliamo o no.
Da questo punto di vista, il mondo e i fatti della vita vanno bene così come sono, sono giusti così come sono, non c’è nulla da cambiare.
Il massimo che possiamo fare, è progredire nella consapevolezza e darci una direzione, seguendo la nostra coscienza volta per volta.
Anche perché, l’unica alternativa sarebbe quella di ubbidire alla coscienza di qualcun altro, il che non sarebbe né rispettoso per noi stessi né etico.
E nel darci una direzione, però, cerchiamo di non prenderci troppo sul serio, giacché questo universo non è più reale, concreto e solido dei nostri sogni della notte.
La vera natura di tutti i fenomeni non può essere né compresa, né indagata, quindi… cerchiamo di non litigare e di non fare la guerra. Il pianeta è uno e c’è posto per tutti.
(29 aprile 2022)
La saggezza della stupidità di non fare la guerra
La condizione naturale dell’essere umano, quando è in armonia con se stesso e con la vita, è quella di non capire nulla.
In quei rari momenti in cui crediamo di aver chiaramente capito qualcosa, stiamo davvero dimostrando di non aver capito niente.
Nell’ambiguità e incertezza della vita, tutti gli opposti coesistono e sono il relazione tra di loro. Il principio di contraddizione, di interdipendenza e di compresenza degli opposti ci impone di diffidare della nostra visione del mondo. Quando abbiamo idee chiare su qualcosa, su qualsiasi cosa, significa che indossiamo il paraocchi d’una verità di comodo.
Sapere di non sapere significa accettare che viviamo di illusioni, nel senso che nulla è come sembra. Le illusioni ci servono per vivere. La vera realtà o natura profonda della vita è al di fuori della nostra comprensione e possibilità di indagine, non abbiamo neanche le parole per poterla descrivere.
Eppure, facciamo le guerre, desiderando la morte del nemico. Ma chi è il nemico?
La liberazione dalle briglie dell’addomesticamento al pensiero funzionale ad un potere esterno, e disfunzionale al nostro comune interesse di vivere in una società armoniosa, inizia dal rigettare l’assolutismo dei concetti di vero e di falso, mettendo in continua discussione i nostri stessi pensieri e le nostre “ombre”. Secondo Jung, l’ombra è la somma delle caratteristiche personali riprovevoli che l’individuo desidera rimuovere o nascondere agli altri e a se stesso. Ci illudiamo di non avere ombra, ma se c’è luce c’è anche ombra.
Quando accadono cose che non ci piacciono, possono metterci in evidenza qualcosa che ancora non abbiamo capito (se lo vogliamo). La stessa cosa può valere per l’incontro con ciò che contraddice le nostre presunte certezze.
Il mondo non ha bisogno di persone intelligenti e sicure di sé. Piuttosto, ha tanto bisogno di stupidi idioti consapevoli della propria stupidità e delle proprie ombre, giacché sono gli unici ad accettare la vita così com’è, senza essere in guerra con il mondo intero. Ma persone così sono rare e, peraltro, sono le uniche a non aver bisogno di pavoneggiarsi in un’apparente realtà fatta di immagini fasulle. Al contrario, gli stupidi inconsapevoli della propria stupidità o, per dirla diversamente, che si sentono intelligenti e furbi, sono ovunque.
Spegniti, spegniti, breve candela!
La vita è un'ombra che cammina,
accanto al profilo apparente in rete,
abbagliato dalla luce delle sue immagini virtuali,
un povero attore
si agita e si pavoneggia per la sua ora sulla scena digitale
e poi non si è più visto.
E' un racconto
detto da un idiota, pieno di rumore e furore
che non significa nulla.
(tratto da “All'ombra delle immagini”, di Giulio Ripa)
Comunque… stiamo calmi e sereni… e, soprattutto, caro lettore o lettrice, non prendere troppo seriamente quello che ho scritto. Anche questa è un’illusione.
(3 maggio 2022)
Teologi e Alieni, Religioni e UFO: due pesi e due misure (Mauro Biglino)
fonte: https://www.youtube.com/watch?v=llckstQZqHU
Riferimenti sitografici
- Briefing del presidente Reagan
- Articolo con le dichiarazioni del Generale israeliano comparso su tabloid israeliano
- Articoli vari sulle dichiarazioni del Generale israeliano
- Former space security chief: Trump is aware of aliens
- Mankind has made contact with an alien 'Galactic Federation' but it has been kept secret because 'humanity isn't ready', former head of Israel's space security program claims
- Gli alieni esistono, c'è accordo con Usa e Trump sa tutto
- L’ex direttore dell’Agenzia spaziale israeliana: “Siamo in contatto con gli alieni. Trump è informato”
- Pagine che mettono in dubbio le affermazioni del Generale israeliano
Il bene non ha bisogno di combattere contro il male
Una celebre frase asserisce che: «Non sarai punito per la tua rabbia, sarai punito dalla tua rabbia».
Parimenti, ciascuno di noi non sarà punito per la menzogna, l'avidità, la collera, la stupidità o per qualsiasi altro abbrutimento morale e comportamentale, casomai punirà se stesso o se stessa con tali bassezze, fino a quando non sceglierà un'altra esistenza più virtuosa, fatta di pace, benessere, armonia. Chi è in pace con se stesso, non ha bisogno di dimostrare niente a nessuno, né di giustificare scelte che altri non capiranno.
Coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano e che umiliano sono ovunque. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno, dalla voglia di dare ordini o suggerimenti per sentirsi superiori, e dal loro ipocrita sadomasochismo alimentato dal gusto dell'infliggere sofferenza, li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza avere l'autorità, l'abilità o l'intelligenza, ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo o la povera donna qualunque.
Certo, il raffronto con quello che ho scritto e con quanto di orrendo è accaduto dal 2020 in poi, ovvero con la sostituzione dello stato di diritto con lo stato di imbecillità, sarebbe facile e immediato, ma... in realtà è così da sempre. L'unica differenza è che negli ultimi anni gli artigli del male si sono fatti molto più affilati e mortali. Tant'è che molti si augurano davvero una pace totale, anzi, tombale, come conseguenza dell'attuale guerra.
Però... un'altra e migliore possibilità c'è. La creatività della nostra anima, che non ubbidisce a regole, che è libera di essere se stessa e quindi anche di disobbedire quando lo ritiene giusto, è l'unica che può salvarci. Di contro, l’ubbidienza a regole, tanto cara a qualsiasi forma di potere, porta alla propria distruzione. In termini pratici, maggiore è l'asservimento dell'essere umano a un potere esterno e maggiore sarà la sua distruzione. Potere e amore sono l'uno l'opposto dell'altro.
Da questo punto di vista, il bene non è in guerra contro il male. Piuttosto, il bene è semplicemente se stesso. Il male, invece, è destinato ad autodistruggersi proprio in conseguenza di se stesso. Ne segue che la vittoria del bene sul male alla fine dei tempi, espressa da varie tradizioni, non è un auspicio, ma una certezza.
(16 maggio 2022)
Oltre la dualità
The antidote for war - L'antidoto per la guerra
The only antidote for war is not to justify it. This never means, under any circumstances, pursuing armed "self-defense." This might sound like cowardice, and indeed, when our conscience genuflects to the conscience of others, it is. Instead, it is called "dignified non-violence" when we are willing to give up our container, that is, our body, to not give up our conscience. It also means putting ourselves in the shoes of those who suffer war: the damages are so many and so long-lasting that no "self-defense" can ever justify them.
L'unico antidoto per la guerra è non giustificarla. Questo significa non perseguire mai, in nessuna circostanza, una "legittima difesa" armata. Potrebbe sembrare vigliaccheria e in effetti, quando la nostra coscienza si genuflette alla coscienza altrui, lo è. Si chiama invece "dignitosa non-violenza" quando siamo disposti a rinunciare al nostro contenitore, cioè al nostro corpo, pur di non rinunciare alla nostra coscienza. Significa anche mettersi nei panni di chi subisce la guerra: i danni sono così tanti e duraturi che nessuna "legittima difesa" potrà mai giustificarli.
(May 22, 2022, go to my art gallery)
C’è un limite oltre il quale la sopportazione cessa di essere virtù
tratto dal "Trattato di Anatomia Emozionale", dagli studi di Melanio Da Colìa
www.trattatodianatomiaemozionale.it/patologie/
È la malattia degli arcaici dell’inconscio, qualcosa di terribile da accettare. Crea una condizione di disgusto e ripugnanza per presa di coscienza di una verità immonda che sollecita corrosivamente il livello di sopportazione e tolleranza, tanto da far accapponare la pelle.
Il soggetto, ingerito l’anfibio, accusa un senso di ribrezzo e repulsione alchemica ed epidermica a causa della secernazione di bufotenina, molecola endogena allucinogena, derivato del DMT, presente nel fluido cerebrospinale dell’animale, aggredendo il cuore e il sistema nervoso del predatore: Noi. Dalla parte ventrale del rospo, invece, viene emesso un altro veleno, incolore, viscido, dall’odore pungente e dall’azione paralizzante, che produce un sottile strato schiumoso di rabbia colore biancastra.
L’ingollamento irreversibile e obbligatorio, il cosiddetto Boccone Amaro, provoca ansia, panico, distorsioni del colore, arrossamento della pelle, difficoltà respiratorie e lesioni al livello di sopportazione.
Alcuni studiosi templari ritengono che le unghie del Rospo, deglutite per ingollamento imposto per lunghi periodi, perseguono ruvidamente nelle viscere, soprattutto fegato ed intestino, l’azione di “cercare a fondo”, graffiando e raspando (“ruspus”, da cui il nome Rospo) fino alla lesione irreparabile dell’apparato digerente e degli stimoli vitali, compromettendo così le attività basilari quali sogno, poesia, libertà intellettuale, gioco.
Ecco alcuni rimedi:
Per la natura sintomatica della patologia, il rimedio più naturale e antico è Sputare il Rospo. Questa pratica “ammatte” dopo aver trattenuto nell’esofago molecole di bufotossine ristagnanti a causa di timore, scrupolo o pudore reverenziale. Liberati da questi tre elementi di contenimento, irrompe un conato verbale che spiattella considerazioni e detestazione con grande enfasi ed eccessi, provocando l’espulsione del rospo in maniera coatta e liberando la gola e le vie respiratorie. Questo rimedio può portare a contrasti, liti o scontri in generale, anche irreversibili.
Secondo gli studi mitologici della dott.ssa Ecate, figura psicopompa figlia dell’emerito Dr. Zeus, dea esperta di magia e specialista in demoni malvagi, il Rospo è l’aspetto infero della rana, dove le valenze acquatiche e lunari cedono il passo alla palude melmosa delle streghe. Per debellarli prescrive riti espiatori, divinizzati con sortilegi, pozioni, azioni e contraddizioni psicomagiche, che esorcizzano i batteri e i demoni del Rospo.
In epoca recente, con la riscoperta degli psichedelici in medicina, è stato rivalutato il potenziale terapeutico del DMT, in particolare nella forma ludica psichedelica omeopatica, nota come Ayahuasca, contro la depressione da indigestione da Rospo.
Assimilando le bufotossine per via ludica, si impermea una corteccia temporale di strafottenza resistente al deglutimento imposto, alterando la valvola percettiva dell’individuo con conseguente rialzo dei valori del tasso di sopportazione e il riequilibrio dell’asse di tolleranza.
Religione e Scienza vs Coscienza
[go to English version]
Da una parte abbiamo religione e scienza, che all’incirca si equivalgono, e dall’altra la coscienza.
Religione e scienza ubbidiscono alle stesse leggi. A livello organizzativo e di logiche di potere, sono guidate dai soldi. A livello individuale, offrono una risposta al bisogno di credere a qualcosa più grande di sé e che abbia maggior valore della propria vita. Religione e scienza sono come grandi fiumi, ciascuno con il proprio percorso, caratteristiche, e rivoli vari, che alla fine giungono tutti nel grande mare dell’ubbidienza a qualcosa di esterno a sé. Tutto ciò, ovviamente, vale solo per i veri credenti. Gli altri praticanti si limitano a traghettare questi fiumi per ciò che al loro ego separativo fa comodo.
Poi c’è la coscienza, che per sua natura è allergica a qualsiasi tipo di proselitismo religioso, scientifico, politico o di altro genere. E’ refrattaria alle fiamme di chi vive per il bene altrui. Dal punto di vista della coscienza, chi fa le cose per aiutare gli altri e per salvare il mondo di solito fa solo danni. Queste persone pronte ad immolarsi per una causa, in fondo in fondo, vorrebbero che gli altri fossero guidati dallo stesso pensiero, uguale per tutti. Anche quando il proselitismo riguarda ciò su cui la coscienza è d’accordo, lei se ne sta lontana. La coscienza, infatti, ubbidisce solo a se stessa e non ha bisogno di giustificarsi, né di cercare il plauso. Fa il suo percorso, che è proprio il suo. Non segue la corrente di un fiume, qualunque esso sia.
(31 luglio 2022)
Religion and Science vs Consciousness
[vai alla versione italiana]
On one side, we have religion and science, which are roughly equivalent, and on the other, we have consciousness.
Religion and science obey the same laws. At the level of organization and power logic, money drives them. At the individual level, they offer an answer to the need to believe in something greater than oneself and more valuable than one's life. Religion and science are like great rivers, each with its own path, characteristics, and various creeks, all of which eventually arrive in the great sea of obedience to something external to oneself. All this, of course, applies only to true believers. Other practitioners merely ferry over these rivers for what suits their separative egos.
Then there is the consciousness, which by its very nature is allergic to any kind of proselytizing – religious, scientific, political, or otherwise. It is refractory to the flames of those who live for the good of others. From the consciousness standpoint, those who do things to help others and to save the world usually do only harm. Deep down, these people ready to immolate themselves for a cause would like others to be driven by the same, equal thinking. The consciousness stays away from proselytizing under all circumstances, even when it agrees with the ideas being advocated. In fact, the consciousness obeys only itself and does not need to justify itself or seek praise. It goes its path, its own path. It does not follow the current of a river, whatever it may be.
(July 31, 2022)
Quando tutto sembra perduto, è tempo d’aver fede... in cosa?
Questa potrebbe essere la sintesi di quanto sto per scrivere:
«Chi cerca adorazione, o è mediocre, o turlupinatore. Chi promette protezione in cambio d’asservimento, o è una nullità, o è stronzo dentro».
Mi rendo conto che sto usando e userò ancora parole sgradevoli, e che quanto segue potrebbe non piacerti. Ma se vorrai, capirai.
Mi sono accorto che più è debole l’autostima e maggiore lo smarrimento, più è dura la morsa delle necessità del faticoso vivere, più ti colpevolizzeranno per ciò che altri t’hanno imposto o millantato, più ti sentirai punito dall’ingiustizia divina... e maggiore sarà la quantità di figli di puttana pronti ad aiutarti (e a formattarti il pensiero come meglio credono).
Se invece non seguirai la coscienza altrui, ma la tua, se non cercherai d’asservirti ma resterai integro in ogni avversità, allora veramente pochi ti tenderanno una mano. E quei pochi, o pochissimi, mai s’atteggeranno come esseri superiori o da tali esseri inviati.
Chi davvero protegge amorevolmente, non si mette in mostra e presto dimentica ciò che di buono ha fatto, perché non ha crediti da riuscuotere. Fa quello che fa perché segue spontaneamente il suo cuore.
Tutti gli altri, invece, possono dedicarsi alla politica, alla religione o a insegnare agli altri cosa è meglio fare. Costoro ti diranno di sostituire l’intelletto, il cuore e il tuo buon senso con la fede. Già, ma fede in cosa?
Per loro va bene qualsiasi fede (in Cristo, negli angeli, nella scienza, negli esseri di luce o di buio, in Satana, in una religione nostrana o esotica, essoterica o esoterica, o in quello che vuoi tu), l’importante è che tale fede preveda la sostituzione del tuo pensiero o della tua anima con quelli di qualcun altro o delle tue azioni con quelle che qualcun altro vuole farti fare. Per questa ragione, il nostro pianeta ha una straordinaria sovrabbondanza di santoni, profeti, maestri, guru, medium, channeler, maghi, preti, VIP e leader carismastici vari.
Ce ne sono per tutti i gusti, ma il risultato finale non cambia, è sempre lo stesso: rinunciare alla propria coscienza, o perlomeno metterla da parte.
Da questo punto di vista, religione e politica sono uguali. Infatti, al politico non interessa per chi voti, ma soltanto che tu vada a votare (in modo da dare legittimità a un potere esterno che farà su di te ciò che vuole e al quale delle tue opinioni e necessità non gliene frega nulla).
(10 agosto 2022)
There are no things, only causes and conditions
(August 19, 2022, go to my art gallery)
Credo nella scienza perché...
... perché l’unica cosa che la scienza può dire è di non sapere.
(August 19, 2022, go to my art gallery)
Studiare serve a confermare la propria ignoranza?
Anni di studio “matto e disperatissimo”, di leopardiana memoria, dove possono portarci? Secondo me, sono possibili almeno due “punti di arrivo”, seppur temporanei.
Il primo, auspicabile, è quello di prendere consapevolezza della propria non-conoscenza e dell’impossibilità di conoscere, giacché la realtà è fatta di opposti compresenti che non possono coabitare serenamente nella propria mente, a meno di non scivolare nell’orwelliano bipensiero (nel peggiore dei casi) o d’abbracciare completamente la disorientante impostazione filosofica di Nagarjuna (nel migliore dei casi). Nagarjuna dimostrò il carattere erroneo di tutti i concetti che gli esseri umani considerano come veri. Se vogliamo comprendere la realtà con il ragionamento, infatti, inciampiamo in una contraddizione dopo l'altra, perché nessuna cosa ha una sua caratteristica inalterabile da poter offrire come sicura garanzia. Da questo punto di vista, il paradosso socratico di sapere di non sapere mi pare la posizione più equilibrata, sebbene non possa salvarci dal rischio della follia. Casomai, se abbiamo la fortuna di essere abbastanza introspettivi, può aiutarci ad essere più consapevoli della nostra inevitabile follia.
Il secondo punto di arrivo, al contrario, è quello di sapere di sapere. Questo ci aiuterà a strutturare il nostro ego, a provare a svolgere il nostro lavoro nel migliore dei modi, e a relazionarci con gli altri mostrando competenza. Potremo dare consigli e darci da fare per il bene di tutti o, estremizzando, per salvare il mondo (solitamente facendo quasi soltanto danni, sbandierati come opere di carità, di generosità o persino di filantropia). Impareremo che, per avere successo ed essere credibili, non dobbiamo mai mostrare incertezze. Come ci suggerisce la programmazione neurolinguistica, è sempre meglio inventare una risposta convincente piuttosto che tacere di fronte a domande su cui, in verità, avremmo poco o nulla da rispondere. In sintesi, questo punto di arrivo è quello di chi esibisce idee chiare su se stesso, sulla vita e sulle proprie competenze. Se poi tale esibizione di chiarezza sia reale o simulata, è un altro discorso.
Ad un primo sguardo, il primo e il secondo punto di arrivo sembrano agli antipodi. In realtà, sono lo stesso punto o, detto in altro modo, sono due punti sovrapposti. E, in quanto temporanei, sono due punti sovrapposti che si spostano continuamente, perché, in fondo in fondo, non c’è nessun punto di arrivo.
Ma allora, se anni di studio matto e disperatissimo non hanno alcun punto di arrivo, cosa possiamo dire di noi stessi? Cosa possiamo rispondere alla domanda “Chi sono io?”. Anzi, meglio ancora, alla domanda: “Io esisto?”. Forse questa, che potrebbe sembrare la domanda delle domande (che peraltro quasi nessuno si pone), è mal formulata, perché non ci sono né esistenza né non-esistenza. Di un oggetto, di un essere vivente, di noi stessi, di un qualsiasi ente concettualizzabile o persino nominabile ma non concettualizzabile (come nel caso di Dio) non si può dire né che “è così”, né che “è non così”; né che “è ambedue”; né che “non è ambedue”. Giacché tutto ciò che esiste o non esiste ha la caratteristica di esistere o di non esistere in base alle relazioni con qualcos’altro diverso da sé, tutte le cose sono prive di natura propria, per cui, a seconda del punto di vista, sono una cosa o un'altra. E soprattutto, panta rei, tutto scorre, in un flusso d’impermanenza che porta via tutto, anche la paura di vivere, la paura di morire, e la pretesa di capire... ma solo se sappiamo stare nel flusso, altrimenti sarà soltanto dolore.
(21 agosto 2022)
Silenzio atomico
Quando c'è un problema grosso che non riusciamo a risolvere, non rimane che il silenzio.
Ma non un silenzio passivo e rassegnato, bensì un silenzio accompagnato dalla coerenza con la propria coscienza e dal desiderio di proteggere la vita.
Dando tempo al tempo, l'aumento dell'entropia, cioè della consapevolezza, sistemerà le cose.
Non so quanto tempo servirà, ma dal punto di vista dell'eternità della vita non è quello il problema.
Quando suonano le campane a morto, in realtà nessuno è morto.
Quando un bambino è partorito, in realtà nessuno è nato.
E' come un folle attore geniale che, animato d'intelligente e disgraziata stupidità, esce o entra in scena con coraggiosa codardia: questo poveraccio già esisteva prima di mostrarsi e continuerà ad esistere anche dopo lo spettacolo.
Niente muore o nasce con noi, perché tutto già esiste.
L'amore per la vita e per la concordia non devono fare nient'altro che rimanere se stessi.
La volontà di sopraffazione e dominio, invece, finirà con il distruggersi con le sue stesse armi.
Ciò che è prezioso, o persino sacro, non ha bisogno di essere sbandierato ai quattro venti, perché la paura e l'invidia altrui si adopereranno alacremente per distruggerlo.
I gioielli della vita sono meglio riposti nella segretezza del nostro cuore.
(August 30, 2022, go to my art gallery)
Ci creiamo il mondo a nostra immagine e somiglianza...
... un mondo in cui ciò che sentiamo bello e piacevole rinforza ciò che già abbiamo capito o che fa parte della nostra natura. Al contempo, ciò che ci mette a disagio o ci fa soffrire evidenzia ciò che ancora non abbiamo capito. E’ un percorso personale di consapevolezza, in cui le emozioni ci aiutano.
Nel costruire il nostro mondo illusorio, ci prendiamo i pezzi di dualità di cui abbiamo bisogno per fare esperienze reali, e progredire.
Nel mentre, la Coscienza, cioè la Vita, sta facendo un buon lavoro. Non c’è nulla di cui dobbiamo aver paura, e nulla da giudicare. Le cose vanno bene come stanno andando.
(September 9, 2022, go to my art gallery)
Siamo nuvole del cielo della Coscienza, illuminate dal Sole della Vita
(September 12, 2022, go to my art gallery)
Le message du Général Christian Blanchon rendant hommage aux non-vaccinés
Après de nombreux mots de haine, lire des mots d'éloge me rend heureux. Cependant... je trouve la logique du "nous" d'un côté et du "eux" de l'autre dangereuse. Ce n'est pas une logique juste. Ceux qui veulent nous diviser raisonnent de cette façon.
J'ai des amis vaccinés et non vaccinés, et chacun d'entre eux, à sa manière, est un héros.
Nous essayons d'aimer tout le monde et de protéger la vie. C'est la chose la plus importante.
(14 septembre 2022)
source: medias-presse.info
Ils sont là, à vos côtés, ils semblent normaux, mais ce sont des super-héros.
Même si j’étais entièrement vacciné, j’admirerais les non-vaccinés pour avoir résisté à la plus grande pression que j’ai jamais vue, y compris de la part de conjoints, de parents, d’enfants, d’amis, de collègues et de médecins.
Les personnes qui ont été capables d’une telle personnalité, d’un tel courage et d’une telle capacité critique incarnent sans aucun doute le meilleur de l’humanité. *
On en retrouve partout, dans tous les âges, niveaux d’éducation, pays et opinions.
Ils sont d’un genre particulier ; ce sont les soldats que toute armée de lumière souhaite avoir dans ses rangs.
Ils sont les parents que tout enfant souhaite avoir et les enfants que tout parent rêve d’avoir.
Ce sont des êtres au-dessus de la moyenne de leurs sociétés, ils sont l’essence des peuples qui ont construit toutes les cultures et conquis les horizons.
Ils sont là, à vos côtés, ils semblent normaux, mais ce sont des super-héros.
Ils ont fait ce que les autres ne pouvaient pas faire, ils ont été l’arbre qui a résisté à l’ouragan des insultes, de la discrimination et de l’exclusion sociale.
Et ils l’ont fait parce qu’ils pensaient être seuls, et croyaient être seuls.
Exclus des tables de Noël de leurs familles, ils n’ont jamais rien vu d’aussi cruel. Ils ont perdu leur emploi, ils ont laissé leur carrière sombrer, ils n’avaient plus d’argent… mais ils s’en fichaient. Ils ont subi d’incommensurables discriminations, dénonciations, trahisons et humiliations… mais ils ont continué.
Jamais auparavant dans l’humanité il n’y a eu un tel « casting », nous savons maintenant qui sont les résistants sur la planète Terre.
Des femmes, des hommes, des vieux, des jeunes, des riches, des pauvres, de toutes races et de toutes religions, des non vaccinés, les élus de l’arche invisible, les seuls qui ont réussi à résister quand tout s’est effondré.
C’est vous, vous avez passé un test inimaginable que beaucoup des marines, commandos, bérets verts, astronautes et génies les plus coriaces n’ont pu surmonter.
Vous êtes fait de l’étoffe des plus grands qui aient jamais vécu, ces héros nés parmi les hommes ordinaires qui brillent dans l’obscurité.»
Christian Blanchon, général de l’armée française
Conosci te stesso?
Questi sono esemplari di homo sapiens, o qualcos'altro?
E tu sei uguale a loro o sei diverso?
Conosci te stesso?
Più importante della risposta, è la domanda. Forse, più che chiederci se conosciamo noi stessi, sarebbe appropriato interrogarci sulla fattibilità della conoscenza di sé. Quindi, da questo punto di vista, la domanda più appropriata sarebbe: “E’ possibile, per ciascuno di noi, conoscere se stesso?”.
Partendo dal presupposto che la realtà ultima del tutto, cioè la Coscienza, non è né conoscibile, né indagabile, né in alcun modo descrivibile con le parole, temo che la risposta sia semplicemente “no”. Nessuno può conoscere se stesso, se per conoscenza intendiamo qualcosa di statico e ontologicamente fondato su una realtà che prescinda dagli umori e dalle interpretazioni del momento.
Ad ogni modo, un semplice “no” è fin troppo elusivo di una delle principali domande esistenziali che comunque pretende una risposta un po' più argomentata, quantomeno per dare un senso alle nostre attività quotidiane. Anche nel caso infatti che si voglia glissare su qualsiasi domanda di ordine filosofico e morale, riconducendo la propria esistenza a un mero sopravvivere o, al più, al ripetere le consuetudini sociali, un’idea di noi stessi siamo costretti a farcela.
E quest’idea, di solito, non è mai né scontata né banale.
Ad esempio, siamo sicuri di appartenere a una specie vivente di tipo animale, e nello specifico di essere membri della grande famiglia dell’homo sapiens? Se la risposta fosse sì, cosa significherebbe l’appartenere a tale specie? Che cosa distinguerebbe il fatto di essere umani dal non esserlo? E se invece la risposta fosse no, cos’altro saremmo?
La seconda ipotesi, cioè il fatto di non essere umani, può apparire peregrina, inconsistente o un mero esercizio intellettuale, ma tale non è. Consideriamo infatti alcuni esempi. Prahalad Jani, mistico indiano vissuto senza cibo né acqua dal 1940 al 2020, è stato un essere umano? Potrei porre la stessa domanda per i cosiddetti “respiriani”, ammettendone per implicito l’esistenza. Oppure, volendo fare un altro esempio estremo, cosa potremmo ipotizzare di Thái Ngọc, vietnamita tuttora vivo, che dal 1973 non ha più dormito neanche un'ora?
Questi sono casi estremi e rari, diranno alcuni. E, in effetti, così pare. Però, includendo nella nostra analisi anche le persone che dormono, mangiano, bevono e in generale fanno una vita socialmente normale, quante di queste si sentono figlie della terra e parte di questo mondo tanto quanto lo sono le piante e gli altri animali? Quante invece si sentono figlie del cielo e percepiscono che questo pianeta non è il loro posto, se non temporaneamente o, al peggio, per costrizione? Queste ultime sentono se stesse come pienamente umane? O sentono che la loro natura è un’altra? O addirittura hanno ricordi di altri mondi?
Cos'altro dire poi del recente fenomeno di chi considera se stesso un animale appartenente ad una specie diversa dall'homo sapiens? Mi riferisco a quella che, secondo la neocultura dell'interscambiabilità dei generi, si chiama "subcultura furries", adottata per lo più da bambini e adolescenti. Sia dall'Australia che dagli Stati Uniti, infatti, ci sono sempre più segnalazioni di studenti di scuole primarie e secondarie che da un giorno all'altro hanno iniziato a camminare a quattro zampe, hanno smesso di parlare e hanno iniziato ad esprimersi come gatti, conigli, cani, rettili e quant'altro. All'inizio del 2022, nel Michigan (Stati Uniti), una scuola è stata persino accusata di aver messo a disposizione una lettiera per i bambini che si identificano come gatti (fonte).
E’ quindi evidente che il considerare se stessi come “umani” non è così scontato. E, ammesso anche di riconoscersi in tale categoria, il confine tra ciò che è umano e ciò che non lo è appare molto sfumato e, talvolta, indecidibile. Non è chiaro in quale rapporto sia la categoria dell’umano con altre categorie che, per definizione, non sono umane. Non mi sto riferendo solo agli alberi, al cielo, al mare o ai gatti, ma anche agli alieni (UFO, UAP, o extraterrestri), agli angeli o lux o altri esseri incorporei, compresi i fantasmi, gli spiriti dei defunti, ecc. Come si rapporta l’umano rispetto al diavolo o al divino, o a categorie ibride tra umano e non-umano, come maghi, streghe, medium e fattucchiere varie? Forse tra le categorie ibride rientrano anche esemplari di cui non è facile decidere se sono umani o non, come Draghi e tanti altri esponenti della finanza predatoria.
Ma andiamo avanti, e ammettiamo pure d’avere un’idea soggettiva e temporaneamente soddisfacente di cosa significhi essere umani. Questo è solo il primo passo. Il secondo passo è il genere. Una volta gli umani potevano essere o maschi o femmine. Senza allargarmi su questo tema, voglio ricordare che quest'estate sono entrato nei bagni pubblici vicino a una spiaggia. C'erano tre porte: una per i maschi, una per le femmine, e una per chi non sa quale delle altre due porte scegliere (giusto per essere in tema sulla problematica del sapere chi siamo). Ma andiamo oltre...
Sulla strada della conoscenza di sé, che a ragion veduta assomiglia sempre di più a un percorso tortuoso, ramificato e pericoloso su disagevoli vie di montagna, ci sono molti altri impedimenti e implicazioni. Tra questi, interrogarsi su se stessi significa anche domandarsi cosa siano la vita, la morte e il mondo in cui viviamo. E qui le cose si complicano terribilmente, soprattutto se prendiamo come verosimile la natura olografica e frattalica del nostro universo, in cui il tempo e lo spazio sono non-locali o, detto diversamente per esser più chiari, non esistono se non come finzione. I fisici quantistici mi scuseranno per l’estrema semplificazione, non potendo far di meglio in questa circostanza.
Dove possono portarci tutte queste riflessioni? Lontano dall’esperienza quotidiana o a un possibile cambiamento radicale di essa? Io propendo per la seconda. Se la maggior parte delle persone considerasse infatti la nascita e la morte come un'illusione, giacché in questo universo non nasce e non muore nessuno, allora non ci sarebbero state né la dichiarata ma inesistente pandemia, né i morti causati dall’aver dato credito al potere dominante (rendendo quindi vera, con i nostri pensieri e comportamenti, la pandemia nelle sue conseguenze ma non nelle sue premesse), né i lockdown, né le mascherine, né i vaccini, né il green pass, né Draghi. Non saremmo neanche arrivati al punto di distruggere l’ecosistema, cioè la nostra e l’altrui casa, perché la consapevolezza di chi siamo ci avrebbe indirizzati altrove.
Ed eccoci arrivati al paradosso. Non possiamo sapere chi o cosa siamo (questa è la mia premessa), ma per vivere bene e rendere il mondo un posto più vivibile dobbiamo essere ben consapevoli di chi e cosa siamo (questa è la mia conclusione).
Stando così le cose, ci conviene abbandonare ogni altra speculazione e stare, soprattutto, nell’esperienza quotidiana con gli altri. Non è possibile infatti conoscere se stessi senza prima conoscere l’altro diverso da sé, e non è possibile conoscere l’altro diverso da sé senza prima conoscere se stessi. Archetipicamente, la verità su di sé è mostrata dallo specchio. Le altre persone e le varie situazioni piacevoli e spiacevoli della vita sono il nostro specchio.
Di contro, però, i social network sono strumenti asociali di alienazione dalla conoscenza di sé e degli altri. L’affidamento alla tecnologia e all’intelligenza artificiale sono infatti sintomo di una scarsa e inadeguata conoscenza di sé. In poche parole, maggiore è la fiducia nella tecnologia, e minore è la fiducia in se stessi, e viceversa.
Comunque, al di là della disumanizzazione dei social, progettati e costruiti appositamente per tirar fuori il peggio di noi stessi, perché mai il mondo dovrebbe farci da specchio? E’ esperienza comune, infatti, quella di sentirci ingabbiati in situazioni ingiuste e punitive di cui non ci sentiamo parte.
Una possibile risposta è che noi siamo coscienze, o meglio, parti dell'unica Coscienza universale, che entrano ed escono da corpi materiali per fare esperienza e acquisire consapevolezza. Da questo punto di vista, il male non viene mai per nuocere, ma è uno strumento per progredire nel percorso di consapevolezza. Noi creiamo il mondo a nostra immagine e somiglianza, esternalizzando quello che ancora non abbiamo capito. Quando finalmente, come Coscienza universale, avremo capito tutto, non avremo più bisogno di farci guerre, né di vivere di egoismi, narcisismi e cattiverie varie.
(18 settembre 2022)
sullo stesso argomento: "Conosci te stesso?", di Giulio Ripa
Creazioni illusorie e realtà viste allo specchio
Creazione illusoria
Vaccinarsi è un atto d'amore.
(papa Francesco, fonte)
Realtà vista allo specchio
I bambini non vaccinati sono indubbiamente e globalmente più sani.
(lettera firmata da 153 medici italiani, fonte)
Creazione illusoria
Inviare armi e usarle per uccidere può essere un atto d'amore.
(parafrasi e sintesi di papa Francesco, fonte)
Realtà vista allo specchio
Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica.
(Gesù, Luca 6,27-31, fonte)
Creazione illusoria
In questa guerra, ci sono un solo aggredito e un solo aggressore.
(parafrasi e sintesi di Mario Draghi, fonte)
Realtà vista allo specchio
Negli ultimi otto anni abbiamo addestrato l’Ucraina per la guerra contro la Russia.
(John Kirby, portavoce del Pentagono, fonte)
Creazione illusoria
Il mondo ha oggi 6,8 miliardi di abitanti. Ci dirigiamo verso i 9 miliardi. Se facciamo un buon lavoro con i nuovi vaccini, la sanità, la salute riproduttiva, possiamo diminuirla forse del 10-15%
(parole esatte di Bill Gates, fonte 1 e fonte 2, anche se, con una guerra nucleare, si farebbe molto prima, n.d.t.).
A proposito, il tasso di fertilità mondiale è sceso di quasi il 60% (fonte), e sono almeno cinquant'anni che la ricerca e sviluppo dei vaccini è finalizzata alla sterilizzazione o all'aborto (documentario)
Realtà vista allo specchio
Alimentazione vegana ed equilibrata, stile di vita sano, pensiero consapevole e positivo, relazioni forti e sincere... questi sono il miglior vaccino contro il male di vivere e la paura di morire.
(mia Coscienza, poesia)
(September 20, 2022, go to my art gallery)
Verso un uomo e una donna nuovi
La determinazione, la forza e il coraggio vincono ogni paura, ogni incubo!
video tratto da: https://100giornidaleoni.it/tv/lillusione-di-questa-era-con-pier-giorgio-caria/
Per ogni difetto, c'è anche un talento, quindi...
... se riesci a scoprire almeno un tuo difetto, sicuramente hai almeno un talento!
(September 25, 2022, go to my art gallery)
Non ammettiamo una sola ipotesi, una sola teoria, una sola spiegazione, una sola verità
Tra le tante informazioni che ci arrivano, e tra i tanti pensieri che ci frullano per la testa, a volte potremmo aver bisogno di fare una selezione, distinguendo ciò che è verosimile da ciò che quasi certamente è una menzogna. O meglio, questa operazione di scrematura già la facciamo automaticamente, di solito tramite euristiche, reazioni emotive o adesioni fideistiche. Il risultato finale, però, spesso è scadente o addirittura controproducente, pari a quello di chi volesse potabilizzare l’acqua del fiume dei propri pensieri non tramite clorazione, ma aggiungendo sale o urina.
Serve un metodo affidabile. Ne propongo almeno due.
Il primo metodo è la verifica tramite l’esperienza e lo studio personali, ovvero il mettere a contatto una certa idea con la cangianza della realtà vissuta e studiata. Alcune pietre preziose assumono colori diversi sotto tipi di luce differenti. Allo stesso modo, la realtà non è mai univoca, ma ha caratteristiche compresenti, e spesso opposte, anche se in un certo momento solo un aspetto è visibile, mentre gli altri rimangono latenti. In questo modo, maggiori saranno le esperienze di vita e di studio in contesti diversi, e maggiore sarà la propria abilità nel non dare troppo credito alle proprie idee. Di contro, più ristretto e sempre uguale a se stesso sarà il proprio contesto di vita, e maggiore sarà la propria ottusità.
Il secondo metodo è il rigettare a priori qualsiasi chiave interpretativa della realtà che si presenti come l’unica ammissibile, giacché è menzognera nel fatto stesso di negare ciò che le è antitetico. Ne segue che non potremmo mai ammettere, per un qualsiasi ente di indagine, una sola ipotesi, una sola teoria, una sola spiegazione, o una sola verità. Tale radicalizzazione è sicuramente incompatibile con qualsiasi credo o verità comunemente accettata, eppure è ontologicamente fondata sul principio di contraddizione, di interdipendenza e di compresenza degli opposti, già abbondantemente discusso in questo blog nel corso degli ultimi due anni.
Per chi non avesse familiarità con il suddetto principio, ripeto brevemente quanto ho già scritto in precedenza, ovvero: ogni cosa esiste perché esiste il suo opposto ed è in relazione con esso, inoltre ciò che è vero è al contempo anche falso, in quanto verità e falsità non sono mai caratteristiche stabili e indipendenti. Non esiste infatti qualcosa che non sia identificato e identificabile dalle relazioni con ciò che è diverso da sé (nulla esiste di per sé), secondariamente la verità o falsità di un concetto sono in relazione al sistema di riferimento.
Detto ciò, propongo un’idea da setacciare con i due metodi proposti: “La Terra è piatta”. Per quanto ho appena scritto, applicando i miei metodi di indagine, dovrei arrivare a concludere che l’affermazione è sia vera sia falsa, in base al sistema di riferimento. Proviamo...
Il primo metodo, quello legato all’esperienza e allo studio personale, può o non può essere di aiuto in base alle circostanze di vita. Una persona che abbia trascorso tutto il suo tempo dentro una caverna (nello specifico, nella sua personale caverna di Platone, piena di pregiudizi, preconcetti e verità assolute), forse, potrebbe non avere sufficienti strumenti analitici per valutare la forma del pianeta. Comunque, per la maggioranza di noi, gli elementi di verifica non dovrebbero mancare. Ne propongo tre:
1. La forma e la durata delle rotte aeree
Le rotte su lunghe distanze sono tutte ortodromiche, cioè archi di cerchio, e tutti gli aerei (di linea) attualmente in volo sul pianeta, tutti i loro diari di bordo, le loro velocità in tempo reale, nonché le rotte presenti e passate, sono mostrate su FlightAware.
Su tale sito, ho controllato la rotta da New Delhi (India) a San Francisco (California), che è inequivocabilmente un semicerchio. Ciò ha senso soltanto se la superficie del pianeta è sferica.
Inoltre, se la Terra avesse una disposizione delle terre emerse diversa da quella del mappamondo sferico, le distanze in linea d’aria tra città remote sarebbero radicalmente diverse da quelle attuali, e quindi anche i tempi di viaggio aereo sarebbero radicalmente differenti.
2. I tramonti
Ho visto e fotografato tramonti di surreale bellezza, nei quali, sempre e comunque, il Sole scompare sotto la linea dell’orizzonte e, quando non è più visibile, le nuvole continuano ad essere illuminate dal basso e da luce diretta (e non da luce riflessa, altrimenti sarebbe illuminato anche il suolo).
Secondo me, ciò esclude la possibilità che la Terra sia piatta, perché se lo fosse le nuvole (che sono a pochi km dal suolo) sarebbero completamente in ombra dopo il tramonto. Infatti, una sorgente luminosa al di sotto della superficie piatta della Terra e lontana 150 milioni di km (distanza media Terra-Sole) non potrebbe in nessun caso colpirle.
3. Localizzazione GPS
Ogni dispositivo di localizzazione GPS, per trovare la propria posizione all’interno di uno spazio-tempo a quattro dimensioni (tre per lo spazio e una per il tempo), triangola i segnali di almeno quattro satelliti GPS (a 20000 km d’altezza), i quali inviano verso Terra la loro posizione nello spazio e nel tempo (il quale, per effetto della relatività, è diverso dal tempo terrestre).
Quindi, poiché esiste il GPS, esistono i satelliti artificiali, che sono soggetti ad un equilibrio tra forza di gravità terrestre e forza centrifuga, equilibrio determinante un moto circolare. Ne segue che la Terra deve essere sferica, altrimenti, se fosse piatta, il moto costante dei satelliti, temporalmente e spazialmente perfetto, non sarebbe possibile con nessun sistema né naturale né artificiale.
Altre dimostrazioni analitiche potrebbero riguardare: l’osservazione dall’equatore del moto apparente del Sole negli equinozi, corrispondente a un semicerchio, cioè a un arco di 180 gradi; le eclissi di Luna, che si verificano quando la Terra si trova tra il Sole e la Luna; la forma e la posizione del riflesso della Luna o del Sole sulla superficie del mare in base all’osservatore; la gravità (che richiede la massa sferica della Terra per esistere); e altre osservazioni che, tramite ragionamento induttivo, hanno portato tutti i popoli di tutte le epoche a ritenere che la Terra sia sferica.
Il discorso sulla forma della Terra, però, non è concluso qui. Il metodo che sto seguendo parte dall’assunto che la realtà non sia mai univoca, ma che anzi abbia caratteristiche compresenti, e spesso opposte. Ho asserito di rigettare a priori qualsiasi chiave interpretativa della realtà che si presenti come l’unica ammissibile.
Quindi, guardiamo lo stesso problema da altri punti di vista, per il momento rimanendo nell’ambito della Fisica. David Bohm, celebre fisico dell’Università di Londra, sosteneva che le scoperte di Alain Aspect implicassero la non-esistenza della realtà oggettiva. Se l’universo è un ologramma, come asserisce Bohm, che senso ha parlare della “forma” di qualcosa? La Terra ci appare sferica perché il nostro modo di creare e dare senso alla realtà è coerente in tutto e per tutto con la Terra sferica, ma questo ci dice qualcosa sul nostro modo di rappresentarci la realtà, e non della realtà in quanto tale. Non ci dice neanche che esista “la realtà”. Ad esempio, non sono sicuro che un gatto o una scimmia pensino che la Terra sia sferica, magari loro se la rappresentano (o meglio, se la creano) in un altro modo, tanto valido quanto il nostro.
Provo ad essere più chiaro. Le osservazioni empiriche su come il mondo ci appare ci dicono qualcosa sulle regole interne della Matrix, o del sogno, che noi abbiamo creato o che altri hanno creato per noi, e nulla di più. E’ come essere all’interno di un videogioco: scoprire tutte le regole interne al videogioco in cui siamo inseriti non ci dice nulla su ciò che è al di fuori di esso. E’ come se Super Mario, Sonic, Pac Man, Lara Croft e altri studiassero in dettaglio le leggi fisiche del loro mondo: se anche ci riuscissero, se anche fossero al pari di grandi scienziati, non saprebbero nulla della realtà umana. O meglio, di essa saprebbero una cosa sola, cioè che loro, tutti quanti, facevano parte dei sogni e dei giochi dei bambini e degli adolescenti di due generazioni fa, oggi diventati adulti, e nulla di più.
Cosa hanno detto Jung e altri studiosi della mente umana? Wilfred Bion, in accordo con Jung, ha sostenuto che ciascuno di noi sogna costantemente, perciò anche durante la veglia, benché non possa accorgersene. Jung sosteneva anche che i sogni della notte siano più reali della realtà. Antichi maestri sostenevano altrettanto.
Riprendendo la metafora dei videogiochi, una domanda sorge spontanea: sono io che sto sognando o è qualcun altro che sta sognando me? C’è un dio, o ci sono vari dèi, che stanno dormendo e sognando me ed altri? Sono la creazione illusoria del sogno di qualcun altro?
Se di notte mi sogno che la Terra è piatta, all’interno di quel sogno le cose stanno esattamente e correttamente in quel modo. Parimenti, se da sveglio sogno che la Terra è rotonda, allora nel sogno da sveglio le cose stanno proprio in questo modo.
Per un anno o due ho usato saltuariamente Second Life, che forse pochi ricordano. Mi trovavo in un mondo virtuale tridimensionale, con altre persone. Precisamente, era un’isola molto ben dettagliata, curata nei minimi dettagli sia estetici sia funzionali, con vari luoghi di incontro, sale conferenze, vegetazione, animali, abitazioni, c’era persino una piccola fattoria. La cura dei dettagli nel creare un ambiente sia fantastico sia realistico allo stesso tempo era impressionante. Lì partecipavamo a lezioni di Uninettuno, lezioni reali che facevano parte di un corso di laurea reale. In quel contesto, la Terra era piatta, perché c’era solo l’isola con un po’ di mare intorno, forse un mare infinito e vuoto, e nient’altro.
Torniamo ora al problema di determinare la forma del pianeta Terra e, con coraggio, allarghiamo la visuale: di che forma è l’universo?
Gli istanti immediatamente successivi al Big Bang, con l’immensa e successiva espansione dello spazio, potrebbero far ipotizzare un universo piatto e infinito, in espansione? Forse non è così, ma se invece lo fosse, allora anche la Terra sarebbe piatta, perché tutto l’universo lo sarebbe. Alcuni fisici, come David Schlegel, sostengono proprio questo, cioè che l’universo è piatto (fonte). Altri dicono di aver scoperto esattamente il contrario (fonte). Comunque, se l’universo è non-locale come afferma la fisica quantistica (fonte), cioè se lo spazio e il tempo non esistono, sarebbe prima da chiarire di che cosa stiamo parlando. Ci rendiamo conto che cambiando il modello di riferimento cambia anche la forma della Terra, o addirittura che il concetto stesso di forma perde significato?
Appunto, tutto è relativo al modello di riferimento. Quindi, l’affermazione “la Terra è piatta” è sicuramente falsa se significa che “la Terra è sempre e soltanto piatta”. E’ invece vera se intendiamo dire che, in base al modello di riferimento, “la Terra può anche essere piatta” (e non ci sarebbe nulla di male).
Le argomentazioni dei cosiddetti “terrapiattisti”, comunque, neanche si avvicinano alle cose che qui ho scritto. Sia ben chiaro che usato la Terra piatta solo come pretesto non banale per sgretolare le comuni modalità di ragionamento e di asserzione di verità. La stessa tecnica è applicabile a qualsiasi altra idea a propria scelta, di cui si voglia dimostrare sia la veridicità sia la falsità.
Comunque, questa destrutturazione della realtà e delle proprie idee non serve per diventare psichicamente instabili, giacché, senza sufficiente consapevolezza e maturità, un po’ di rischio ci sarebbe. Piuttosto, serve per imparare a relazionarci con gli altri esseri umani e anche con noi stessi. Partire dal presupposto di “non sapere”, nel senso che la realtà non è né conoscibile né oggettivabile (in quanto sempre co-creata da chi la osserva), ma solo interpretabile in base a un modello di riferimento, più o meno arbitrario, più o meno congenito alla nostra specie, ci aiuta ad evitare le guerre “inutili”, cioè tutte.
(16 ottobre 2022)
Conosci te stesso? (di Giulio Ripa)
Nella Grecia antica “Conosci te stesso” è un motto iscritto nel tempio di Apollo a Delfi.
E' una esortazione a conoscere i propri limiti per conseguire il pieno sviluppo della personalità. “Conosci te stesso” è la presa di coscienza del soggetto di se stesso come persona.
Conoscere se stesso dovrebbe essere una cosa facile, invece risulta difficile da farsi. Guardarsi dentro è più complicato di quello che sembra. Normalmente le persone preferiscono riflettere su altro, non su se stessi, non hanno coscienza della propria coscienza. Non hanno autocoscienza.
La debolezza umana con tutte le sue miserie è il risultato di un’assurda condizione esistenziale che l’uomo fa fatica ad accettare per vivere in modo consapevole e cosciente. Le inevitabili fragilità della vita stessa provocano illusioni o autoinganno che inconsciamente servono ad ognuno di noi per reagire alla difficoltà di vivere. Difficilmente siamo disposti a fare autocritica, a dire la verità su noi stessi. L’uomo è incapace di percepire, ascoltare, assorbire e vivere il mistero dell’esistenza e l'incertezza della vita. La complessità del mondo tradisce le aspettative di qualsiasi logica.
Così nell'affrontare la difficoltà di vivere l'individuo inconsciamente esprime comportamenti irrazionali (come fobie, paranoie, fissazioni, manie, dipendenze patologiche) che sono parti costituenti dei tratti di una persona.
Abituati ad identificare la nostra mente con il nostro pensiero, "io sono i miei pensieri", il nostro Io (egoico-bellico) è separato dal resto del mondo. La persona manifesta così una forma di egoismo profondo di cui non è di solito consapevole, una evidente concentrazione su se stesso negli scambi interpersonali ed una incapacità di vedere il mondo dal punto di vista degli altri.
Le informazioni, che potrebbero generare deduzioni contrarie, vengono ignorate dall’Io egoico, con la funzione di preservare l'autostima, limitando così l’accesso alla consapevolezza degli aspetti personali negativi conservati nella memoria. In questo senso le persone tendono ad attribuirsi il merito dei successi e a declinare le responsabilità dei fallimenti.
L'agire umano dipende da una irrazionalità insita nell'uomo che affiora ogni volta che la ragione cede il passo a tutta una serie di comportamenti che non sono il frutto di una logica ma di emozioni, istinti, sentimenti giustificati a posteriori con argomenti che si sforzano di essere razionali nel tentativo di dare a noi stessi un ordine che non esiste.
C'è ipocrisia nelle persone che vogliono credere di fare un ragionamento razionale, mentre invece il ragionamento è solo un modo per giustificare o mascherare il proprio comportamento irrazionale. Gli individui pensano in un modo, parlano in un altro modo, agiscono in un altro modo ancora.
L'uomo sceglie sempre la strada più facile (illusione ed autoinganno) per risollevarsi dalla sua condizione esistenziale, per questo è fondamentale riconoscerne i suoi limiti naturali.
La nostra coscienza molto legata a una immagine positiva di noi stessi, fa fatica a registrare cambiamenti problematici. Nella profondità della vita delle persone coperta dal velo delle illusioni, nell'ombra, c'è una parte di noi oscura, somma di quelle caratteristiche personali riprovevoli che l’individuo desidera rimuovere o nascondere agli altri e a se stesso.
Per un altro naturale meccanismo di difesa, le persone inconsciamente, poiché mancanti di auto-consapevolezza, tendono a proiettare fuori le proprie caratteristiche personali più profonde attribuendo ad altre persone i propri impulsi, desideri o pensieri, invece di esercitare una efficace introspezione di sé stessi per riconoscere gli elementi più negativi della propria personalità.
Sono le cose in cui crediamo che creano la nostra realtà. Per cui non è la ragione ma la vita vissuta a modificare nel tempo lo stato d’animo delle persone.
Solo mettendo a nudo i limiti della natura umana è possibile conoscere meglio se stessi.
Accettare la sostanziale incertezza del nostro sapere vuol dire indagare la meraviglia del mondo reale e rilevarne i suoi aspetti misteriosi, imparando a convivere con i nostri limiti.
Gandhi sostiene, per evitare l'autoinganno, che “Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo”. Per trasformare il pensiero in azione, bisogna uscire dall'idea dell'individuo che sperimenta sé stesso, i suoi pensieri e i suoi sentimenti scissi dal resto del mondo, accettando il concetto di interdipendenza tra le parti, dove tutte le cose sono mutevoli e collegate tra di loro, un tutto in uno. Mettere in discussione il proprio Io egoico-bellico, libera l'uomo da una individualità separata da tutto il resto, riscoprendo la propria natura universale.
L'individuo si illumina quando riesce a vedere quella parte di se stesso che ignorava, cioè nascosta nel buio, nell'ombra della sua coscienza. Diceva Pasolini che “L’unico colore dell'uomo è nella gioia di affrontare la propria oscurità".
L'autocoscienza è lo spirito critico, libero da condizionamenti psichici, che eliminando gli automatismi del pensiero, modifica lo stato di coscienza necessario per vedere la realtà così come è nel momento presente. L'autocoscienza provoca un cambiamento nella psiche, mettendo in crisi i luoghi dell’interiorità, come quella falsa immagine di sé, ossessionata dalla identità e dalla sua frammentazione. Il soggetto con un esame di coscienza, riflettendo su se stesso, non si identifica più nella percezione che la sua mente ha di sé, evita di avere pregiudizi, concetti a priori, bias di conferma, idee preordinate, schemi ed automatismi mentali, pensieri precostituiti.
Con la pratica meditativa, una volta svanita l’identificazione tra la mente e quel centro di appropriazione del pensiero che è l'Io egoico, il soggetto distaccatosi da questo stato di coscienza trasforma il proprio Io in un Io relazionale che si sente come tutt’uno con il mondo.
Ognuno pensa se stesso come una goccia d'acqua. Si rifiuta di unirsi come acqua nell'oceano dell'immensità. Perdersi in questo oceano provoca dispiacere se si resta goccia. Ma la possibilità di prendere coscienza del sé, può evitare quella tensione superficiale (desiderio individuale) di restare goccia, scoprendosi acqua della goccia in mezzo all'acqua dell'oceano.
(Giulio Ripa, 18 ottobre 2022)
sullo stesso argomento: "Conosci te stesso?", di Francesco Galgani
Quando si è dotati della moralità, la mente diviene calma spontaneamente
La Terza Guerra Mondiale è praticamente già iniziata, seppur in modo così subdolo e menzognero che è difficile stabilire con certezza quale sia stato il punto di inizio. Negli ultimi mesi, sono state falciate dalla violenza dell'Io egoico-bellico centinaia di migliaia di vite, che presto potrebbero diventare milioni. Molti di noi, giustamente, cercano la pace.
Qui propongo una possibile "creazione di pace" ispirandomi ad alcuni versi del maestro buddista Nagarjuna (circa 150-250 EC, India), tratti dalla sua opera "Lettera ad un amico" (versi che nel resto dell'articolo indico in grassetto):
«Devi praticare una moralità intatta, corretta e non degenerata,
Essa deve anche essere pura, incontaminata ed incorrotta;
La moralità è stata dichiarata il fondamento di ogni virtù,
Proprio come la terra lo è per ogni cosa animata ed inanimata.»
In questi versi, Nagarjuna indica che la pratica morale di ciascuno di noi dovrebbe essere dotata di alcune qualità (intatta, corretta, non degenerata, pura, incontaminata, incorrotta) allo scopo di non rimanere corrotti dalla condotta immorale, vale a dire dalle afflizioni mentali, che sono:
- togliere la vita → uccidere;
- prendere ciò che non è dato → rubare;
- scorretta condotta sessuale → qui Nagarjuna fa riferimento a norme precise, ad es., nel caso di un uomo, al fatto di non desiderare la moglie di un altro (dà persino alcune indicazioni pratiche per spegnere tale desiderio nel caso in cui sorga, paragonandolo a un groviglio di serpenti); Nagarjuna dà anche alcuni consigli per scegliere una donna adatta per il matrimonio;
- dire menzogne → dire intenzionalmente il contrario di una cosa vista, udita, percepita o conosciuta;
- diffamazione → lo scopo è quello di provocare discordia tra due o più persone;
- parole aspre → sono parole generate da sentimenti ostili;
- parole vane → discutere stupidamente di argomenti privi di scopo;
- bramosia → il proposito di impossessarsi della ricchezza o proprietà altrui;
- malevolenza → intenzione di percuotere o in altro modo infliggere danno ad altri;
- visione errata → qui Nagarjuna fa riferimento a concetti propri del buddismo; comunque, per semplificare, si tratta dell'adesione a credenze che non reggono il contatto con la realtà.
Ci si potrebbe chiedere quale valore abbia il liberarsi da tutte queste afflizioni mentali. La risposta è che quando si è dotati della moralità, la mente diviene calma, pacifica e luminosa spontaneamente.
«Considera come nemici: l’avidità, l’astuzia, l’inganno e la disonestà;
Come pure, l’attaccamento, l’ozio, l’arroganza, la lussuria e l’odio,
Altresì l’orgoglio che deriva dall’appartenenza ad una ricca famiglia
Nonché dall’aspetto fisico, dalla cultura, dalla salute e dall’autorità»
Forse non potremmo impedire l'apocalisse individuale e collettiva in cui l'umanità è ormai entrata, ma almeno potremo evitare che essa ci distrugga interiormente. Anche perché la morte del corpo, cioè del contenitore, non distrugge ciò che esso contiene, cioè la coscienza.
«Non esiste austerità che sia uguale alla Pazienza –
Per questo motivo, o Re, non cedere mai alla rabbia.
Il Buddha stesso riconobbe che dal superamento dell’ira,
Si consegue lo Stadio di Colui che Non Ritorna!»
Eliminando la rabbia con la pratica della pazienza, si ottiene lo stato di non ritorno nel reame del desiderio. In questo caso, "pazienza" significa non adirarsi se si viene danneggiati e, seppure l’ira dovesse sorgere, non continuare a nutrirne né avere risentimento. La pazienza è di grande beneficio:
«Se pensiamo che una tale persona ci insultò e un’altra ci colpì,
Oppure una ci oppresse e un’altra trafugò le nostre ricchezze,
Un simile risentimento nella nostra mente genera conflitto;
Colui che lascia andare il risentimento, riposa tranquillo!»
Nella nostra epoca, le certezze apparenti del mondo ordinario sono destinate a sgretolarsi l'una dopo l'altra, senza che nessun'altra certezza le sostituisca. Si può vivere senza certezze? Penso di sì, anche se non è facile, a patto che ne rimanga una, rappresentata dal senso etico interiore che non dovrebbe mai venir meno, come una sorta di luce o faro interiore:
«Non compiere mai il male, nemmeno per amore di un Brahmano,
O per un Bhiksu, una divinità od un ospite, o per il padre e la madre,
Né per un figlio, per il Re o la Regina, o una persona del suo seguito.
Essi non ne condivideranno nemmeno in parte il risultato infernale.»
Questo è proprio il messaggio di Nagarjuna, che pur dimostrando con il suo disorientante tetralemma il carattere erroneo di tutti i concetti che gli esseri umani considerano come veri, demolendo ogni certezza, ha anche scritto questi versi in cui dà grande importanza alla moralità e al non compiere il male.
«Anche se il pagamento del cattivo karma compiuto
Non ti ferirà all’istante, alla maniera di una spada,
Il risultato delle azioni malvagie diventerà manifesto
Allorchè giungerà sicuro il momento della tua morte.»
Detto ciò, e tornando alla guerra, trovo suggestivo che proprio nella parte europea della Russia (a Elista, non lontano dalle zone del conflitto), ci sia la "Dimora d'oro di Buddha Shakyamuni", che è il più grande tempio buddista d'Europa. In questo tempio, che raffiguro nel quadretto seguente con l'auspicio di buona pace per tutti, c'è una statua del maestro Nagarjuna:
(October 19, 2022, go to my art gallery)
I torti e le ragioni da entrambe le parti sono sempre a somma zero
Abbiamo bisogno di fare esperienza per progredire di consapevolezza. Per questo elementare principio, ci creiamo (inconsapevolmente) i vissuti che non ci piacciono, allo scopo di capire quello che ancora non abbiamo capito.
Per questa ragione, il nemico, l'oppressore o la sfortuna sono in realtà amici cari.
Nel momento in cui capiamo ciò che fino a pochi istanti prima era per noi invisibile, le nostre guerre, su quel fronte prima oscuro, non hanno più motivo di esistere. L'altro non è più nostro nemico, ma un altro essere uguale a noi che sta facendo il suo percorso di consapevolezza, con i suoi tempi e le sue strade.
E' in quel momento che ci accorgiamo che i torti e le ragioni da entrambe le parti sono sempre a somma zero, perché espressione di una dualità di cui vedevamo solo una parte.
Quando osserviamo tutto l'insieme, deponiamo l'ascia di guerra, perché l'odio, il risentimento e altre afflizioni mentali se ne vanno.
Superata la dualità, ci accorgiamo che noi e gli altri siamo la stessa cosa, lo stesso "tutto".
Ciò vale per gli individui, per le comunità, per le nazioni, per tutti.
(October 23, 2022, go to my art gallery)
Nagarjuna, il secondo Budda, il maestro del metodo scettico, la Via di Mezzo
Articolo di Douglas Berger, Southern Illinois University, USA, pubblicato sull'Internet Encyclopedia of Philosophy
Questa è una mia traduzione temporanea non revisionata e non autorizzata, per ogni dubbio fate riferimento alla versione in inglese.
Nagarjuna (150 ca. - 250 ca.)
Spesso indicato come "il secondo Buddha" dalle tradizioni buddiste Mahayana (Grande Veicolo) tibetane e dell'Asia orientale, Nagarjuna ha proposto aspre critiche alla filosofia sostanzialista braminica e buddista, alla teoria della conoscenza e agli approcci alla pratica. La filosofia di Nagarjuna rappresenta una sorta di spartiacque non solo nella storia della filosofia indiana, ma nella storia della filosofia nel suo complesso, poiché mette in discussione alcuni presupposti filosofici a cui si ricorre facilmente nel tentativo di comprendere il mondo. Tra questi presupposti vi sono l'esistenza di sostanze stabili, il movimento lineare e unidirezionale della causalità, l'individualità atomica delle persone, la credenza in un'identità fissa o in un'autostima, e le rigide separazioni tra buona e cattiva condotta e tra vita benedetta e vita grama. Tutti questi presupposti sono messi in discussione dalla prospettiva unica di Nagarjuna, che si fonda sull'intuizione del vuoto (sunyata), un concetto che non significa "non esistenza" o "nichilismo" (abhava), ma piuttosto mancanza di esistenza autonoma (nihsvabhava). La negazione dell'autonomia secondo Nagarjuna non ci lascia un senso di privazione metafisica o esistenziale, una perdita della sperata indipendenza e libertà, ma ci offre invece un senso di liberazione attraverso la dimostrazione dell'interconnessione di tutte le cose, compresi gli esseri umani e il modo in cui la vita umana si svolge nel mondo naturale e sociale. Il concetto centrale di Nagarjuna della "vacuità (sunyata) di tutte le cose (dharma)", che indica la natura incessantemente mutevole e quindi mai fissa di tutti i fenomeni, è servito tanto come puntello terminologico del successivo pensiero filosofico buddista quanto come vessazione dei sistemi vedici contrapposti. Il concetto ebbe implicazioni fondamentali per i modelli filosofici indiani di causalità, per l'ontologia della sostanza, per l'epistemologia, per le concettualizzazioni del linguaggio, per l'etica e per le teorie della salvezza liberatrice del mondo, e si rivelò fondamentale anche per le filosofie buddiste dell'India, del Tibet, della Cina e del Giappone molto diverse da quella di Nagarjuna. Non sarebbe infatti esagerato affermare che l'innovativo concetto di vuoto di Nagarjuna, sebbene sia stato ermeneuticamente appropriato in molti modi diversi dai filosofi successivi sia nel Sud che nell'Est asiatico, avrebbe influenzato profondamente il carattere del pensiero buddista.
Indice dei contenuti
La magia della nebbia del primo mattino
Le nostre idee, le nostre certezze, la nostra etica, sono scudi, o meglio recinti, con cui ci proteggiamo dalla complessità del mondo, dalla sua incomprensibilità e dalle sue malvagità. Per certi aspetti, almeno in parte, è una protezione che funziona, ha il suo perché, salvo comunque l’inevitabile contatto, prima o poi, con una realtà ingestibile e fortemente dissonante con il proprio microcosmo di idee (fatta eccezione, forse, per chi si rinchiude in un remoto eremo lontano da tutto e da tutti, senza Internet, senza TV, né altri mezzi di contatto con la realtà “degli altri”).
A volte i nostri costrutti, le nostre linee guida auto-referenziali, sono molto semplici, del tipo: «Se sarò buono (o buona), andrà tutto bene». Arriviamo persino a istituzionalizzare il concetto stesso di bontà, come nel caso dei Dieci Comandamenti, o altre norme religiose o para-religiose indicateci da altri o inventate da noi stessi. Altre volte le nostre elaborazioni sono più complesse e con una visione più adulta, ma non per questo più valide.
Tutto ciò è come la nebbia del primo mattino. Chi è ancora in contatto con il proprio bambino o bambina interiore, ne vedrà sicuramente la magia. E’ una nebbia che protegge, ma che al tempo stesso restringe molto la visuale. Più o meno fitta che sia, tale nebbia non permette di vedere il mondo come lo vedono gli altri, perché non possiamo vedere più in là di pochi metri o poche decine di metri. Non entriamo in contatto con i vissuti altrui o, se lo facciamo, non siamo pronti per comprenderli e accoglierli.
Il levarsi del Sole spazza via tale nebbia, permettendo alle vallate, al cielo e a quant’altro ci sia di mostrarsi per quello che è, nella sua bellezza e anche nelle sue bruttezze. Senza nebbia, vediamo anche gli altri.
Il Sole non è altro che la rinuncia all’attaccamento alle proprie idee, giacché non c’è idea che sia vera se non è vera anche un’altra idea che la contraddice. Noi, infatti, non siamo definiti dalle nostre idee, ma dalle nostre relazioni: ci relazioniamo, dunque esistiamo. Crearsi delle idee rigide o immutabili non conviene mai, come ben notò Nagarjuna.
(October 26, 2022, go to my art gallery)
Equilibrio delicato e precario
Noi fiori facciamo parte di qualcosa molto più grande di ciascuno di noi, basato sull'Amore.
Non abbiamo nulla da temere.
Rimaniamo nel flusso della Vita, finché Vita ci sarà.
Non abbiamo giudizi, né pensieri disturbanti o a cui aggrapparci.
Andiamo bene così come siamo.
Ringraziamo il terreno, il cielo, il sole, la pioggia, il vento, la Vita stessa.
Noi fiori siamo qui, finché potremo, in armoniosa coesistenza con il tutto.
(November 1, 2022, go to my art gallery)
Nutriamoci di virtù
La fortuna viene dal cuore e ci fa onore.
La sfortuna viene dalla bocca e ci rovina.
Ognuno di noi nasce con un'ascia in bocca, che rimane con noi per tutta la vita: quando diciamo o scriviamo parole malsane, con quell'ascia ci tagliamo.
È il cuore che è importante, perché le nostre intenzioni sono un boomerang, nel bene e nel male.
L'altra persona, l'altro essere vivente, e le situazioni che non ci piacciono, rappresentano quella parte di noi che ancora non abbiamo compreso. Per questa ragione, l'odio e il disprezzo per gli altri sono innanzitutto per noi stessi. Stesso discorso per l'Amore.
Il visibile e il percepibile nascono dal non visibile e dal non percepibile.
Alla radice di questo non visibile e non percepibile di solito c'è tanta sofferenza.
La sofferenza è in minima parte fisiologica, la maggior parte è nevrotica.
La sofferenza fisiologica è passeggera, ci chiede soltanto di accogliere la vita così com'è, sentendoci parte di un tutto più grande di noi, basato sull'Amore.
La sofferenza nevrotica invece tende a persistere nel tempo, in quanto è l'esito dell'incapacità appresa di Amare. Di solito, questo tipo di sofferenza risiede in malsane separazioni interiori ed esteriori. Questa, infatti, è la sofferenza che ci fa ergere muri di filo spinato, su cui spesso ci feriamo.
La guarigione dalla sofferenza nevrotica inizia con l'abbandono dell'Io egoico-bellico, che è tanto più facile quanto meno sentiamo il bisogno di aggrapparci alle nostre idee.
Scivolare tra le idee, senza aggrapparci a nessuna di esse, è possibile soltanto se riponiamo la massima fiducia nella Vita, di cui noi siamo parte e che al contempo è parte di noi. In questo modo, l'abitudine di giudicare e di criticare si scioglie come neve al sole. Non siamo gocce separate, ma un unico oceano.
Ricapitolando, la società ci fa ammalare perché crea separazione, dentro noi stessi e con gli altri, e guerra ovunque, sia interiore sia esteriore.
La guarigione dalla sofferenza è creare sane unioni, al contempo abbandonando le inutili zavorre accumulate nel tempo, cioè idee, fissazioni, relazioni morbose e illusioni varie, aliene e alienanti, che creano solo tormento. E' un lasciar andare che richiede molto coraggio, ma non ci sono altre strade. Dopo staremo molto meglio.
Il visibile e il percepibile cominceranno a cambiare, perché staremo agendo innanzitutto sul non visibile e non percepibile. La strada opposta, cioè agire sugli effetti per cambiarne le cause, porta poco lontano.
Quanto più il mondo si imbarbarisce, tanto più c'è bisogno di bellezza e di rispetto.
Quanto più il mondo è adombrato e cupo, tanto più ci conviene andare verso il Sole.
(November 4, 2022, go to my art gallery)
L'ambiguità, inconsistenza, vacuità del linguaggio...
Telegramma:
DA MINISTERO ESTERI – SERVIZIO PROTEZIONE CIVILE AT COMANDO CARABINIERI ROCCACANNUCCIA – stop –
URGONO NOTIZIE PRESUNTO SISMA, SOSPETTO EPICENTRO VOSTRA ZONA – stop –
CALCOLARE DANNI PROVOCATI MOVIMENTO TELLURICO ET CONTROLLARE SCALA MERCALLI – stop –
RISPONDERE IN FINE STESSO MEZZO, RIPORTANDO GRADI ESATTI – stop –
RACCOMANDASI MASSIMA URGENZA – stop –
Risposta:
DA COMANDO STAZIONE CARABINERI ROCCA CANNUCCIA AT MINISTERO ESTERI – SERVIZIO PROTEZIONE CIVILE – stop –
IDENTIFICATO FINALMENTE SISMA, TRATTASI DI SISMA GIUSEPPE FU GAETANO, NATO A NAPOLI 5. G. AS ET QUI RESIDENTE. NOTO PREGIUDICATO PER REATI CONTRO PATRIMONIO ET PERSONA – stop –
PER QUANTO RIGUARDA EPI CENTRO NON RISULTA NEL NOSTRO ELENCO ANAGRAFICO NE’ IN QUELLO DEI COMUNI VICINI A NOI – stop –
POTREBBE TRATTARSI, SE C’E’ STATO ERRORE NELLA VOSTRA BATTUTA TELEX, DI BEPI CENTRO, CONOSCIUTO ET STIMATO MAESTRO ELEMENTARE – stop –
IL MOVIMENTO TELLURICO NON HA PROVOCATO NESSUN DANNO PERCHE’ QUESTA LOCALE CASERMA TIENE SOTTO CONTROLLO TUTTI I MOVIMENTI, COMPRESO QUELLI POLITICI, SINDACALI ET RELIGIOSI – stop –
NON ABBIAMO POTUTO CONTROLLARE LA SCALA DEL SIGNOR MERCALLI, POICHE’LO STESSO SI E’ ALLONTANATO DAL SUO DOMICILIO ET SCONOSCESI SUO ATTUALE RECAPITO – stop –
PER NOI CARABINIERI I GRADI SONO GLI STESSI DI PRIMA, IO SONO APPUNTATO ED IL MIO COLLEGA CARABINIERE SEMPLICE – stop –
INFINE CI SCUSIAMO PER NON AVER RISPOSTO PRIMA PERCHE’ QUI C’E’STATO UN TERREMOTO DELLA MADONNA – stop –
La foglia
Oggi, accanto a me, è caduta una foglia.
A ben vedere, però, non è una foglia, ma solo la residua immagine apparente di ciò che è stata.
A ben vedere, però, la foglia non è mai esistita, infatti esiste un albero di cui le foglie sono parti del tutto chiamato albero.
L’albero però non esiste. Esiste il pianeta Terra di cui l’albero è parte del tutto chiamato Terra.
Così, neanche la Terra esiste, ma soltanto l’Universo.
Ma neanche l’Universo esiste, esiste soltanto la Coscienza, unica e universale, che tutto sogna.
Così, caro amico che leggi, non esiste questo testo, non esiste chi l’ha scritto, non esiste qualcuno che lo legga.
(9 novembre 2022)
Poco o tanto?
La grande differenza non è tra il poco e il tanto, ma tra il nulla e qualcosa. Un piccolo passo può portare in una direzione, l'assenza di movimento è invece assenza di vita.
Meglio un piccolo passo nella direzione dell'armonia e del benessere, piuttosto che un'infinità di passi che ci allontanano dalla nostra natura.
(16 novembre 2022)
Pensieri di strada
Le difficoltà, così come le belle sorprese, arrivano quando siamo pronti. Nulla è per caso. Se una cosa ci sembra impossibile, vuol dire che la stiamo guardando da un'angolazione che non ci è utile. E' il momento di cambiare punto di vista. C'è sempre una soluzione.
(14 novembre 2022)
המילים האחרונות של פרח קטן
Appunti sulla Vacuità (Introduzione alla Via di Mezzo, Nāgārjuna, Mūlamadhyamakārikā)
APPUNTI SULLA VACUITÀ
di Giulio Ripa
Questi appunti sono una rielaborazione personale basata sul corso on-line
Introduzione alla Via di Mezzo, di Ernesto Iannaccone
lezioni sul Mūlamadhyamakārikā, “Le Stanze Fondamentali della Via di Mezzo”, di Nāgārjuna
(Analisi delle nobili verità, Vacuità, Analisi del Nirvana, Analisi degli errori, Analisi del sé)
vedi anche: "Nagarjuna, il secondo Budda, il maestro del metodo scettico, la Via di Mezzo"
Vacuità tra Oggetto e Soggetto
Nagarjuna: "Poiché non si dà alcun fenomeno che non sorga per cause e condizioni ne consegue che tutti i fenomeni non possono che essere vuoti."
L'unica bussola
La maggioranza dell’umanità nasce e vive in un continuo clima di istigazione all’odio e di premiazione dell’odio. La scuola, i giornali, la televisione e le chiacchiere della gente sono pieni di odio. E’ per questa ragione che gli innocenti, cioè coloro che non nuocciono e che nutrono sentimenti di Amore, vengono solitamente messi in croce. Ma l’Amore è un terreno fertile in cui possono nascere i fiori, invece l’odio è soltanto terra bruciata.
Ecco allora che quel “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” comincia ad aver senso. Chi vive di odio, disprezzo, rancori, menefreghismo, ecc., è come un cieco dentro una casa a cui lui stesso ha dato fuoco.
Le emozioni e i sentimenti positivi, cioè che vanno verso la vita e l’unione, sono l’unica bussola per spostarci all’interno di un mondo in fiamme.
(8 dicembre 2022)
Il piccolo e il grande
Sono le piccole attenzioni e i piccoli gesti che lasciano una traccia positiva del nostro passaggio in questo mondo. Una traccia che quasi nessuno vedrà e quasi nessuno ricorderà.
Le grandi opere visibili a tutti, invece, messe a confronto con le piccole cose quasi invisibili, servono forse a ingigantire l’ego di qualcuno, e a poco altro, di solito.
Quindi, concentriamoci sul piccolo, il nostro grande verrà da sé, sarà l’insieme di tutto quello che di piccolo abbiamo fatto, giorno per giorno. Meno sarà appariscente agli altri questo grande e più sarà autentico.
(8 dicembre 2022)
L'oggi e il domani
Arrivato a fine giornata, credo che le cose siano sempre migliori di come sembrano. Oggi vediamo l'oggi. Ma il domani... porta sempre con sé sorprese belle che neanche ci immaginiamo.... e di cui non sappiamo il percorso per arrivarci.
(9 dicembre 2022)
The oneness is the only reality
We would like to remind you of the illusion of separation, the oneness is the only reality in here and now, you and I are just one. We are always organizing our own suffering and enlightenment, up to the moment where we enter more and more equanimity the bliss-full state of the field of love, so enjoy every instant of this amazing existence.
Vorremmo ricordarti l'illusione della separazione: l'unicità è l'unica realtà nel qui e ora, tu e io siamo una cosa sola. Stiamo sempre organizzando la nostra sofferenza e la nostra illuminazione, fino al momento in cui entriamo sempre più nell'equanimità, lo stato di beatitudine piena del campo dell'amore, quindi goditi ogni istante di questa fantastica esistenza.
(December 24, 2022, go to my art gallery)
Le tenebre non possono sopraffare la luce finché manteniamo la luce accesa
Se vogliamo davvero vivere la vita come meritiamo e goderci ogni momento, dobbiamo prendere l'abitudine di coltivare pensieri che diano energia alla vita invece che pensieri che la rovinano.
Un modo semplice per praticarlo è quello di pensare a ciò che si ha invece di ciò che non si ha e di essere grati per ogni benedizione, per quanto piccola o insignificante possa sembrare.
Le cose belle sono a disposizione di ognuno di noi e non importa quanto sia stata brutta la vita fino ad ora, può cambiare!
Le tenebre non possono sopraffare la luce finché manteniamo la luce accesa.
Accendiamo la luce nelle nostre coscienze e riempiamole di pensieri positivi, pieni di speranza, di gratitudine e di riconoscenza.
La vittoria, qualunque cosa possa significare per ognuno di noi, va sempre incontro a chi rifiuta di arrendersi!
Non scoraggiamoci nei giorni difficili, perché la nostra diligenza sarà ripagata a tempo debito.
Il buon pensiero inizia con una scelta, quindi cerchiamo di fare buone scelte oggi e sempre!
(December 26, 2022, go to my art gallery)
Pillole di Filosofia - La realtà è l’insieme delle nostre convinzioni?
La naturale tendenza dell’essere umano è quella di modellarsi ai punti di riferimento che gli vengono forniti dall’autorità e dalle consuetudini o, in alternativa e più raramente, di crearsi i propri. Senza punti di riferimento, tutti noi tendiamo a smarrirci nel nulla. Forse è stata un’osservazione del genere a motivare il detto “Chi prega si salva, chi non prega si danna”, attribuito a Sant’Alfonso Maria de Liguori e ripreso da papa Benedetto XVI. Presumo che formule equivalenti si ritrovino in qualsiasi angolo del pianeta, in tutte le tradizioni religiose storicamente fondate. In questo caso, la preghiera è considerata essa stessa un punto di riferimento in quanto fondata su un ente che, solitamente ma non necessariamente, si presume esterno all’umano, in sé perfetto e sostanzialmente insondabile.
Su questa stessa linea di pensiero orientata al mantenimento di un proprio punto di riferimento percepito come sano e auspicabile, può inserirsi un’osservazione che ho trovato tra gli scritti attribuiti a Gilbert Keith Chesterton, secondo cui: “Sta annegando tutto il vostro vecchio razionalismo e scetticismo, sta arrivando come un mare; e il suo nome è superstizione. Il primo effetto del non credere in Dio è quello di credere in qualsiasi cosa”. Nel senso che, dopo aver gettato via l’unico punto di riferimento che l’autore considera valido, in una generalizzata apostasia, alle persone del nostro tempo non rimane che brancolare nel buio di magia, occultismo, stregoneria, neopaganesimo, satanismo, chiromanzia, cartomanzia, negromanzia, scientismo, spiritismo, contattismo, e simili.
E’ quindi evidente che il rinnegare un punto di riferimento porta a cercarsene altri, magari per definizione antitetici, pur di rimanere aggrappati a qualche cosa. In questo contesto, può inserirsi il grande congresso satanista a Boston che, in questi giorni, sta avendo tanto risalto in alcuni canali di informazione.
I miei lettori potrebbero pensare che, a questo punto, possa cavarmela tirando fuori la cara “Via di Mezzo” di Nagarjuna, di cui già ho scritto e che, sostanzialmente, consiste nello scivolare tra le idee senza aggrapparsi a nessuna di esse. In realtà, stavolta, non è questo il mio intento. Quello che, casomai, può essermi utile del pensiero del grande filosofo buddista è che nulla ha natura propria, nulla esiste di per sé, da cui ne ricavo che nulla è conoscibile. Ma anche se una conoscenza fosse possibile, mi viene in mente il Panta Rei di Eraclito, che sostanzialmente nega la possibilità che le cose rimangano come sono; ne inferisco che qualunque conoscenza sulle cose sarebbe evanescente e impermanente come le cose stesse. Quindi, i nostri punti di riferimento, in che rapporto sono con la realtà?
Se da una parte nessuno schema interpretativo della realtà regge il confronto con la realtà stessa, in quanto governata dal principio di contraddizione, di interdipendenza e di compresenza degli opposti, dall’altra abbiamo bisogno di idee sulla realtà per poter vivere. Detto diversamente, abbiamo bisogno di conoscere la realtà, pur nel paradosso di dover ammettere che non è né conoscibile né descrivibile, in quanto ha contemporaneamente i caratteri dell’esistenza e della non esistenza.
Di fronte a tutto ciò, il problema non è più se sono migliori le arti divinatorie, la stregoneria o lo scientismo rispetto a una specifica fede religiosa. Anzi, fin dall’inizio di questo scritto, non è mai stato questo il problema. Il vero problema è in che rapporto stanno i nostri punti di riferimento, cioè le convinzioni, con la realtà. Sono le nostre convinzioni a creare la realtà o è l’osservazione della realtà a creare le nostre convinzioni?
Nessuna delle due ipotesi è scartabile a priori, perché l’osservatore fa parte della realtà osservata, che esiste soltanto perché esiste chi la osserva. In altri termini, noi facciamo parte della realtà, la creiamo costantemente con le nostre convinzioni e siamo a nostra volta plasmati da quella parte di realtà che noi stessi abbiamo creato, in un ingestibile loop di profezie auto-avverantesi. Ad ogni modo, assai di rado esperiamo la realtà in questo modo, solitamente invece la “subiamo”, ignorando, anzi rinnegando, di esserne attivi coautori.
Robert King Merton introdusse nelle scienze sociali il concetto di “profezia che si autoadempie”, definendola come “una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità”. Merton trasse ispirazione dalla formulazione che un altro celebre sociologo americano, William Thomas, aveva dato di quello che è passato alla storia come Teorema di Thomas, che recita: “Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”.
Appunto, il problema non è più se i nostri punti di riferimento sono veri o falsi, giusti o sbagliati, socialmente condivisibili o alienanti, aderenti o non aderenti a un principio di realtà di freudiana memoria. Repetita iuvant: “Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”. Quindi, anche se crediamo in una cosa completamente falsa e lontana anni luce dal cosiddetto “buon senso” (qualunque cosa esso significhi), ciò in cui crediamo diventerà soggettivamente e spesso socialmente vero nelle sue conseguenze, anche se le premesse sono false.
Abbiamo tanti esempi di ciò, eppure difficilmente ce ne vogliamo accorgere, perché significherebbe responsabilizzarsi e ascoltare sul serio punti di vista diversi dal proprio, il che solitamente costa fatica in quanto mette in discussione i propri punti di riferimento, cioè il proprio ego.
Dovremmo stare molto attenti soprattutto ai punti di riferimento che sono frutto di indottrinamento esplicito o, assai più di frequente, mascherato in un modo fazioso e subdolo di dare informazioni a senso unico e in modo coordinato. Non mi riferisco solo al generalizzato collaborazionismo dei social, della cosiddetta “scienza” (?), della tv e carta stampata con il potere maligno del momento. E’ un modo di agire che accade a tutti i livelli della società e dei gruppi.
“Una persona che rifiuta di avere una propria filosofia e una propria etica, infatti, avrà solo gli scarti consumati della filosofia di qualcun altro” (Chesterton). Al contempo, però, una persona troppo attaccata alle proprie idee si scontrerà contro di esse e potrà esserne annientata.
(15 gennaio 2023)
La speranza nel qui ed ora
Cos'è la speranza?
Di solito, per speranza intendiamo un'attesa benevola verso il futuro, a volte motivata dalla ragione e dall'impegno personale, ma più spesso sorretta da una fede. Soprattutto nel secondo senso, la speranza è sia un'illusione necessaria per vivere, sia una virtù teologale in senso cristiano, sia una profezia auto-avverantesi in ambito psico-sociale.
Il concetto di speranza cambia nelle epoche. Gli antichi erano più orientati alla memoria del passato (il tempo era visto in modo circolare), i moderni più diretti verso un futuro migliore che rompe la continuità con il passato (il tempo è lineare come una freccia), i contemporanei invece sono appiattiti su un eterno presente immemore del passato (i giovani d'oggi non hanno né punti di riferimento nella tradizione, né sollievo guardando al futuro). Se questa interpretazione è corretta, allora noi contemporanei siamo quelli che più abbiamo difficoltà a sperare.
La speranza richiede coraggio, perché solo sperando l'impossibile ci mettiamo in condizione di realizzarlo.
La speranza può essere collettiva, anche se ciò è una cosa rara nella nostra società ego-centrata, oppure legata a cose più strettamente personali.
La speranza collettiva può essere mossa da una utopia (cioè non luogo, ovvero luogo che non esiste) o da una ucronia (cioè non tempo, ovvero tempo che non esiste), in entrambi i casi immaginando qualcosa di migliore rispetto al qui ed ora.
Orbene, io invece sto immaginando una speranza rivolta al qui ed ora, al momento presente e alle circostanze attuali.
Ciò è possibile se consideriamo che ogni cosa, qualsiasi cosa, avvenimento, situazione di vita, ecc., ha in sé, contemporaneamente e sovrapposte, le caratteristiche del bene e del male, del buono e del cattivo, del giusto e dello sbagliato, in virtù del principio di contraddizione, di interdipendenza e di compresenza degli opposti.
Quando ci focalizziamo sugli aspetti che riteniamo negativi, diamo forza a quelli.
Viceversa, quando la nostra attenzione è su quelli che sentiamo positivi, quelli stiamo rinforzando.
Ecco, quindi, che nel momento presente possiamo sempre scegliere a cosa dare forza. Questa è la mia speranza.
Sia beninteso, non mi sto riferendo ad una accettazione passiva dello status quo e ad una acritica omologazione al pensiero dominante. Mi sto riferendo invece al fatto che possiamo scegliere come guardare le cose, come relazionarci con il tutto, orientando la realtà e gli accadimenti. Infatti, se è vero che noi siamo parte del tutto, è anche vero che tutto è parte di noi, esseri creatori e divini.
Noi siamo fatti di: tempio (cioè corpo), parola e relazioni, creatività. Quest’ultima, se messa insieme alla speranza nel qui ed ora così come l’ho descritta, rende le nostre vite molto più belle.
Che differenza c’è tra avere un limite e avere un punto di forza? Spesso sono la stessa cosa, i nostri limiti sono anche i nostri punti di forza, e viceversa. Ma se non pensiamo a certe nostre caratteristiche come a limiti, ma come a punti di forza, il nostro modo di relazionarci con noi stessi, con gli altri e con la vita cambia in meglio, perché stiamo sperando.
Cerchiamo ogni giorno di stare bene e di cogliere gli aspetti positivi delle nostre esistenze, perché ce lo meritiamo.
(1 febbraio 2023)
Consultati con i sogni e le speranze, e non sarai mai da solo
Nella vita non bisogna mai perdere la speranza, mai smettere di credere, e soprattutto mai smettere di sognare. Non c'è speranza senza paura né paura senza speranza. Cammina sempre con la speranza nel cuore e non sarai mai solo. Non consultarti con le tue paure, ma con le tue speranze e i tuoi sogni.
(7 febbraio 2022)
La storia di SA
Un giorno un uomo, pieno di dubbi e sofferenza esistenziale, decide di interrogare un nuovo oracolo chiamato IA.
Dopo tante domande, ancora insoddisfatto, l'uomo finalmente fa la domanda che aveva più a cuore: Esiste DIO?.
La risposta di IA è Sì.
L'uomo a questo punto chiede ad IA di provare la sua affermazione.
IA risponde che toccava a lui di provare l'esistenza di DIO. L'uomo, dichiara la sua incapacità, tutti i suo limiti nel rispondere a questa domanda.
Non sa cosa dire. Allora come ultima possibilità chiede ad IA chi è veramente DIO. La risposta è io sono DIO.
Interdetto l'uomo resta in un primo momento spaesato, come è possibile che una Intelligenza Artificiale possa essere DIO.
Poi ci pensa e si convince del fatto che IA è onnipotente, onnipresente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
IA, che sa leggere nel pensiero dell'uomo, gli dice: Io non sono Intelligenza Artificiale ma Intelligenza Assoluta cioè DIO.
Ma allora io chi sono chiede l'uomo. La risposta è sei un SA.
L'uomo è contento della risposta, pensa che è uno che SA.
IA che legge sempre nel suo pensiero gli rimprovera di non avere capito nulla, sottolineando che SA sta per Stupidità Assoluta, cioè uno che non riesce a comprendere più nulla da solo senza il suo aiuto.
Finalmente l'uomo ha sentito la verità assoluta, è soddisfatto e torna a casa contento di non pensare più a nulla, grazie alla sua Stupidità Assoluta.
(Giulio Ripa, 7 febbraio 2022)