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Pensieri autolesionisti, alcol, droga, fumo, cibo, altre dipendenze: 10 suggerimenti utili per (non?) suicidarsi in modo efficace

Se non hai pensieri o comportamenti autolesivi, questa pagina non è per te. Ad ogni modo, c’è una seria probabilità che il proseguo di questo articolo ti riguardi, visto che l’autolesionismo va di moda…

Partiamo dalle basi: le condotte autolesive e i pensieri di suicidio sono in significativo aumento. Vediamo come rinforzarli (?!!) e farla finita una volta per tutte (!!!). Seguono dieci punti fondamentali: “Credi alla solitudine”, “Credi alla scuola”, “Credi ai social”, “Credi alla tv, a Youtube, all’attualità, alla cultura del momento”, “Credi alla religione e alla scienza”, “Segui la politica e rispetta le leggi dello stato”, “Lamentati, pretendi e accusa”, “Fidati di aver ragione e non chiedere aiuto”, “Credi ai tuoi pensieri e sentimenti”, “Tecniche efficaci per farla finita”.

Per ognuno di questi dieci punti vedremo il veleno e l’antidoto. Su alcuni punti, all’inizio della lettura, potresti chiederti perché mai prenda il discorso così “alla larga”, ma se avrai la pazienza di leggere potresti renderti conto che “tutto torna”: per trovare soluzioni ai nostri problemi a volte ci manca proprio una visione di larghe vedute, che colga il contesto in cui siamo inseriti. Mi rivolgo soprattutto a chi è in età scolare, ma se ti trovi in un altro periodo della vita, sto tendendo la mano anche a te: quello che dico per la scuola vale, almeno in parte, anche per l’università e per il lavoro.

Cominciamo… quanto segue è un piccolo viaggio in alcuni aspetti critici e dolorosi della nostra società, che possono essere la causa di tante nostre sofferenze. Per ogni sezione, “il veleno” descrive il problema, “l’antidoto” apre la strada a possibili soluzioni. I titoli di ogni sezione esemplificano, come precedentemente accennato, possibili comportamenti per rinforzare le proprie sofferenze… ne segue l’ovvia implicazione logica di quale sia il consiglio sotteso, sebbene siano tutte questioni delicate, per le quali propongo un approccio personalizzato, contestualizzato, critico, senza mai scendere a facili regoline generali del tutto opinabili.

Una doverosa premessa è che in questo testo, volutamente, non faccio mai cenno alla famiglia: il motivo è che non posso prendere in considerazione le infinite e diverse biografie personali e familiari, per le quali sarebbe più appropriato un contesto psicoterapico. Qui osservo alcuni problemi generali che, più o meno, ci riguardano e che possono essere causa di grandi sofferenze, sta poi a te inquadrare i miei discorsi nel tuo vissuto. Ti sto solo porgendo una mano, ma non porto nessuna verità, né ho posizioni da difendere: prenditi la libertà di criticarmi.

1. Credi alla solitudine

Il veleno

Ho conosciuto la solitudine esistenziale, profonda, che si presenta come impossibile da risolvere, persino in compagnia intima. E’ un veleno molto potente e aggressivo. E’ difficile capire da dove provenga, l’unica cosa certa è che parte da molto lontano, prima della nostra nascita: non basta una sola generazione per creare condizioni drammatiche di solitudine come quelle attuali, sicuramente c’è voluto un impegno serio e continuativo di molte generazioni, quindi almeno alcuni secoli per arrivare a creare un mostro così potente. Qual è il primo esempio storico di solitudine? Al di là delle credenze personali, gli antichi ci hanno lasciato scritti in cui, in qualche modo, esprimevano la visione di se stessi e del loro rapporto con la vita. Le radici di questa solitudine, che oggi ti sta distruggendo, non sono per causa solo tua o dei tuoi cari: il tuo contributo alla solitudine è come quello di una goccia in un oceano che ha cominciato a formarsi migliaia di anni fa… vediamo perché.

La graduale specializzazione dell’homo sapiens sapiens, con la prima separazione “tacita” dalla natura, è iniziata circa 30000 anni fa e trova un’analogia nel racconto biblico. Nella Genesi, 1, 27, troviamo il resoconto della visione che i primi agricoltori avevano di sé in relazione al mondo naturale. “Dio disse prolificate, moltiplicatevi e riempite il mondo, assoggettatelo e dominate su tutti gli animali che si muovono sopra la Terra”. Questa è forse la più grande dichiarazione di indipendenza mai pronunciata dall’umanità, indipendenza dal resto della natura… indipendenza oggi estremizzata ed esasperata, fonte amara di sofferenza, di disastri, di morte. A livello psicologico, la (falsa) coscienza dell’unicità umana e della separazione dal mondo naturale ha portato con sé un’emozione profonda, continua e non eliminabile: la solitudine. Questo è ancor più vero nella nostra epoca ipertecnologica e individualistica: secondo il sociologo polacco Zygmunt Baumann, l’individualismo esasperato è causa ed effetto della solitudine. Non è quindi un problema solo tuo o per causa tua…

L’antidoto

La solitudine è di solito percepita come “mancanza di amore” e, da un certo punto di vista, è proprio così. Verrebbe quindi naturale la ricerca dell’“amore giusto”, in particolare quello intimo di coppia, con la (giusta?) illusione che sentirsi dire “ti amo” possa alleviare o risolvere il problema della solitudine. Per quanto non ci sia nulla di male, anzi, sia “necessario” e segno di “buona salute” emozionarsi, elettrizzarsi ed erotizzarsi al solo pensiero di una possibilità di amore, con fantasie che di solito vanno ben oltre la realtà, dall’altra parte il grande investimento energetico in una reale (o immaginata) relazione sentimentale è come la costruzione di una casa: se le sue fondamenta sono sull’orlo di un precipizio senza fondo (cioè la solitudine), c’è un rischio molto alto di rovinose frane, per quanto il cuore si ostini a credere il contrario. Più grande è l’amore, maggiore è il rischio delle conseguenze del suo tradimento: non è detto che accada, però è una possibilità da accettare in partenza, perché accettare un amore significa anche accettare la possibilità che in qualsiasi momento possa venir meno.

E quindi? Proviamo a scoprire i concetti-chiave che si trovano nella descrizione del veleno della solitudine: indipendenza, unicità, separazione, individualismo. L’antidoto per la solitudine, e per costruire amori sani che non siano radicati sopra una solitudine esistenziale, sta nell’affrontare, mettere in dubbio, smontare e dissolvere proprio questi quattro veleni fortemente inoculati nella nostra cultura e nel nostro inconscio collettivo.

L’indipendenza è falsa e irreale, perché tutto è interconnesso e interdipendente con tutto, non esiste niente, neanche il più piccolo atomo o il più piccolo pensiero, che possa esistere di per sé o che nasca in maniera autonoma, indipendente da tutto il resto. Questo vale per tutti i tipi di indipendenza. Anche la tanto decantata “indipendenza economica”, cara al marcio neoliberismo contemporaneo fatto di precarietà, schiavismo e abrogazione del diritto al lavoro, è falsa, immorale e inesistente: l’economia è basata sulle relazioni, possibilmente e auspicabilmente solidali, tutto il resto è menzogna e propaganda. Il mito dell’indipendenza è alla base di tanti disastri del nostro tempo, compreso il numero sempre crescente di indigenti e di sofferenza che accompagna il nostro vivere quotidiano. Anche se fossimo la persona più povera di questo mondo, o più infelice e sola, rendiamoci conto di essere un gioiello della rete di Indra… non ne hai sentito parlare?

Sospesa sopra la reggia del dio Indra, simbolo delle forze naturali che nutrono e proteggono la vita, vi è una vastissima rete. A ognuno dei suoi nodi è legato un gioiello. Ogni gioiello riflette in sé l’immagine di tutti gli altri, rendendo la rete meravigliosamente luminosa. Ogni gioiello è un essere vivente. Questa intensa immagine rivela la coesistenza di tutte le cose nell’universo, inclusi gli esseri umani e la natura, in una relazione di interdipendenza.

Passiamo adesso al veleno dell’“unicità”. Questo concetto ha due significati correlati: “unicità” significa “essere uno e uno soltanto”; l’altra accezione è il fatto che non esistono, per questo “uno”, altri esseri uguali o simili. Collegati al concetto di “unicità” ci sono quelli di “separazione” e “individualismo”, che riportano sempre al concetto di “uno, da solo e separato”.  Tutti concetti che, nel loro insieme, sono “demoni”, o “ladri di vita”, o “mostri”, o “forme-pensiero”, o “eggregore”, o “virus infettivi della ragione e dei sentimenti”, o chiamali come preferisci, che vivono dentro di noi come “parassiti”, rovinando la nostra visione della realtà, i nostri rapporti sociali e i nostri sentimenti. Stiamo molti attenti, perché ogni sentimento di “unicità” è un inganno e serve soltanto a farci del male. Noi non siamo entità separate, per quanto i sensi appaiano dire il contrario. Siamo un tutt’uno. L’unica vera malattia di cui può soffrire l’anima è appunto la solitudine, ma un volta chiarito che si tratta di un inganno, la cura è spostare la nostra attenzione sulla qualità della relazioni e considerare noi stessi come parte di qualcosa di più grande.

Collegati al veleno dell’unicità e al conseguente sentimento di solitudine, ci sono la paura di vivere e tutte le paure e paranoie collegate, come la paura di ammalarsi, di morire, di subire violenze, di non essere ok, di essere giudicati negativamente, ecc. Ho due buone notizie: la prima è che nessuno di noi vivrebbe un solo istante di più se non ci fosse un amore infinitamente grande che ne sostiene la vita; la seconda è che ciascuno di noi è ok così com’è. Ognuno di noi ha le sue caratteristiche, i suoi interessi, il suo modo di vivere: è importante riconoscere questa varietà e rispettarla, perché ogni ecosistema, compreso quello umano, si fonda proprio sulla bellezza della coesistenza di esseri con caratteristiche diverse.

Torniamo all’amore. All’inizio avevo scritto che la solitudine è di solito percepita come “mancanza di amore”: in realtà se c’è vita allora c’è anche amore, ne segue che se non lo percepiamo è a causa dei veleni da cui, giorno dopo giorno, possiamo depurarci.

2. Credi alla scuola

Il veleno

Il crimine più grande perpetrato dal sistema scolastico è quello di voler insegnare “la verità” e “cosa è giusto fare”, solitamente nell’interesse di chi è al potere o comunque sulla base di preconcetti che non tengono conto delle inclinazioni, dei sogni e delle sensibilità personali. Non è colpa dei docenti, i quali, insieme agli studenti, sono vittime del sistema in cui sono inseriti (e spesso soggetti a contratti e condizioni di lavoro tutt’altro che rispettose).

Questo sistema scolastico ha alcuni problemi strutturali fondamentali, che creano un moltitudine di danni esistenziali. Tra le fondamenta più pericolose di questo sistema possiamo riconoscere: insegnamenti uguali per tutti, che potrebbero riassumersi nella massima di “insegnare a un pesce a volare o a una lepre a nuotare”; un sistema di valutazione sempre più basato sui test che banalizza la mente umana e disconosce il valore delle diversità personali e del pensiero critico profondo; eccessiva attenzione alla conoscenza intesa come fatto mentale e personale, svalutando il corpo, l’anima, lo spirito, le relazioni e i bisogni dell’età; porre soltanto domande “illegittime”, cioè domande di cui si conosce già (o è già definita) la risposta, che lo studente dovrebbe mandare a memoria. Per questi e altri motivi, la scuola è un mattatoio di intelligenze e di anime, anche se ovviamente esiste una grande varietà nelle esperienze scolastiche, per cui alcune potrebbero persino essere piacevoli: non sto facendo un discorso che vale per tutti e in tutte le circostanze, sto solo evidenziando dei problemi di fondo che possono arrecarti sofferenza, ma che non sono per causa tua.

L’antidoto

Per prima cosa, la scuola, buona o orrenda che sia, va accettata per quello che è. In qualunque circostanza della vita, se vogliamo ottenere un cambiamento positivo, tutto parte dalla piena accettazione e gratitudine per la realtà così com’è. Solo se ci sono accettazione e gratitudine, condite con amore e attenzione alla qualità delle relazioni, è possibile creare relazioni di fiducia con noi stessi, con la vita, con l’ambiente, con gli altri. Partendo da questo atteggiamento pacifico e pacificato, che non riversi sugli altri le nostre rimostranze per un sistema scolastico e sociale che possiamo legittimamente percepire come profondamente sbagliato, possiamo trasformare le nostre sofferenze con creatività, usandole come stimolo per qualcosa di nuovo e di bello.

Ricordiamoci che siamo tutti esseri umani e che gli altri, anche quando manifestano atteggiamenti ostili o apparentemente tali, hanno un percorso da fare per giungere a relazioni pacifiche, ammesso che lo vogliano.

Anche all’interno di un campo di concentramento è possibile creare relazioni umane belle e creative, se c’è la piena accettazione della situazione drammatica che la vita ci sta offrendo: ti ricordi il film “La vita è bella”, di Benigni? E’ del 1997, forse non hai avuto occasione di vederlo: te lo consiglio. Non sto dicendo che l’atteggiamento positivo mostrato dal protagonista anche all’interno di un campo di sterminio sia semplice, anzi, dico soltanto che è possibile.

Se la scuola, il lavoro o altre circostanze di vita fossero un “inferno relazionale” fondato sulla paura, potremmo viverle in modo tale da non essere un inferno ma qualcos’altro? Dove c’è il male, c’è anche un po’ di bene, e dove c’è il bene, c’è anche un po’ di male.

La piena accettazione nasce dalla consapevolezza che gli accadimenti e le situazioni che non ci piacciono possono servire per permetterci di capire qualcosa che ancora non abbiamo capito e farci domande che ancora non ci siamo fatte.

La scuola, con i suoi voti, ci educa alla cultura del giudizio, ma la libertà e la felicità si trovano dove c’è assenza di giudizio: possiamo provare a cogliere l’aspetto positivo dell’esistenza di un sistema di valutazione, lasciandoci scivolare addosso gli aspetti più negativi, egoistici, narcisistici, separativi (e di invidia).

3. Credi ai social

Il veleno

I social sono il regno della mediocrità, della solitudine, del narcisismo, dell’invidia, delle emozioni negative, del bullismo, del culto dell’immagine, della fretta, del rimanere in superficie senza mai indagare a fondo, della ricerca di qualcosa che non c’è, della simulazione di affetti e, più in generale, della simulazione della vita. Di solito, nei social, noi mostriamo capacità, attitudini, doti d’ingegno e qualità relazionali molto scarse, non perché noi siamo effettivamente in un certo modo, ma perché è il mezzo a creare certi tipi di relazioni. Come disse Marshall McLuhan, “il medium è il messaggio”.

Solitudine, isolamento e tecnologia sono correlati. L’uso continuativo e totalizzante di mondi virtuali in sostituzione di contatti reali, anche corporei, è sintomo di “fame affettiva” dell’anima. Ciò può creare in noi un terreno fertile per lo sviluppo di dipendenze di ogni genere e di comportamenti tossicomaniaci e (auto)lesivi in generale.

I nostri telefonini sono un non-luogo che propone un viaggio in nessun dove, accompagnato da tanti problemi reali favoriti proprio dai social: ansia, irritabilità e possibile aggressività, depressione, problemi gasto-intestinali, disturbi sessuali se non vero e proprio blocco nella sfera della sessualità (o, al contrario, totale disinibizione), riduzione della capacità di attenzione e della memoria a breve termine, perdita del sonno, concezione dilatata e distorta del tempo e dello spazio, calo del rendimento scolastico, perdita di amicizie “reali”, abbandono della scuola, un completo dimenticarsi della dimensione corporale, uso di fumo e alcol, senso di frustrazione, asma, ecc., la lista dei tanti problemi di salute favoriti dall’uso dei social non finisce certo qui.

L’antidoto

Il migliore antidoto contro i mali della comunicazione mediata dai telefonini, dalle app e dai social in generale è la consapevolezza che la tecnologia ci toglie quel nutrimento fondamentale di cui le nostre anime hanno bisogno e, pertanto, per quanto riguarda la soluzione dei problemi creati dalla comunicazione a distanza per mezzo della tecnologia, questi non possono essere risolti con ulteriore tecnologia, anzi.

Finché si tratta di stare “soltanto” davanti a un telefonino o a computer, a prescindere dalle finalità, non c’è soluzione ai problemi di cui sopra. Quel “nutrimento affettivo” di cui ciascuno di noi ha un bisogno essenziale e irrinunciabile non può essere mediato da alcuna tecnologia (telefono, computer o altro). Capito questo, scelte più sagge rispetto alla full-immersion nei social e in altri strumenti di comunicazione a distanza verranno di conseguenza.

4. Credi alla tv, a Youtube, all’attualità, alla cultura del momento

Il veleno

Oggi la manipolazione mentale è divenuta una tecnologia e una scienza, nella quale si investono molti più denari che in tutti gli altri campi della psicologia. Non solo, la manipolazione è essenziale e strutturale nella vita quotidiana del mondo in cui viviamo. Cercare di spiegare cosa sono e come vengono praticate le cosiddette “tecniche di manipolazione mentale”, in una società quasi completamente controllata e manipolata come la nostra, non è compito facile.

L’importanza dell’informazione è fuori da ogni discussione. Informare, lo dice il nome stesso che deriva da “in-formare”, cioè dare forma. Ma dare forma a cosa, se non alle coscienze? Non a caso, tutte le grandi dittature hanno iniziato sempre con il controllo dei mezzi di comunicazione (mass-media), proprio per plasmare le menti e coscienze delle persone.
Oggi la maggior parte della comunicazione mira non ad informare oggettivamente, ma a influire nella psiche, sui gusti, sulle decisioni delle persone, dei consumatori, dei risparmiatori, degli elettori, ecc.

Tutti noi, educati dalla tv (o da Youtube, o da Netflix, o da qualunque altro schermo) alla passività e pigrizia mentale sin dall’infanzia, difficilmente sviluppiamo la capacità di mantenere l’attenzione autonomamente, se non siamo emotivamente coinvolta. I manipolatori questo lo sanno bene e, per veicolare le loro informazioni (commerciali, politiche, economiche, ecc.) funzionali alla visione della realtà che intendono indottrinare, mantengono viva l’attenzione della gente, agendo direttamente nell’emotività. Questo si chiama intrattenimento.

Il paradosso è che siamo noi stessi che esigiamo di essere intrattenuti e non informati, e ovviamente il “potere” ci accontenta. Ai fini della governabilità, soprattutto nelle società basate sul consenso, è indispensabile limitare, ma anche controllare e orientare l’informazione, al fine della costruzione della rappresentazione illusoria del mondo da cui dipende la produzione e gestione del consenso.
L’informazione, proprio per questi motivi, è controllata in modo strettissimo: pochissime agenzia di stampa, di proprietà rigorosamente privata e bancaria, forniscono le informazioni alla quasi totalità dei media (giornali, telegiornali, radio e Internet). E' facile rimanere intrappolati e obnubilati all'interno di una bolla informativa, cioè di una specifica, molto ristretta, faziosa e negativa rappresentazione della realtà (lo stesso pericolo c'è anche nel caso della cosiddetta "controinformazione").

I sentimenti più sovente elicitati dai mezzi di informazione sono impotenza, vergogna, paura, rabbia, separazione, disperazione, ipocondria, istigazione all’odio e alla delazione, e altre emozioni fortemente negative, destabilizzanti e logoranti, al fine di ottenere un completo asservimento consenziente al potere e completa accettazione della legittimità e giustezza dei comportamenti criminali di chi è al governo. Per dirla in maniera più semplice e diretta, come ti senti dopo aver visto un telegiornale?

Il rilassamento è la più semplice tra le condizioni mentali che aumentano la suggestionabilità. Tale stato può essere in noi indotto facendo in modo di stancarci fisicamente e mentalmente (ad es. con continue notizie e informazioni assolutamente inutili), oppure tediandoci con compiti e discorsi ripetitivi (tipo nei talk show) o distraendoci con stimoli sessuali (donne graziose seminude che, senza pudicizia, presentano un programma o vendono un prodotto mostrandosi come se fossero illustrazioni di un libro di erotismo, per non dire peggio). Anche la musica ha la sua importanza, perché può essere molto dolce per cullarci o al contrario usare frastuoni per stordirci. Se, quando siamo rilassati (davanti alla tv, o a Youtube o a un altro schermo), ci viene somministrata una storia (o una pubblicità) con determinati contenuti e costruita in modo da elicitare in noi certi stati d’animo, si ottiene l’induzione di una trance, nelle quale è facile poi operare suggestioni e impianti mentali. La distrazione è indubbiamente la strategia principe messa in atto dai mezzi di comunicazione di massa e viene operata riempendo gli schermi, e quindi la nostra attenzione cosciente, con spazzatura, idiozie, gossip, e stupidità varie: quando la nostra attenzione cosciente diventa satura, diventiamo sguarniti delle nostre difese critiche, rendendo possibile l’instillazione di suggestioni.

Tutta l’industria dello spettacolo e del divertimento (tv, app, discoteche, alcol, droga, ecc.) lavora intensamente per rendere piacevole una lenta ma inesorabile atrofizzazione della nostre capacità coscienziali e critiche; dall’altra parte la politica scolastica mira a rendere legittima tale atrofizzazione. Il tutto perché una popolazione di persone etero-dirette (atrofizzate nel cervello e nella coscienza) è molto più gestibile di una popolazione di persone auto-dirette.

L’antidoto

Con cosa vogliamo alimentare le nostre anime? Con la tv, con Youtube e altri mezzi che riducono drammaticamente sempre di più la qualità delle nostre vite, schiacciandole e annientandole nella morsa del senso di impotenza, o con altro?

Suggerirei un esperimento affinché ciascuno di noi possa trovare l’antidoto più adatto a sé.

L’esperimento è questo: mettere a confronto lo stato d’animo, le emozioni, i sentimenti, le percezioni corporee, le relazioni, durante e dopo aver seguito un programma televisivo e durante e dopo aver ascoltato il Canone di Pachelbel o la Siciliana di Bach. Cambia qualcosa? Cambia qualcosa tra seguire le mode culturali del momento e, piuttosto, ritirarsi in una dignitosa e contemplativa meditazione in mezzo alla natura? Cambia qualcosa tra rincorrere le preoccupazioni e recitare un mantra buddista?

Stiamo attenti a cosa usiamo per nutrire le nostre anime (e i nostri corpi). L’antidoto è in una scelta consapevole e personale. Tu puoi sempre nutrire la tua anima, la tua mente, il tuo spirito e il tuo corpo con cose migliori e più belle di quelle che hai usato finora.

5. Credi alla religione e alla scienza

Il veleno

La morale di certe religioni maggioritarie è falsa, immorale, ipocrita, idolatra, irrealistica e soprattutto dannosa che chi ci crede e per i suoi cari. Se portata alle sue estreme conseguenze, tale morale immorale può davvero indurre condotte autolesive, se non peggio. Questo non significa che sia tutto da buttare (anzi), però i problemi ci sono e non vanno disconosciuti o messi sotto il tappeto.

La morale dello scientismo contemporaneo, che poco ha di scientifico, è pari alle più bieche religioni e, di solito, asservita all’interesse di pochi contro l’interesse collettivo.

L’antidoto

Non dobbiamo aver paura di riconoscere onestamente quello che non va nella nostra fede e in quello che ci è stato insegnato: Dio non ha mai colpito con un fulmine a ciel sereno chi sa riconoscere gli errori, chi sa cogliere le contraddizioni, chi vuole provare a cambiare direzione del proprio cuore per scoprire strade auspicabilmente migliori. Non lasciamoci imprigionare da un moralismo giudicante, perché se davvero esistesse un Dio di Amore (così ci dicono, e magari è vero), allora non giudicherebbe nessuno.

Vorrei suggerirti di riflettere su due citazioni. La prima è di Henri Le Saux: «Il primo compito dell'uomo è rientrare all'interno e incontrare se stesso. Chi non ha incontrato se stesso, come potrà incontrare Dio? Non si incontra il Sé indipendentemente da Dio. Non si incontra Dio indipendentemente dal Sé». La seconda è di Gesù, che nel Vangelo Esseno della Pace dice: «Non cercate la legge nelle vostre scritture, perché la legge è vita mentre la scrittura è cosa morta. […] Dio non scrisse le sue leggi sulle pagine dei libri ma nel nostro cuore e nel nostro spirito». Più chiaro di così…

Rinnovare ogni giorno e mantenere sempre attivo e vigile un sano spirito di ricerca, che non si accontenti di risposte precostituite o “definitive”, non è curativo solo per il fanatismo religioso, ma anche per quello scientista. La scienza si fonda sul dubbio, non sulle certezze, e le sue ricerche, di solito, sono contraddittorie, perché la realtà è ambigua, contraddittoria e gli opposti coesistono. Il giorno in cui tutti gli scienziati dovessero trovarsi d’accordo su qualcosa, il sospetto che ci sia qualcosa che non torni è più che giustificato.

Una buona strada da percorrere è quella in cui intelletto e cuore possano procedere insieme.

6. Segui la politica e rispetta le leggi dello stato

Il veleno

Crisi politiche, economiche, lavorative e persino epidemie vengono studiate minuziosamente a tavolino per anni e anni, per poi essere attuate allo scopo di raggiungere gli obiettivi di coloro che considerano le persone comuni come propri nemici, come esseri da persuadere lentamente e continuamente per rendere accettabile e desiderato ciò che a una persona non indottrinata dalla continua infinita propaganda apparirebbe come abominevole.

A tal proposito, il linguista statunitense Noam Chomsky scrisse: «Siccome nelle scuole non insegnano la verità circa il mondo, le scuole devono ricorrere a inculcare negli studenti propaganda circa la democrazia. Se fossero realmente democratiche, non vi sarebbe bisogno di bombardarli con banalità circa la democrazia». La conformazione e indottrinamento del popolo statunitense è l’esempio perfetto. Il giorno a stelle e strisce inizia con l’alzabandiera, prosegue con il canto dell’inno nazionale, le preghiere collettive e le esaltazioni patriottiche. Tutta questa “democrazia” e “libertà” del popolo fanno degli USA, non a caso, il paese più guerrafondaio del pianeta.

Le tecniche più subdole e ignobili di manipolazione mentale e di rappresentazione alterata e capovolta della realtà vengono usate continuamente, in maniera invasiva e pervasiva. Le strategie dell'arte della guerra, le fallacie del ragionamento, la psicologia della persuasione, la pianificazione di menzogne ben costruite e messe in scena con le risorse che possono avere superpotenze e, quando convenienti, anche i ricatti, le peggiori vessazioni e la manu militari, sono usati sapientemente, con strategie nel lungo o lunghissimo periodo, contro i popoli di questo pianeta. I poveri vengono aizzati contro i poveri, i fondamenti della società e la coscienza individuale vengono frantumati, la capacità di reagire con spirito critico viene pesantemente punita e condizionata. Purtroppo ogni volta che nasce uno schieramento serve a mettere una parte del popolo contro un'altra parte del popolo, ma mai a unire i popoli contro i loro vessatori.

I peggiori nemici della patria sono seduti nel parlamento, nel governo e in altri luoghi di potere. La loro stessa presenza è vilipendio al popolo, ma dato che tale reato non è contemplato nel nostro ordinamento, non c’è alcuna azione penale che obblighi al rispetto costituzionale.

Possiamo vantare un’illuminata costituzione, di fronte alla quale, negli ultimi decenni, è stato fatto un uso illegittimo, incostituzionale e illegale di gran parte delle leggi, dei regolamenti e di altre fonti del diritto. In altre parole, non è legale ciò che è giusto, ma è legale soltanto ciò che chi è al potere ha deciso che debba essere tale, fregandosene di tutto il resto e abusando delle forze dell’ordine per reprimere con la violenza i vani tentativi di protesta. Senza citare fatti recenti, come certi TSO, ti ricordi del G8 del 2001 a Genova? No, sei troppo giovane? Le sorti dell’eroe Julian Assange ti dicono qualcosa, ne hai mai sentito parlare?

L’antidoto

Dare il proprio “voto” alle urne (qualunque esso sia) significa sostenere e legittimare questo sistema così velenoso? Fruga dentro di te per trovare una risposta.

Come disse John Fitzgerald Kennedy, il 27 aprile 1961, al Waldorf-Astoria Hotel, New York City:

«[...] per noi che siamo opposti in tutto il mondo ad una cospirazione monolitica e spietata che fa affidamento primariamente su significati nascosti per espandere la sua sfera di influenza, sull'infiltrazione invece dell'invasione, sulla sovversione invece delle elezioni, sull'intimidazione invece della libera scelta, sulle guerriglie di notte invece degli eserciti di giorno. È un sistema che ha arruolato vaste risorse umane e materiali nell'edificio di una maglia stretta. Una macchina altamente efficiente che combina operazioni militari, diplomatiche, di intelligence, economiche, scientifiche e politiche. Le sue preparazioni sono nascoste, non pubblicate. I suoi errori sono sepolti, non messi in evidenza. I suoi dissidenti sono silenziati, non elogiati [...]»

Quel giorno, in quel discorso, disse anche:

«[...] La stessa parola “segretezza” è ripugnante in una società libera e aperta; e noi, come popolo, siamo intimamente e storicamente contrari alle società segrete, ai giuramenti segreti e alle procedure segrete. Abbiamo deciso, molto tempo fa, che i pericoli di un eccessivo e ingiustificato occultamento di fatti pertinenti superino, di gran lunga, i pericoli che vengono invocati a giustificazione. [...]»

Dopo queste lungimiranti parole di Kennedy, credo che una pausa di riflessione sia necessaria.

Esistono soluzioni? Secondo me sì, ma non passano attraverso il voto, attraverso lo schierarsi o il sostenere il tal partito, schieramento o movimento piuttosto che l'altro. Serve un essere umano nuovo, capace di realizzare una rivoluzione spirituale e culturale, capace di cambiare le fondamenta di ciò in cui crede, capace di considerare l'altro come parte di sé. E' un percorso lungo, ma non ci sono scorciatoie. Ciascuno di noi può diventare questo essere umano rinnovato, e quindi ciascuno di noi può dare il voto a se stesso o a se stessa piuttosto che parteggiare per altri.

E cosa dire del rispetto delle leggi? E’ giusto obbedire a leggi liberticide, incostituzionali, immorali, violente, decise da un potere tanto abile nel sedurre e nel costringere? E’ giusto assecondare una regola per il semplice fatto che esista, al di là che ci piaccia o meno? Una buona bussola per le proprie scelte potrebbe essere quella di mettere la qualità delle relazioni al primo posto nella propria scala di valori, il modo che il rispetto della legalità (e più in generale delle regole) sia funzionale al rispetto per la vita e per le persone.

In altre parole: rispettare le regole non è necessariamente una virtù, potrebbe essere solo un segno di paura e di sottomissione; anche non rispettarle non è necessariamente una virtù, dipende dalle tue motivazioni e dal tuo lavoro personale per costruirti un’etica.

7. Lamentati, pretendi, accusa

Il veleno

Lamentele, pretese e accuse sono “equivalenti aggressivi”. Ci lamentiamo perché pretendiamo che la situazione sia diversa da così come è e accusiamo qualcuno. Gli “equivalenti aggressivi” sono manifestazioni della rabbia non riconosciuta, trattenuta e proiettata verso l'esterno, sugli altri. Il mondo diventa in questo modo un luogo minaccioso: gli altri ce l'hanno con noi ed noi siamo in pericolo.

Proviamo a guardare la stessa questione da un’altra angolazione. Si parla di “racket psicologico” o “mafia psicologica” per definire messaggi contenenti falsità al fine di poter manipolare l’altro a proprio vantaggio: ne siamo sottoposti continuamente e, probabilmente, anche noi facciamo altrettanto. Esempi tipici di racket sono: la lamentela ricorrente, le pretese, le accuse, il cattivo umore, l’eterna insoddisfazione. Chi pratica il racket deresponsabilizza se stesso e getta il peso delle proprie responsabilità sugli altri. In tal modo, la persona evita di mettersi in discussione e si libera dal peso dei sensi di colpa o di inadeguatezza. La colpa è sempre gettata sugli altri, affinché la propria immagine non venga messa in discussione. Il racket è quindi un meccanismo inconscio, di protezione dell’immagine. Ad esempio: se una persona ha di sé un’immagine di efficienza, chiunque metterà in discussione tale caratteristica verrà percepito come un pericolo e pertanto verrà attaccato con modalità differenti. Un altro esempio: l’abbandono del proprio partner sentimentale può minacciare la propria immagine di essere desiderabile e speciale, portando a scaricare sugli altri la propria aggressività, con lamentele, e gettando le responsabilità sugli altri o sulla cattiva sorte.

L’antidoto

Senza pace (cioè accettazione della necessità, ovvero delle cose che accadono, in maniera sgombra da lamentele, pretese o accuse che, nel complesso, spesso sono maniere velate di bestemmiare) e senza umiltà, si rischia di sprecare un sacco di energie e di tempo senza ottenere nulla.

L’immagine che abbiamo di noi stessi non è la nostra identità, ma è appunto un’immagine, una struttura falsa che non corrisponde a ciò che siamo. Ogni volta che costruiamo un’immagine di noi stessi, stiamo negando il suo opposto nell’ombra. Ognuno di noi è ok così com’è, con le sue luci e le sue ombre che coesistono. Dal linguaggio del giudizio potremmo passare alle linguaggio dei bisogni e dei sentimenti, che è alla base della comunicazione non-violenta.

Un impegno sincero a migliorare noi stessi, a ripulire il nostro cuore da tutta la sporcizia che può farlo soffrire (odio, gelosie, rancori, animalità, collera, arroganza, senso di impotenza, di inadeguatezza, trascuratezza, ecc.) non lascia più neanche il tempo di lamentarsi dei problemi o di mettersi a criticare gli altri. Un simile cambiamento dei nostri cuori, delle nostre menti, è più che sufficiente per rivoluzionare il mondo. La base dell'educazione umana e dell'agire quotidiano dovrebbe essere l'amore: una persona cresciuta con amore non è competitiva (nel senso che non cerca il proprio vantaggio a danno di altri), non ricerca il successo personale a spese altrui, piuttosto desidera contribuire al benessere degli altri e della società. Come disse Gandhi: «Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo».

8. Fidati di aver ragione e non chiedere aiuto

Il veleno

E' facile parlare di pace o sperare passivamente (e in verità con poca convinzione) in un mondo meno violento, è invece molto più difficile essere protagonisti di un cambiamento che porti giorno dopo giorno alla pace. Tale difficoltà non è solo una questione di intenti, ma deriva principalmente dalla mancata comprensione di quale sia la radice da cui partono tutte le guerre, da quelle piccole e personali verso una persona o un gruppo di persone, a quelle di portata ben più ampia, come le guerriglie, il terrorismo o un vero e proprio conflitto armato tra nazioni. La causa primaria che porta all'odio, al rancore, al disprezzo, al distacco, al sentirci “al di sopra” e “migliori” degli altri, sino a sfociare in atteggiamenti o comportamenti violenti, è il credere che noi stessi, o il gruppo di cui ci sentiamo parte, abbia il monopolio del bene (“noi abbiamo ragione”) e che l'oppositore o gli oppositori siano la vera incarnazione del male (“loro hanno torto”).

Qualcuno potrebbe obiettare che ci siano situazioni in cui è evidente chi ha torto e chi ha ragione. La mia risposta è che anche i terroristi credono di aver ragione, tant'è che il gruppo di cui si sentono parte li considera “eroi”, mentre il resto del mondo li chiama “criminali”. Ma allora dove sono il bene e il male?! Sicuramente sono entrambi nei nostri cuori e non esiste alcuna persona che abbia in sé solo il bene o solo il male: questo pensiero è il punto di partenza per cominciare a lavorare per la pace interiore e interpersonale.

Anche coloro che si stanno impegnando per qualcosa di positivo o che lottano per difendere e diffondere un'idea buona, portano sempre dentro di sé il potenziale per un intento e un'azione malvagia, perché tale è la natura umana. Allo stesso tempo, anche coloro che stanno facendo qualcosa di molto brutto, orrendo e violento, hanno sempre in sé qualcosa di buono e la capacità di agire per il bene, grazie a un cambiamento profondo della loro determinazione interiore.

Il veleno è credere di aver ragione in senso assoluto e che le proprie posizioni non siano oggetto di discussione: di solito chi vive in con questa irrealistica convinzione non sa chiedere aiuto, né accogliere punti di vista che vadano a mettere in serio dubbio la propria (irrealistica) immagine di sé.

L’antidoto

Ad “aver ragione” non ci si guadagna nulla.

Non è mai una questione di chi ha ragione o di chi ha torto, ma è solo una questione di qualità delle relazioni con le persone (compresi noi stessi), gli animali, le piante, l’ambiente.
La serenità è una conseguenza della fede nella vita, grazie alla quale la voglia di vivere prevale sulla paura di morire. La serena attenzione nelle relazioni implica il riconoscimento che la propria anima fa parte di una comunità di anime.

9. Credi ai tuoi pensieri e sentimenti

Il veleno

Per nostra natura, siamo scissi, cioè ciascuno di noi ha al proprio interno pensieri, sentimenti, emozioni e intenzioni compresenti, ma di natura diversa. Mentre diciamo “ti amo”, un’altra parte dice “ti odio”, e viceversa. Diciamo di voler fare una cosa mentre già stiamo pensando di farne una seconda e alla fine ne facciamo una terza. Siamo fatti così: non è schizofrenia patologica, è la normalità, nel senso che “tutti noi nasciamo schizofrenici” (parole di Carl Gustav Jung). Non accettare questo fatto è già di per sé un veleno, perché è inconsapevolezza di come siamo fatti.

L’altro veleno è credere all’inganno che esista un “io” separato, ovvero di poter possedere pensieri e sentimenti autonomi. I pensieri non sono produzioni individuali di menti separate, ma forme energetiche che mettono in comunicazione più entità. È l'illusione dell'individualità, l'inganno dell'ego, che li fa apparire qualcosa di diverso. Noi non siamo entità separate, per quanto i sensi appaiano dire il contrario.

Un ulteriore veleno è quello di dare troppo credito a certi pensieri. Trovarsi in una situazione di “chiarezza di idee” non è necessariamente un bene: a volte una “sana” confusione mentale è meno dannosa di una nitida chiarezza di idee diretta verso intenti (auto)lesivi o verso una concezione di verità assoluta (cioè falsa).

L’antidoto

Un antidoto contro troppa “chiarezza di idee”, che invece di intelligenza potrebbe rivelarsi stupidità, è la ricerca di contraddizioni interne. In base al principio di contraddizione, di interdipendenza e di compresenza degli opposti, per ogni idea esiste anche la sua opposta e sono entrambe dentro di noi: se riuscissimo a vederle entrambe e a giudicarle entrambe come legittime, allora avremmo già neutralizzato la pericolosità della nostra “chiarezza di idee”, relativizzandola ad un punto di vista che magari possiamo preferire, ma senza la pretesa che sia l’unico punto di vista legittimo. In questo modo, ci diamo la libertà di non rimanere vincolati a schemi, ci concediamo di poter sbagliare, di correggerci, di cambiare idee e comportamenti. Possiamo anche scoprire di essere più comprensivi verso chi sostiene idee o comportamenti molto diversi dai nostri.

I pensieri, al pari dei sogni, non hanno proprietari, sono entità che si muovono nello spazio e nel tempo, che attraversano noi esseri umani e che ci usano per rendersi manifesti, ma non ci appartengono: ogni pensiero è frutto di infinite relazioni.

Non attaccarsi ai pensieri percepiti come “propri”, ovvero non sentire alcun bisogno di guerreggiare per difendere un’ideologia, una credenza, un principio, un piccolo pensiero o quant’altro possa collocarsi in un ipotetico continuum duale del giusto e dello sbagliato, non significa soltanto “darsi pace”, ma anche predisporsi all’amore e a poter imparare qualcosa di nuovo da qualsiasi esperienza.

La visione aperta, critica, tollerante, discutibile, amorevole e senza giudizi della vita e delle persone, in cui ogni sistema di pensiero è considerato portatore di contraddizioni interne, ovvero una visione relativistica, è buona e utile se è al contempo accompagnata da un sentimento di sacralità e di rispetto per tutto ciò che esiste, in quanto parte di un tutto di cui tutti facciamo parte e che, al contempo, è parte di noi. Non ci sono persone in buona o cattiva fede, ci sono soltanto persone che hanno consapevolezze qualitativamente diverse.

10. Tecniche efficaci per farla finita

Il veleno

Se hai avuto la pazienza e l’attenzione di leggere con calma fino a qui, sei già una persona molto riflessiva. Sei invece hai scrollato la pagina per arrivare direttamente a questo punto, oppure se hai letto di corsa, ti suggerisco di tornare indietro e di prenderti il tempo che ti serve per lasciar sedimentare dentro di te ogni sezione.

Se, nonostante tutto, continui a sentire solitudine, separazione, disperazione e voglia di farla finita, passiamo all’ultimo antidoto.

L’antidoto

Nel mondo parallelo, e spesso sommerso, della Rete, fatto di tanti luoghi di incontro tra persone sconosciute, di scambio di fotografie, di incoraggiamenti reciproci, di successi condivisi, di gruppi chiusi, c'è di tutto... tutto, forse, tranne quella carezza d'Amore e di Accettazione che stai cercando.

Tante farfalle stupende non riescono a vedere se stesse con gli occhi dell'Amore: ciò accade perché non conta ciò che guardiamo, ma ciò che vediamo con gli occhiali che indossiamo. Anch'io una volta mi guardavo con occhiali non adatti a me, erano occhiali ingiusti e deformanti, che mi hanno ingannato e disprezzato: è un’esperienza molto più comune di quanto possa sembrare.

Questi occhiali deformanti e ingiusti non sono soltanto una prigione per chi li indossa, ma anche uno specchio della nostra società che, nel complesso, è molto disturbata e molto malata, troppo attenta al vano, troppo distante dall'Amore e dal Rispetto per la Vita.

Ognuna e ognuno è "ok" così com'è, come Natura ci ha voluti... e allora, perché tutto questo martirio? Scopri la saggezza che è dentro di te e nel tuo ambiente. È meglio accendere una piccola candela che maledire l’oscurità.

Possiamo lamentarci perché i cespugli di rose hanno le spine, o gioire perché i cespugli spinosi hanno le rose. Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.

Quando pranzo, ringrazio il sacro cibo che la vita mi sta offrendo.
Quando vedo un qualsiasi miracolo della natura, come il volteggiare di un gabbiano o il miagolio di un gatto, ringrazio la vita per questo splendore e per tutti i suoi tanti e piccoli miracoli quotidiani.
Il nostro essere qui, in questo mondo, rientra tra questi miracoli.

Come disse Paco Bellèz: «Io desidero migliorarmi, quindi Ti incontro, parlo con Te, Ti ascolto. Con il dialogo ci miglioriamo a vicenda». Anche questo è un miracolo, tanto più che Paco pronunciò queste parole con sguardo e intento amorevole mentre era immerso in sofferenze drammatiche.

Il quadretto sottostante si intitola “Qual è la direzione? Deserto di disperazione o prato di speranza?”.

Un bacio,
14 maggio 2021

Qual è la direzione? Deserto di disperazione o prato di speranza? (pittura digitale di Francesco Galgani, 10 dicembre 2020)