La nostra natura umana ha una percezione delle cose visibili mediante la vista.
L'individuo ha una rappresentazione visiva della realtà.
Tra le tante cose che guardiamo ci sono anche le immagini, ognuna sul suo supporto fisico (fotografia, quadro, schermo, etc.).
Allora che cosa è un'immagine? E' una ricostruzione della rappresentazione visiva della realtà.
La fatica di leggere la parola non può competere con la facilità di guardare una immagine che è immediatamente percepita e memorizzata, mentre leggere è vedere dei simboli scritti che vanno però decodificati ed interpretati.
Allora “Cogito ergo sum” è sostituito da “Video ergo sum”, io vedo dunque sono?
Per rispondere bisogna fare alcune distinzioni e considerazioni per scoprire cosa nasconde l'uomo dietro le immagini viste, ovvero bisogna cercare di capire l'invisibile all'ombra delle immagini. (Secondo Jung l’Ombra è la somma di quelle caratteristiche personali riprovevoli che l’individuo desidera rimuovere o nascondere agli altri e a se stesso.)
Guardare, volgere intenzionalmente lo sguardo su qualcosa o qualcuno non è la stessa cosa di vedere. Guardare è solo l'inizio di un processo, implica di essere uno spettatore che è nella condizione di vedere qualcosa o qualcuno. Si può guardare ma non sempre si vede.
Vedere significa percepire qualcosa o qualcuno mediante la vista cioè prendere cognizione di una realtà esterna attraverso il senso della vista.
Il primato delle immagini nella comunicazione globalizzata produce il prevalere del visibile sull'intelligibile, il prevalere del consumo delle immagini rispetto alla conoscenza razionale, che porta ad un guardare senza capire. L'uomo diventa così spettatore e consumatore di immagini.
Come ci insegna Debord, lo spettacolo, come tendenza a far vedere attraverso differenti mediazioni specializzate il mondo che non è più direttamente percepibile, trova normalmente nella vista il senso umano privilegiato, che in altre epoche fu il tatto; il senso più astratto, più mistificabile, corrisponde all'astrazione generalizzata della società attuale.
Il prevalere del vedere, come già accennato, a discapito delle altre forme sensoriali, delega la propria soggettività alla forma-spettacolo in maniera irreversibile, abdica se stessa a vantaggio della proiezione dei propri sogni nello spettacolo.
Restare semplici spettatori senza una elaborazione delle cose viste, rende l'inganno visivo più efficace e quindi più pericoloso, poiché l'apparire prevale sull'essere.
Lo spettacolo è l'affermazione dell'apparenza e l'affermazione di ogni vita umana, cioè sociale, come semplice apparenza.
Là dove il mondo reale si trasforma in semplici immagini, le semplici immagini diventano degli esseri reali, e le motivazioni efficienti di un comportamento ipnotico.
Nell'insieme delle sue forme particolari, informazione o propaganda, pubblicità o consumo diretto dei divertimenti, lo spettacolo costituisce il modello presente della vita socialmente dominante.
Sempre secondo Debord, più la necessità viene ad essere socialmente sognata, più il sogno diviene necessario. Lo spettacolo è il cattivo sogno della moderna società incatenata, che non esprime in definitiva se non il proprio desiderio di dormire. Lo spettacolo è il guardiano di questo sonno.
Il perché l'uomo si è ritrovato in questa situazione sociale, possiamo tentare di spiegarlo facendo riferimento alla mitologia greca. La società dell'immagine si impone quando si incrociano i miti di Prometeo, Narciso e Morfeo, forme primitive alla base degli archetipi dell'uomo.
(L'Archetipo è una rappresentazione mentale primaria contenuta nell’inconscio collettivo che si manifesta in simboli universali presenti in tutte le culture ed in ogni epoca storica, è il pensiero primordiale, è l’esperienza universale di comportamento le cui tracce si possono ritrovare nei miti, nei sogni, nelle favole.)
Il mito di Narciso che si innamora della sua stessa immagine riflessa in uno specchio d'acqua, è un sentimento esagerato della idealizzazione dell'immagine di sé, una evidente concentrazione su se stesso negli scambi interpersonali.
Il mito di Prometeo, il Titano che rubò agli dèi il fuoco, simbolo della conoscenza e del progresso, per darlo agli uomini, cancella ogni limite naturale ai desideri dell'uomo.
Morfeo, figlio di Ipno e di Notte, dalla sua etimologia risulta colui che fa prendere forma al sogno di chi è addormentato, per donargli nel buio della notte le illusioni realistiche delle immagini che caratterizzano i sogni.
L'uomo postmoderno quando si innamora della sua immagine riflessa (Narciso), e la potenza creatrice della sua conoscenza (Prometeo) usa la tecnologia per dare forma visiva ai sogni (Morfeo), altera la realtà vissuta, vivendo in una spettacolarità dove l'apparire prevale sull'essere.
Tuttavia questa esaltazione dell'apparenza camuffa sempre di più l’identità personale fino a far perdere all’individuo la sua dimensione vera.
È l’apparenza che guida e trascina il desiderio. Il desiderio è fondamentalmente desiderio di essere riconosciuto dagli altri, ma il riconoscimento nella tecnomediazione riguarda l'identità apparente, in particolare quella digitale. La medialità spettacolare si nutre così della colonizzazione del desiderio dell'uomo e l'identità apparente diventa altro rispetto all'autenticità dell'essere.
Nel sistema mediale visivo la capacità di fare esperienza si è separata dall’incontro reale dell'altro.
Il sistema mediale spettacolare sostituisce interamente il mondo sensoriale con una selezione delle immagini, una virtualizzazione generale del mondo della vita.
Il sequestro dell’esperienza dai contesti spazio-temporali della nostra vita quotidiana va di pari passo con la diffusione di esperienze mediate dalla tecnologia, dove "l'illusione dell'incontro virtuale” si confonde con le esperienze che la maggior parte di noi vive di rado in prima persona.
La vita sociale viene percepita da parte di molti soggetti come una continua rappresentazione visiva, grazie ad una iperconnessione continua, ormai costitutiva della quotidianità.
Baudrillard vede le società postmoderne come società dominate dalla simulazione e dall’iperrealtà mediale in cui l’immagine è vincente negli spazi di realtà fantasmatiche.
Internet amplifica le relazioni mediate dalle immagini virtuali. La socialità virtuale è una dimensione simulativa, un surrogato della vita, contrassegnato da un'alterazione, diminuzione o aumento della realtà.
Internet può essere considerato come un grande mare aperto dove è interessante navigare, ma che comporta dei rischi di perdersi e naufragare in questo immenso mare di informazione.
Alcuni preferiscono il piccolo cabotaggio, navigazione da porto a porto, navigazione generalmente sottocosta meno rischiosa quindi rispetto ad esempio alla traversata in mare aperto.
Molti, utenti dei social network corroborati da continui selfie, preferiscono non uscire dal porto, si agitano compiaciuti sulle loro barche a rimirare le proprie immagini riflesse nell'acqua del mare.
La società dello spettacolo diviene quindi società dell’audience in cui “si guarda e si è guardati”, in cui tutti si sentono spettatori ed attori ed in cui la preoccupazione prevalente è quella del come mostrarsi nei social-network, nascondendo la propria identità personale all'ombra di quella virtuale, vivendo il mondo come uno spettacolo reale.
L'agire dell'individuo che guarda in modo frenetico soprattutto immagini inerenti alla sua vita in rete, si riduce ad essere spettatore di se stesso, sembra ricordare un famoso monologo di Shakespeare:
“Spegniti, spegniti, breve candela! / La vita è un'ombra che cammina,/ un povero attore/
che si agita e si pavoneggia per la sua ora sulla scena/ e poi non si è più sentito. /
E' una racconto/ detto da un idiota, pieno di rumore e furore/ che non significa nulla»”.
L'unica traccia che resta è la sua impronta digitale utile alla personalizzazione dei prodotti come “riconoscimento di identità” e non come fornitura di merci e/o di servizi.
Non avendo più il desiderio della coscienza (di sé) e nemmeno la coscienza del desiderio, l'individuo lasciato solo diviene incapace di riconoscere la propria vita reale, di fare i conti con la sua ombra, invece di liberarsi dalla falsa coscienza guardando con spirito critico dentro se stesso, riesce solo a nascondersi dietro la sua immagine virtuale ed il suo apparente profilo utente.
Parafrasando Shakespeare possiamo dire:
Spegniti, spegniti, breve candela! / La vita è un'ombra che cammina, / accanto al profilo apparente in rete, / abbagliato dalla luce delle sue immagini virtuali, / un povero attore / si agita e si pavoneggia per la sua ora sulla scena digitale / e poi non si è più visto. /
E' un racconto / detto da un idiota, pieno di rumore e furore/ che non significa nulla.
(Giulio Ripa, 16 novembre 2015)