La pratica di più tradizioni spirituali può suscitare dubbi e perplessità, specialmente in contesti in cui religioni diverse tendono a escludersi a vicenda. Molti culti, infatti, enfatizzano l’idea di una verità esclusiva, lasciando intravedere il rischio di una dissonanza cognitiva per chi sente l’esigenza di affidarsi a pratiche provenienti da più fedi. Il Mahatma Gandhi ha fornito un esempio concreto di come tale conflitto interiore sia superabile con serietà e compassione: il suo ecumenismo spirituale ha mostrato che religioni diverse possono essere viste come vari sentieri verso un’unica meta.
In Gandhi, si riscontra la consuetudine di pregare e meditare attingendo alle più svariate fonti: Bhagavad Gita, Corano, Bibbia e altri testi sacri. La coesistenza di questi percorsi apparentemente disomogenei non costituiva un ostacolo, bensì un arricchimento. La pratica simultanea di più religioni non era per lui un problema interiore, poiché egli sosteneva che l’essenza della verità risiedesse in tutti i cammini spirituali, considerati espressioni molteplici di un unico principio divino. Questo atteggiamento “e… e…” si opponeva a qualsiasi forma di settarismo, invitando a superare la visione “o… o…” nella quale una verità esclude l’altra. Gandhi non credeva in una superiorità di una fede sull’altra, ma piuttosto in una complementarità delle tradizioni spirituali.
Al centro di tale prospettiva si colloca il concetto di Sarva Dharma Sama Bhava, espressione traducibile come “tutte le religioni sono uguali (o equivalenti)”. Ciò indica la convinzione che ogni fede racchiuda, pur con accenti diversi, un valore universale. In Gandhi, Sarva Dharma Sama Bhava andava oltre la mera tolleranza o il rispetto formale: diventava la certezza che la realtà divina possa essere contemplata e venerata in forme molteplici, senza che ciò susciti gelosie celesti o gerarchie morali. Ogni formula devozionale, ogni rito e ogni testo sacro venivano onorati come strumenti legittimi per vivere la spiritualità, sempre riconducendola a un comune denominatore di amore, verità e compassione.
La pratica simultanea di più religioni, nella visione gandhiana, si trasforma così in un’occasione di incontro e condivisione: l’essere umano non risulta frammentato da riti e preghiere di provenienze differenti, ma arricchito dalla complementarità delle varie tradizioni. Questo genere di percorso non richiede di rinunciare al nucleo profondo di una singola fede; piuttosto, implica una comprensione più ampia della verità, alla cui ricerca ci si può dedicare percorrendo strade diverse.
Nel ricordo di Gandhi, permane l’idea che nessun culto debba rivendicare il monopolio dell’assoluto e che la pluralità di tradizioni spirituali possa convivere senza generare attriti. Egli ha dimostrato con il proprio esempio come la sincerità del cuore e la rettitudine dell’agire siano parametri di giudizio più solidi di qualunque confine di appartenenza religiosa. L’armonia interconfessionale, ispirata al principio del Sarva Dharma Sama Bhava, incoraggia a intravedere l’unità nella diversità senza scadere in conflitti né interne contraddizioni. L’eredità gandhiana, in tal senso, rappresenta una testimonianza di come una prassi interreligiosa possa essere vissuta non solo in modo etico e coerente, ma anche intensamente sacro.
(15 aprile 2025)