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L'uomo non è il vero artefice

Nel cuore della Bhagavad Gita, un antico testo sacro indiano parte del grande poema epico Mahabharata, si cela una verità profonda che sfida il nostro comune senso di autonomia personale. Intanto leggiamo un paio di versi, poi li commenteremo:

3.27
Tutte le azioni sono compiute dai guṇa (le forze della natura); l’anima, illusa dall’ego, pensa "io sono l'agente".

18.66
Abbandona ogni altro dovere e rifugiati soltanto in Me; io ti libererò da ogni conseguenza, non temere.

Queste parole portano con sé una riflessione che attraversa millenni, con domande sulla natura dell'azione umana, della libertà e del destino.

La Bhagavad Gita, letteralmente "Il canto del Beato", è un dialogo filosofico e spirituale tra due personaggi principali: Krishna e Arjuna. Krishna, manifestazione terrena della divinità suprema Vishnu, rappresenta il maestro spirituale per eccellenza. Arjuna, il valoroso guerriero, è l'allievo che affronta una profonda crisi morale e spirituale di fronte alla guerra imminente contro i suoi stessi parenti e maestri.

L'intero testo si svolge sul campo di battaglia di Kurukshetra, poco prima di una grande guerra tra due fazioni imparentate, i Pandava e i Kaurava, per la supremazia sul regno. Arjuna, scosso e turbato dall'idea di dover combattere contro parenti e amici, mette in discussione il senso stesso del dovere, del destino e della morale. È in questo momento di dubbio esistenziale che Krishna gli impartisce insegnamenti destinati a influenzare profondamente la spiritualità e la filosofia dell'induismo.

Uno degli insegnamenti cardine che Krishna trasmette ad Arjuna è il concetto che l'uomo non sia il vero artefice delle proprie azioni. Questo non significa, tuttavia, che l'individuo sia totalmente privo di libertà o responsabilità. Piuttosto, Krishna indica che dietro ogni azione umana agiscono i guṇa, le tre qualità o principi fondamentali che costituiscono la materia e regolano l'universo. Queste tre qualità – sattva (armonia, purezza), rajas (passione, attività) e tamas (inerzia, oscurità) – determinano i comportamenti e le attitudini degli esseri viventi.

Secondo la Gita, l'illusione principale dell'uomo è credere di essere il diretto artefice delle proprie azioni, dimenticando che il vero motore delle attività è la natura stessa, governata dalle leggi divine. Quando l'uomo, guidato dall'ego, si appropria delle azioni compiute, cade in una sorta di trappola esistenziale, generando attaccamenti, desideri e sofferenze che lo imprigionano nel ciclo infinito del karma, la legge di causa ed effetto. 

Per usare una metafora, è come se un burattino (l'uomo), mosso dai fili della natura (Prakriti), credesse di danzare per propria volontà, dimenticando che il vero regista è Dio (Krishna). Quando il burattino si identifica con i suoi movimenti, sviluppa attaccamento alle azioni, alimentando così il ciclo del karma.

Ogni volta che l’uomo si identifica con le proprie azioni ("io agisco", "io godo", "io soffro"), genera attaccamento ai risultati (successo o fallimento) e desiderio di ripetere l’esperienza. Questo meccanismo crea vasana (tendenze mentali) e samskara (impressioni karmiche), che lo legano a nuove azioni future, mantenendolo prigioniero nel samsara – il ciclo di nascita, morte e rinascita. Liberarsi da questa catena richiede akarma (agire senza attaccamento), come insegnato da Krishna:

9.27
Qualsiasi cosa tu faccia, qualsiasi cosa tu mangi, qualsiasi cosa tu offra come offerta al fuoco sacro, qualsiasi cosa tu dia in dono e qualsiasi austerità tu compia, o figlio di Kunti, falla come offerta a Me.

9.28
Dedicando a Me tutte le tue opere, sarai liberato dalla schiavitù dei risultati buoni e cattivi. Con la mente attaccata a Me attraverso la rinuncia, sarai liberato e mi raggiungerai. 

Come un’onda che crede di essere separata dall’oceano, l’uomo dimentica che la sua forza deriva da Krishna, la sorgente di ogni energia.

Krishna invita Arjuna, e attraverso di lui ogni essere umano, a superare questa illusione per raggiungere una condizione spirituale superiore. Ciò non significa passività o inattività, bensì compiere il proprio dovere senza attaccamento ai frutti delle azioni. Questo atteggiamento, noto come "karma yoga", rappresenta l'agire consapevole, dove l'individuo svolge i propri compiti con impegno e dedizione, ma lascia andare il senso di proprietà personale sull'azione.

Krishna chiarisce ulteriormente questo punto dicendo che tutto ciò che accade nel mondo è, in definitiva, governato da una volontà divina superiore. Gli eventi della vita umana, inclusi successi e fallimenti, sono già inclusi nel grande disegno cosmico della divinità. Ciò non nega la libertà personale, ma invita a collocare questa libertà in una prospettiva più ampia, dove l'essere umano è chiamato a collaborare consapevolmente con il piano divino, piuttosto che lottare contro di esso.

Nell'undicesimo capitolo della Bhagavad Gita, Krishna rivela ad Arjuna una visione cosmica della sua vera forma divina (Viśvarūpa), che abbraccia passato, presente e futuro, dimostrando così come tutti gli eventi siano già predestinati:

11.13
Lì Arjuna poté vedere la totalità dell'intero universo stabilita in un unico luogo, in quel corpo del Dio degli dei.

Qui Krishna afferma esplicitamente che i nemici di Arjuna sono già stati "uccisi" dalla volontà divina. Arjuna, pertanto, è soltanto uno strumento di questa azione cosmica:

11.33
Pertanto, alzati e raggiungi l'onore! Conquista i tuoi nemici e goditi la prosperità del governo. Questi guerrieri sono già stati uccisi da Me, e tu sarai solo uno strumento della mia opera, o arciere esperto.

Questo insegnamento rappresenta una svolta radicale nella comprensione dell'azione e della libertà umana: l'uomo diventa consapevole che, pur avendo libertà di scelta a livello individuale, il risultato finale è determinato da una realtà superiore. Questa consapevolezza libera l'individuo dall'ansia per il futuro, dall'attaccamento ai risultati, e gli permette di vivere con maggiore serenità e coraggio.

La Gita afferma chiaramente che la liberazione dall'illusione di essere l'artefice assoluto porta alla pace interiore e alla realizzazione spirituale. L'ego viene ridimensionato, non più visto come il padrone, ma come un partecipante cosciente al gioco cosmico della vita.

Secondo Krishna, il vero obiettivo della vita umana non è ottenere risultati specifici o vittorie personali, ma realizzare la propria unione con il divino, superando ogni dualità e conflitto interiore. Per farlo, è necessario affidarsi completamente a Dio, liberandosi dalla paura e dalle preoccupazioni per il proprio destino.

In questo modo, l'essere umano scopre che la vera libertà consiste nella rinuncia all'illusione del controllo personale assoluto, aprendosi a una dimensione spirituale autentica e universale. La Bhagavad Gita insegna dunque che l'uomo diventa veramente libero solo quando riconosce e accetta di essere parte integrante di un disegno molto più grande, in cui la volontà divina rappresenta la vera forza motrice.

(17 aprile 2025)