Pillole di discipline psicosociali - Dalla separazione all’unità

Vorrei cominciare questa breve riflessione con due frasi tratte da alcuni insegnamenti buddisti a me cari:

«Per adesso resta calmo e guarda cosa accade. E non andare in giro a lamentarti con altri di quanto ti sia difficile vivere in questo mondo. Un simile comportamento è del tutto sconveniente per un uomo saggio.» (tratto da “I tre tipi di tesori”, lettera di Nichiren Daishonin del 1277)

«La sfortuna viene dalla bocca e ci rovina, la fortuna viene dal cuore e ci fa onore» (tratto da “Gosho di Capodanno”, lettera di Nichiren Daishonin, anno non noto)

Già queste due frasi sono sufficienti, provo solo ad aggiungere una piccola considerazione riferita alla situazione attuale di noi italiani, che nell’ultimo anno, come popolazione, siamo riusciti a fare più di quattromila manifestazioni di protesta, anche con il nobile intento di attuare una “disubbidienza costituzionale”. Eppure siamo divisi? Anche le nostre famiglie sono spaccate?

Ogni evento della vita può e dovrebbe essere letto in maniera positiva. Se l’attuale disavventura può darci una lezione, forse è proprio quella di andare verso l’unità. Al di là delle separazioni ideologiche, è fondamentale plasmare la propria indole e comportamento.

Proviamo a parlare di meno, ad ascoltare, a non tentare di imporre una idea (anche perché sarebbe controproducente), a scoprire una “fiduciosa attesa” nell’apertura del cuore e dell’intelletto nostra e altrui, nell’accoglienza, nella pazienza.

Ragionare in “giusto e sbagliato” è una trappola, è la base di tutte le guerre e il rafforzamento proprio di ciò che si desidera combattere. E’ il contrario dell’unità, dell’amore, del rispetto, della conoscenza.

(9 agosto 2021)

Pillole di Buddismo - La non-realtà delle notizie di attualità

Per quanto ultimamente preferisca non entrare nei dettagli dell’attualità, giacché questa abitudine m’è passata da un po’ di tempo (come avranno notato i miei lettori affezionati), non significa che non sia consapevole delle notizie che circolano e delle brutte forme-pensiero da esse alimentate, soprattutto quando le decisioni di chi è al potere ci toccano personalmente.

La comunicazione di massa è costruita in modo da elicitare il più possibile i sei mondi inferiori (di cui ho parlato in “Pillole di Buddismo - Dieci Mondi - Aiutare gli eventi a svolgersi in una direzione positiva”) e, poiché in tali mondi è impossibile vedere la realtà per «ciò che è», ne segue che tutta la rappresentazione mass-mediatica della realtà è un’illusione.

Per svegliarci dal sonno dell’illusione, ogni tanto in questo mondo sono di passaggio alcuni maestri. Come ha scritto una cara amica: «[…] il maestro di Nazareth e molti altri sono LA SOLA REALTÀ SOSTANZIALE di questa vita e oltre, tutto il resto è una prova per testare la saggezza e la verità dell'anima di ciascuno… […]». Fondamentalmente sono d’accordo sul fatto che la visione del mondo dei maestri dell’umanità sia l’unica corrispondente a «ciò che è». Qualcuno ricorda la caverna di Platone?

Secondo me, questi nostri tempi sono un periodo eccellente per la ricerca spirituale e per riscoprire i maestri, i filosofi e tutti coloro che hanno avuto una visione delle cose molto più ampia della nostra. Non credo che i problemi che loro hanno vissuto nelle loro società e nelle loro epoche fossero minori dei nostri, anzi.

Per esprimermi in termini a me familiari, quando ascoltiamo le notizie (e in qualunque altro momento), non facciamoci demolire dai dieci eserciti del Re Demone: loro sono fragili, non noi.

Questi dieci eserciti sono elencati nel “Trattato sulla grande perfezione della saggezza”: è un voluminoso commentario al “Sutra della grande perfezione della saggezza”, tradizionalmente attribuito al maestro Nagarjuna (150 - 250). Attualmente esiste solo la versione cinese tradotta da Kumarajiva (344 - 413). Quest’opera spiega, fra gli altri, i concetti di saggezza, di vacuità o non sostanzialità, l’ideale del bodhisattva e le sei paramita (cioè le pratiche che i bodhisattva mahayana devono osservare per ottenere l’illuminazione, ovvero l’abbandono dell’illusione). Contiene anche concetti derivanti dal Sutra del Loto e da altri sutra mahayana ed è considerata una delle più importanti opere del pensiero mahayana. Nel trattato, i dieci eserciti compaiono in questo ordine (i termini variano in base alle traduzioni, riporto fra parentesi sinonimi e parafrasi per maggiore chiarezza):

1) avidità (piacere dei sensi, desiderio);
2) preoccupazione (tristezza, depressione);
3) fame e sete (condizione di bisogno, povertà materiale);
4) amore dei piaceri (bramosia, attaccamento al piacere);
5) sonnolenza e apatia (indolenza, indifferenza d’animo, inerzia, pigrizia, sonno o stanchezza ben oltre le necessità fisiologiche);
6) paura (il contrario del coraggio, è la scelta di “volare basso”);
7) dubbio e rimpianto (dubbio inteso come “non fiducia” nella parte illuminata, o buddità, di se stessi, degli altri e di tutto l’ambiente, da non confondere con il sano e auspicabile dubbio che alimenta lo spirito di ricerca);
8) rabbia (presunzione, ingratitudine, collera);
9) brama di fama e ricchezza (guadagno materiale, onore, soldi, potere);
10) arroganza e disprezzo per gli altri.

A ben guardare, tutti questi dieci eserciti corrispondono a condizioni esistenziali proprie dei sei mondi inferiori. Quindi è tutto un inganno.

Ma la preghiera è più potente di tutti questi eserciti. Proprio per questa ragione, il Re Demone appare per far smettere di pregare, fiaccare lo stato vitale, indebolire la fede. «Quando incontra qualcuno che ha rivolto il suo cuore al bene, cerca di ostacolarlo» (frase tratta da “Lettera ai fratelli”, scritta dal maestro Nichiren Daishonin). Eppure la sua apparizione è proprio il segno della crescita. Se non stessimo attraversando profondi cambiamenti non ci sarebbe alcun motivo valido, per lui, di farsi vivo e (tentare di) sbarrarci la strada.

Nessuno di questi eserciti, di per sé, è negativo, sono tutti aspetti della vita necessari: non è la loro presenza nella nostra vita ad essere negativa, bensì è la ragione per cui appaiono queste forze a renderle “demoniache”, nel senso di “padrone di noi”. Ad esempio, la tristezza diventa un esercito del demone quando si mangia la voglia di credere e di pregare. Oppure, quando la paura diventa un esercito di pensieri infidi e potenti, scatena un potere devastante e disumanizzante. Ancora, c'è l'esercito del dubbio e del rimpianto quando la testa si riempie di «se avessi fatto, se avessi detto»: mille pensieri con la faccia rivolta all'indietro, che ingabbiano la fede, fermano la preghiera. E così via per gli altri eserciti.

Il Re Demone è molto a suo agio nel nostro tempo, che è governato dall'esaltazione degli eccessi, profondamente imbevuto di una cultura che premia il disprezzo e la voglia di dominare gli altri, un tempo che coltiva ogni forma di attaccamento al piacere, incoraggia il desiderio di accumulare quanto più denaro possibile, e fa sentire molto fieri di cavalcare desideri e privilegi. La natura demoniaca del potere è proprio questa: utilizzare questa nostra ignoranza e spingere a guardare la vita con disprezzo, e a usare gli altri per i propri fini.

Ecco, quando i nostri occhi e le nostre orecchie incontrano un telegiornale ricordiamo che stiamo osservando una rappresentazione del mondo così come la vuole il Re Demone.

Ma… la nostra vera essenza non è negativa, casomai può essere oscurata dalle funzioni negative di questi eserciti. Pregando si può scoprire che gli eserciti del Re Demone sono tanto temibili quanto fragili. La felicità non sta nel non incontrarli mai (cosa peraltro impossibile), né tantomeno nello sterminarli, ma nell'avere la forza di neutralizzare la loro intenzione profonda, che è quella di sviarci e non farci credere nella dignità di ogni forma di vita e nella possibilità di tirare fuori da noi e dalle cose che viviamo il senso più autentico.

Basta aprire un libro su una frase di uno dei maestri dell’umanità e gli eserciti si faranno da parte.

(7 agosto 2021)

Pillole di Buddismo - Dieci Mondi - Aiutare gli eventi a svolgersi in una direzione positiva

Ogni giorno è un giorno buono per avere pensieri positivi e per essere grati dei doni della vita. Nel proseguo di questo articolo, vedremo come tale disposizione d’animo faccia cambiare direzione al nostro destino.

Per prima cosa, è già appurato e dimostrato che la sola disposizione mentale, anche restando fermi in meditazione o in preghiera, cambi in maniera significativa gli eventi attorno a noi. Ne avevo già parlato nell’articolo “Non crediamo a quelle forme-pensiero che tolgono energia”, referendomi nello specifico al cosiddetto “Maharishi Effect”. Nel 1978, 7.000 persone meditarono con l’intenzione di avere un effetto positivo sulla città circostante per tre settimane consecutive. Il risultato dei loro sforzi di meditazione intenzionali e collettivi fu che l’energia collettiva della città venne completamente trasformata: si ridussero i tassi globali di criminalità, gli atti violenti e le morti in media del 16%; diminuirono i suicidi e gli incidenti stradali, tenendo conto di tutti i fattori variabili; le attività terroristiche si ridussero del 72% nel corso del progetto di meditazione. Da allora sono stati condotti più di 50 studi per verificare la validità dell’Effetto Maharishi e i risultati hanno confermato l’impatto diretto che la meditazione globale ha sul mondo.

Un altro esempio del potere di ciò in cui crediamo è dato dalle “profezie che si autoavverano”, di cui avevo parlato in “Pillole di Psicologia - Il senso delle preghiere”. Nel 1948, il sociologo statunitense Robert King Merton (1910-2003), introdusse nelle scienze sociali il concetto di “profezia che si autoadempie”, definendola come «una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità». Merton trasse ispirazione dalla formulazione che un altro celebre sociologo americano, William Thomas (1863-1947), aveva dato di quello che è passato alla storia come Teorema di Thomas, che recita: «Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze».

Dopo queste premesse, già dovrebbe essere evidente che prestare attenzione a direzionare positivamente pensieri e parole abbia un grande effetto benefico. Sottovalutare o negare questo fatto significa soltanto vivere in maniera meno consapevole e meno gratificante: credere che tutto dipenda soltanto dalle azioni indipendentemente dai pensieri, o al contrario dal caso o dalla predestinazione, è un atteggiamento irrispettoso verso noi stessi e controproducente.

Nella vita quotidiana, infatti, otteniamo quasi sempre risultati migliori per noi stessi e per le persone vicine evidenziando le positività, invece delle negatività. Da un certo punto di vista, la nostra disposizione interiore, o orientamento del cuore e dell’intelletto, compie miracoli, ma di solito non ce ne accorgiamo. Tutto ciò, ovviamente, a condizione che pensieri, parole e azioni vadano nella stessa direzione. Come scrissi in “Fede positiva?”, «Nulla è a caso e i nostri pensieri possono essere profezie auto-avverantesi. Le parole sono importanti ed è proprio per questo che vanno legate all'azione, altrimenti diventano parole svuotate di significato. Lo stesso vale per le parole che compongono le nostre preghiere». Per esprimere lo stesso concetto con riferimento alla fede buddista nel Sutra del Loto, il maestro Nichiren Daishonin, in una lettera del 1276, si espresse così: «Ma c’è una differenza fra i benefici del daimoku recitato da un santo e i benefici del daimoku che recitiamo noi? Per risponderti, nessuno dei due è in alcun modo superiore o inferiore all'altro. L'oro posseduto da uno stolto non è differente dall'oro posseduto da un sapiente; il fuoco acceso da uno stolto è uguale al fuoco acceso da un sapiente. Tuttavia c'è una differenza se si recita il daimoku e allo stesso tempo si va contro l'intento di questo sutra» (tratto dal Gosho “Le quattorci offese”).

L’ottimismo nasce dalla fiducia nella vita, cioè in noi stessi e nel nostro ambiente: concretamente significa, volta per volta, fare scelte fiduciose in cui cuore e intelletto agiscano insieme, senza pretese e senza bisogno di esercitare alcun controllo ossessivo su noi stessi, sulle altre persone o sulle cose che accadono.

Provo a mostrare meglio questo concetto con una metafora vicina a un certo tipo di pensiero mistico che si riconosce nell’espressione «Deus sive Natura» (letteralmente «Dio ossia la Natura») del filosofo Baruch Spinoza (1632 - 1677). Per chi vuole approfondire, avevo affrontato il pensiero di Spinoza nell’articolo “Dalla tirannia incostituzionale televisiva a Baruch Spinoza”. Non voglio entrare qui nello storico dibattito teologico sulle idee di Spinoza, perché ci porterebbe fuori strada. Chiedo soltanto ai miei lettori pazienti di provare, per un attimo, a osservare la realtà con la stessa visione che questo filosofo ci ha trasmesso. Ecco, dovrebbe esserci evidente che se «Deus sive Natura», allora l’assurdità di avere lamentele, pretese, giudizi e bisogno di controllo ossessivo verso la vita equivale in tutto e per tutto a bestemmiare, cioè a giudicare Dio. Spero che questa chiave di lettura possa suscitare in tutti noi prudenza quando apriamo bocca o abbiamo atteggiamenti di lamentela o di disprezzo.

Per fare un altro esempio di saggezza interreligiosa, come riportato dal filosofo Lou Marinoff nel libro "Qualunque fiore tu sia sboccerai" (a pag. 37), secondo la cabala, che è l'insieme degli insegnamenti esoterici dell'ebraismo rabbinico, ogni situazione può e dovrebbe essere interpretata in modo positivo per celebrare ogni istante della propria esistenza.

Tornando alle vicissitudini quotidiane, l’ottimismo è, ad esempio, un fattore vitale tra i sopravvissuti ai naufragi, talvolta rimasti in balìa dell’oceano per molti giorni, in zattere aperte, esposti alle intemperie e ad altri pericoli, spesso senza cibo né acqua. Coloro che mantengono un atteggiamento positivo, e credono che saranno salvati in tempo, hanno maggiori probabilità di sopravvivere alle traversie rispetto a coloro che si disperano e abbandonano ogni speranza.

Per tutte queste ragioni, ciò in cui ciascuno di noi “crede” in un dato momento ha un ruolo cruciale nella creazione della “propria realtà”, del proprio inferno, paradiso o altro tipo di esistenza.

Non è solo una questione di fede religiosa o di altro tipo, è innanzitutto questione del “mondo interiore” in cui solitamente dimoriamo. Nella recente serie televisiva “Lucifer” (2016-2021), creata da Tom Kapinos, non è il diavolo a infliggere di propria volontà le pene, ma sono le anime stesse dei dannati a creare il proprio “loop infernale”, da cui potrebbero uscire se lo volessero, cioè liberarsi, ma non lo fanno: tale genio cinematografico significa qualcosa?

Queste che sto scrivendo sono solo parole, eppure c’è qualcosa di straordinario nel potere della nostra disposizione interiore su tutto l’ambiente circostante. Nell’audiolibro “Il dono del silenzio(a partire da 2 ore e 10 minuti circa), Thich Nhat Hanh racconta un evento realmente accaduto in un tempio vietnamita, durante la Guerra del Vietnam: i soldati francesi entrarono con le loro armi nel tempio e sentirono fin da subito una sensazione di disagio. Sentivano di non essere soli, ma non vedevano nessuno perché c’era poca luce. Usando una torcia elettrica, videro una cinquantina di monaci seduti in meditazione: lo stato d’animo dei soldati cambiò radicalmente, si sentirono assolutamente impotenti e incapaci di nuocere. I monaci buddisti non dissero nulla e continuarono la loro meditazione, i soldati rimasero turbati, se ne andarono e uno di loro in particolare cominciò a comprendere l’assurdità della guerra. Tutto ciò accadde in silenzio.

Soffermiamoci sui mondi interiori, perché la costruzione della “nostra realtà”, come ho appena accennato, dipende dal mondo in cui ci troviamo. I “Dieci mondi” (o “Dieci regni dell'esistenza”) è una dottrina buddista mahayana cinese, originatasi all'interno della scuola del Gran Maestro T’ien-t’ai (538-597), la cui biografia su Wikipedia è riportata alla voce "Zhìyǐ Tiāntái Dàshī" (è la stessa persona, ma la traslitterazione del nome cinese in caratteri latini è fatta diversamente). La dottrina dei “Dieci mondi” si diffuse, a partire dalla Cina, nei paesi influenzati dal “Canone buddista cinese”, ovvero Giappone, Corea e Vietnam. Una descrizione approfondita di questi dieci mondi richiederebbe almeno un libro (ad es. "I dieci mondi - Introduzione al Buddismo di Nichiren Daishonin" di Richard Causton, Esperia editore, 2004, fuori catalogo e difficile da trovare, oppure il più recente libretto tascabile del 2012 "I dieci mondi", ancora acquistabile e disponibile anche come ebook), qui mi limiterò ad una sintesi. Per chi vuole approfondire, segnalo la dispensa gratuita di 19 pagine, in PDF, "I dieci mondi".

Iniziamo con una immagine schematica dei dieci mondi (puoi cliccarci sopra per ingrandirla):

Dieci Mondi (Buddismo di Nichiren Daishonin)

In ordine dal più basso e negativo verso il più alto e desiderabile, troviamo:

1) Il mondo d’inferno, una condizione di disperazione nella quale siamo completamente sopraffatti dalla sofferenza, dal senso di impotenza e di impossibilità di uscire da tale sofferenza. Il termine Inferno deriva dalla parola sanscrita naraka, che letteralmente indica una prigione sotterranea. Il nome giapponese (jigoku) è composto da due caratteri che significano “terra” e “prigione”. Terra indica il luogo più in basso di tutti, e prigione lo stato in cui l’essere è legato e totalmente immobilizzato: la condizione spirituale di una persona a cui è stata tolta la volontà di vivere e di agire, che non ha più la forza né la speranza di cambiare le cose. L’energia vitale che alimenta i desideri, gli istinti, le passioni, è quasi del tutto annientata. Il tempo, nel mondo d’Inferno, sembra non passare mai. Quando la forza vitale si indebolisce, il flusso vitale quasi si interrompe e lo scorrere del tempo appare lentissimo.

2) Il mondo degli spiriti affamati (mondo di avidità o mondo di fame) è uno stato in cui siamo dominati da un desiderio illusorio che non potrà mai venire definitivamente appagato. “Fame” deriva dalla parola sanscrita preta che in origine significava “cadavere”, e col tempo il termine finì per essere usato per indicare un regno di infelicità, come l’inferno e l’animalità, in cui si può cadere dopo la morte. Preta significa anche “spirito ancestrale”; in India si credeva che molti spiriti degli antenati fossero affamati e avidi di cibo, per questo si cominciò a chiamare i morti “spiriti affamati”. Chi sperimenta questa condizione è schiavo dei desideri, non si gode la vita perché gli manca sempre qualcosa. Con la conseguenza di sentirsi perennemente insoddisfatto e frustrato. Potremmo definire l’avidità come il desiderio di riempire a tutti i costi un senso di vuoto interiore: molte delle cosiddette sindromi della mancanza, come gli attacchi di bulimia, le crisi di astinenza, la possessività e la gelosia possono ricondursi a questo stato vitale. Rispetto al mondo d’inferno, lo spazio vitale è leggermente più grande, anche se di poco. Non si è più in una condizione di totale schiavitù e disperazione ma si ha una ragione per cui vivere.

3) Il mondo degli animali (mondo di animalità o mondo di stupidità), una condizione basata sugli istinti. In origine il termine (giapponese chikusho) si riferiva alla condizione propria degli animali. “Stupido” è chi non usa la propria intelligenza e la propria coscienza, prerogative dell’essere umano; chi non si chiede mai il perché delle cose, chi non si assume la responsabilità delle proprie azioni. Il mondo di animalità segue la legge del più forte, la logica della guerra. L’esplosione di rabbia irrefrenabile, il raptus omicida, come pure la paura paralizzante, l’attacco di panico, possono tutte essere manifestazioni del mondo di animalità.

4) Il mondo degli asura (collera), uno stato caratterizzato dal bisogno irrefrenabile di controllare, prevaricare e dominare gli altri, convinti della propria bontà e saggezza o, per dirla in altri termini, della propria superiorità; chi si trova in questo stato collerico può comportarsi anche in maniera molto pacata, senza esternare rabbia, ma posizionando se stesso o se stessa sopra un piedistallo rispetto agli altri (anche in maniera inconsapevole). “Collera” (giapponese shura) deriva dal termine sanscrito asura, che designava in origine una categoria di divinità benevole divenute in seguito demoni litigiosi incessantemente in lotta con gli dèi. T’ien-t’ai ne fa una descrizione precisa nel Maka Shikan: «La persona nel regno di Ashura ha un irresistibile impulso a prevalere su chiunque altro. Come il falco, che vola alto nel cielo in cerca della preda, guarda in basso verso gli altri e rispetta soltanto se stesso. Mostra superficialmente una sorta di benevolenza, di rettitudine, di correttezza, di sapienza e di fede, e può anche mostrare una forma primitiva di integrità morale, ma dentro è un mostruoso Ashura». Chi è nel mondo di collera ha un senso spropositato dell’io. L’invidia è un’altra caratteristica del mondo di collera. Si prova invidia verso chi gode di una posizione più elevata o più fortunata di noi, ma questo sentimento non induce a cercare di migliorare la propria condizione, bensì a trascinare gli altri al proprio livello. Il dramma della persona nel mondo di Collera è che vive costantemente nella paura che venga rivelata la sua vera natura.

Questi quattro mondi vengono definiti i quattro cattivi sentieri per la distruttiva negatività e l'inconsapevolezza che li contraddistinguono. La mia personale sensazione è che, quando incontro una persona che a me pare dimorare nel mondo di inferno, non soltanto un dialogo vero è molto difficile per non dire improbabile, ma la mia capacità di non lasciarmi risucchiare dalla forma-pensiero della negatività che aleggia nell'aria viene messa alla prova. Il silenzio dei monaci del tempio vietnamita sopra citato forse è assai più saggio di tante parole. Magari non servono le parole, serve altro, come saper ascoltare mantenendo uno stato vitale interiore positivo e con fede nella vita. Per quanto disperata appaia la situazione, se sentiamo che non siamo soli, ma abbiamo un legame con gli altri e con il mondo, riusciremo sicuramente a risollevarci e a reagire. Queste sono le mie impressioni, l'incontro con il mondo di inferno è sempre difficile. Andiamo avanti nell’elencazione dei mondi:

5) Il mondo degli esseri umani (umanità) è uno stato di tranquillità, nel quale appare la capacità di ragionare e di discernere; pur essendo alla base della nostra identità di esseri umani, questa condizione comunque vive di un fragile equilibrio, facilmente scivola verso uno dei mondi bassi quando appare una situazione negativa; è una tranquillità nella quale non stiamo lottando, né perseguendo alcun ideale. Il mondo di umanità è un trampolino di lancio, una possibilità. Solo se coltiviamo la buddità riusciamo a manifestare pienamente il nostro potenziale umano. Nel buddismo il corpo umano è chiamato “recipiente dei nobili sentieri” o “recipiente della Legge”, adatto cioè a svolgere la pratica buddista.

6) Il mondo degli esseri celesti, o mondo del desiderio, o mondo di estasi, è lo stato di gioia tipico che nasce dopo aver realizzato un desiderio o evitato una sofferenza: questo è il mondo dove dimora il Re Demone, il ladro di vita che si nutre delle nostre creazioni illusorie, dei nostri desideri e delle nostre debolezze.

I mondi fin qui illustrati sono a volte definiti i "sei mondi inferiori": la loro caratteristica è quella di essere fondamentalmente reazioni alle mutevoli situazioni esterne. In essi sperimentiamo una mancanza di vera libertà e autonomia.

Quelli che il Buddismo definisce invece i "quattro mondi nobili" rappresentano lo sforzo di vivere con integrità, libertà interiore e compassione:

7) Il mondo di degli ascoltatori della voce (mondo di studio o mondo di apprendimento) descrive la condizione di aspirazione verso l’Illuminazione, è lo stato del discepolo che ha acquisito la comprensione ascoltando gli insegnamenti del budda.

8) Il mondo dei risvegliati all’origine dipendente (mondo di realizzazione o mondo di illuminazione parziale) indica la capacità di percepire la vera natura dei fenomeni.

Questi ultimi due mondi sono talvolta chiamati i "due veicoli" in quanto le persone che manifestano questi stati sono parzialmente illuminate e libere da alcuni desideri illusori. Caratteristica di questi due stati è lo spirito di ricerca. Da un altro punto di vista, questi mondi possono essere molto incentrati sul proprio Ego, tanto che, in molte scritture, il Budda ammonisce le persone dei due veicoli per il loro egoismo e autocompiacimento. Una vera erudizione, infatti, è un bene solo quando viene messa al servizio della collettività, in particolare al servizio di coloro che non hanno potuto studiare. Proseguiamo:

9) Il mondo dei bodhisattva è lo stato di compassione nel quale superiamo i limiti dell’egoismo e ci adoperiamo per il benessere degli altri; il buddismo mahayana enfatizza la figura del bodhisattva come ideale del comportamento umano.

10) Il mondo di budda (buddità) è lo stato di perfezione e assoluta libertà, in cui si assapora un senso di unità con la forza vitale fondamentale dell’universo: quando siamo nello stato di buddità riusciamo a sperimentare qualsiasi fenomeno – comprese le inevitabili prove dolorose della vita – come un’opportunità di gioia e appagamento.

Lo stato vitale interiore della buddità, che è l’unico di reale libertà, si manifesta attraverso l’impegno altruistico e le azioni del bodhisattva. Credo che per una vita bella e realizzata ci convenga dimorare soprattutto in quest’ultimi quattro mondi nobili, prestando particolare attenzione agli inganni del sesto mondo (detto anche “sesto cielo”), perché le gioie di tale estasi sono costruire su una realtà illusoria (che da un attimo all’altro può risucchiarci nell’inferno). E’ cruciale notare che mentre per stare nei sei mondi inferiori non occorre fare assolutamente nulla, in quanto questo mondo è in mano al Re Demone e le società umane, nel loro complesso, sembrano intenzionalmente costruite per farci dimorare nei mondi inferiori, prendere dimora nei quattro mondi nobili richiede sia un impegno attivo quotidiano, sia la volontà di accogliere i demoni che spesso verranno a farci visita per riportarci nei mondi inferiori. Maggiore è la fede, maggiore è la forza dei demoni che verranno. Per una fede grandiosa può persino scomodarsi direttamente il Re Demone in persona, invece di inviare altri demoni minori… Al contrario, «[…] fintanto che una persona non cerca di uscire dal ciclo di nascita e morte e non aspira al veicolo del Budda, il demone veglierà su di lui come un genitore […]» (tratto dal Gosho “Le azioni del devoto del Sutra del Loto”).

Vorrei concludere con due frasi tratte da “Le quattordici offese”:

«[...] Gli uomini vivono in questo mondo fuggevole ove tutto è incertezza e impermanenza, eppure giorno e notte non pensano che alla quantità di ricchezza che possono ammassare in questa esistenza. Dall’alba al crepuscolo si concentrano solo su faccende terrene, senza venerare il Budda e senza credere nella Legge; trascurano la pratica buddista, mancano di saggezza e sprecano le loro giornate. Quando saranno trascinati davanti al tribunale di Yama, il signore dell’inferno, quali provviste porteranno con sé nel lungo viaggio attraverso il triplice mondo, cosa potranno usare come barca o zattera per attraversare il mare delle sofferenze di nascita e morte e giungere nella Terra della Ricompensa Effettiva o nella Terra del Budda della Luce Tranquilla? Quando siamo illusi è come se sognassimo, quando siamo illuminati è come se ci fossimo svegliati. [...]»

«[...] la felicità in questa vita non è che un sogno dentro un sogno, e che la vera felicità è quella che si trova nella pura terra del Picco dell’Aquila. Continua a praticare senza mai abbandonare la fede fino all’ultimo istante della vita e quando giungerà quel momento, ammira! [...]»

(4 agosto 2021)

Nota: per quanto riguarda i termini che ho usato per nominare i dieci mondi, trattandosi di traduzioni da testi orientali antichi, la nomenclatura varia a seconda dei traduttori e delle epoche. Ho verificato che gli stessi editori, da un anno all’altro, cambiano le traduzioni. I concetti di fondo, comunque, rimangono gli stessi. Ho fatto questa precisazione perché, ad esempio, cercando i dieci mondi su Wikipedia o su altri fonti troverete termini diversi. Io mi sono basato sulle traduzioni adottate da Esperia editore.

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