Un'analisi profetica (e vista dal futuro?) del presente

Nel video seguente (fonte), Piero Cammerinesi guarda al presente, alla contemporaneità, al primo anno di coronavirus, con uno sguardo che, seppur parziale (come parziale è ogni punto di vista), mi ha colpito positivamente perché spiega, in una maniera che guarda al senso comune ma va al di là di esso, alcune delle questioni che stanno alla base della profezia e delle indicazioni contenute nella Religione dell'Ultima Lotta. In realtà tale profezia tocca anche altre questioni di cui Cammerinesi non parla in questo video, ma ciò che lui dice sarebbe già sufficiente per mettere in seria discussione la narrazione del presente, il modo con cui si costruisce una morale e le relazioni con se stessi, con la natura, con i coinquilini umani e non di questo pianeta, con l'aberrante scienza e tecnologia del presente e con gli insegnamenti del passato. Sostanzialmente, sento di concordare con tutto quello che Cammerinesi qui espone, pur nella consapevolezza della parzialità di tale sguardo.

Da parte mia, avrei ulteriormente approfondito indagando gli aspetti più problematici, cioè le "cause". Il video, infatti, si conclude con queste parole: «E' evidente che noi andiamo incontro a questa situazione. Tutto quello che ci troviamo oggi davanti è l'effetto di quello che abbiamo fatto e continuiamo a fare, esclusivamente per ingordigia, per un senso di dispregio totale per il vivente, e con un concetto materialista e avido nei confronti della Terra. Quindi, l'uomo, sostanzialmente, andrà in questa direzione e non potrà fermarsi se non cambieranno le cause».

Appunto, le cause. Una delle questioni che potrebbero lasciare più sbigottiti, secondo me, è la "necessità" di ciò che sta accadendo, del cammino dell'umanità verso l'autodistruzione. «Questa è l'ultima possibilità, l'ultima lotta, prima che tutto venga distrutto», così disse la Saggezza Universale e queste parole riecheggiano spesso dentro di me, insieme a tutte le altre parole contenute nella Religione dell'Ultima Lotta. Tale necessità è una diretta conseguenza della mancanza di consapevolezza. Solo un salto di consapevolezza coscienziale, che di solito passa attraverso il dolore, può cambiare le "cause" dell'agire umano. Senza esperienza, non c'è consapevolezza, e senza consapevolezza nulla può essere cambiato.

Buone riflessioni,
30 aprile 2021

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Negligenza voluta, epidemia dolosa, strage di stato, azione terroristica dello stato italiano contro i cittadini? Una denuncia in procura.

Io avrei molte domande, che riguardano soprattutto le relazioni interpersonali.
La prima la rivolgo a te: perché stai leggendo questo articolo? Che emozioni (positive o negative), o assenza di emozioni, ti comunica il titolo di questo articolo? Perché?

Cosa stai cercando? Giustizia? Conferma del tuo punto di vista? O, più coraggiosamente, vuoi provare a mettere a confronto il tuo punto di vista con uno diverso?

Senti rabbia? Cosa c’è dietro questa rabbia? Oppure senti altro?

Il senso di queste mie domande è quello di porre attenzione alle emozioni e alla qualità delle relazioni interpersonali che ne conseguono: una persona rabbiosa, o che abbia molto risentimento, o che si senta nella condizione di dire agli altri cosa devono o non devono fare, può portare un’azione benefica nel suo ambiente o finirà con l’evocare altrettanta o maggiore rabbia negli altri?

Queste erano le premesse, seppur difficili, perché capisco le motivazioni della tanta, tantissima rabbia che sta crescendo sempre di più, in un contesto in cui le relazioni sono sempre meno empatiche e rispettose e in cui, spesso, ciascuno potrebbe sentirsi abbandonato a se stesso (spero che non sia questo il tuo caso). Secondo me, il miglior modo di guardare a questa denuncia è con pace interiore e senza pretesa di avere la verità assoluta: senza pace (cioè accettazione della necessità, ovvero delle cose che accadono, in maniera sgombra da lamentele, pretese o accuse che, nel complesso, spesso sono maniere velate di bestemmiare) e senza umiltà, si rischia di sprecare un sacco di energie e di tempo senza ottenere nulla.

In una denuncia del genere, ovvero del singolo cittadino contro lo stato, qual è il confine tra senso civico, dovere morale, voglia di protagonismo o arroganza di sentirsi migliori o prescelti per fare qualcosa che pochi altri stanno facendo? Stiamo attenti, il mio invito è alla prudenza, al di là che il contenuto della denuncia sia condivisibile o meno.

Un approccio equilibrato potrebbe essere quello di usare questa denuncia per imparare qualcosa di nuovo. Tra l’altro, molte affermazioni in essa contenute sono corredate da link di approfondimento.

Gli argomenti trattati sono:

  • «L’epidemia di Covid-19 era prevista ed ampiamente anticipata»,
  • «Gli esperimenti “gain of function”»,
  • «Piena consapevolezza delle Autorità sanitarie internazionali e italiane dei rischi pandemici»,
  • «L’allarme coronavirus diffuso dall’OMS e la colpevole inerzia del Governo»,
  • «Mancato aggiornamento del Piano Pandemico (PP) 2006»,
  • «Disapplicazione delle azioni prioritarie previste dal Piano Pandemico 2006»,
  • «La vicenda delle autopsie»,
  • «Le cause del terrore: errori diagnostici, inadeguatezza terapeutica soprattutto domiciliare e notizie allarmistiche»,
  • «Autorità sanitarie: non c’è alcuna cura per Covid-19 – la realtà scientifica: esistono cure domiciliari molto efficaci»,
  • «Farmaci efficaci utilizzati dai MMG e altri clinici per la cura di Covid-19»,
  • «Minerali, vitamine e nutraceutici: prevenzione e cure adiuvanti di Covid-19»,
  • «Ostracismo delle Autorità sanitarie a farmaci e a integratori di sostegno»,
  • «Elementi critici sull’ efficacia e sicurezza dei vaccini anti Covid e della campagna vaccinale di massa in corso di pandemia»,
  • «Le misure restrittive più severe producono danni sociali e sanitari sproporzionati e non sono efficaci»,
  • «L’accertamento dei fatti esposti e l’individuazione dei responsabili».

Qui c’è il testo completo: Denuncia-Gestione-Covid.pdf
Sito di riferimento da cui l’ho scaricato: http://www.riapriamolitaliainsalute.it/

Buona lettura e buono studio,
28 aprile 2021

Rendersi liberi

Libertà e assenza di giudizio personale, fondamentalmente, sono la stessa cosa. La questione, però, non è così semplice, perché le stesse parole “libertà” e “giudizio” hanno accezioni che cambiano in base a te che stai leggendo, al contesto culturale in cui ti trovi, alle tue esperienze di vita, al senso di connessione che hai con te, con la vita, con gli altri. Per tale ragione, la libertà di cui sto parlando non è definibile in modo concettuale, ma può soltanto essere esperita quando l’anima è pronta: libertà, in questo contesto, diventa sinonimo di pace, di fiducia, di interconnessione. Dal momento però in cui asserisco che non posso definire con le parole ciò di cui sto tentando di parlare, il testo che sto scrivendo diventa quindi possibile, anzi probabile, fonte di fraintendimento. Tra l’altro, se hai già letto i miei ultimi scritti, potresti chiederti cosa possa esserci di nuovo in quest’ultima mia stesura.

In effetti, già il fatto che parta da un presupposto di incomunicabilità e che mi rivolga direttamente a te, sono già passi ulteriori rispetto agli altri miei scritti. Ma questa incomunicabilità come la risolviamo? Semplicemente, non la risolviamo: se ti senti in sintonia con quello che sto scrivendo, allora hai già capito e non c’è bisogno di troppe spiegazioni, se invece “non ti risuona”, c’è sempre la speranza che ciò che adesso ti appare in modo confuso domani possa sembrarti molto più chiaro e sensato (ma senza pretesa, da parte mia, che lo sia). Tutto ciò, però, porta ad un ulteriore problema: la comunicazione si fa almeno in due, alla pari, e i significati si costruiscono insieme, qui invece sto scrivendo da solo. E quindi? E quindi lascio accesa la fiammella della speranza che le mie parole non rimangano come lettera morta, ma come vite vive che possano incontrarsi: magari un giorno io e te ci incontreremo o reincontreremo, qui o altrove, in questa vita o in altre, e nel frattempo queste riflessioni che sto scrivendo potrebbero aver già lasciato elementi di unione. Come dicevano gli antichi, e con un’accezione ben diversa da quella contemporanea: «Verba volant, scripta manent», ovvero: la parola scritta rimane dove si trova, non va da nessuna parte e quindi serve a poco; le parole dette a voce, a tu per tu, possono arrivare invece molto lontano nel tempo e nello spazio, perché “volano”, e quindi lasciare qualcosa di molto più profondo e duraturo. Io non posso far “volare” da solo le mie parole come in quest’accezione (piuttosto inconsueta) della citazione latina, ma possiamo farlo insieme e, nel farlo, già non sarebbero più “mie” parole, ma “nostre” (il che già sarebbe molto meglio e auspicabile). I “miei” pensieri e sentimenti non sono in realtà “miei”, ma sono entità che viaggiano e che ci attraversano: da quali pensieri e sentimenti vogliamo farci attraversare? Cosa vogliamo contribuire a diffondere?

Dopo queste premesse, che già potrebbero averti dato un po’ di disorientamento (ma che sono funzionali al proseguo), vorrei tornare all’argomento espresso all’inizio, cioè alla libertà.

Per favore, fermati un attimo sulle ultime cose che ho scritto: i pensieri e i sentimenti non sono nostri, ma sono entità che viaggiano, che si spostano da una persona all’altra, pur con il contributo di ciascuno di noi. Ci sei? Stai entrando in questa visione? Dovrebbe già essere l’inizio dello smontaggio del proprio ego separativo, per chi ancora non l’avesse smontato.

All’inizio ho scritto: «Libertà e assenza di giudizio personale, fondamentalmente, sono la stessa cosa». Ti suona o non ti risuona? Provo a esplicitare meglio questa frase, per quanto mi è possibile.

In sintesi: pace e accettazione incondizionata (cioè senza giudizi personali) della volontà del tutto, o volontà divina, o volontà della vita, o volontà della rete di Indra, o necessità (cinque modi diversi di nominare la stessa essenza), sono la stessa cosa. Da questo punto di vista, le sofferenze e le bellezze di questo mondo, le sue assurdità e i suoi misteri (belli e brutti) sono una necessità. Già, ma una necessità per... cosa? Dal mio punto di vista, sono una necessità per allenare la capacità di amare. Tale allenamento va di pari passo con il miglioramento della nostra consapevolezza e dei nostri rapporti. Ovviamente il presupposto di base per tutto ciò è che ci sia piena fiducia nella vita e nelle cose che ci propone, soprattutto in quelle cose che vanno al di là della nostra comprensione.

Il precedente paragrafo in corsivo è un po’ denso, se ti va ti suggerisco una pausa.

Se te la senti di andare avanti, vorrei ora chiederti di mettere a confronto la visione delle cose che ti ho finora suggerito con il breve testo seguente che, in tempo di coronavirus, circola spesso sui social per evidenziare che le attuali politiche governative, più o meno a livello planetario, servono per renderci schiavi. Mi riferisco a questi cinque punti attribuiti a Osho Rajneesh (1931-1990):

«Come rendere l'uomo schiavo in cinque passi:
1. mantieni l’uomo il più debole possibile;
2. mantieni l’uomo il più possibile nell’ignoranza e nell’illusione;
3. mantieni l’uomo il più spaventato possibile;
4. mantieni l’uomo il più infelice possibile;
5. mantieni gli uomini lontani gli uni dagli altri il più possibile».

Che te ne pare? Come ti senti? Questi cinque punti sono davvero un’analisi socio-politica della contemporaneità?

Se, dopo le tue riflessioni, vuoi conoscere anche le mie, ti dico che, pur essendo d’accordo, c’è qualcosa che non mi torna: una lettura letterale porterebbe a pensare che la schiavitù (e con essa la libertà) sia una condizione legata a scelte che non dipendono da noi (in questo caso a scelte politiche, di cui nello specifico tutte quelle fatte in tempo di coronavirus). Mi “suona” male, non è questa la libertà o la schiavitù a cui sto pensando.

Provo a riscrivere queste frasi in un modo che mi sembri più armonico e anche più responsabilizzante:

«Come rendere la tua anima libera in cinque passi:
1. mantienila il più possibile forte, cioè fiduciosa nella vita, di fronte agli accadimenti sgraditi o dolorosi: il male non viene mai per nuocere;
2. accompagna la cura delle relazioni cuore a cuore con la cura dell’intelletto, affinché l’ignoranza e l’illusione (ovvero le credenze di conoscere la realtà) lascino il posto ad uno spirito di ricerca che non pretenda di sapere;
3. lascia al tuo corpo il diritto di ammalarsi e di morire quando la volontà del tutto così desidera: l’anima ha cura del corpo e l’intelletto cerca di mantenerlo in buona salute, ma l’anima ha bisogno anche di fare l’esperienza della morte: quando vivi così, difficilmente puoi spaventarti;
4. abbi cura delle relazioni con te, con l’ambiente, con gli altri, con la vita: felicità è gioire di esistere;
5. fai quello che desideri e che più è vicino alla tua natura, alla tua sensibilità e alla sensibilità delle persone intorno a te, senza piegarti acriticamente a regole e leggi su cui la tua anima non è d’accordo».

Che te ne pare? Continua tu, se hai riflessioni da aggiungere puoi scriverle o comunque condividerle con chi vuoi. Fai di questo testo ciò che vuoi.

testo di pubblico dominio, no rights reserved,
28 aprile 2021

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