Linguaggio inclusivo di genere?
Vorrei esporre una mia breve riflessione partendo da una notizia che inizia così: «Allattamento al seno, madre, latte materno: e se questi termini sparissero per sempre dal vocabolario per essere sostituiti da un linguaggio più inclusivo? E’ quello che starebbe avvenendo in Inghilterra, [...]» (fonte tg Byoblu24, 13 febbraio 2021, a partire da 15 minuti e 30 secondi).
Ovviamente la tentazione sarebbe quella di infilarmi nella discussione etichettando come "giusto" o "sbagliato" quanto sta avvenendo, visti anche gli analoghi problemi che abbiamo in Italia con i famosi "genitore 1" e "genitore 2" al posto di "padre" e "madre". Ma, essendo il modo con cui viene trattata l'inclusività di genere sotteso a una scelta ideologica, come tale la considero e vado oltre, cercando di osservare la questione da un punto di vista più globale.
Il linguaggio crea il pensiero e al contempo lo ingabbia. Cambiare il linguaggio, o parti di esso, per volontà propria o per costrizione, vuol dire semplicemente cambiare gabbia (o almeno provarci). Stare dentro ad una certa gabbia linguistica piuttosto che a un'altra può aiutare o al contrario ostacolare il proprio percorso esistenziale di consapevolezza, può anche spostarne la direzione, ma in nessun caso potrà offrire soluzioni ai problemi di fondo della natura umana. Al massimo può renderli più o meno evidenti. Così, possiamo sopprimere la parola "mamma" per spostare l'attenzione da certi problemi verso altri, possiamo anche creare un nuovo linguaggio completamente "asessuato", ma così facendo, di certo, non avremo risolto i problemi della sessualità e dell'identità di genere, li avremo soltanto spostati, nascosti o, peggio, ne avremo aggiunti di nuovi.
Ad ogni modo, coloro che cercano di costruire un linguaggio più "empatico" verso situazioni non così semplici da gestire, hanno tutta la mia solidarietà. Io stesso, in varie circostanze, mi sono trovato nella condizione di non disporre di aggettivi che non fossero né maschili né femminili in situazioni dove qualunque scelta duale avrebbe potuto non rispettare la sensibilità di chi si trovava di fronte a me. Quindi capisco il problema. Ma il vero problema è se l'empatia, la compassione e la comprensione reciproca ci sono davvero o no, soltanto in conseguenza di esse verranno "naturali" certe scelte linguistiche piuttosto che altre. Al di fuori di questi sentimenti, tutto il resto è finzione.
(Francesco Galgani, 13 febbraio 2021)
Giulio Ripa (ritratto)
(pittura digitale di Francesco Galgani, 9 febbraio 2021)
Contagiati - L'antiromanzo di Giulio Ripa
AGGIORNAMENTO 24 marzo 2021
il link ufficiale di questo libro, sul sito dell'editore, è:
http://largolibro.blogspot.com/2021/03/giulio-ripa-contagiati.html
Chi conosce il mio blog avrà notato da anni, nell'intestazione di ogni pagina, la frase di Giulio Ripa: «La mancanza di un percorso spirituale, di valori condivisi, sono alla base di questa crisi dell'umanità. Comunicare online nella situazione attuale è solo dannoso, se nessuno più ascolta l'altro. E per ascoltare l'altro ci vuole affetto. E l'affettività non nasce da una migliore tecnologia», oltre a molti altri riferimenti a suoi scritti e a lavori condivisi disseminati nel blog.
Questo "antiromanzo", come lui lo definisce, non contiene alcuna risposta ai problemi esistenziali, però aiuta a mettere in evidenza le contraddittorietà della vita e la follia della nostra epoca, oltre a proporre alcune riflessioni filosofico-esistenziali secondo me interessanti. Buona lettura :)
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