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(registrazione realizzata da "Buddismo e Società")
Le proposte di pace - http://www.sgi-italia.org/approfondimenti/PropostePace.php
Dal 1983, il 26 gennaio di ogni anno – in commemorazione del giorno della fondazione della Soka Gakkai Internazionale – Daisaku Ikeda invia una “Proposta di Pace” alle Nazioni Unite e a personalità di tutto il mondo.
Al centro del suo pensiero si trovano riflessioni sulla pace, sulla convivenza degli esseri umani nel pianeta, sul rispetto per l’ambiente e per ogni forma di vita, sull’abolizione delle armi nucleari, della guerra e della violenza, sul rafforzamento delle Nazioni Unite.
Ikeda pone una particolare attenzione ai processi educativi: strumenti fondamentali per la formazione di cittadini che sentano il mondo intero come loro casa e siano preparati per quella che Ikeda definisce “la diplomazia della gente comune”.
Gli scritti prendono in esame tutti i problemi che l’umanità si trova ad affrontare e mettono in risalto – oltre alle possibili soluzioni – anche le basi filosofiche che possono sostenere e promuovere un radicale cambiamento.
(Su questo blog sono presenti anche la Proposta di Pace 2015 e la Proposta di Pace 2016).
Fonte originale: Buddismo e Società n.182 - maggio giugno 2017 (link all'articolo originale)
Autorizzazione alla ripubblicazione nel presente blog concessa dall'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai
Proposta di pace 2017
di Daisaku Ikeda
La solidarietà globale dei giovani annuncia l'alba di un'era di speranza
Sono trascorsi sessant'anni da quando il mio maestro, il secondo presidente della Soka Gakkai Josei Toda (1900-1958), pronunciò la sua dichiarazione per la proibizione e l'abolizione delle armi nucleari. Toda si batté al fianco del presidente fondatore, Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944), per la pace e il bene dell'umanità. Il nucleo del suo pensiero era una visione di cittadinanza globale che affondava le radici nella filosofia del rispetto per la dignità intrinseca della vita, insegnata dal Buddismo, nella convinzione che nessuno, indipendentemente dal luogo di nascita o dal gruppo di appartenenza, dovrebbe essere soggetto a discriminazione, a sfruttamento, o vedere i suoi interessi sacrificati a beneficio degli altri. È un modo di pensare profondamente in sintonia con l'appello delle Nazioni Unite alla comunità internazionale per la creazione di un mondo in cui «nessuno sia lasciato indietro».1
Lo stesso intenso sentimento spinse Toda a denunciare le armi nucleari come male assoluto, come minaccia fondamentale al diritto alla vita della popolazione mondiale, e ad auspicare la nascita di un movimento con un'ampia base popolare per la loro proibizione. L'8 settembre 1957, sotto il cielo azzurro che segue al passaggio di un tifone, egli si rivolse a circa 5000 giovani radunati nello stadio Mitsuzawa di Yokohama dicendo: «Spero che, come miei discepoli, ereditiate la dichiarazione che sto per formulare oggi e che ne diffondiate gli intenti, al meglio delle vostre capacità, in tutto il mondo».2 Oggi, dentro di me, riecheggia ancora il suono della sua voce.
Da allora i membri della Soka Gakkai in Giappone e in tutto il mondo si sono adoperati insieme a individui e organizzazioni che condividono lo stesso intento per promuovere attività volte alla proibizione e all'abolizione delle armi nucleari.
Nel contesto di una comunità internazionale in cui sta crescendo la consapevolezza della natura disumana delle armi nucleari, l'Assemblea generale dell'ONU ha adottato, nel dicembre scorso, una risoluzione di portata storica nella quale si chiede di dare avvio ai negoziati per un trattato che le proibisca. La prima di queste conferenze di negoziazione dovrebbe avere luogo a marzo presso la sede delle Nazioni Unite di New York.
Oltre alle armi nucleari, il mondo attuale ha di fronte numerose altre gravi minacce fra cui il susseguirsi pressoché infinito di conflitti armati e le sofferenze della popolazione rifugiata, in rapida crescita. Tuttavia io non sono pessimista riguardo al futuro dell'umanità, perché ho fede nei giovani del mondo, ognuno dei quali incarna la speranza e la possibilità di un futuro migliore.
Non voglio certo negare che milioni di giovani stiano vivendo in difficili condizioni di povertà e diseguaglianza, e lo dimostra il fatto che i bambini e i giovani sono in cima alla lista dei gruppi che meritano un'attenzione speciale secondo gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) dell'ONU annunciati l'anno scorso. Ma dobbiamo anche ricordare il potenziale della gioventù evidenziato nella Risoluzione 2250 del Consiglio di sicurezza dell'ONU, che sottolinea la necessità del ruolo dei giovani nella costruzione della pace.
In Trasformare il nostro mondo: l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, la risoluzione dell'Assemblea generale che stabilisce gli SDG, i giovani vengono identificati come «agenti critici di cambiamento»3, un'idea che condivido con tutto il cuore. I giovani e il loro energico impegno rappresentano la soluzione alle sfide globali che abbiamo di fronte; detengono le chiavi per realizzare gli scopi stabiliti dall'ONU per il 2030.
In questa proposta intendo concentrarmi particolarmente sul ruolo dei giovani e suggerire alcune riflessioni relative alla realizzazione di quelle società pacifiche, giuste e inclusive di cui parlano gli SDG.
Il ruolo dei giovani nella costruzione della solidarietà
La prima questione che desidero affrontare riguarda la creazione di una solidarietà mirata alla coesistenza pacifica sull'unico pianeta che noi tutti condividiamo. A tal fine i giovani svolgono un ruolo centrale.
Nel novembre dello scorso anno è entrato in vigore l'Accordo di Parigi, un nuovo protocollo internazionale per combattere il cambiamento climatico. Era stato adottato nel dicembre 2015 e firmato dai rappresentanti di 175 paesi e territori nell'aprile 2016. La sua entrata in vigore a meno di un anno dalla sua adozione è un evento senza precedenti.
In base a tale accordo i paesi del mondo si uniscono per affrontare una minaccia comune in una maniera che prima sembrava impossibile. Questo nuovo orientamento costituisce il risultato della diffusa consapevolezza che il cambiamento climatico è un problema urgente per tutte le nazioni, riconoscimento reso più evidente da eventi climatici estremi, dall'aumento del livello del mare e da altre manifestazioni tangibili.
Se vogliamo fare progressi nell'alleviare la povertà e realizzare tutti i 17 obiettivi e i 169 traguardi inclusi negli SDG, è necessario che lo stesso tipo di consapevolezza e solidarietà venga condiviso in ogni campo.
L'ampio spettro di realtà critiche preso in considerazione dagli SDG ha fatto sì che alcuni si siano chiesti se tali obiettivi possano essere effettivamente raggiunti. Ma è importante ricordare che il gran numero di scopi esprime la misura della vastità del numero di persone che vivono in condizioni estremamente gravi: non possiamo permetterci di trascurarne nessuna. Spesso le vittime dei conflitti e dei disastri naturali, oltre che subirne gli effetti diretti, sono tormentate anche dalla sensazione di essere state dimenticate e ignorate.
L'urgenza della crisi dei rifugiati è fin troppo evidente ed è stata l'argomento centrale del Summit umanitario mondiale del maggio scorso e del Summit delle Nazioni Unite per i rifugiati e i migranti di settembre, ma in realtà una cooperazione efficace a livello internazionale continua a tardare.
Il nuovo segretario generale dell'ONU, António Guterres, ha dichiarato in un'intervista rilasciata a ottobre subito dopo la sua nomina: «Farò tutto ciò che è in mio potere [...] affinché la protezione dei rifugiati venga considerata una responsabilità globale, quale in effetti è, che non riguarda solo la convenzione sui rifugiati. Essa è profondamente radicata in tutte le culture e in tutte le religioni di ogni parte del mondo. La si vede nell'Islam, nel mondo cristiano, in Africa, nel Buddismo, nell'Induismo [...] c'è sempre un forte impegno per la protezione dei rifugiati».4
È in realtà necessaria una risposta più incisiva alla crisi dei rifugiati, e le sorgenti spirituali alle quali attingere risiedono nelle tradizioni viventi di tutto il mondo.
Quando le persone si uniscono e continuano a fare tutto ciò che è in loro potere per il bene degli altri si può trovare il modo di affrontare anche le difficoltà apparentemente più ingestibili.
Per il Buddismo il punto di partenza è lavorare al fianco di chi soffre per mostrargli come superare tale sofferenza. Il vasto corpo degli insegnamenti di Shakyamuni - definito a volte "gli ottantamila insegnamenti" - fu esposto principalmente per affrontare i problemi e le sofferenze che affliggevano individui specifici. Shakyamuni si rifiutava di porre un limite al pubblico che assisteva ai suoi sermoni e cercava invece di essere «amico di tutti, compagno di tutti».5 Perciò insegnava il Dharma a tutti coloro che incontrava.
Nel suo ritratto di Shakyamuni, il filosofo tedesco Karl Jaspers (1883-1969) afferma: «Il Budda non apparve come un maestro di conoscenza ma come l'araldo della strada per la salvezza».6
Jaspers osserva che l'espressione "strada per la salvezza" deriva da un antico temine medico indiano. E ciò che sta alla base di tutti gli insegnamenti del Budda è l'incoraggiamento, che funziona come la medicina prescritta per le specifiche condizioni di ogni malattia.
Shakyamuni esortava così i suoi discepoli e compagni: «Andate adesso, o bikkhu, errate ovunque, per il guadagno dei molti, per il benessere dei molti».7 Perciò Shakyamuni e suoi discepoli, che svolgevano costantemente la pratica di viaggiare ovunque ci fossero persone bisognose, senza distinzioni o differenze di razza o classe, erano chiamati «persone delle quattro direzioni».8
Shakyamuni aveva un'idea profonda della dignità e della preziosità della vita. Era convinto che tale dignità esistesse in ogni persona e che fosse sempre possibile far emergere le potenzialità inerenti alla vita anche nelle circostanze più ardue.
Nella società del suo tempo due erano le correnti di pensiero prevalenti. Una era una sorta di fatalismo secondo il quale il nostro presente e il nostro futuro sono interamente determinati dal karma accumulato nel passato. L'altra sosteneva che tutte le cose sono affidate al caso e che niente nella vita è il risultato di qualche particolare causa o condizione.
La visione fatalistica alimentava la rassegnazione, poiché nessuno sforzo personale poteva alterare il destino e dunque l'unica scelta era accettarlo. In pratica privava il cuore umano della speranza. L'altra visione, che non stabiliva alcun collegamento fra le azioni e il loro risultato, toglieva alle persone ogni tipo di autocontrollo, rendendole indifferenti al male che infliggevano agli altri.
Shakyamuni, quando insegnava: «Non giudicate dalla nascita ma dalla vita. Come ogni truciolo può alimentare il fuoco, un'umile nascita può generare un saggio, nobile, leale e sincero»,9 cercava di liberare le persone dalle limitazioni e dalle influenze nocive di queste due visioni.
Tutto nella vita, lungi dall'essere determinato in maniera immutabile, può essere trasformato in meglio attraverso le nostre azioni del momento presente. In tal modo il Buddismo insegna che un cambiamento della nostra determinazione interiore nel momento presente può cambiare la realtà attuale della nostra vita (giapp. in, causa), che produrrà risultati futuri (giapp.ka, effetto). Allo stesso tempo sottolinea l'importanza cruciale del "contesto delle condizioni" (giapp. en, relazione), che può plasmare potentemente l'interazione fra causa ed effetto. In altre parole, a seconda del contesto di relazioni che si formano, la stessa causa può dare origine a una vasta gamma di effetti diversi.
Secondo questa prospettiva il Buddismo incoraggia un modo di vivere in cui, con profonda fiducia nella dignità e nelle possibilità della vita, stabiliamo relazioni di reciproco incoraggiamento e amicizia con coloro che stanno per perdere ogni speranza.
Nella tradizione buddista mahayana si usa il termine "bodhisattva" per definire una persona che si dedica alla realizzazione della felicità propria e degli altri, come descrive quest'allegoria tratta dal Sutra di Vimalakirti:
«Nei brevi secoli delle malattie,
essi diventano la migliore sacra medicina.
Donano benessere e felicità agli esseri
e portano alla loro liberazione.
Nei brevi secoli della carestia,
diventano cibo e bevande.
E dopo aver alleviato la sete e la fame,
insegnano il Dharma agli esseri viventi.
Nei brevi secoli delle spade
essi meditano sull'amore,
esponendo la nonviolenza
a centinaia di milioni di esseri viventi».10
Ciò significa offrire incoraggiamento alle persone che stanno affrontando le sofferenze inevitabili della vita, quelle che il Buddismo chiama le quattro sofferenze di nascita, invecchiamento, malattia e morte. E come spiegano le parole del Sutra di Vimalakirti «poiché gli esseri viventi sono malati, anch'io sono malato»,11 essere bodhisattva significa essere mossi dall'empatia di rispondere alle gravi crisi sociali, indipendentemente dal fatto che ci riguardino direttamente o meno.
Nello stesso sutra gli effetti di questa azione compassionevole sono descritti come una "lampada inesauribile";12 la luce della speranza che accendiamo non illuminerà solo la vita della persona con la quale stiamo interagendo, ma continuerà a rischiarare anche la vita di coloro che la circondano e tutta la società.
Questo spirito del bodhisattva è il fondamento delle iniziative della SGI, un'organizzazione basata sulla fede che sostiene l'ONU e opera per la risoluzione dei problemi globali. Nel corso degli anni ci siamo impegnati in attività come il soccorso ai rifugiati e la ricostruzione dopo i disastri naturali. Il nostro obiettivo costante è consistito nella promozione dell'empowerment delle persone, da parte delle persone e per le persone.
Come la lampada inesauribile, le capacità interiori che si liberano grazie all'empowerment diventano una fonte duratura di energia per la trasformazione, una sorgente di speranza inestinguibile.
Il Sutra del Loto, che esprime l'essenza degli insegnamenti di Shakyamuni, contiene la parabola della città fantasma e della terra dei tesori.13
Una carovana sta attraversando un vasto deserto seguendo una guida che conosce bene il terreno accidentato. A un certo punto i membri della carovana sono esausti e stanno per abbandonare il viaggio, vanificando tutti gli sforzi fatti. Così la guida usa i suoi poteri magici per evocare il miraggio di una magnifica città verso la quale possono dirigersi, incoraggiandoli a perseverare finché non l'avessero raggiunta. La visione riaccende la speranza nei membri della carovana, che quando raggiungono la città hanno la possibilità di riposare. Poi, vedendo che si erano riposati a sufficienza, la guida rivela che in realtà si tratta di una città fantasma che ha fatto apparire per rincuorarli. La loro vera destinazione, cioè la terra dei tesori, è vicina, e quindi li esorta ad andare avanti insieme fino a raggiungerla.
Il tema che pervade la parabola si trova nella parole di Shakyamuni: «Raggiungere tutti insieme il luogo ove si trova il tesoro».14 Possiamo intenderle come una fiera affermazione dello spirito umano: avanzare insieme agli altri nella ricerca instancabile di una felicità condivisa, indipendentemente da quanto tale ricerca possa a tratti apparire dolorosa o disperata.
Se la consideriamo nei termini della relazione causale alla quale abbiamo accennato prima, le persone che sono cadute in uno stato di completo esaurimento (causa), e che altrimenti potrebbero non riuscire ad andare avanti (effetto), vengono rivitalizzate e messe in grado di raggiungere la meta (effetto alternativo) grazie alle parole di incoraggiamento (relazione).
Nichiren Daishonin (1222-1282), il maestro buddista giapponese che sviluppò una interpretazione unica del Buddismo basata sullo spirito del Sutra del Loto, affermò che non vi è alcuna differenza fondamentale fra la città fantasma e la terra dei tesori e che in realtà esse sono identiche. Ciò che conta non è il semplice risultato di raggiungere la terra dei tesori; è il processo, l'essere riusciti a raggiungere la terra dei tesori insieme, che ha un valore incalcolabile.
Quando la causa e la relazione, rappresentate dalla sofferenza delle persone e dall'incoraggiamento a superarla, si fondono armoniosamente, ogni passo avanti è un «istante di vita nella città fantasma» e, poiché brilla della dignità fondamentale della vita, è al tempo stesso un «istante di vita nella terra dei tesori».15
Scrivendo degli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDG), che hanno preceduto gli SDG fino al 2015, facevo notare che lo sforzo si deve concentrare non solo sul raggiungimento dei traguardi ma anche sul riportare il benessere alle persone che soffrono.16 Quando si presta troppa attenzione ai risultati numerici, si può non dare l'attenzione dovuta ai bisogni delle persone reali, e ciò può indebolire la motivazione necessaria al raggiungimento degli obiettivi.
Mi vengono in mente le parole dell'attivista argentino per i diritti umani Adolfo Pérez Esquivel: «La capacità dell'essere umano è straordinaria quando è diretta verso gli obiettivi del bene comune, della libertà e della pace».17
Esquivel sviluppò questa convinzione approfondendo i suoi legami di solidarietà con i popoli dell'America Latina che si rifiutavano di perdere la speranza per il futuro anche nelle condizioni sociali più difficili, ed espresse la sua ammirazione per le azioni della gente comune con questa immagine straordinaria: «Tuttavia, se guardiamo attentamente, vediamo che le persone - uomini, donne e giovani - senza pretendere di essere eroiche, cercano giorno dopo giorno di far fiorire un bocciolo o di realizzare un miracolo. Questo fiorire consiste nella lotta quotidiana, nel sorriso di un bambino alla vita, nel costruire la speranza, nell'illuminare i cammini e nella consapevolezza che la liberazione si trova nello sforzo».18
Nessuno degli SDG sarà facile da raggiungere ma, mantenendo una connessione empatica con coloro che lottano e si dedicano all'opera dell'empowerment, ognuno di noi può far sbocciare un fiore nel proprio ambiente più prossimo.
E nessuno più dei giovani ha in questo un ruolo cruciale.
La Risoluzione 2250 del Consiglio di sicurezza, che menzionavo prima, sottolinea l'importanza della partecipazione dei giovani alla costruzione della pace. Come essa afferma, i giovani hanno il potere di aprire nuove strade in ogni campo in cui viene data loro la possibilità di impegnarsi attivamente.
La scorsa estate, in occasione dei Giochi olimpici, le persone di tutto il mondo sono rimaste colpite vedendo per la prima volta sul campo una squadra composta da rifugiati. Le parole da essi pronunciate in quell'occasione risuonano ancora nel cuore di molti. Uno di loro ha espresso il desiderio di utilizzare l'opportunità di correre alle Olimpiadi per comunicare ai rifugiati come lui il messaggio che è possibile cambiare in meglio la propria vita; un altro, ripensando alle sue esperienze, ha detto che gli avevano dato forza e che stava correndo con la speranza che i rifugiati potessero condurre una vita migliore.19
Le loro parole trasmettevano che la vera essenza della gioventù non risiede nel passato e nemmeno nel futuro, bensì nel desiderio di fare qualcosa per il bene delle persone che vivono insieme a noi nel momento presente.
Allo stesso modo, per i giovani, la visione degli SDG di non lasciare nessuno indietro non è qualcosa da realizzarsi in un luogo lontano o in un qualche momento futuro. Gli SDG riguardano la vita presente su questo pianeta insieme ai nostri simili; ci indicano un modo di vivere fatto di sforzi quotidiani per costruire una società in cui tutti possano condividere la gioia di vivere.
Quando i giovani determinano di illuminare l'angolo di mondo in cui abitano adesso, creano uno spazio di sicurezza in cui le persone possono riacquistare la speranza e la forza di vivere. La determinazione di vivere insieme che si riaccende in questo spazio sicuro incarna l'essenza luminosa di una società globale nella quale nessuno sia lasciato indietro, e dà coraggio a coloro che, in altre comunità, affrontano difficoltà simili.
Nella mia proposta di tre anni fa sottolineavo che i giovani di oggi sono la generazione che darà forma nella maniera più consistente all'opera di realizzazione degli SDG. Proposi anche che le Nazioni Unite e la società civile lavorassero insieme per promuovere quel tipo di educazione alla cittadinanza globale in grado di liberare il potenziale illimitato dei giovani.
Perciò sono stato molto soddisfatto quando la Conferenza delle Organizzazioni non governative (ONG) affiliate al Dipartimento di informazione pubblica della Nazioni Unite (Conferenza DPI/NGO) tenuta nella Corea del sud l'anno scorso è stata intitolata: "Educazione per la cittadinanza globale. Raggiungere insieme gli Obiettivi di sviluppo sostenibile". La Conferenza, alla quale hanno partecipato molti giovani, ha adottato il Piano di azione Gyeongju, con il quale i partecipanti si impegnano a promuovere l'educazione per la cittadinanza globale.
Il vero valore di uno Stato o di una società non risiede nella sua forza economica o militare, ma in ciò che fa per le persone più colpite dalla sofferenza.
L'educazione genera azioni e iniziative che con il tempo determinano la direzione della società. L'educazione alla cittadinanza globale, in particolare, può costituire il contesto delle condizioni (relazione) che permette alle persone di rileggere qualsiasi evento si verifichi secondo una prospettiva umana condivisa, promuovendo l'intervento attivo e la solidarietà. Può incoraggiare a considerare le questioni globali in relazione alla propria vita e al proprio stile di vita, facendo emergere così le capacità interiori che ognuno possiede.
Attraverso l'educazione alla cittadinanza globale gli studenti hanno l'opportunità di:
- acquisire l'esperienza per vedere il mondo con gli occhi degli altri;
- scoprire chiaramente ciò che serve per costruire una società in cui tutti possano vivere insieme;
- collaborare alla creazione di uno spazio di sicurezza nel loro ambiente più prossimo.
Sono convinto che questo tipo di educazione possa servire da contesto catalizzatore (relazione) che permette ai giovani di far emergere il loro pieno potenziale, accelerando la spinta verso un cambiamento globale.
Superare le divisioni e la xenofobia
La seconda sfida consiste nel gettare le fondamenta di società in cui siano superate le divisioni e le diseguaglianze.
La globalizzazione avanza rapidamente e sempre più persone si ritrovano a vivere in luoghi diversi da quelli in cui sono nate. Dall'inizio del XXI secolo il loro numero è aumentato del quaranta per cento per arrivare ai circa 244 milioni attuali.20
Con il perdurare del ristagno dell'economia globale gli impulsi xenofobi si sono rafforzati, creando condizioni di vita sempre più difficili ai migranti e alle loro famiglie.
L'ex-cancelliere austriaco Franz Vranitzky affrontò questo tema tre anni fa, nel suo discorso a una conferenza interreligiosa a Vienna, facendo notare che mentre la globalizzazione e l'integrazione aumentano, la solidarietà tende a diminuire: «Nella maggior parte dei paesi europei la solidarietà diminuisce quando si tratta di migranti, di richiedenti asilo, ecc. Occorre anche dire che la maggior parte dei leader politici, quando è in gioco la loro possibilità di vittoria in campagna elettorale, purtroppo affermano: "Basta con la solidarietà ai poveri e agli stranieri!"».21
Negli ultimi anni non solo in Europa ma in tutto il mondo sta crescendo la preoccupazione per la rilevanza acquisita dai discorsi di incitamento all'odio e alla discriminazione e per le dichiarazioni politiche xenofobe.
In concomitanza con il Summit delle Nazioni Unite per i rifugiati e i migranti del settembre scorso, è stata lanciata una nuova campagna per rispondere alle apprensioni associate all'aumento degli spostamenti di persone a livello internazionale. È chiaro che ogni tentativo di risolvere tali questioni deve tener conto delle preoccupazioni legittime di chi vive nei paesi che ricevono i migranti e i rifugiati. Come evidenzia l'ONU in questa campagna, è essenziale individuare i mezzi per contrastare questa deriva xenofoba e riumanizzare il discorso sui migranti e i rifugiati, senza tralasciare tali preoccupazioni.
Quando nell'ottobre 1989 incontrai il cancelliere Vranitzky discutemmo dell'importanza degli scambi culturali e di quelli fra i giovani, ed egli affermò che «è la distanza fra i cuori che conta, non quella che si misura in numero di ore di volo».22
Mi raccontò anche di come i suoi genitori avessero offerto asilo a una coppia ebrea in fuga dalle persecuzioni durante la seconda guerra mondiale. In un periodo di forti costrizioni e repressioni a livello sociale i suoi genitori agirono coerentemente con i principi di umanità, senza fare distinzioni di religione o di etnia. Riflettendo su questa esperienza, il cancelliere concluse: «Un aforisma latino recita: "Se vuoi la pace, prepara la guerra", ma io l'ho sostituito con quest'altro, sul quale baso le mie azioni: "Se vuoi la pace, prepara la pace"».23
Il nostro incontro si svolse solo un mese prima della caduta del muro di Berlino. Nel febbraio di quell'anno il cancelliere Vranitzky aveva acconsentito a smantellare il filo spinato lungo il confine fra Austria e Ungheria, aprendo così ufficialmente la strada a quel passaggio di persone dal blocco orientale a quello occidentale che iniziò in settembre e condusse poi in novembre alla caduta del muro di Berlino.
Richard von Weizsäcker (1920-2015), primo presidente della Germania riunificata, disse che il muro di Berlino era la manifestazione di pietra di una politica che nega l'umanità.24 Non dobbiamo permettere che questa atroce divisione si ripeta nel ventunesimo secolo.
Anche se le persone provano un certo senso di rassicurazione quando sono circondate da coloro che appartengono alla stessa cultura o gruppo etnico, dobbiamo rimanere vigili riguardo al rischio che questa coscienza di gruppo, in momenti di accresciute tensioni sociali, si trasformi in discriminazione o antagonismo diretto nei confronti di altri gruppi. Prima ho fatto riferimento all'esortazione di Shakyamuni a non giudicare dalla nascita ma dal comportamento. Categorizzare e discriminare le persone sulla base di un singolo attributo è sbagliato, è fonte di divisione che indebolisce la società intera.
Nel mondo attuale c'è un'altra questione che potremmo dire abbia origine dalla stessa forza profonda da cui proviene la xenofobia: la tendenza crescente a stabilire le priorità in base alla razionalità economica guidata dal mercato. Lo possiamo osservare in molti paesi alle prese con la crisi e il suo impatto negativo ricade prevalentemente sui settori più vulnerabili della società, che si ritrovano a vivere in circostanze sempre più disperate.
Non c'è dubbio che perseguire la razionalità economica abbia liberato energie che stimolano la crescita. Ma questo è solo un aspetto del quadro complessivo: quando la tendenza a stabilire le priorità in base alla razionalità economica si cristallizza, anche valutazioni della massima rilevanza vengono compiute in modo quasi meccanico, con scarsa considerazione dei desideri e del benessere delle persone reali che vivono nella società.
Il pensiero xenofobo è alimentato da una rigida divisione del mondo in buoni e cattivi, non lascia spazio a esitazioni o scrupoli. Allo stesso modo, se la ricerca della razionalità economica non viene controbilanciata da considerazioni che riguardano l'elemento umano, si genera una psicologia diffusa pronta a esigere dagli altri i sacrifici più estremi.
Nei suoi scritti sulla giustizia sociale l'economista Amartya Sen offre alcune indicazioni importanti per riflettere su questo tema, concentrando la sua analisi sulla distinzione fra due parole utilizzate per comunicare l'idea di giustizia nell'antica letteratura sanscrita in ambito morale o giuridico: niti e nyaya.
Secondo Sen, niti riguarda la correttezza di istituzioni, norme e organizzazioni, mentre nyaya riguarda ciò che ne risulta e in particolare «la vita che le persone riescono concretamente a condurre».25 Egli sottolinea che «il ruolo delle istituzioni, delle norme e delle organizzazioni, per quanto importante, va valutato dalla prospettiva più ampia e inclusiva di nyaya, che è inesorabilmente legata al mondo che emerge concretamente, e non solo alle istituzioni o alle regole che ci capita di avere».26
Sen paragona poi la politica dell'antico re indiano Ashoka a quella di Kautilya, il principale avversario del nonno di Ashoka. Kautilya fu l'autore di una celebre opera di politica economica e i suoi principali interessi erano il successo politico e il ruolo delle istituzioni nel realizzare l'efficienza economica.
Per contro, la politica di Ashoka si focalizzava sempre sul comportamento e sulle azioni degli individui. Secondo Sen il pensiero di Ashoka incarnava la convinzione che «l'arricchimento della società si può realizzare attraverso la buona condotta volontaria dei cittadini stessi, senza bisogno di costringerli con la forza».27
La posizione di Ashoka si sviluppò grazie all'approfondimento della sua fede nel Buddismo, al quale si convertì dopo essere stato tormentato dal rimorso per la carneficina che aveva causato invadendo un altro Stato.
L'idea della Via di mezzo è alla base del Buddismo. Se la consideriamo in relazione al concetto di nyaya, essa indica un'attenzione costante e cosciente all'impatto delle proprie azioni sugli altri, avendo come criterio supremo la felicità o l'infelicità umana.
Niti, dal canto suo, occupa una posizione importante nella società contemporanea. Come mette in luce Sen, «ovviamente molti economisti di oggi condividono la visione di Kautilya di un'umanità venale»,28 dove l'enfasi maggiore è posta sui numeri, sul tasso di crescita o la massimizzazione dei profitti. Mentre i soggetti vulnerabili della società, poiché i loro interessi sono difficili da quantificare, sono spesso poco considerati se non addirittura messi da parte.
La xenofobia e i discorsi di incitamento all'odio dividono il mondo nella dicotomia "noi e loro", che di fatto corrisponde a "buoni e cattivi".
Quale ancoraggio sociale possiamo usare per resistere sia alle forze xenofobe, che aggravano le divisioni all'interno della società, sia alla ricerca di una razionalità economica indifferente ai sacrifici dei più vulnerabili? Credo che la risposta si trovi in un forte legame fra le persone, in quel tipo di amicizia che ci fa percepire l'immagine concreta dell'altro nel nostro cuore.
Per citare lo storico britannico Arnold J. Toynbee (1889-1975), con il quale ebbi occasione di dialogare a lungo: «Nella mia esperienza il solvente del pregiudizio tradizionale è la conoscenza diretta. Quando si conosce personalmente un nostro simile, di qualsiasi religione, nazionalità o razza, è impossibile non vedere che è un essere umano come noi».29
Nei miei sforzi di realizzare scambi e interazioni con persone di diverse parti del mondo, ciò che mi è rimasto dentro è un senso palpabile del valore incalcolabile dell'amicizia. Ognuno dei quasi ottanta dialoghi che ho pubblicato negli anni ha evidenziato un anelito alla pace condiviso al di là delle differenze di fede e di esperienza di vita; ognuno di essi è la cristallizzazione di un'amicizia e del desiderio comune di comunicare le lezioni della storia alla generazione emergente.
Nelle discussioni con Larry Hickman e Jim Garrison, due studiosi americani entrambi ex presidenti della John Dewey Society, abbiamo sollevato la questione delle condizioni che affrontano gli immigrati. Il tema è sorto mentre discutevamo dell'opera pionieristica dell'attivista sociale Jane Addams (1860-1935) negli Stati Uniti all'inizio del ventesimo secolo.
Dopo aver visitato la Toynbee Hall a Londra, una struttura assistenziale che fra l'altro prende il nome dallo zio di Arnold Toynbee, ed esserne rimasta colpita, Jane Addams decise di realizzarne una simile anche nel suo paese. La maggior parte delle persone che ruotavano intorno alla Hull House di Chicago erano immigrati poveri. Secondo una sua biografia, la Hull House era «una sorta di isola che offriva a molti immigrati un'opportunità di respirare un po' più liberamente. Qui potevano parlare la loro lingua, suonare la loro musica, vivere la loro cultura».30
Con l'aiuto di Addams e dei suoi collaboratori questi immigrati riuscirono a gettare le fondamenta di una nuova vita negli Stati Uniti.
Addams fu sempre motivata dalla convinzione che si crea maggior valore nell'unire insieme le persone piuttosto che nel separarle. I giovani che ella ispirò diventarono la prima generazione di ricercatori e operatori sociali. I loro studi e il loro costante lavoro sul campo permisero la riforma dell'impalcatura legale per il sostegno agli immigrati e agli indigenti.
Hickman ha fatto notare che le attività di Addams rappresentano una lezione importante per noi che affrontiamo le sfide di un mondo sempre più globalizzato. Sono pienamente d'accordo.
Una delle persone che lavoravano con Addams presso la Hull House disse che loro non nutrivano l'ambiziosa speranza di migliorare il mondo intero, ma desideravano semplicemente essere amici di chi è solo.31
Anche Addams abbracciava lo stesso credo e incoraggiava i colleghi a essere amici e buoni vicini delle persone bisognose: «Esse possono insegnarci che cosa è realmente la vita. Possiamo imparare dove fallisce la nostra pomposa civiltà».32
Le interazioni e le amicizie individuali possono toccare profondamente il cuore delle persone.
L'ex presidente indonesiano Abdurrahman Wahid (1940-2009) metteva in guardia dal farsi trascinare dalle voci che teorizzano il conflitto, che spesso si diffondono con veemenza nella società. Per molti anni il defunto presidente fu a capo di un vasto movimento musulmano in Indonesia. Egli negava l'inevitabilità degli scontri di civiltà e sottolineava che la sfida maggiore consiste nel superamento dei fraintendimenti e dei preconcetti nei confronti degli altri.33
Nel nostro dialogo sottolineò più volte l'importanza dell'amicizia. Accennò alla sua esperienza di studio all'estero e affermò di nutrire grandi aspettative nei confronti di questi scambi fra giovani: «È mio sincero desiderio che non diventino individui che pensano solo al proprio tornaconto, ma si preoccupino degli interessi della società e agiscano per promuovere la pace e l'armonia».34
Avendo sperimentato personalmente la creazione di legami di amicizia con individui di diversa provenienza religiosa e culturale nel tentativo di costruire una più ampia solidarietà per la pace, apprezzo profondamente il significato delle sue parole.
Nel 1996 fondai l'Istituto Toda per la pace globale e la ricerca politica allo scopo di perpetuare l'eredità di Josei Toda e la sua visione di cittadinanza globale e di un mondo libero dalle armi nucleari. Lo studioso della pace di origine iraniana Majid Tehranian (1937-2012), un caro amico di vecchia data, ci fece l'onore di essere il primo direttore dell'Istituto.
Il mondo non è una semplice collezione di Stati né è composto soltanto di religioni e di civiltà. Il nostro mondo, che è vivo e respira, è tessuto dalle attività di innumerevoli esseri umani, che a volte hanno alcuni tratti comuni ma non sono mai uguali tra loro.
Vedere, giudicare gli altri solo attraverso la lente della religione o dell'etnia distorce la ricca realtà che ognuno possiede in quanto individuo. Quando invece, creando amicizie a livello personale, giungiamo ad apprezzare profondamente il valore unico di ogni persona, le differenze religiose ed etniche vengono illuminate dalla nostra stima per quel particolare amico e brillano del valore della diversità.
Quando perdiamo l'orientamento, il campo magnetico dell'amicizia attiva una sorta di bussola interiore che ci aiuta anche a correggere la direzione della società quando è fuori rotta.
Questo è il ragionamento alla base degli sforzi costanti della SGI per incoraggiare gli scambi nella società civile, in particolare fra i giovani, promuovendo incontri diretti faccia a faccia dai quali può svilupparsi un'amicizia autentica. I legami di amicizia sono la base che consente di resistere alle correnti dell'incitamento all'odio quando aumentano le tensioni fra i paesi o si aggravano i conflitti fra diverse confessioni religiose. Se immaginiamo i volti dei nostri amici, decisi a non permettere che la società diventi un posto in cui non si sentano accolti, possiamo agire per trasformare il conflitto in coesistenza a partire dal nostro ambiente più prossimo. Noi speriamo di riuscire a far emergere a livello globale una generazione di persone che si dedichino alla pace, che costruiscano ponti di amicizia e interrompano le reazioni a catena dell'odio e della violenza.
E soprattutto, quando si dialoga con un amico si prova gioia. L'amicizia rende lo scambio verbale stesso una fonte di piacere e incoraggiamento, ci sostiene e fa emergere il coraggio di affrontare le situazioni più difficili.
Una marea crescente di amicizia fra le giovani generazioni non mancherà di trasformare la società. Sono fiducioso che l'amicizia fra i giovani riuscirà a invertire energicamente le torbide correnti dei conflitti e delle divisioni e darà origine a una vivace cultura di pace basata sul profondo rispetto per la diversità.
Coinvolgere i giovani e le donne negli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG)
La terza sfida che desidero affrontare riguarda la crescita della capacità delle comunità di affrontare e rispondere positivamente anche agli eventi o alle circostanze più difficili.
Sono molti gli aspetti in cui gli SDG differiscono dagli MDG, ma io considero particolarmente rilevante il fatto che siano stati adottati grazie a un notevole apporto da parte della società civile.
Nel processo di elaborazione degli SDG all'interno dell'ONU c'è stato lo sforzo di coinvolgere nel dialogo vaste categorie di soggetti direttamente interessati, fra cui le donne e i giovani. Sono stati condotti sondaggi riguardo alla priorità delle aree di intervento ai quali hanno partecipato più di sette milioni di persone, delle quali circa il settanta per cento aveva meno di trent'anni.35 Molti ambiti di intervento che hanno riportato i punteggi più alti nei sondaggi, come l'educazione, la salute e l'occupazione, sono stati inseriti negli SDG.
Nell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile si sottolinea la portata di tale iniziativa: «Milioni di persone si sono già impegnate e si impegneranno in questo programma, fatto dalle persone per le persone, e siamo convinti che ciò ne garantirà il successo».36
Nella proposta che scrissi in occasione della conferenza Rio+20 (2012), che segnò il punto di partenza per la stesura degli SDG, espressi la viva speranza che il nucleo fosse proprio questa "agenda delle persone comuni". Sentivo infatti che sarebbe stato difficile ottenere l'impulso adeguato per realizzare anche uno qualsiasi di questi obiettivi senza che un vasto numero di persone si sentisse personalmente coinvolto.
Un altro tratto distintivo degli SDG come agenda delle persone comuni è che gli obiettivi vengono approcciati in modo nuovo se ci si basa sulla consapevolezza che le questioni da fronteggiare sono «interrelate e richiedono una soluzione integrata».37 In questo senso sono diversi dagli MDG, dove temi quali l'eliminazione della povertà e della fame venivano affrontati singolarmente.
Gli SDG mirano a generare un circolo virtuoso nel quale il progresso verso la realizzazione di un obiettivo permetta di avanzare anche su molti altri fronti. Per esempio, il miglioramento della fornitura di acqua potabile (obiettivo 6) condurrà a una riduzione del numero di persone colpite da infezioni o altre malattie (obiettivo 3). E diminuirà anche il carico di lavoro delle donne, che devono trascorrere molte ore a procurare l'acqua per la famiglia; per esse dunque si apriranno nuove opportunità di impiego (obiettivo 5), cosa che permetterà loro di sfuggire alla povertà estrema (obiettivo 1) e ai figli di frequentare la scuola (obiettivo 4).
Si tratta del cosiddetto Approccio Nexus, studiato nell'Università delle Nazioni Unite e impiegato sperimentalmente in varie regioni prima del lancio degli SDG. Tale approccio mira a scoprire le interconnessioni fra i 169 obiettivi delle 17 aree comprese negli SDG e a realizzare progressi simultanei verso il loro raggiungimento.
Gli SDG riguardano anche vari ambiti che non venivano considerati dagli MDG, come il cambiamento climatico e la disparità di reddito. È importante ricordare però che tutti questi problemi in ultima analisi hanno un'origine umana e perciò devono essere risolti grazie agli sforzi umani. Se, grazie ad azioni concrete, riusciamo a realizzare un progresso sostanziale in una di queste aree, esso potrà influenzare gli avanzamenti rispetto ad altri obiettivi.
Nella tradizione buddista mahayana l'insegnamento che gli impulsi illusori, cioè le illusioni, i desideri e le sofferenze, sono essenziali per l'Illuminazione ci suggerisce esattamente il tipo di dinamismo richiesto in questo caso. È un invito a rivedere la nostra definizione di cosa sia la felicità umana. La felicità non risulta dall'eliminare o prendere le distanze dai desideri o dagli impulsi che danno origine alla sofferenza; è essenziale comprendere che l'Illuminazione - la forza e la saggezza per tracciare un cammino verso una vita migliore - continua a esistere dentro di noi anche in mezzo al dolore e all'angoscia.
Il problema non è tanto la sofferenza ma il modo in cui reagiamo a essa, il tipo di azioni che decidiamo di intraprendere per affrontarla.
Nel suo commentario a un passo del Sutra del Loto che recita: «Tale è il Sutra del Loto. Può liberare gli esseri viventi da tutti i disagi, tutte le malattie e le sofferenze. Può sciogliere i vincoli della nascita e della morte»38 Nichiren Daishonin scrive: «Dovremmo interpretare il termine "liberare" nel senso di "illuminarsi riguardo a"»39 (cioè "vedere chiaramente la natura di").Ci incoraggia a non distogliere lo sguardo dalla realtà che ci circonda bensì ad affrontarla di petto. Se comprendiamo con chiarezza la natura della nostra situazione possiamo trasformare noi stessi, così come siamo, da persone tormentate dall'angoscia a persone che creano la propria felicità. Inoltre il Buddismo insegna che queste ondate di trasformazione si propagano nel tessuto interconnesso in cui viviamo ed esercitano un potente influsso sull'ambiente circostante e sulla società nel suo complesso.
L'importanza di non farsi intrappolare da una situazione ma invece trasformarla attivamente attraverso la creazione di nuove connessioni è un tema che fu sviluppato dalla filosofa Hannah Arendt nella sua analisi di ciò che si può definire autenticamente umano (humanitas). Riferendosi al concetto di "rischio della sfera pubblica" discusso da Karl Jaspers, che era anche il suo maestro, ella sostenne che «l'umanità non si raggiunge mai in solitudine» ma «solo da chi ha esposto la propria persona e la propria vita al "rischio della sfera pubblica"».40
Arendt descrive questo rischio come l'azione di «aggiungere il nostro filo in una rete di relazioni». Pur riconoscendo che il risultato è incerto - «che ne sarà di esso non ci è dato saperlo» - ella è fortemente convinta che «questo rischio è possibile solo laddove c'è fiducia tra le persone, una fiducia difficile da esprimere ma fondamentale, in ciò che vi è di umano in tutti noi. Altrimenti un simile rischio sarebbe impossibile».41
La fiducia, come sottolinea Arendt, è fondamentale; e non solo in noi e nelle persone del nostro ambiente immediato ma anche quella di affrontare il mondo in cui viviamo senza perdere la speranza.
L'anno scorso l'Ente delle Nazioni Unite per l'uguaglianza di genere e l'empowerment delle donne (UN Women) ha presentato numerosi esempi di donne che stanno promuovendo la realizzazione degli SDG attraverso azioni a beneficio degli altri in circostanze assai difficili, all'interno del tema: «Da dove mi trovo». Una di loro, un'ingegnera solare che lavora nel suo villaggio in Tanzania, pur soffrendo di una disabilità si è impegnata a fondo per sviluppare le sue capacità e continua a impiegare le sue conoscenze a beneficio dei compaesani. Dapprima pochissimi fra gli uomini la rispettavano come ingegnera, ma dopo che ebbe installato un'apparecchiatura solare nelle loro case portandovi la luce e riparato le attrezzature rotte, cominciò a godere del rispetto di un numero di uomini sempre maggiore.
«Prima, quando il sole tramontava, il nostro villaggio rimaneva al buio, adesso c'è la luce. Proprio ora due bambini sono venuti a prendere la lampada solare che gli avevo riparato. Avevano un largo sorriso dipinto sul volto. Stanotte potranno fare i compiti».42
Credo che questo sia un eccellente esempio di circolo virtuoso che fa progredire gli SDG come agenda delle persone comuni. Attraverso l'empowerment di una singola donna, non solo le persone di un villaggio della Tanzania hanno potuto disporre di energia rinnovabile, ma c'è stato anche un visibile cambiamento nell'atteggiamento verso le donne, e i bambini hanno avuto accesso a maggiori opportunità di istruzione.
Il lavoro di questa donna, silenzioso ma di gran valore, dimostra ciò che intendeva Arendt quando parlava di "aggiungere il nostro filo a un intreccio di relazioni", di migliorare le condizioni del luogo in cui ci troviamo adesso. Qui io vedo la vera luce dell'umanità autentica.
La capacità di risolvere i problemi non è patrimonio di qualche persona speciale. È una possibilità che abbiamo tutti quando affrontiamo la realtà direttamente, assumiamo su di noi qualche porzione del suo pesante fardello e agiamo con perseveranza. La nostra capacità di superare le difficoltà emerge quando trasformiamo l'angoscia e la preoccupazione in determinazione e azione.
I giovani in particolare hanno il dono di una fresca sensibilità e della ricerca appassionata di ideali. La loro energia, insieme ai legami di fiducia che creano fra le persone, può catalizzare una reazione a catena di cambiamenti positivi.
I giovani sono al centro delle attività per la pace della SGI sin dai tempi del presidente Toda e della sua dichiarazione per l'abolizione delle armi nucleari. Questi giovani non accettano il diffuso senso di impotenza che affligge la società contemporanea e convincono le persone che le loro azioni non possono non determinare un cambiamento. Agiscono concretamente con energia e con la fiducia che le circostanze presenti sono proprio quelle che permetteranno di realizzare la loro speciale missione.
Tre anni fa i giovani membri giapponesi hanno intrapreso una campagna di pace intitolata "Azione globale Soka", impegnandosi in attività per aiutare la ricostruzione spirituale e psicologica delle regioni del Giappone colpite dal terremoto e dello tsunami del marzo 2011. Si sono adoperati per creare legami di amicizia anche con i vicini asiatici, per costruire una cultura di pace e promuovere l'abolizione delle armi nucleari.
In tutto il mondo i giovani della SGI stanno affrontando la sfida di trasformare la realtà in ambiti quali l'integrità ecologica, l'educazione ai diritti umani e la nonviolenza. Alcune attività sono legate direttamente agli SDG. Per esempio, lo scorso novembre la SGI ha co-sponsorizzato un evento dal titolo Youth Boosting the Promotion and the Implementation of Sustainable Development Goals (SDGs) (I giovani incentivano la promozione e l'applicazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile), che si è tenuto nella sede dell'ONU. David Nabarro, consigliere speciale del segretario generale dell'ONU sull'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, ha detto ai partecipanti: «Dobbiamo assicurarci che ovunque ci sia spazio per la partecipazione dei giovani a questo movimento per lo sviluppo sostenibile [...] I giovani vogliono lavorare insieme con gioia, vogliono aver fiducia gli uni degli altri».43
Le sue parole sono in sintonia con il nostro impegno per la realizzazione degli SDG. Pensare che i giovani si muovano solo di fronte a minacce immediate significa far loro un grave torto. Essi avanzano con la certezza che la gioia e la speranza si trovano nell'affrontare e superare ogni difficoltà.
Sebbene gli SDG non siano legalmente vincolanti, sono permeati della speranza di trasformare il nostro mondo. Quando un numero sempre maggiore di giovani farà della realizzazione di questa speranza il proprio voto e agirà di conseguenza, gli sforzi per raggiungere questi obiettivi riceveranno un notevole impulso.
I membri della SGI, con i giovani al centro, continueranno a impegnarsi per catalizzare reazioni a catena di cambiamenti positivi finalizzati a risolvere ogni tipo di problema, dalle questioni che riguardano le comunità in cui vivono alle minacce per il nostro pianeta.
Abolire le armi nucleari: superare la logica della deterrenza
Desidero adesso offrire proposte concrete in tre ambiti prioritari per la realizzazione di quelle società pacifiche, giuste e inclusive che costituiscono l'intento degli SDG.
- Proibire e abolire le armi nucleari
- Rispondere alla crisi dei rifugiati
- Costruire una cultura dei diritti umani
Riguardo al primo punto, nel dicembre 2016 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione di portata storica in cui richiede di dare avvio a negoziati per uno strumento legalmente vincolante che proibisca le armi nucleari. La risoluzione prevede che venga convocata una prima conferenza alla fine di marzo e un'altra fra metà giugno e i primi di luglio, entrambe presso la sede dell'ONU, e invita i governi che parteciperanno a fare del loro meglio per stipulare al più presto un trattato.
Nel mondo attuale ci sono ancora più di 15.000 testate nucleari.44 Il progresso verso il disarmo si è arrestato mentre i piani per l'ammodernamento degli arsenali nucleari progrediscono. La minaccia rappresentata dalle armi nucleari sta aumentando.
Per metterci in guardia da questo rischio il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy (1917-1963) paragonò la questione nucleare - la minaccia di una distruzione inimmaginabile per l'umanità e l'ambiente globale - a una spada di Damocle sospesa sulle nostre teste. Non si tratta di qualcosa che riguarda il passato ma anzi, come sottolinea la risoluzione dell'Assemblea generale, è una questione «della massima urgenza».45
A questo proposito vorrei formulare varie proposte.
Anzitutto, convocare al più presto un summit Russia-Stati Uniti per rafforzare il processo di disarmo nucleare. Una responsabilità molto grave pesa sulle spalle dei leader di questi due paesi, che detengono massicci arsenali nucleari che minacciano la vita di tutti e hanno il potenziale di ridurre in cenere le civiltà che l'umanità ha costruito nel corso dei millenni.
Da quando le tensioni fra i due paesi sono notevolmente cresciute a seguito della questione ucraina di tre anni fa, il raffreddamento nelle relazioni bilaterali è stato tale da essere paragonato a una nuova guerra fredda. Dall'entrata in vigore nel 2011 del Nuovo trattato START, i negoziati per il disarmo nucleare hanno subito una battuta d'arresto e ci si chiede che fine farà il trattato dal 2018 in poi, quando dovrebbe essere completato il processo di riduzione di armi nucleari stabilito in passato.
Donald J. Trump, entrato in carica come presidente degli Stati Uniti il 20 gennaio, ha chiamato il presidente russo Vladimir Putin subito dopo la vittoria elettorale e nella loro conversazione hanno concordato di mirare a un miglioramento delle relazioni bilaterali. Auspico vivamente che i leader di questi due paesi, che insieme possiedono più del novanta per cento delle scorte nucleari mondiali, si impegnino a discutere seriamente la questione nucleare e si adoperino per alleviare le tensioni.
A più di venticinque anni dalla fine della guerra fredda è ancora in vigore la politica della deterrenza e ci sono circa 1800 armi nucleari in stato di allerta elevato, il che significa che possono essere lanciate all'istante.46 Dobbiamo riflettere sul significato di questo dato.
In un recente discorso l'ex segretario della Difesa statunitense William J. Perry ha raccontato un episodio scioccante, relativo a quando era sottosegretario alla difesa nell'amministrazione Carter: nel cuore della notte ricevette dal funzionario di vigilanza la comunicazione che il Comando nordamericano di difesa aerospaziale (NORAD) aveva segnalato 200 missili sovietici in volo verso gli Stati Uniti. Si comprese subito che si trattava di un falso allarme, ma se l'informazione fosse stata veritiera il presidente degli Stati Uniti avrebbe avuto solo pochi minuti per prendere la cruciale decisione di sferrare o meno un contrattacco.47
La logica della deterrenza richiede che, pur non auspicando in alcun modo una guerra nucleare, per prevenire un attacco nemico si sia in grado di dimostrare di essere pronti in qualsiasi momento alla rappresaglia. Inoltre, per provare che non si tratta di mere parole, va costantemente mantenuta la capacità di un contrattacco immediato. In queste condizioni non si può abbassare la guardia nemmeno per un istante e la minaccia di una guerra nucleare imminente diventa un carico costante e inevitabile. Penso che ciò descriva adeguatamente la realtà della deterrenza nucleare iniziata con la guerra fredda che perdura ancora oggi.
Nel 1957, quando il secondo presidente della Soka Gakkai Josei Toda pronunciò la sua dichiarazione in cui chiedeva l'abolizione delle armi nucleari, i contorni della deterrenza andavano assumendo una forma precisa. Stati Uniti e Russia stavano testando le bombe all'idrogeno, facendo a gara per costruirne di sempre più potenti, ed era in corso un cambiamento del sistema di lancio dai bombardieri ai missili balistici.
Nell'agosto del 1957, un mese prima della dichiarazione di Toda, l'Unione Sovietica riuscì a testare con successo un missile balistico intercontinentale (ICBM) capace di lanciare e dirigere un'arma atomica contro qualsiasi località della Terra. Il 6 settembre, solo due giorni prima della dichiarazione, fallirono i negoziati per la riduzione e la proibizione delle armi nucleari che erano stati condotti per quasi sei mesi sotto l'egida delle Nazioni Unite. Il serrato dibattito tra Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Unione Sovietica e Canada non riuscì a produrre un accordo e i negoziati furono definitivamente sospesi.
Il presidente Toda identificò nella dottrina della deterrenza la ragione della corsa incessante alla costruzione di armi che potevano portare alla catastrofe dell'umanità; vide chiaramente che il motivo addotto per il possesso di armi nucleari - come deterrente per mantenere la pace - in realtà riguardava la sola protezione dei paesi detentori, mentre si rimaneva freddi e indifferenti rispetto agli immensi sacrifici imposti alla maggior parte dell'umanità.
Perciò dichiarò che il suo scopo era «mettere a nudo e strappare gli artigli»,48 cioè affrontare e superare il modo di pensare in base al quale si giustificava il possesso delle armi nucleari.
A quel tempo il duello nucleare fra Stati Uniti e Unione Sovietica veniva paragonato a quello fra «due scorpioni in una bottiglia»,49 dimenticando che in quella bottiglia c'erano anche tanti altri paesi non nucleari abitati da milioni e milioni di persone. Inoltre quel duello basato sul "pungere o essere punti" aveva messo in ombra la vera realtà della natura apocalittica delle armi nucleari, che le rende fondamentalmente diverse da tutte le altre.
Affermando che «noi tutti, cittadini del mondo, abbiamo un inviolabile diritto alla vita»,50 Toda cercò di dissolvere le illusioni che avvolgevano la teoria della deterrenza nucleare. Dichiarò che era inammissibile che un paese minacciasse tale diritto e che l'uso delle armi nucleari non può mai essere giustificato.
La teoria della deterrenza toglie alle persone la capacità di ragionare fino in fondo. I sostenitori credono esclusivamente nella sua efficacia, rifiutandosi di considerarne le conseguenze catastrofiche in caso di fallimento. Allo stesso modo si rifiutano di accettare l'evidenza che, a prescindere dalla deterrenza, potrebbe sempre verificarsi un'esplosione nucleare a causa di un incidente o di un guasto.
Questa incapacità di sviluppare il ragionamento fino alle sue logiche conclusioni è una caratteristica anche di coloro che si trovano sotto la deterrenza estesa del cosiddetto ombrello nucleare.
La realtà è che ogni stecca dell'ombrello nucleare è una spada di Damocle. Questa dottrina disumana della sicurezza nazionale presuppone di essere disposti a infliggere i supplizi di Hiroshima e Nagasaki al popolo di un altro paese. Se mai quel bottone fosse schiacciato, e iniziasse uno scontro nucleare, subirebbero danni irreparabili non solo gli attori del conflitto ma anche i paesi vicini e la Terra nel suo complesso.
La logica della deterrenza pone sui due piatti della bilancia della giustizia da un lato la sicurezza del proprio paese e dall'altro la vita di un gran numero di persone e l'ecologia dell'intero pianeta.
Se consideriamo tutto ciò nel contesto della discussione sulla giustizia fatta da Amartya Sen, alla quale accennavo prima, le politiche di sicurezza che cercano di impedire l'attacco nucleare di un altro paese potrebbero corrispondere alla forma di giustizia niti, che pone l'accento sulla legittimità dell'obiettivo. Ma alla luce del concetto di giustizia nyaya, che riguarda invece la legittimità del risultato - ciò che accade davvero alle persone e alla loro vita - appare chiara l'impossibilità di giustificare in alcun modo dottrine di sicurezza basate sulle armi nucleari, che presuppongono la perdita di milioni di vite e la distruzione dell'ecologia globale.
Il diritto all'autodifesa contro un attacco militare è riconosciuto dalla Carta dell'ONU, e alla luce della legislazione internazionale la validità della prospettiva di niti sulla sicurezza non potrebbe essere scartata tout-court. Ma quello che io vorrei mettere in discussione è il modo di pensare che accetta la necessità a oltranza delle armi nucleari.
Nel corso del tempo l'idea di deterrenza è stata usata per giustificare il possesso e la costruzione di armi sempre più moderne e letali. Ma la storia umana, fatta di guerre praticamente continue, ha dimostrato che questa idea non ha funzionato e che in innumerevoli occasioni il risultato è stato il conflitto. Come possiamo credere che la deterrenza, che ha fallito così spesso nel passato, si dimostri infallibile nel caso delle armi nucleari?
Nella sua recente opera Cinque miti sulle armi nucleari, Ward Wilson riflette proprio su questa domanda analizzando seimila anni di storia dell'umanità, una storia di guerra e di violenza gruppale. A suo avviso considerare solo i sessant'anni trascorsi dalla fine della seconda guerra mondiale significa pretendere di individuare una tendenza basandosi solo sull'un per cento dei dati. «In particolare, quando si considera un fenomeno radicato in maniera così profonda nella natura umana, ciò appare poco prudente».51 E afferma che un'adeguata considerazione di tale questione richiede quel tipo di prospettiva millenaria, sviluppata da Arnold J. Toynbee, che tiene conto dell'ascesa e della caduta di molteplici civiltà.
Proprio perché la deterrenza è qualcosa di intimamente radicato nella natura umana, è necessario guardare direttamente in faccia i grandi rischi nascosti nelle sue profondità.
L'idea della dignità intrinseca della vita fu sviluppata dal Buddismo proprio attraverso un'esplorazione profonda della natura umana, e credo sia pertinente a questo proposito. Vorrei citare alcune parole attribuite a Shakyamuni mentre faceva da mediatore in un conflitto fra due tribù che reclamavamo i loro diritti sull'acqua: «Guardate quelli che combattono, pronti a uccidere! La paura sorge dal prendere le armi e prepararsi a colpire».52
È interessante come Shakyamuni osservi il funzionamento del cuore di coloro che si preparano alle ostilità. Non si armano per timore dell'avversario, ma si impauriscono quando prendono le armi. Semmai provano rabbia, non paura, verso l'avversario che cerca di prendere la loro acqua. Ma nel momento in cui si ritrovano armati e pronti a sferrare colpi mortali agli avversari, il loro cuore si riempie di terrore.
David Emanuel Hoffman, editorialista di lunga data del Washington Post, descrisse eloquentemente come questa psicologia alimentata dalla paura avesse prodotto scenari da incubo durante la guerra fredda.53
All'inizio degli anni ottanta i leader sovietici cominciarono a progettare un sistema che avrebbe dovuto funzionare anche dopo la distruzione della direzione politica e militare del paese a causa di un attacco nucleare. Ciò che temevano di più era perdere la possibilità di effettuare una rappresaglia. Così immaginarono un sistema completamente automatico, pilotato da un computer, che avrebbe garantito la rappresaglia in qualsiasi circostanza. Alla fine il progetto fu modificato perché l'esercito respinse l'idea di sferrare un attacco nucleare che non prevedesse alcun intervento umano, e fu deciso di trasferire l'autorità di prendere decisioni agli ufficiali sopravvissuti nei bunker.
In altre parole, negli ultimi anni della guerra fredda era stato veramente progettato un sistema di rappresaglia nucleare che non poteva essere fermato da agenti umani. Anche se ciò non andò mai al di là della teoria, questa forma estrema di deterrenza incarna la paura profonda che sorge dal possesso di armi nucleari.
Lo scorso ottobre è stato il trentesimo anniversario del Summit di Reykjavík, una pietra miliare che diede inizio al processo che portò alla fine alla guerra fredda.
Quando Michail Gorbaciov, allora segretario generale dell'Unione Sovietica, propose al presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan (1911-2004) un incontro nella capitale islandese, a metà strada fra Washington e Mosca, aveva bene in mente il disastro di Chernobyl di sei mesi prima, che lo aveva profondamente preoccupato riguardo ai rischi di una guerra nucleare. È stato detto che anche il presidente Reagan ritenesse intollerabile l'idea di mantenere la pace attraverso la minaccia di un enorme massacro. Entrambi i leader nutrivano gravi preoccupazioni riguardo alle armi nucleari e così la discussione progredì quasi fino a giungere a un accordo per la loro completa eliminazione. Anche se alla fine l'accordo non fu raggiunto, l'anno seguente essi stipularono il Trattato sulle forze nucleari intermedie (INF), che mise in moto il processo di disarmo nucleare.
È tempo che gli Stati Uniti e la Russia tornino allo spirito di Reykjavík e trovino un terreno comune per la pace globale.
La conferenza delle Nazioni Unite che negozierà un trattato per la proibizione e l'eventuale abolizione delle armi nucleari, il cui inizio è previsto in marzo, ha nella sua agenda misure per la riduzione e l'eliminazione del rischio di una detonazione accidentale di armi nucleari.54 Stati Uniti e Russia hanno vissuto più volte questi rischi durante e dopo la guerra fredda. Vorrei esortare i leader di entrambi i paesi a impegnarsi in un dialogo che conduca a revocare lo stato di allerta elevato dai loro armamenti e realizzi progressi significativi nella riduzione delle armi nucleari.
Proibire le armi nucleari: l'eredità di Hiroshima e Nagasaki
In secondo luogo, riguardo alla proibizione e abolizione delle armi nucleari, propongo che il Giappone, consapevole della sua responsabilità storica come unico paese ad aver subito un attacco nucleare in tempo di guerra, si adoperi per una partecipazione il più ampia possibile ai prossimi negoziati, che includa anche gli stati che possiedono armamenti nucleari o fanno affidamento su di essi. Recentemente le città di Hiroshima e Nagasaki hanno contribuito a risvegliare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla questione nucleare ospitando una serie di eventi diplomatici e accogliendo varie personalità straniere in visita.
Nell'ottava Riunione ministeriale dell'Iniziativa per la non proliferazione e il disarmo (NPDI), che si è tenuta a Hiroshima nell'aprile 2014, i ministri degli esteri dei paesi dipendenti dal nucleare, fra cui Australia, Germania e Paesi Bassi, hanno potuto ascoltare le testimonianze di alcuni hibakusha (sopravvissuti alle bombe atomiche). La riunione ha emanato una Dichiarazione congiunta in cui si ribadiva che l'attuale discussione sull'impatto umanitario delle armi nucleari dovrebbe essere il «catalizzatore di un'azione globale congiunta verso lo scopo di un mondo libero dalle armi nucleari».55
Nell'aprile 2016 si è tenuta a Hiroshima la riunione dei ministri degli esteri del G7. In tale occasione i ministri degli esteri di Stati Uniti, Regno Unito e Francia (stati nucleari), e Germania, Italia, Canada e Giappone (stati dipendenti dal nucleare), hanno visitato il Memoriale della pace o Cupola della bomba atomica (Genbaku Dome). La riunione ha adottato la Dichiarazione di Hiroshima sul disarmo e la non proliferazione nucleare che si conclude così: «Condividiamo il profondo desiderio del popolo di Hiroshima e di Nagasaki che le armi nucleari non siano usate mai più».56
Infine, nel maggio 2016, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha visitato Hiroshima; è stato il primo presidente americano in carica a farlo. Ha dichiarato: «Tra le nazioni come la mia, che detengono un arsenale nucleare, noi dobbiamo trovare il coraggio di sfuggire alla logica della paura e costruire un mondo libero da queste armi».57
Il Giappone dovrebbe incoraggiare gli stati che hanno partecipato a queste discussioni di Hiroshima e Nagasaki, e anche il maggior numero possibile degli altri, a prendere parte ai prossimi negoziati multilaterali per il disarmo nucleare.
È prevedibile che tali negoziati affronteranno ostacoli simili a quelli che incontrò nel 2015 la Conferenza di revisione delle Parti del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (NPT), dove non si riuscì a creare un ponte che superasse le divisioni fra stati nucleari e non nucleari, e di conseguenza fu impossibile adottare un documento finale comune.
Tuttavia tutti gli stati condividono certamente un sostanziale apprezzamento per l'NPT e si preoccupano delle conseguenze catastrofiche delle armi nucleari. Su questa base si può trovare un terreno comune e riformulare il dibattito sulle armi nucleari.
A questo riguardo possiamo imparare una lezione importante dai negoziati che hanno condotto all'Accordo di Parigi, che ha costituito un punto di svolta nella lotta al cambiamento climatico. Ciò che ha reso possibile la riuscita dell'accordo è stato il concentrarsi sullo scopo comune di un futuro a basse emissioni di carbonio, un risultato auspicabile da tutti gli stati, piuttosto che sulle questioni di chi fossero i responsabili del cambiamento climatico o chi ne dovesse rispondere.
Si potrebbe adottare un approccio simile per le armi nucleari. L'istituzione di un trattato che proibisca la produzione, il trasferimento, la minaccia di uso e l'uso di queste armi dovrebbe essere considerata un'impresa globale che ha lo scopo di impedire che qualche paese ne sperimenti nuovamente gli orrori. Deve manifestarsi il serio impegno di costruire un ampio consenso basato su questa visione.
Come afferma il suo preambolo, l'adozione del NPT fu motivata dalla consapevolezza della «devastazione che una guerra nucleare arrecherebbe a tutta l'umanità» e dalla necessità di «salvaguardare la sicurezza delle persone».58
L'assunto fondamentale delle prossime conferenze è pienamente coerente con l'NPT. Un trattato che proibisca le armi nucleari non sostituirebbe l'NPT ma piuttosto lo rafforzerebbe, portando all'applicazione dell'Articolo VI che richiede la ricerca in buona fede di negoziati che conducano a un disarmo nucleare completo.
Qui è cruciale la partecipazione del maggior numero possibile di stati, allo scopo di identificare i punti di convergenza fra le esigenze di sicurezza nazionale e di difesa e l'obiettivo di un mondo libero dalle armi nucleari.
Il primo Comitato preparatorio della Conferenza di revisione del NPT 2020 si dovrebbe riunire a Vienna in maggio. Oltre a concentrarsi sull'obbligo di realizzare il disarmo nucleare sancito dall'Articolo VI, dovrebbe concretizzarsi lo sforzo di un mutuo riconoscimento delle esigenze di sicurezza di tutti gli stati e uno scambio di vedute sui passi che tutte le parti devono intraprendere per soddisfarle. Se queste consultazioni confluissero nei negoziati di un trattato per la proibizione delle armi nucleari, che si terranno a New York in giugno, ne trarrebbero beneficio tutti gli stati. Garantire un collegamento fra le deliberazioni della Conferenza di revisione del NPT e il tentativo di colmare il divario fra le diverse prospettive potrebbe contribuire a rendere questi negoziati veramente costruttivi.
Il tema delle armi nucleari è una questione cruciale che l'ONU sta affrontando sin dalla sua fondazione, più di settant'anni fa. La complessità dei prossimi negoziati per la loro proibizione non dovrebbe essere sottovalutata. Tuttavia sono fiducioso nel fatto che, se gli stati continueranno onestamente a ricercare il dialogo, sarà possibile imprimere uno slancio irreversibile verso un mondo senza armi nucleari.
Non più tardi del 2018 si dovrebbe tenere un vertice ONU sul disarmo. L'adozione di un trattato che metta fuorilegge le armi nucleari migliorerebbe le condizioni per dare avvio a un
processo di riduzione sostanziale delle attuali scorte, fino alla loro eventuale eliminazione.
Una dichiarazione delle persone comuni per un mondo senza armi nucleari
La mia terza proposta per la proibizione e l'abolizione delle armi nucleari è invitare persone di ogni ambito della società civile, in vista dei futuri negoziati, a rilasciare dichiarazioni che raccolte insieme potrebbero andare a formare una dichiarazione delle persone comuni per un mondo senza armi nucleari e costituire la base popolare per un trattato che le proibisca.
La società civile può svolgere un ruolo vitale nel chiarire e dare un volto umano a problemi che hanno una profonda rilevanza per tutti, al di là dei confini nazionali, e ciò a sua volta potrebbe incoraggiare un'azione concertata su scala globale. In caso contrario, tali questioni sarebbero affrontate solo nel contesto delle politiche nazionali.
Il Manifesto Russell-Einstein, pubblicato il 9 luglio 1955 da un gruppo di eminenti scienziati di tutto il mondo per evidenziare i pericoli delle armi nucleari, fu un esempio che fece storia: «Cercheremo di non dire una sola parola che possa piacere più a un gruppo che a un altro. [...] Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto».59
Come dimostrano queste parole, il Manifesto è l'espressione più di un sentire umano condiviso che di una logica di stati o nazioni. In tal modo coloro che leggono sono spinti a considerare le armi nucleari come un pericolo «per loro stessi, i loro figli e i loro nipoti»60 piuttosto che solo in un contesto nazionale.
Lo storico parere consultivo sulla minaccia o l'uso delle armi nucleari, espresso dalla Corte internazionale di Giustizia (ICJ) nel luglio 1996, fu il risultato di una vigorosa campagna intrapresa dalla società civile con il Progetto Corte mondiale. All'inizio delle udienze furono presentate all'ICJ «dichiarazioni della coscienza pubblica» di circa quattro milioni di persone in quaranta lingue.
L'ICJ stabilì che la minaccia dell'uso o l'uso di armi nucleari è in generale incompatibile con la legislazione internazionale e affermò chiaramente che gli stati hanno l'obbligo di ricercare e concludere negoziati che conducano a un disarmo nucleare completo.
Adesso, più di vent'anni dopo, sarà convocata una conferenza dell'ONU per negoziare un trattato che proibisca le armi nucleari. È tempo che la società civile esprima con forza il suo sostegno alla conferenza, dando impulso alla realizzazione di un trattato che abbia la forma di una legge internazionale di iniziativa popolare.
Questa conferenza è diventata realtà non solo attraverso l'impegno diplomatico dei paesi che cercano una soluzione alla questione nucleare, ma anche attraverso il lavoro assiduo di individui e gruppi di varie provenienze, fra cui hibakusha di Hiroshima, Nagasaki e di tutto il mondo, scienziati, medici, avvocati, educatori e persone di fede.
Sono molte le forme in cui individui e gruppi possono agire, dall'emanazione di dichiarazioni che facciano parte di un appello popolare per un mondo senza armi nucleari alla realizzazione di eventi a livello di base sul significato del trattato che mirino ad ampliare il sostegno dell'opinione pubblica. Ognuna di queste azioni garantirà «la partecipazione e il contributo delle organizzazioni internazionali e dei rappresentanti della società civile»,61 come chiede la risoluzione dell'ONU che ha convocato la conferenza, e serviranno così a sostenere l'eventuale trattato. Sarebbe un supporto prezioso che ne accrescerebbe l'efficacia e l'universalità, dimostrando in forma tangibile il coinvolgimento profondo del sentimento popolare anche negli stati nucleari o dipendenti dal nucleare.
Una moltitudine di voci sta invocando questa azione. Per esempio più di 7200 municipalità di 162 aree e nazioni, che comprendono stati nucleari e dipendenti dal nucleare, fanno parte di Mayors for Peace (Sindaci per la Pace), un organismo internazionale che chiede l'abolizione totale delle armi nucleari.
Mi tornano in mente le parole di Adolfo Pérez Esquivel, che donò alla città di Hiroshima una scultura di bronzo da lui stesso realizzata. Nel nostro dialogo sottolineò che «la pace è la dinamica che dà senso e vita all'umanità».62
Ma un regime di sicurezza che dipende dalle armi nucleari può forse produrre questo tipo di dinamica? Sono convinto che la risposta sia no; essa richiede quella pace che si realizza quando le persone si uniscono al di là di tutte le differenze in un impegno condiviso per tutelare la dignità della vita.
Nel 2007 la SGI ha lanciato la People's Decade for Nuclear Abolition (Decennio delle persone per l'abolizione del nucleare) come parte del movimento di pace fondato sulla dichiarazione del presidente Toda per l'abolizione delle armi nucleari. La mostra Everything You Treasure - For a World Free From Nuclear Weapons (la sua versione precedente è stata realizzata in Italia con la denominazione di Senzatomica - per un mondo libero da armi nucleari, n.d.r.), realizzata in collaborazione con la Campagna Internazionale per l'Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), è stata esposta in tutto il mondo. Nel 2014 abbiamo raccolto oltre cinque milioni di firme a sostegno di Nuclear Zero, una campagna globale che chiede iniziative in buona fede per il disarmo nucleare.
Abbiamo collaborato alla stesura di dichiarazioni congiunte, realizzate sotto l'egida delle "Comunità di fede preoccupate delle conseguenze umanitarie delle armi nucleari", che lo scorso anno sono state sottoposte al Gruppo di lavoro aperto a tutti gli stati membri (Open-Ended Working Group, OEWG) per il disarmo nucleare e al Primo Comitato dell'Assemblea generale dell'ONU, che si occupa di disarmo e sicurezza internazionale.
Nell'agosto 2015 la SGI ha contribuito alla realizzazione del Summit internazionale dei giovani per l'abolizione delle armi nucleari di Hiroshima e nel 2016 è stata costituita Amplify, una rete internazionale di giovani per l'abolizione delle armi nucleari, allo scopo di portare avanti i lavori del summit (vedi www.amplifyyouth.org).
La prossima estate la SGI terrà un summit di giovani per la rinuncia alla guerra nella prefettura di Kanagawa, sede della dichiarazione antinucleare di Toda, per commemorarne il sessantesimo anniversario.
La convinzione che ha alimentato i nostri sforzi nel corso del decennio passato è stata espressa in un documento operativo inviato all'OEWG nel maggio 2016, che è ora agli atti come documento ufficiale ONU: «[Le armi nucleari] minano il significato della vita umana e ostacolano la nostra capacità di guardare al futuro con speranza. [...] Il nucleo del problema delle armi nucleari è la radicale negazione degli altri, della loro umanità e dell'altrettanto loro diritto alla felicità e alla vita. [...] La sfida del disarmo nucleare non è qualcosa che riguarda solo gli stati che detengono armi nucleari; deve essere un'impresa veramente globale che coinvolga tutti gli stati e impegni pienamente la società civile».63
Affinché i negoziati ONU che inizieranno a marzo diventino un forum per questa impresa veramente globale, siamo determinati a fare il massimo lavorando insieme a individui e gruppi che condividono le stesse idee per riuscire a riunire e amplificare le voci della società civile.
Riportare speranza nella vita dei rifugiati
Il secondo ambito prioritario sul quale desidero soffermarmi riguarda la necessità di mettere in atto programmi di assistenza che permettano ai rifugiati di vivere con speranza.
Il numero di persone costrette a lasciare la loro terra a causa di conflitti armati o per paura di persecuzioni è rapidamente cresciuto e si stima che ora ammonti circa a 65,3 milioni.64 La guerra civile in Siria, in particolare, dura ormai da sei anni e la crisi umanitaria che ha provocato è estremamente grave. Attualmente oltre 300.000 siriani sono stati uccisi e più di metà della popolazione è sfollata per paura o per bisogno; circa 4,8 milioni di persone sono fuggite dal paese alla ricerca di asilo.65 Il segretario generale dell'ONU António Guterres, dopo la nomina ufficiale durante l'Assemblea generale di ottobre 2016, ha affermato che la priorità assoluta del suo mandato avrebbe riguardato la pace. E ha osservato che «un cospicuo aumento delle attività diplomatiche per la pace è il modo migliore per [...] aiutarci a limitare la sofferenza umana sotto ogni aspetto».66
Il 30 dicembre scorso è entrata in vigore una tregua e il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha adottato una risoluzione a sostegno del cessate il fuoco, chiedendo a tutte le parti di osservarla. È ancora troppo presto però per dire se ciò porrà fine alla guerra civile.
Nuove trattative di pace sono previste per febbraio sotto gli auspici dell'ONU. Desidero vivamente che sotto la guida del segretario generale Guterres, per molti anni Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, l'organizzazione internazionale e le nazioni interessate possano lavorare insieme per trovare il modo di porre fine al conflitto il prima possibile.
Parallelamente a tale impegno in ambito diplomatico, Guterres ha identificato l'urgente priorità che tutti i paesi dimostrino «la piena solidarietà a chi necessita protezione perché fugge da quegli orribili conflitti».67
Tale solidarietà è stata il punto focale del Summit umanitario mondiale che si è tenuto a Istanbul nel maggio scorso. Come sottolineato nella cerimonia di apertura, è essenziale mettersi al posto di chi è stato brutalmente sradicato dal conflitto e giorno dopo giorno si trova a dover affrontare scelte impossibili. Sotto la minaccia costante degli attacchi aerei voi scegliereste di rimanere nel luogo dove vivete oppure fuggireste dal pericolo per portare la vostra famiglia molto lontano in cerca di un rifugio? Consapevoli dei pericoli potenzialmente letali di una traversata via mare, vi attacchereste anche alla remotissima possibilità di una vita migliore e andreste in cerca di una barca, o rimarreste dove siete? Se i vostri figli si ammalassero durante la fuga, usereste i pochi soldi che avete per le medicine o per il cibo per l'intera famiglia?
Dobbiamo ricordarci che queste persone, che vivono con estrema incertezza in circostanze disperate, sono esseri umani come noi, nati in un paese diverso e con storie diverse.
Al Summit, che ha riunito un gran numero di partecipanti provenienti da tutti i settori della società civile, è stata ribadita l'importanza di perseguire programmi umanitari e di sviluppo in maniera coordinata e omnicomprensiva, aumentando nello stesso tempo la resilienza dei rifugiati e delle comunità che li ospitano.
Accrescere la resilienza è un punto focale della mostra Restoring Our Humanity (Ristabiliamo la nostra umanità) prodotta ed esposta per la prima volta in occasione del Summit di Istanbul. La SGI, che ha contribuito a organizzarla, vuole sottolineare come il consolidamentodella resilienza costituisca l'elemento chiave nella costruzione di un mondo in cui nessuno sia lasciato indietro.
A tale scopo propongo che le Nazioni Unite assumano l'iniziativa di elaborare una nuova strategia di aiuti per svolgere un partenariato in grado di risolvere le sfide umanitarie e proteggere la dignità umana. Ciò consentirebbe alle persone sfollate di agire in ambiti che contribuiscano ad accrescere la resilienza e a promuovere il raggiungimento degli SDG nelle comunità ospitanti.
Gli ultimi sondaggi mostrano che l'ottantasei per cento dei rifugiati che riceve supporto dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) è ospitato in paesi in via di sviluppo che si trovano vicini alle zone di conflitto.68 Tali paesi, che già affrontano vari problemi legati agli SDG come la povertà e le condizioni sanitarie e igieniche, adesso si trovano a dover gestire anche l'afflusso di rifugiati. Come ha confermato il Summit umanitario dello scorso anno, ciò che occorre è un supporto integrato nei campi dello sviluppo e dell'assistenza umanitaria.
Il progetto che il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) sta mettendo in atto in Etiopia può rappresentare un buon modello. Dall'anno scorso il paese nordafricano, che ha accolto più di 730.000 persone colpite dalla guerra nei paesi vicini, sta vivendo la peggiore siccità degli ultimi trent'anni.69 Il progetto mira a migliorare la gestione locale delle risorse naturali e a promuovere la riedificazione di infrastrutture comunitarie riducendo le tensioni fra i rifugiati e le popolazioni locali attraverso iniziative per promuovere la coesistenza pacifica.
Di fronte alla crescita apparentemente senza fine del numero dei rifugiati, è chiaro che la stabilità e lo sviluppo delle società che li ospitano sono essenziali affinché gli sfollati possano trovare a loro volta stabilità nella propria vita.
In termini di risoluzione dei problemi legati agli SDG, i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo hanno molto in comune. In entrambi i casi le iniziative volte a promuovere l'agricoltura sostenibile per prevenire carenze alimentari, a realizzare infrastrutture di energie rinnovabili e a fornire cure mediche e assistenza sanitaria creeranno nuove opportunità di lavoro per un vasto numero di persone.
L'anno scorso il direttore generale dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) Guy Ryder ha auspicato un "New Deal" per i rifugiati ribadendo l'importanza di offrire opportunità di lavoro alle persone sfollate.70 Ciò si potrebbe concretizzare unendo insieme le iniziative umanitarie e di sviluppo, con la cooperazione delle Nazioni Unite e degli stati membri per la realizzazione di programmi di formazione professionale e di acquisizione di competenze connessi agli SDG per i rifugiati e i richiedenti asilo.
Ovviamente il lavoro è un mezzo essenziale per guadagnarsi da vivere e, allo stesso tempo, dà significato alla vita perché offre la possibilità di lasciare una prova tangibile della propria esistenza nella società.
L'ex presidente della Sydney Peace Foundation Stuart Rees, con il quale di recente ho pubblicato un dialogo, ritiene che un impiego sicuro sia fondamentale per la realizzazione della giustizia sociale. Nel nostro dialogo esprimeva la convinzione che al numero crescente di persone disoccupate «viene negato il significato profondo del proprio valore umano che deriva dal lavoro, sia nel senso di guadagnarsi il proprio mantenimento sia nella soddisfazione di realizzare qualcosa, di contribuire alla società».71 Ha affermato inoltre che ciò rappresenta una minaccia fondamentale alla dignità umana.
Nella nostra discussione abbiamo considerato l'efficacia dei programmi del New Deal americano istituiti dal presidente Franklin D. Roosevelt (1882-1945) per rispondere alla massiccia disoccupazione scatenata dalla grande depressione iniziata nel 1929. Oltre alla costruzione di dighe e altre infrastrutture, nel corso del New Deal fu fondato il Civilian Conservation Corps (Corpo civile per la conservazione) per il mantenimento e il miglioramento dei parchi naturali e delle foreste. Parteciparono al programma oltre tre milioni di giovani e furono piantati più di due miliardi di alberi. Attraverso queste attività i partecipanti riguadagnarono autostima e la sensazione di essere utili, di fornire il proprio contributo agli altri e alla società. Ancora oggi questi parchi nazionali e queste foreste continuano a salvaguardare la biodiversità e l'integrità ecologica, svolgendo anche una funzione importante nell'assorbimento dei gas serra.
Ispirati da questi esempi positivi, ritengo che sia tempo di concepire un quadro programmatico per espandere le opportunità di impiego per i rifugiati che sia concretamente utile per il raggiungimento degli SDG.
Proprio perché hanno vissuto gravi difficoltà e sofferenze, le persone costrette a sfollare dovrebbero aver acquisito la capacità di rapportarsi agli altri e incoraggiarli in situazioni avverse. Dando loro la possibilità, nei paesi che li ospitano, di lavorare per la realizzazione dei progetti SDG, i rifugiati diverranno capaci di contribuire agli sforzi di ricostruzione nei loro paesi di origine quando vi faranno ritorno dopo la cessazione del conflitto armato.
Al Summit delle Nazioni Unite per i rifugiati e i migranti del settembre scorso fu dichiarato che nel 2018 si sarebbero dovuti stipulare accordi globali per i rifugiati. Senza una soluzione al problema dei rifugiati, che rappresenta una crisi umanitaria di proporzioni mai viste, la pace mondiale e la stabilità rimarranno irraggiungibili, così come un vero progresso verso la realizzazione degli SDG e della loro visione di un mondo in cui nessuno sia lasciato indietro.
Il governo giapponese ha già fornito aiuti finanziari al progetto dell'UNDP in Etiopia a cui accennavo prima e dunque sarebbe opportuno che rafforzasse il suo sostegno alle attività per integrare gli ambiti umanitari e quelli di sviluppo, come raccomanda l'ONU.
Al Summit dei leader sulla crisi globale dei rifugiati ospitato dal presidente americano Barack Obama il giorno successivo al Summit delle Nazioni Unite di settembre, il governo giapponese si è impegnato a fornire corsi di istruzione e formazione professionale a circa un milione di persone coinvolte nei conflitti. Inoltre il Giappone ha dichiarato che accetterà fino a 150 studenti siriani nei prossimi cinque anni. È mia sincera speranza che, nell'ambito di queste iniziative di soccorso, il Giappone sia in prima linea nella promozione di accordi per fornire assistenza umanitaria e protezione alla dignità umana. E vorrei ribadire che uno dei modi per facilitare tali iniziative è offrire agli sfollati l'opportunità di acquisire competenze tecniche e formazione professionale mirate agli SDG.
A questo proposito vorrei chiedere un ulteriore potenziamento dei programmi con i quali l'ONU e le università mondiali cercano di creare opportunità educative per i giovani rifugiati.
L'Academic Impact delle Nazioni Unite (UNAI), un'iniziativa globale avviata sette anni fa allo scopo di stabilire un collegamento fra le università mondiali e l'ONU, è diventato ora una rete costituita da oltre mille istituti di istruzione superiore in più di 120 paesi. Nel complesso, i programmi di ricerca di queste università coprono praticamente l'intero spettro delle problematiche globali e rappresentano una risorsa essenziale che può essere impiegata a beneficio dell'umanità.
Furono i membri della comunità universitaria a realizzare le iniziative assistenziali della Toynbee Hall per i poveri e le attività educative della Hull House che cercavano di restituire una dignità agli immigrati che vivevano in condizioni di indigenza. Ciò testimonia che le università possono potenzialmente rappresentare rifugi di speranza e di sicurezza nella società. In tal senso è molto significativo che le università e i college di tutto il mondo stiano contribuendo alla risoluzione dei problemi globali con le loro attività di ricerca. Potrebbero fornire un apporto ancora maggiore garantendo ulteriori opportunità educative ai giovani rifugiati, aggiungendo per esempio alla loro offerta corsi per studenti non iscritti all'università e possibilità di apprendimento a distanza.
L'Università Soka ha aderito nel maggio scorso al programma di Istruzione superiore per i rifugiati dell'UNHCR. Come fondatore dell'università sono lieto di porgere il benvenuto ai futuri iscritti, a partire dall'anno accademico 2017.
Yusra Mardini, nuotatore siriano membro della squadra olimpica dei rifugiati che ha partecipato alle Olimpiadi di Rio di Janeiro, ha incoraggiato così i rifugiati come lui: «Voglio rappresentare tutti i rifugiati perché voglio dimostrare a ognuno che, dopo il dolore, dopo il temporale, vengono i giorni sereni. [...] Voglio che nessuno abbandoni i suoi sogni e che tutti possano fare ciò che sentono nel cuore».72
Per chi ha dovuto lasciare la propria casa per via di un conflitto e vive in un ambiente estraneo, un lavoro significativo e l'educazione sono strumenti per riacquisire il senso della dignità umana, per ritrovare speranza nel futuro e uno scopo nella vita.
Perciò considero essenziale comprendere, nei futuri piani globali dell'ONU per i migranti e i rifugiati, misure specifiche atte ad assicurare lavoro e opportunità educative agli sfollati. In ultima analisi la soluzione alla crisi dei rifugiati dipende dalla nostra capacità di permettere di riacquisire un senso di sicurezza, speranza e dignità a chi è stato costretto ad abbandonare il proprio paese.
Educazione ai diritti umani
La terza area prioritaria che desidero considerare riguarda la costruzione di una cultura dei diritti umani.
Oltre al protrarsi dei conflitti armati e della guerra civile, un altro grave problema che minaccia la società globale è rappresentato dai frequenti attacchi terroristici e dalla crescita dell'estremismo violento. Sono veramente troppi i casi in cui giovani privi di qualsiasi speranza per il futuro e alla ricerca di un significato per la loro vita vengono attratti da frange estremistiche.
Nel novembre scorso l'Istituto Toda per la pace globale e la ricerca politica ha co-sponsorizzato una conferenza di due giorni presso l'Eastern Mennonite University della Virginia per discutere delle modalità di prevenzione dell'estremismo violento. Mentre sempre più stati considerano le misure punitive il modo più efficace di prevenire la violenza, i partecipanti si sono interrogati sulla reale efficacia di questo approccio e su altri argomenti correlati analizzando esempi in varie parti del mondo. Hanno esplorato anche modi per far progredire le iniziative di costruzione della pace in zone di forte tensione.
La conferenza ha cercato inoltre di identificare i fattori che conducono all'estremismo violento e i mezzi per prevenirlo, in particolare la ricerca di modalità più ampie per affrontare problemi e differenze senza far ricorso alla violenza.
Credo che l'elemento fondamentale sia la promozione dell'educazione ai diritti umani.
L'anno scorso ricorreva il quinto anniversario dell'adozione della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'educazione e la formazione ai diritti umani. La SGI, come organizzazione della società civile, ha fornito il proprio sostegno nella fase di stesura di questa importante Dichiarazione dell'ONU nella quale gli stati membri hanno concordato per la prima volta criteri internazionali comuni per l'educazione ai diritti umani. Per commemorare il quinto anniversario dell'adozione della Dichiarazione, durante la sessione di settembre del Consiglio per i diritti umani si è riunito un Comitato intergovernativo di esperti al quale hanno partecipato alcuni rappresentanti della SGI. La vice Alta commissaria per i diritti umani Kate Gilmore ha affermato che se da un lato abbiamo assistito alla diffusione di odio e violenza in varie parti del mondo, sono tuttavia apparse anche varie iniziative nel campo dell'educazione ai diritti umani che stanno ispirando le persone ad agire in senso positivo. Ha dichiarato anche: «L'educazione ai diritti umani alimenta la nostra comune umanità al di là delle differenze individuali. Non è un "optional" in più o semplicemente un altro impegno di routine. Ci insegna lezioni fondamentali».73
Queste parole sottolineano il vero significato dell'educazione ai diritti umani.
Durante la riunione sono stati presentati vari esempi di impatto dell'educazione ai diritti umani, come per esempio la trasformazione vissuta da una giovane allieva che, attraverso il programma di educazione ai diritti umani della sua scuola, ha iniziato a riflettere profondamente sulla propria dignità. Il risveglio al proprio valore innato le ha permesso di trovare forza e fiducia nel futuro e imparare ad affrontare le circostanze in cui viveva. Si è trasformata da vittima a persona che si sente in dovere di difendere i diritti umani degli altri.
Gilmore ha raccontato la storia di questa ragazza come esempio del «potere straordinario di prendere coscienza dei diritti umani» e ha sottolineato che «l'educazione è l'acceleratore di tale trasformazione».74 È veramente una dimostrazione del potenziale immenso e della forza che ha l'educazione ai diritti umani.
Per accendere la scintilla di questa reazione a catena di trasformazione positiva vorrei suggerire l'adozione di una convenzione sull'educazione e la formazione ai diritti umani basata sulla Dichiarazione, che rafforzi le misure per una sua applicazione concreta.
Il prossimo anno cadrà il settantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani (UDHR). Desidero proporre di celebrarlo con un forum congiunto dell'ONU e della società civile sull'educazione ai diritti umani in cui si analizzi ciò che è stato realizzato finora e si discuta a fondo dell'adozione di una tale convenzione.
Si stima che attualmente nel mondo vi siano 1,8 miliardi di giovani fra i dieci e i ventiquattro anni.75 Se, invece di fare ricorso al conflitto e alla violenza, questi ragazzi riuscissero ad abbracciare e proteggere i valori centrali dei diritti umani, sono certo che troveremmo la strada per realizzare quella «società pluralista e inclusiva»76 di cui parla la Dichiarazione sull'educazione e la formazione ai diritti umani.
L'educazione ai diritti umani può essere la forza trainante per realizzare questo tipo di società; per promuoverla in maniera sostanziale e coerente occorre creare strutture legali e programmi educativi, e saranno necessari anche meccanismi per il monitoraggio e l'analisi periodica di tali sistemi.
Questo è uno dei punti che la SGI - parlando a nome di Human Rights Education 2020 (HRE 2020), una coalizione di organizzazioni della società civile - ha sottolineato in occasione della suddetta riunione del Comitato intergovernativo di esperti.
Le iniziative internazionali per garantire i diritti umani ispirate alla Dichiarazione universale inizialmente si concentrarono sulla definizione dei diritti da proteggere e sul fornire accesso ai rimedi in caso di violazione. Oggi l'attenzione è rivolta maggiormente alla costruzione di una cultura dei diritti umani saldamente radicata nella società, nella quale si realizzi un mutuo apprezzamento della diversità e un impegno condiviso a proteggere la dignità della vita di tutti.
La SGI, in collaborazione con le agenzie ONU e altre organizzazioni collegate, ha sviluppato una nuova mostra per l'educazione ai diritti umani che aprirà i battenti alla fine di febbraio in concomitanza con la convocazione del Consiglio dei diritti umani. Attraverso questo tipo di iniziative miriamo ad alimentare un rinnovato impegno all'interno della società civile per generare una solidarietà sempre più vasta a favore di una cultura dei diritti umani. Inoltre, in collaborazione con altre ONG, desideriamo indirizzare l'opinione pubblica verso l'adozione di una convenzione legalmente vincolante sull'educazione e la formazione ai diritti umani.
Eguaglianza di genere
Il tema finale che desidero trattare è l'importanza dell'eguaglianza di genere, una questione che ha una rilevanza profonda per la costruzione di una cultura dei diritti umani. Eguaglianza di genere significa assicurare a uomini e donne, bambini e bambine eguali diritti, responsabilità e opportunità, senza discriminazioni.
Lo scopo, come sottolinea UN Women, è creare una società in cui siano considerati gli interessi, i bisogni e le priorità sia degli uomini sia delle donne, e in cui venga riconosciuta la diversità dei vari gruppi. Uno degli SDG riguarda il raggiungimento dell'eguaglianza di genere ovunque sulla Terra e l'eliminazione di ogni forma di discriminazione entro il 2030.
Più di ottanta ministri e 4.100 rappresentanti della società civile, una cifra record, hanno partecipato alla scorsa sessione della Commissione delle Nazioni Unite per lo status delle donne (CSW60) che si è tenuta dal 14 al 24 marzo 2016; un'ulteriore prova del crescente riconoscimento dell'importanza della questione. La SGI ha partecipato alle varie sessioni e ha anche organizzato un evento parallelo dal titolo "La leadership delle donne apre la strada al raggiungimento degli SDG".
In tale evento è stato ribadito che la diseguaglianza di genere costituisce uno dei maggiori problemi relativamente ai diritti umani e che i progressi in questo ambito costituiranno un forte contributo al raggiungimento di tutti gli altri SDG.
L'eguaglianza di genere può svolgere un ruolo essenziale nell'approccio Nexus, al quale accennavo sopra, per promuovere tutti gli SDG in maniera integrata.
Il riconoscimento dell'importanza dell'eguaglianza di genere da parte dei governi mondiali risale alla Quarta conferenza mondiale delle donne di Pechino (1995). Un ulteriore punto di svolta fu l'adozione della Risoluzione 1325 sulle donne, la pace e la sicurezza da parte del Consiglio di sicurezza dell'ONU nell'ottobre 2000. La Risoluzione chiede un'eguale partecipazione e il pieno coinvolgimento delle donne in tutti gli aspetti del mantenimento e della promozione di pace e sicurezza, e richiede l'adozione di misure concrete a tal fine.
L'ex sottosegretario generale dell'ONU Anwarul K. Chowdury, che svolse un ruolo chiave nell'adozione della Risoluzione 1325, nel corso di un nostro dialogo mi parlò della «svolta concettuale e politica»77 che la rese possibile. Si riferiva a una dichiarazione enunciata dal Consiglio di sicurezza dell'ONU l'8 marzo 2000, giornata internazionale della donna, che poneva in evidenza il legame indissolubile fra pace e eguaglianza di genere, trasformando la visione delle donne come vittime impotenti di guerre e conflitti nel riconoscimento del loro essere «essenziali per il mantenimento e la promozione di pace e sicurezza».78 Questo mutamento di paradigma condusse alla Risoluzione 1325 e aprì la strada a una maggiore partecipazione delle donne ai processi di pace.
Un'indagine sullo stato di applicazione della Risoluzione, conclusa nell'ottobre 2015, ha attestato che la partecipazione delle donne aumenta le probabilità di successo e di durata dei processi di pace. Ha anche rilevato il ruolo chiave delle donne nel conquistare la fiducia della popolazione locale durante le attività dell'ONU per il mantenimento della pace.
I governi hanno iniziato a sviluppare e mettere in atto politiche che mirano alla realizzazione dello scopo SDG dell'eguaglianza di genere. Adesso è importante tenere a mente quella svolta concettuale che portò alla Risoluzione 1325, in altre parole riconfigurare società basate sul riconoscimento che le donne non sono vittime impotenti e che la loro forza e il loro contributo sono essenziali.
Sarah Wider, ex presidentessa della Ralph Waldo Emerson Society ed esperta di Women's Studies, mi ha detto a questo proposito: «Nessuno deve sedersi dietro a nessun altro. Dovremmo tutti sedere insieme, ascoltare, parlare e rispettare il contributo che ogni persona ha da offrire».79
Alcune ricerche hanno recentemente messo in luce il contributo di un gruppo di delegate alla conferenza di San Francisco del 1945, in cui fu redatta la Carta dell'ONU, nell'includere nel Preambolo l'espressione «uguali diritti di uomini e donne».80 Molti dei partecipanti alla conferenza chiesero che fossero inserite indicazioni specifiche riguardo ai diritti umani. Alcune donne sudamericane fecero però notare alla conferenza l'inadeguatezza dell'utilizzo dell'espressione "uguali diritti degli individui" inizialmente impiegata nel testo. Riuscirono a far inserire non solo gli uguali diritti degli uomini e delle donne nel Preambolo, ma anche affermazioni che promuovevano e incoraggiavano il rispetto dei diritti umani senza distinzione di sesso (Articolo 1) e l'uguale eleggibilità di uomini e donne in tutto il sistema delle Nazioni Unite (Articolo 8).
Questo episodio mi ricorda una storia del Sutra del Loto. Il sutra, che insegna la suprema dignità e il valore di tutte le persone, per illustrare questo concetto usa l'esempio concreto di una giovane donna che manifesta la sua dignità intrinseca.
Dopo che Shakyamuni ebbe finito di esporre il principio secondo cui tutte le persone possiedono un incomparabile valore, il bodhisattva Accumulo di Saggezza, pensando che avesse finito, fece per andarsene, ma Shakyamuni lo invitò a rimanere per discutere di ciò che aveva udito con il bodhisattva Manjushri.
Manjushri narrò ad Accumulo di Saggezza che la figlia del Re Drago, di soli otto anni, aveva manifestato uno stato vitale di suprema dignità (Illuminazione) ed era piena di profonda compassione per le altre persone. Accumulo di Saggezza non riusciva a crederci, e in quel momento la figlia del Re Drago apparve davanti a lui. Vedendola anche Shariputra, un altro discepolo di Shakyamuni, espresse i suoi dubbi.
Allora la bambina drago prese un gioiello che, come spiega il sutra, era la prova di questo stato vitale di immensa dignità, e lo offrì a Shakyamuni. Poi si voltò ed esortò Shariputra a vedere con i suoi occhi il vero splendore della sua vita. Constatando come ella si dedicasse ad aiutare gli altri, Accumulo di Saggezza e Shariputra infine si convinsero che Manjushri aveva detto il vero.
Credo che questa storia illustri come una mera comprensione astratta non possa far cogliere la dignità e il valore di tutte le persone.
Nichiren Daishonin commenta così l'esortazione della bambina drago a Shariputra: «Quando la fanciulla drago dice "guardate come conseguo la Buddità", Shariputra pensa che si stia riferendo solo al suo individuale conseguimento della Buddità, ma questo è un errore. Lei lo sta rimproverando, intendendo dire: "Guardate come si ottiene la Buddità"».81 Sottolinea così l'indissolubile connessione della comprensione, da parte della fanciulla drago e di Shariputra, della piena dignità della propria vita. Riconoscendo e giungendo a rispettare la suprema dignità e il valore della fanciulla drago, che rappresenta tutte le donne, Shariputra, che rappresenta gli uomini, riesce a comprendere pienamente anche la propria dignità intrinseca.
Questa raffigurazione concreta della dignità inerente alle donne avvalora e convalida pienamente il principio della dignità di tutte le persone. Allo stesso modo, l'aver iscritto i diritti delle donne nella Carta fa sì che lo spirito dei diritti umani assuma una forma particolarmente chiara all'interno dell'ONU.
Sono certo che il gruppo di donne che parlò alla conferenza di San Francisco nel 1945 stesse agendo nella convinzione che la costruzione di una società che tuteli davvero i diritti di tutti è possibile solo se i diritti delle donne sono esplicitamente riconosciuti.
UN Women ha creato il movimento HeForShe (LuiPerLei), un'iniziativa globale per coinvolgere uomini e ragazzi nella lotta per la realizzazione dell'eguaglianza di genere. È inaccettabile per chiunque essere privato dei propri diritti e della libertà: noi dobbiamo adoperarci per far sì che tutte le persone, in tutta la loro diversità, possano godere pienamente di questi diritti.
Lo scopo dell'eguaglianza di genere serve a far sì che ogni persona, indipendentemente dal genere, possa far risplendere la luce della sua dignità e umanità intrinseca in modo aderente al suo proprio e unico sé.
Il movimento della SGI, con i giovani al centro, si impegnerà ulteriormente per espandere la solidarietà fra le persone unite dall'intento di realizzare una cultura dei diritti umani. Facendo risuonare una campana di speranza per l'umanità, continueremo a lavorare insieme per la creazione di una società in cui nessuno sia lasciato indietro.
Note
1) UN General Assembly, "Transforming Our World: The 2030 Agenda for Sustainable Development" (Trasformare il nostro mondo: l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile) A/RES/70/1. Adottata dall'Assemblea generale, 25 settembre 2015, http://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/RES/70/1&Lang=E (ultimo accesso 26 gennaio 2017), p. 1.
2) Josei Toda, "Declaration Calling for the Abolition of Nuclear Weapons" (Dichiarazione per l'abolizione delle armi nucleari), http://www.joseitoda.org/vision/declaration/read (ultimo accesso 26 gennaio 2017). Cfr. La rivoluzione umana, Esperia, vol. 12, p. 94.
3) UN General Assembly, "Transforming Our World", op. cit., p. 12.
4) UN News Centre, 2016, "Interview: 'A Surge in the Diplomacy for Peace Would Be My Priority' - UN Secretary-General Designate" (Intervista al segretario generale nominato dell'ONU: "La mia priorità sarà un aumento delle attività diplomatiche per la pace"), 16 ottobre 2016, http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=55343 (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
5) Theragth, trad. a c. di K. R. Norman, in The Elders' Verses II (Versi degli anziani II), Pali Text Society, Oxford, 1995, p. 65.
6) Karl Jaspers, Die grossen Philosophen (I grandi filosofi), R. Piper & Co. Verlag, München, 1957, p. 142.
7) The Sutta-nipata, trad. a c. di Friedrich Max Müller, in The Sacred Books of the East (I libri sacri dell'oriente), Elibron, Massachusetts, 2005, vol. 13, parte 1, 1:11:1.
8) Hajime Nakamura, Genshi butten o yomu (Leggere i primi sutra buddisti), Iwanami Shoten, Tokyo, 2014, p. 273.
9) Buddha's Teachings (Gli insegnamenti del Budda), trad. a c. di Robert Chalmers, Harvard University Press, Cambridge, 1932, p. 109.
10) Vimalakirti Nirdesa Sutra, trad. a c. di Robert A. F. Thurman, In The Holy Teaching of Vimalakirti (I sacri insegnamenti di Vimalakirti), The Pennsylvania State University, Pennsylvania, 1976, p. 70.
11) Cfr. The Vimalakirti Sutra (Il Sutra di Vimalakirti), trad. a c. di Burton Watson, Columbia University Press, New York, 1997, p. 65.
12) Ibidem, p. 59
13) Cfr. SDLPE, 176.
14) SDLPE, 205.
15) Cfr. Nichiren, Raccolta degli insegnamenti orali, BS, n. 112, p. 55.
16) Ikeda A Forum for Peace: Daisaku Ikeda's Proposals to the UN (Un forum per la pace. Le proposte di pace di Daisaku Ikeda all'ONU), I.B. Tauris, Londra e New York, 2014, p. 195.
17) Adolfo Pérez Esquivel e Daisaku Ikeda, La forza della speranza, Esperia, Peschiera Borromeo, 2016, p. 5.
18) Ibidem, p. 40.
19) Cfr. UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), "These 10 Refugees Will Compete at the 2016 Olympics in Rio"(Questi dieci rifugiati gareggeranno alle Olimpiadi 2016 di Rio), 3 giugno 2016, http://www.unhcr.org/news/latest/2016/6/575154624/10-refugees-compete-2016-olympics-rio.html (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
20) UN Department of Public Information (Dipartimento di informazione pubblica delle Nazioni Unite), "244 Million International Migrants Living Abroad Worldwide, New UN Statistics Reveal" (Le nuove statistiche dell'ONU rivelano che nel mondo vi sono 244 milioni di migranti che vivono fuori dal loro paese), 12 gennaio 2016, http://www.un.org/sustainabledevelopment/blog/2016/01/244-million-international-migrantsliving-abroad-worldwide-new-un-statistics-reveal/ (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
21) InterAction Council (Consiglio interreligioso), "Global Ethics" (Etica globale), sessione presieduta da H.E. Dr. Franz Vranitzky, in Interfaith Dialogue: Ethics in Decision-Making (Dialogo interreligioso. Etica del processo decisionale), 2014, http://www.heart-to-heart-world.org/global_ethics.html (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
22) Daisaku Ikeda, Sekai no shidosha to kataru (Ricordi dei miei incontri con importanti figure mondiali), Ushio Publishing Co., Tokyo, 1999, p. 72.
23) Ibidem, p. 67.
24) Cfr. Tsuneaki Kato, Buaitsuzekka (Weizsäcker), Shimizu Shoin Co, Tokyo, 1992, p. 59.
25) Amartya Sen, The Idea of Justice, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 2009, p. xv. Ed. Italiana: L'idea di giustizia, Mondadori, Segrate, 2010.
26) Ibidem, p. 20.
27) Ibidem, p. 76.
28) Ibidem.
29) Arnold J. Toynbee, Acquaintances (Conoscenze), Oxford University Press, London, 1967, pp. 248-49.
30) Angelika U. Reutter e Anne Rüffer, Peace Women (Donne di pace), trad. a c. di Salome Hangartner, Rüffer & Rub, Zurigo, 2004, p. 49.
31) Cfr. Clara Ingram Judson, Jien Adamusu no shogai (La storia di Jane Addams), trad. a c. di Hanako Muraoka, Iwanami Shoten, Tokyo, 1953, p. 4.
32) Cfr. Judson, City Neighbor: The Story of Jane Addams, Scribner, New York, 1951, p. 80.
33) Cfr. Daisaku Ikeda e Abdurrahman Wahid, The Wisdom of Tolerance: A Philosophy of Generosity and Peace (La saggezza della tolleranza. Una filosofia di generosità e di pace), I. B. Tauris, London, 2015, p. 105.
34) Ibidem, p. 20.
35) United Nations Millennium Campaign, "We the Peoples: Celebrating 7 Million Voices" (Noi, i popoli: celebrare 7 milioni di voci), My World - The United Nations Global Survey for a better World (Il mio mondo - Sondaggio globale delle Nazioni Unite per un mondo migliore), pp. 4-13, https://myworld2015.files.wordpress.com/2014/12/wethepeoples-7million.pdf. (ultimo accesso 27 gennaio 2017).
36) UN General Assembly, "Transforming Our World", op. cit., p. 12.
37) Ibidem, p. 5.
38) SDLPE, 392.
39) Nichiren, op. cit., cfr. BS, 121, 56.
40) Archivio Arendt 1930-1940, a c. di Simona Forti, Feltrinelli, Milano, 2001, p. 58.
41) Ibidem, p. 59.
42) UN Women, "From Where I Stand: Eisha Mohammed" (Da dove mi trovo: Eisha Mohammed), 9 marzo 2016, http://www.unwomen.org/en/news/stories/2016/3/fromwhere-i-stand-eisha-mohammed (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
43) David Nabarro, "On Youth Boosting the Promotion and Implementation of the Sustainable Development Goals (SDGs)" (I giovani incentivano la promozione e l'applicazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile), 10 novembre 2016, http://webtv.un.org/meetings-events/watch/david-nabarro-un-special-adviser-on-youthboosting-the-promotion-and-implementation-of-the-sustainable-development-goals-sdgs/5205304664001 (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
44) Cfr. SIPRI Yearbook 2016: Armaments, Disarmament, and International Security (Annuario Sipri 2016: Armamenti, disarmo e sicurezza internazionale), Istituto di ricerca internazionale per la pace di Stoccolma, Stoccolma 2016, https://www.sipri.org/yearbook/2016/16, (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
45) UN General Assembly, "Taking Forward Multilateral Nuclear Disarmament Negotiations" (Far progredire i negoziati multilaterali per il disarmo nucleare), A/RES/71/258, Adottata dall'Assemblea generale, 23 dicembre 2016, https://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/RES/71/258 (ultimo accesso 26 gennaio 2017), p. 2.
46) Cfr. SIPRI Yearbook 2016, op. cit.
47) Cfr. William J. Perry, "My Personal Journey at the Nuclear Brink" (Il mio viaggio sull'orlo della catastrofe nucleare), 17 giugno 2013, http://www.europeanleadershipnetwork.org/my-personal-journey-at-the-nuclear-brink-by-bill-perry_633.html (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
48) Toda, "Declaration Calling for the Abolition of Nuclear Weapons", op. cit. (vedi nota 2).
49) J. Robert Oppenheimer, "Atomic Weapons and American Policy" (Armi atomiche e politica americana), Foreign Affairs, luglio 1953, New York, Council on Foreign Relations, p. 529.
50) Toda, "Declaration Calling for the Abolition of Nuclear Weapons", op. cit.
51) Ward Wilson, Five Myths About Nuclear Weapons (Cinque miti sulle armi nucleari), Houghton Mifflin Harcourt, New York, 2013, p. 96.
52) Hajime Nakamura, Budda no kotoba (Parole del Budda), Iwanami Shoten, Tokyo, 1984, p. 203.
53) Cfr. David E. Hoffman, The Dead Hand: The Untold Story of the Cold War Arms Race and Its Dangerous Legacy (La mano morta: la storia mai raccontata della corsa agli armamenti durante la guerra fredda e la sua pericolosa eredità), Doubleday, New York, London, Toronto, Sydney, Auckland, 2009, p. 152.
54) Cfr. UN General Assembly, "Taking Forward Multilateral Nuclear Disarmament Negotiations", op. cit., pp. 3-4.
55) NPDI (Iniziativa per la non proliferazione e il disarmo), "Joint Statement" (Dichiarazione congiunta), ottava riunione ministeriale, 12 aprile 2016, http://www.uae-iaea.net/media/Joint_Ministerial_Statement_NPDI_12April2014.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2017), p. 7.
56) MOFA (Ministero degli affari esteri del Giappone), "G7 Foreign Ministers' Hiroshima Declaration on Nuclear Disarmament and Non-Proliferation" (Dichiarazione di Hiroshima dei ministri degli esteri del G7 sul disarmo e la non proliferazione nucleare), 11 aprile 2016, http://www.mofa.go.jp/mofaj/files/000147442.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2017), p. 2.
57) Barack Obama, "Remarks by President Obama and Prime Minister Abe of Japan at Hiroshima Peace Memorial" (Commenti del presidente Obama e del primo ministro giapponese Abe presso il monumento commemorativo per la pace di Hiroshima), 27 maggio 2016, https://www.whitehouse.gov/the-press-office/2016/05/27/remarks-president-obama-and-prime-minister-abe-japan-hiroshimapeace (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
58) UN General Assembly, "Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons" (Trattato di non proliferazione delle armi nucleari), A/RES/2373(XXII), Adottato dall'Assemblea generale, 12 giugno 1968, http://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=a/res/2373(xxii) (ultimo accesso 26 gennaio 2017), p. 5.
59) Pugwash, "The Russell-Einstein Manifesto" (Il manifesto Russell-Einstein), 9 luglio 1955, https://pugwash.org/1955/07/09/statement-manifesto/ (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
60) Ibidem.
61) UN General Assembly, "Taking Forward Multilateral Nuclear Disarmament Negotiations", op. cit., p. 4.
62) Adolfo Pérez Esquivel e Daisaku Ikeda, op. cit., p. 120.
63) UN General Assembly, "Nuclear Weapons and Human Security" (Armi nucleari e sicurezza umana), A/AC.286/NGO/17, presentata dalla Soka Gakkai Internazionale, 3 maggio 2016, https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/G16/109/15/PDF/G1610915.pdf?OpenElement (ultimo accesso 26 gennaio 2017), pp. 2-3.
64) UNHCR, "Global Trends: Forced Displacement in 2015" (Tendenze globali: gli sfollati nel 2015), 20 giugno 2016, http://www.unhcr.org/576408cd7 (ultimo accesso 26 gennaio 2017), p. 2.
65) UN, "Joint United Nations Statement on Syria" (Dichiarazione congiunta delle Nazioni Unite sulla Siria), comunicato stampa, 12 marzo 2016, http://www.unhcr.org/56e2f8ef6.html (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
66) UN News Centre, "Interview", op. cit.
67) Ibidem.
68) UNHCR, "Global Trends: Forced Displacement in 2015", op. cit., p. 2.
69) UNDP, "Building Resilience of Refugee Hosting Communities" (Creare resilienza nelle comunità che ospitano i rifugiati), 27 maggio 2016,
http://www.et.undp.org/content/ethiopia/en/home/presscenter/articles/2016/05/27/building-resilience-of-refugee-hostingcommunities-.html (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
70) ILO (Organizzazione internazionale del lavoro), "Global Migration Crisis: The World of Work Must Be Part of the Solution" (Crisi globale dei migranti: il mondo del lavoro deve essere parte della soluzione), 21 marzo 2016, http://www.ilo.org/global/about-the-ilo/newsroom/news/WCMS_461952/lang--en/index.htm (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
71) Daisaku Ikeda e Stuart Rees, Heiwa no tetsugaku to shigokoro o kataru (Conversazione sulla filosofia di pace e lo spirito poetico), Daisanbunmei-sha, Tokyo, 2014, p. 285. Cfr. anche Rees, Rodley and Stilwell, Beyond the Market: Alternatives to Economic Rationalism (Oltre il mercato: le alternative al razionalismo economico), Leichardt Pluto Press, Australia, 1993, p. 222.
72) UNHCR, "Syrian Refugee Eyes Rio Olympics" (Le Olimpiadi di Rio viste con gli occhi dei rifugiati siriani), 18 marzo 2016, http://tracks.unhcr.org/2016/03/syrian-refugee-eyes-rio-olympics/ (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
73) OHCHR (Ufficio dell'Alto commissario per i diritti umani), "Opening Statement by Kate Gilmore, Deputy High Commissioner for Human Rights, at the High-level Panel Discussion on the Implementation of the United Nations Declaration on Human Rights Education and Training: Good Practices and Challenges" (Discorso di apertura di Kate Gilmore, vice Alta commissaria per i diritti umani, alla tavola rotonda ad alto livello sull'applicazione della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'educazione e la formazione ai diritti umani: buone pratiche e difficoltà), 14 settembre 2016, http://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=20489&LangID=E (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
74) Ibidem.
75) UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione), "The Power of 1.8 Billion: Adolescents, Youth and the Transformation of the Future" (Il potere di 1,8 miliardi: gli adolescenti, i giovani e la trasformazione del futuro), 2014, http://moldova.unfpa.org/sites/default/files/pub-pdf/swop%202014%20report%20s2.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2017, p. ii.
76) UN General Assembly, "United Nations Declaration on Human Rights Education and Training" (Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'educazione e la formazione ai diritti umani), A/RES/66/137, Adottata dall'Assemblea generale, 19 dicembre 2011, https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N11/467/04/PDF/N1146704.pdf? OpenElement (ultimo accesso 26 gennaio 2017), p. 3.
77) Daisaku Ikeda e Anwarul K. Chowdhury, Atarashiki chikyu shakai no sozo e (La creazione di una nuova società globale), Ushio Publishing Co, Tokyo, 2011, p. 335.
78) Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, "Peace Inextricably Linked with Equality between Women and Men" (La pace è indissolubilmente legata all'eguaglianza fra donne e uomini), 8 marzo 2000, Comunicato stampa SC/6816, http://www.un.org/press/en/2000/20000308.sc6816.doc.html (ultimo accesso 26 gennaio 2017).
79) Daisaku Ikeda e Sarah Wider, The Art of True Relations: Conversations on the Poetic Heart of Human Possibility (L'arte delle vere relazioni. Conversazioni sul cuore poetico delle possibilità umane), Dialogue Path Press, Cambridge, Massachusetts, 2014, p .63.
80) Associated Press, "Researchers: Latin American Women Got Women into UN Charter" (Ricercatrici: alcune donne latino-americane hanno fatto inserire le donne nella Carta dell'ONU", 2 settembre 2016, http://bigstory.ap.org/article/049889e630b748229887b91c8f21e3d2/researchers-latin-american-women-got-women-un-charter (ultimo accesso 27 gennaio 2017).
81) Nichiren Daishonin, op. cit., cfr. BS, 115, 53.
(Traduzione di Marialuisa Cellerino)