Poesia > Tremila regni in un singolo istante di vita (ichinen sanzen)

Tremila regni in un singolo istante di vita (ichinen sanzen)

Osservo nello specchio universale la mia mente,
cercandone la vera essenza e significato profondamente
Il cuore del mio Maestro mi sostiene con saggezza e compassione,
mi guida con calma, coraggio e tanta, tanta passione,
affinché ciò che ho costruito non vada mai perso,
ma, anzi, perché io espanda il mio stato vitale quanto l'universo
Sento che la giusta direzione dò alla mia mente,
quando un suo consiglio, una sua poesia o un dolce verso accolgo allegramente
La mente, è un altro nome per dir vita o​ semplicemente cuore,
la cui massima espressione non deve aspettare tante, infinite ore,
se tremila regni in un singolo istante di vita, in essa già vi sono,
ne esprime uno solo per come in questo momento realmente nel cuore sono
Da essa, naturale, il bene e il male hanno origine,
come dal fuoco s'alza per es. la fuligine
Baserò la mia mente ancor sulla sincerità ?
Allora che altro potrò manifestar se non la pura realtà
Ed essa nella direzione corretta per sempre andrà ?
Se la risposta è un sì, non c'è alcun dubbio, in un istante di vita certo​ apparirà,
permeata di gioia sì in tutta la sua luminosità,
dentro e fuori di noi emergerà la vera natura della realtà,
il saggio per noi la chiamò luminosa "Buddità" !!
Anche se inizialmente a volte veramente non capisco,
così come è '"Il vero aspetto dei fenomeni" meditando finalmente ora percepisco,
scopro quanto è profonda la nostra vera mente,
e sorrido nel cuore serena nuovamente
La vera sua entità è il principio di Myoho-renge-kyo,
questo adesso chiaro sento ed è vero, io lo sò
Che felicità, che gioia, che felicità!!!!
In questo singolo istante, con tutto l'universo, ne desidero condividere la sua immensità!!

Dora Falbo
27. 02.2021

Il bene del mondo sei tu che emani positività!

Gratitudine per ogni istante di vitaAl dolore di solito reagiamo con chiusura, rabbia, risentimento. Ma nel momento in cui la rabbia svanisce, oltre il velo delle illusioni, scopriamo un mondo nuovo.
Oltre il giusto e lo sbagliato, oltre il piacevole e lo spiacevole, oltre ogni pensiero, c’è soltanto la gratitudine per ogni istante di vita.
Nessun rimorso o nostalgia perché nulla va perduto: tutto è servito per arricchirci, tutto per arrivare all’istante attuale, che è l’unica cosa che esiste. Tutto per arrivare a capire che l’unica cosa che conta è essere grati per il sacro istante attuale di vita, che non è mai banale, è un dono che desta meraviglia.
Grazie!

Una grande epidemia nel villaggio dei Puffi

A quel tempo, c’era molto scompiglio nel villaggio dei puffi. Girava voce che l’epidemia fosse iniziata a causa di un virus che aveva colpito il gatto Birba (il gatto di Gargamella) e che da lui, per qualche misteriosa ragione, fosse arrivato ai puffi. Qualcuno addirittura sospettava che fosse stato Gargamella stesso a fare un sortilegio, qualcun altro era certo che si trattasse di un complotto degli spiriti del bosco, altri ancora non sapevano chi additare e se la prendevano con chiunque capitasse. Altri erano assolutamente certi che fosse tutta una macchinazione infernale, una bugia, una farsa. In realtà i puffi non stavano male a causa di questo misterioso virus, ma a causa del fatto che non facessero altro che litigare tra di loro per la paura di qualcosa che non conoscevano.

Ogni puffo pretendeva di avere ragione.

Puffo Quattrocchi, che ha sempre considerato se stesso più intelligente degli altri, sosteneva che erano tutti stupidi nel dar credito alle voci sul virus, perché secondo lui non c’era proprio nulla di cui preoccuparsi: «Fate la vostra vita di sempre, che è meglio!», così predicava… ma come al solito veniva scaraventato fuori dal villaggio a calci.

Puffo Tontolone invece se ne stava sempre chiuso nella sua casina e soprattutto non andava più in giro a combinare guai e a inciampare ovunque andasse: gli altri puffi sentivano la sua mancanza, perché la sua goffaggine era una delle cose più belle e divertenti del villaggio.

Puffo Inventore passava le giornate a inventare vaccini contro questo misterioso virus per salvare il villaggio… il suo scopo era nobile, però pretendeva che tutti gli altri puffi facessero da cavie. I malcapitati che provavano i suoi vaccini spesso si ammalavano o rimanevano paralizzati.

Puffo Forzuto stava perdendo il suo aspetto atletico. La palestra del villaggio era stata chiusa (per il virus), lui non si poteva più allenare, non poteva più contemplare la magnificenza dei suoi muscoli, non si udivano più le sue urla quando alzava pesi cento volte più pesi di lui… e così, alla fine, aveva perso forza, stava ingrassando e mangiava male.

Puffo Golosone era tristissimo e persino un po’ dimagrito: non poteva più rubare i dolci a Puffo Pasticcere, perché la pasticceria era stata chiusa (sempre a causa di questo misterioso virus).

E così via… tristezza, rabbia e terrore erano le emozioni prevalenti in tutto il villaggio. Potremmo parlare delle tristi vicende di ogni puffo, ma voi, amici miei che state leggendo, avete già ben intuito la situazione: Puffo Cuoco era rimasto senza lavoro, Puffo Vanitoso non incontrava più nessuno per paura di ammalarsi e si limitava a farsi qualche selfie su Puffibook, Puffo Brontolone era ancora più sgarbato del solito e ripeteva continuamente: “Io odio il virus e chi ci crede”, Puffo Pittore aveva perso la sua vena artistica, Puffo Burlone non faceva più scherzi e aveva completamente cambiato vita (era andato a lavorare all’Istituto di Statistica dei Puffi, come vedremo nel proseguo di questa storia), Puffo Poeta non poetava più, Puffo Stonato aveva smesso di suonare la tromba e gli altri strumenti musicali a lui tanto cari (e per certi versi questa è l’unica notizia positiva), Puffo Contadino era terrorizzato dall’idea di stare all’aria aperta. E Puffetta? Aveva continue crisi di panico, i suoi capelli lunghi e biondi erano diventati corti e grigi.

Le cose non potevano andare avanti così. Gli unici puffi che, almeno apparentemente, se ne stavano abbastanza tranquilli erano Puffo Dubbioso e Grande Puffo, praticamente gli unici che continuavano a fare la loro vita di sempre. Già molto tempo prima che qualcuno iniziasse a parlare del misterioso virus, Puffo Dubbioso ripeteva tra di sé: «Per fortuna, quello che non so, non lo so, quello che invece so non corrisponde alla realtà»; al tempo dell’epidemia, Puffo Dubbioso continuava a ripetere tra di sé quella stessa frase, quindi la sua posizione era rimasta la stessa. Grande Puffo, che era il più anziano di tutti i puffi e un abile mago, sembrava mantenere un’imperturbabile pace interiore, pur sentendo dentro di sé le sofferenze degli altri puffi e rammaricandosi molto per esse. Se Grande Puffo lo avesse voluto, avrebbe potuto riportare immediatamente la normalità nel villaggio con una magia, ma preferì non farlo: dal suo punto di vista, chi non fa esperienza del dolore, della paura, dello smarrimento e dei propri errori non potrà mai capire gli altri. Lui riteneva che la vita fosse un percorso di consapevolezza personale, ed essendo personale di ciascun puffo, preferì non intervenire.

Dopo l’ennesimo litigio nel villaggio in cui ognuno pretendeva di avere ragione, qualcuno disse: «Puffo Dubbioso, tu sei l’unico rimasto zitto. Perché non vai da Grande Puffo e gli chiedi come stanno le cose e cosa dobbiamo fare?». Gli altri puffi si trovarono velocemente d’accordo nell’appoggiare questa richiesta. Puffo Dubbioso rispose: «D’accordo, visto che me lo chiedete in tanti, andrò da Grande Puffo, purché siate disponibili ad accettare qualunque risposta egli mi dia». E gli altri: «Sì, vai!».

Grande Puffo, nel frattempo, se ne stava tranquillamente seduto sotto un grande fungo, un po’ fuori dal villaggio, ma non troppo lontano, a studiare un antico manoscritto, che gli era stato lasciato in eredità dal suo mentore Nonno Puffo. Mentre leggeva, intravide che si stava avvicinando Puffo Dubbioso. Interruppe la sua lettura, guardò Puffo Dubbioso e gli disse: «Ognuno si senta libero di fare ciò che il cuore gli comanda e che è confacente alla propria natura». Puffo Dubbioso rimase zitto a guardarlo, ci fu una pausa breve ma al contempo lunga. Rispose: «Grande Puffo, tu mi accogli senza neanche salutarmi e non sai neanche perché sono venuto da te. Perché mi hai detto questo?». E lui: «A volte, Puffo Dubbioso, ti perdi nei tuoi ragionamenti e dimentichi la magia che ci è stata tramandata dai nostri avi. Ti ho detto quello che ciascun puffo vorrebbe sentirsi dire, ma che nessuno ha il coraggio di ammettere, né tanto meno di dire a se stesso».

Puffo Dubbioso rimase un’altra volta in silenzio, guardò a terra, poi si guardò attorno come se stesse cercando qualcosa; alla fine, rialzando un po’ spalle e braccia con un gesto misto di interrogativi e confusione interiore, gli rispose: «Grande Puffo, ti ringrazio, ma questo non basta. Gli altri puffi vogliono sapere chi ha ragione e chi ha torto, vogliono la verità e sapere cosa devono fare».

Grande Puffo: «Gli altri vogliono la verità? E tu cosa vuoi? Secondo te qual è la verità?».

Puffo Dubbioso: «Secondo me hanno tutti ragione e tutti torto. Se la verità fosse un colore, sarebbe cangiante. Proprio oggi ho letto i dati dell’ISTAP (Istituto di Statistica dei Puffi) redatti da Puffo Burlone e nello stesso documento, nello stesso paragrafo, c’è una frase che asserisce che non c’è stato un aumento dei Puffi andati nel Puffoparadiso tra prima e dopo l’epidemia, e un’altra frase che dice l’esatto contrario (*). Quindi l’esistenza e non esistenza, la pericolosità e non pericolosità del virus sono entrambe vere, o, se lo si preferisce, false. Ma io amo tutti i puffi e amo il villaggio, non mi interessa chi ha ragione e chi ha torto, mi interessa soltanto che ognuno sia felice e a proprio agio».

Grande Puffo: «La tua confusione interiore non impedisce al tuo cuore di vedere l’unica cosa essenziale. Vai e riferisci quel che ci siamo detti, chi avrà orecchie per ascoltare e cuore per capire saprà cosa fare». Puffo Dubbioso lo ringraziò e si allontanò per riferire agli altri puffi, parola per parola, quel che si erano detti.

Mentre accadevano queste cose, Gargamella, che era anch’egli un mago, all’insaputa di Puffo Dubbioso (ma non di Grande Puffo, a cui difficilmente poteva essere nascosto qualcosa), aveva osservato tutta la scena dalla sua palla di vetro. In quel castello dove Gargamella trascorreva gran parte del suo tempo insieme al suo gatto Birba, accadde qualcosa di straordinario: questa fu la prima volta in vita sua che desiderò il benessere di tutti i puffi, anziché il loro male. Lui aveva bisogno dei puffi tanto quanto i puffi, senza saperlo, avevano bisogno di lui. Lui era sempre stato follemente geloso della loro felicità, era ciò che da sempre inseguiva e che voleva catturare, ma, dal momento che i puffi erano diventati tristi e impauriti, la sua vita e il suo obiettivo di catturare i puffi non avevano più senso. In questo raro, se non unico, momento di lucidità, fu d’accordo con Grande Puffo. Tra l’altro, Gargamella e Birba non c’entravano niente con l’epidemia, lui stesso non capiva cosa stesse succedendo.

Puffo Dubbioso era tornato al villaggio. Quel che successe dopo fu una sorta di magia, ma senza bisogno di pozioni magiche né di interventi esterni: i puffi ascoltarono il resoconto dell’incontro con Grande Puffo e cominciarono a guardarsi l’un l’altro con un po’ più di cuore, senza più chiedersi chi avesse ragione e chi torto. Ognuno cominciò a intuire qualcosa che fino a quel momento gli era sfuggito, qualcosa che le parole non potevano esprimere… e pian piano tutto ritornò alla normalità di sempre. Alla fine, se questo virus ci fu o non ci fu, da dove venne o da dove non venne, nessuno se lo chiese più: erano invece tutti grati di aver fatto questa esperienza di paura e di smarrimento, perché aveva permesso a tutto il villaggio di capire cosa fosse realmente importante.

Scritto da un amico dei puffi,
15 aprile 2021

(*) Per chi non avesse capito bene questo discorso fatto da Puffo Dubbioso a Grande Puffo, basta leggere i documenti di allora. In una nota esplicativa dell’ISTAP (Istituto di Statistica dei Puffi) redatto da Puffo Burlone, c’era infatti scritto: «I puffi andati nel Puffoparadiso, in dodici mesi di pandemia, sono stati 755». Questa frase, presa da sola e decontestualizzata, significava che c’era, in quel momento, una grave pandemia nel villaggio. Contestualizzandola, i 755 puffi si riferivano ad una popolazione complessiva di 59.257 puffi (cioè l’1,27%), quindi il senso della frase era già diverso se contestualizzata e tenendo conto che era un dato totale, a prescindere dalla causa che portava al Puffoparadiso. Nello stesso documento, inoltre, poco dopo c’era scritto: «Il numero dei puffi che quest’anno stanno andando nel Puffoparadiso è di poco superiore alla media degli ultimi anni». Questa frase, presa da sola e decontestualizzata, significava che, in quel momento, non c’era alcuna pandemia nel villaggio. E’ evidente, cari amici, che Puffo Dubbioso avesse buone ragioni per essere confuso. Comunque, nei nostri tempi attuali, le cose non vanno meglio. In questo documento dell’ISTAT del 30 marzo 2021 ci sono statistiche identiche a quelle lette da Puffo Dubbioso (i numeri vanno soltanto moltiplicati per mille), inoltre c’è più o meno la stessa compresenza di opposti. Nel paragrafo “Sintesi delle principali evidenze”, si asserisce l’effetto della pandemia e subito dopo lo si smentisce, con un escamotage linguistico che nega tale compresenza di frasi opposte pur confermandola: https://www.istat.it/it/files/2020/03/nota-esplicativa-decessi-30-marzo-2021.pdf (link alternativo). Nello specifico, l’ISTAT smentisce completamente la presenza dell’epidemia tramite la tabella 2 a pag. 4, però l’ISTAT conferma l’epidemia con una deduzione nei quattro righi sopra la tabella stessa. Conferme e disconferme possono essere trovate all’infinito, ce ne sono quante uno ne vuole: basta cercare altrove, in altri documenti e in altre fonti. Ognuno può vedere quel che vuole e costruirsi la propria visione delle cose. Ma cos’è realmente importante? I Puffi Dubbiosi di oggi, se lo vogliono, possono rivolgersi al loro Grande Puffo interiore.

Brevi appunti di viaggio

Appunti di viaggio di un viaggiatore tra infiniti viaggiatori diretti alla stessa meta, ma ognuno con un percorso diverso…

1. Serena attenzione nelle relazioni

Non è mai una questione di chi ha ragione o di chi ha torto, ma è solo una questione di qualità delle relazioni con le persone (compresi noi stessi), gli animali, le piante, l’ambiente.
La serenità è una conseguenza della fede nella vita, grazie alla quale la voglia di vivere prevale sulla paura di morire.
La malattia, l’invecchiamento e la morte non sono più fonte di inquietudine, uno scandalo o un problema da risolvere con qualche stregoneria tecnico-medico-scientifica o altri tipi di magie, sono soltanto una naturale conseguenza della nascita, e quindi un dono. Le pratiche di mantenimento della buona salute psico-fisico-relazionale diventano quindi un’espressione della gratitudine per tale dono, ma senza eccessivo attaccamento e senza ricercare l’immortalità, che è sinonimo di non-vita.
La serena attenzione nelle relazioni implica il riconoscimento che la propria anima fa parte di una comunità di anime.

2. Disidentificazione dai pensieri

I pensieri, al pari dei sogni, non hanno proprietari, sono entità che si muovono nello spazio e nel tempo, che attraversano noi esseri umani e che ci usano per rendersi manifesti, ma non ci appartengono: ogni pensiero è frutto di infinite relazioni.
Non attaccarsi ai pensieri percepiti come “propri”, ovvero non sentire alcun bisogno di guerreggiare per difendere un’ideologia, una credenza, un principio, un piccolo pensiero o quant’altro possa collocarsi in un ipotetico continuum duale del giusto e dello sbagliato, non significa soltanto “darsi pace”, ma anche predisporsi all’amore e a poter imparare qualcosa di nuovo da qualsiasi esperienza.

3. Comprensione mistica della vita

Se da una parte il principio di contraddizione e di compresenza degli opposti spianano la strada ad un relativismo assoluto senza punti di riferimento a priori, ovvero ad una visione dell’esistenza in cui ogni pensiero e atto umano è intrinsecamente legittimo, dall’altra il principio di interdipendenza ci ammonisce che tutto quello che facciamo agli altri lo stiamo facendo anche a noi stessi, e viceversa. La visione aperta, critica, tollerante, discutibile, amorevole e senza giudizi della vita e delle persone, in cui ogni sistema di pensiero è considerato portatore di contraddizioni interne, ovvero una visione relativistica, è al contempo accompagnata da un sentimento di sacralità e di rispetto per tutto ciò che esiste, in quanto parte di un tutto di cui tutti facciamo parte e che, al contempo, è parte di noi. Non ci sono persone in buona o cattiva fede, ci sono soltanto persone che hanno consapevolezze qualitativamente diverse.

Scritto da un’anima,
14 aprile 2021

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