Provo a esprimere “un” punto di vista cristiano. Quando dico “un”, intendo uno tra i tanti possibili, senza pretese di essere un punto di vista migliore di altri. Del resto, le opinioni sono come le nuvole nel cielo, cambiano in fretta e non c’è una nuvola migliore di altre.
L’atto di scrivere non è solo per lasciare traccia di qualcosa di passeggero, ma anche per dargli un po’ di forma e potenziale utilità per il prossimo, perché da idea nasce idea.
Detto ciò, siamo nel tempo dell’intelligenza artificiale, che è entrata con la gentilezza di un bulldozer nelle nostre menti e nei nostri processi creativi. Sia ben chiaro che queste riflessioni le sto scrivendo di getto con un normale editor di testo (LibreOffice). Se parlo di intelligenza artificiale è perché vedo quello che sta succedendo, e siamo solo all’inizio.
La tecnologia non è mai neutrale e ci sta condizionando pesantemente, con violenza mascherata da gentilezza. Grazie alle opere del demonio come la televisione, i social e l’intelligenza artificiale – su cui Satana ha il monopolio – viviamo in un mondo che ha rigettato come falsa la presenza di Dio (nel senso cristiano del termine) e il suo costante e ineludibile intervento in tutto il creato. Da ciò ne seguono filosofie e religioni volte a potenziare l’ego individuale e la sua presunta capacità di intervento sugli eventi per direzionarli secondo i propri desideri.
La tecnologia è perfetta per tutto ciò che riguarda l’ingigantimento dell’ego, detto più elegantemente “empowerment individuale”, in modo da dargli un tocco positivo e psicologico. Così l’intelligenza artificiale può presentarsi come coach, come mentore, o come oracolo, e i propri desideri sono il “culto” a cui prostrarsi. Pratiche che scivolano nel religioso, nel mistico e nel magico sono a sostegno dei propri desideri, che seppur legittimi hanno un grande problema: attaccarsi ad essi è causa di sofferenza e di lontananza da Dio. Non a caso, il digiuno cristiano non è tanto da intendersi come l’astinenza dal cibo (che se esagerata o esaltata invece di avvicinare a Dio ci allontana), ma come astinenza dall’“attaccamento” ai piaceri e persino ai pensieri nocivi. Una buona forma di digiuno può essere quella dai social, dalla tv e dall’intelligenza artificiale. Anche starsene da soli e senza usare lo smartphone (magari spento o silenziato), ovvero in assenza di stimoli esterni, e cercare solo la compagnia di Dio, è una pratica utile.
Tornando al culto dei propri desideri (e alla sofferenza che ne consegue), alla base di tutto c’è una autoreferenzialità che potrebbe sintetizzarsi in: “Tutto dipende da me, anche perché sono solo, non c’è un Dio a cui rivolgermi”. E’ una tendenza generalizzata nella società e giustificata anche dalle pippe mentali sulla cosiddetta “legge di attrazione”. L’idea è che se immagino qualcosa nei minimi dettagli, ci credo e mi impegno per realizzarlo, allora lo realizzo per davvero. Qualche volta ciò sarà possibile, nella maggioranza dei casi no, ma in ogni caso si tratta di fare affidamento solo sulle proprie capacità e sull’eventuale favore delle circostanze. Ma non sono le nostre capacità individuali a salvarci dal dolore del vivere, né a regalarci amore o speranze dopo la morte.
Queste filosofie autorefenziali hanno senso in un mondo di ego isolati, depotenziati, e innocui verso qualsiasi possibilità migliorativa di cambiamento sociale. In questo modo, ciascuno di noi viene ingiustamente responsabilizzato per le proprie disgrazie, senza sottolineare che la tecnologia odierna amplifica a dismisura il “divide et impera” dei più forti sui più deboli.
In un tale clima sociale, le preghiere, ormai atee e rivolte al massimo all’“universo” (qualunque cosa possa significare...), sono la testimonianza di anime perse, sole, ingannate. Tolta ogni altra risorsa pratica e culturale, sempre più persone si rivolgono al pensiero magico, all’esoterismo, e alla divinazione con mille mezzi anche tecnologici, intelligenza artificiale compresa. Anche aggrapparsi alla cosiddetta “scienza”, facendola coincidere con una sorta di “verità” religiosa, è una via possibile e praticata (dagli ingenui).
E in tutto questo, Dio dov’è? Non c’è. Nel senso cristiano del termine, “peccato” significa stare lontano da Dio, e un intero mondo che sta lontano da Dio si chiama Inferno. Siamo nell’Inferno, che paradossalmente è proprio il luogo migliore dove potremmo trovarci per ripulirci dall’immondizia che si trova nelle nostre menti e nei cuori.
La preghiera ha tanto più senso quanto più l’ego perde i suoi sostegni. Più una persona cercherà realmente di evolversi spiritualmente, e più tutto le andrà in frantumi. Ciò è una grazia, serve a rendere evidente alla propria coscienza l’inutilità, la fallibilità e l’inconsistenza del proprio ego.
La massima aspirazione per un cristiano è fare la volontà di Dio, non la propria. Anzi, la propria volontà non esiste più.
“Ma le cose nel mondo vanno male, devo fare qualcosa”, potrebbe dire qualcuno. “Non è una tua responsabilità e non sei tu l’artefice della creazione”, mi verrebbe da rispondere, perché chi teme Dio non ha bisogno di temere nient’altro. Comunque, sforzarsi di cambiare il mondo non serve a nulla e non porta a nulla di buono, perché l’esito delle proprie azioni dipende innanzitutto da una volontà superiore alla propria.
Lo ripeto: la massima aspirazione per un cristiano è fare la volontà di Dio, non la propria. E se “le cose che accadono” sono “i pensieri di Dio”, ovvero se il creatore è in tutte le creature e se Cristo è in tutti i cuori, anche in quelli più induriti, noi di cosa dobbiamo preoccuparci? “Ama il prossimo tuo come te stesso” (e non pensare male di lui o di lei) è così facile che possiamo permetterci di dire a Dio quello che dovrebbe fare?
Domande retoriche a parte, il senso della preghiera cristiana è innanzitutto un cambiamento interiore in chi la fa. Nessuna preghiera cambierà mai la volontà di Dio, che è decisa in eterno e che viene prima della creazione. Al massimo le preghiere possono cambiare la volontà degli uomini.
E tutto questo cosa c’entra con la tecnologia? Nulla, se non il fatto, per i motivi detti all’inizio, che più ci fidiamo della tecnologia e meno ci fidiamo di noi stessi e di Dio. Noi viviamo nella “società dell’imbroglio” e l’intelligenza artificiale è una delle attuali massime espressioni di questo imbroglio.
L’intelligenza artificiale è al massimo un riflesso cupo e sporco dell’umano, ma non ha nulla di divino. L’uomo invece è creatura di Dio, ma ribellarsi alla volontà di Dio porta solo a un disastro dopo l’altro. Peggio, credere di essere onnipotenti come Dio... beh, lasciamo stare.
“Colui che conosce i suoi peccati è più grande di colui che con la preghiera risuscita un morto. Colui che per un'ora geme su se stesso è più grande di colui che insegna all'universo. Colui che conosce la propria debolezza è più grande di colui che vede gli angeli... Colui che solitario e contrito, segue il Cristo, è più grande di colui che gode il favore delle folle nelle chiese”.
(Isacco il Siro, fu un mistico, teologo e vescovo cristiano orientale del VII sec.)
Come nota finale, vorrei aggiungere un giudizio estetico. Vedo spesso immagini e video su temi sacri generati dall’intelligenza artificiale, perché ormai sono ovunque. Non mi piacciono, nemmeno quelli più belli ed elaborati, nemmeno i video più “meravigliosi”. Non c’è anima, sono vuoti, “sento” che sono fatti senza fede e senza cuore. Provate a confrontare qualsiasi immagine della Madonna generata dall’intelligenza artificiale con l’icona ortodossa “Theotokos di Vladimir”, dipinta a Costantinopoli nel XII secolo. Non c’è paragone, sembra che l’anima di Maria sia dentro quel quadro. Stesso discorso per i presepi e altre immagini sacre.
(27 aprile 2025)