La scelta di fronte ai Cavalieri dell’Apocalisse, tra cristianesimo e buddismo
Inganno, dominio tirannico, guerra, carestia, malattia, disastri e morte sono costanti nell'esperienza umana. I Cavalieri dell'Apocalisse camminano sempre tra di noi, e ci seducono. Folle oceaniche sono sempre pronte a servirli.
Proviamo a fermarci, a staccarci dall’avvelenamento informativo, dai mostri che la propaganda continua a introiettarci per renderci più simili ai servi del male. Odio e rabbia, per quanto possiamo giustificarli, sono sempre al servizio delle forze oscure, anche quando rivolti verso chi commette mostruosità. La saggezza del «porgi l’altra guancia» deve essere scaturita da una simile considerazione.
Rimaniamo in silenzio e osserviamo i nostri pensieri, senza giudicarli, lasciamoli fluire come le nuvole in cielo.
Che tipo di linguaggio interiore stiamo sentendo? E’ fortemente connesso al linguaggio esteriore?
Ovunque io vada, per strada, nei bar, nei mezzi pubblici, nei canali informativi più popolari, sento turpiloquio e miseria spirituale. Questo linguaggio serve solo a nutrire i nostri demoni e a spianarci la strada verso una sorte peggiore dell’attuale. Le parole creano la realtà, per questo hanno un potere immenso.
Un linguaggio gentile, fiducioso e positivo crea un ambiente sereno e accogliente in cui è bello vivere, migliorando il nostro e l’altrui benessere. Al contrario, parole volgari, aggressive, ruvide o negative danneggiano la qualità dei nostri legami con gli altri, la nostra salute, e il nostro stare al mondo diventa ogni giorno più difficile.
Chi si fida e si affida all’Amore divino non ha bisogno di usare parole pesanti né di fare previsioni negative. La fiducia in un Amore universale, cosmico, che tutto crea e tutto abbraccia ci rende sopportabile ogni peso e ci fa guardare oltre le contingenze. Ci alleniamo così a osservare gli altri come creature meravigliose di quello stesso Amore che ha creato noi. «Ama il prossimo tuo come te stesso» comincia così ad avere significato.
Animati da una tale fiducia nella vita, potremmo chiederci perché esista il male. A tal riguardo, sono circa quattordici anni che ho intuito due questioni fondamentali conseguenti alla mia fede nella Legge buddista, che ho espresso in molteplici occasioni:
1. Il male non viene mai per nuocere.
2. Il male si autodistrugge senza bisogno di combatterlo direttamente, basta rimanere nel bene.
In realtà nessun maestro buddista che io conosca si è mai espresso in questi termini così diretti, in quanto fraintendibili. Queste sono soltanto due mie convinzioni interiori che trascendono l’esperienza quotidiana e che si fondano su una visione a lunghissimo termine, che può tranquillamente andare oltre l’esperienza corporea. La mia intuizione è che il male esista per darci il libero arbitrio e che, alla luce della Legge mistica buddista, comunque tutto alla fine si trasformi in bene, è solo questione di impegno personale e di tempo. Dal mio punto di vista ciò è in accordo, anche se in modo indiretto e sottile, con la “Parabola della pioggia benefica” narrata dal Budda nel capitolo 5 del Sutra del Loto.
In questa parabola, la pioggia cade indiscriminatamente su tutti gli esseri viventi, che siano in condizioni favorevoli o meno, e ognuno ne trae il beneficio massimo possibile secondo la propria natura. Possiamo estendere questo principio alla sofferenza, nel senso che anche ciò che ci appare come un “male” è in realtà parte della pioggia del Dharma, cioè dell’insegnamento del Budda, il quale, nel capitolo 16 del Sutra del Loto, definisce se stesso come un essere eterno e come “il padre di questo mondo che salva coloro che sono afflitti e soffrono”. Tale definizione fa coincidere il Budda con la vita stessa e le sofferenze della vita come un insegnamento di cui “abbiamo bisogno”. Questa prospettiva, tra l’altro, non è molto diversa da quella panteistica di un dio immanente, molto simile a quella del “Deus sive Natura” (lett. “Dio ossia la Natura”) del filosofo olandese Benedetto Spinoza (1632-1677).
Sono certo che molti buddisti occidentali non sono d’accordo con quanto ho appena scritto, in quanto fondano il loro credere sugli insegnamenti del Budda sul non-credere in un dio. La confusione linguistica nasce non solo dal diverso contesto culturale, ma anche dalla differenza tra il “dio-persona” esterno al creato (trascendente), e il “dio-tutto” che è il creato (immanente). In senso lato, sto sovrapponendo il modo con cui il Budda definisce se stesso con ogni dottrina filosofica che identifichi Dio con il mondo o con il principio che lo regge.
Tornando al tema centrale, sto deducendo dall’insegnamento del Budda che ogni situazione, anche negativa, ha un’origine e uno scopo “per noi benefico” che possiamo trasformare in qualcosa di positivo attraverso una fede corretta, un retto pensiero e giuste azioni. Una sofferenza oggi può portare a un grande risveglio domani. La “trasformazione del veleno in medicina” è un concetto sviluppato soprattutto nella tradizione buddista di Nichiren Daishonin.
Facendo il possibile per unire due tradizioni religiose così distanti, come buddismo e cristianesimo, vorrei citare che uno più grandi maestri della Chiesa Cattolica, Sant’Agostino d'Ippona (354-430), è giunto a conclusioni analoghe.
Sant’Agostino ha infatti sviluppato una concezione del male che cerca di rispondere alla domanda fondamentale su come possa esistere il male in un mondo creato da un Dio onnipotente e completamente buono, un Dio è che Amore.
Sant’Agostino concepisce il male come “privatio boni”, cioè privazione o assenza di bene (cfr. cap. 1 "Sant'Agostino, La libertà e il male morale" di "Bene e Male" di Marco Salvioli). Per Sant’Agostino, il male non è una sostanza o un’entità indipendente, piuttosto è la mancanza o la corruzione di un bene preesistente. Questa idea è stata fondamentale per la teologia cristiana, perché ha permesso di spiegare l’esistenza del male senza attribuirne la creazione diretta a Dio. In altre parole, Dio ha creato tutto ciò che esiste e tutto ciò che ha creato è buono, mentre il male si manifesta solo quando qualcosa si allontana dal suo stato di bontà o integrità originale.
Un elemento centrale della visione agostiniana è il ruolo del libero arbitrio. Sant’Agostino sostiene che il male morale esista a causa delle scelte libere delle creature dotate di volontà, come gli esseri umani e gli angeli. Queste creature sono state create da Dio con la libertà di scegliere il bene o il male. Quando scelgono il male, cioè quando si allontanano volontariamente dalla legge divina e dalla bontà, contribuiscono all’esistenza del male nel mondo. Pertanto, Sant’Agostino difende la bontà di Dio sostenendo che il male non è attribuibile alla volontà divina, ma alla cattiva scelta delle creature.
Un’altra importante idea di Sant’Agostino è che il male esista nel contesto di un ordine universale più grande, che Dio permette per scopi che spesso vanno oltre la comprensione umana. Sant’Agostino sostiene che Dio può trarre il bene anche dalla presenza del male, mantenendo un equilibrio nella creazione che conduce al bene ultimo. Questa concezione di Sant’Agostino è stata ripresa anche in questo passaggio della Summa Theologiae di San Tommaso d'Aquino (1224-1274), che cito letteralmente:
«Ad primum ergo dicendum quod, sicut dicit Augustinus in Enchiridio: Deus, cum sit summe bonus, nullo modo sineret aliquid mali esse in operibus suis, nisi esset adeo omnipotens et bonus, ut bene faceret etiam de malo. Hoc ergo ad infinitam Dei bonitatem pertinet, ut esse permittat mala, et ex eis eliciat bona.»
Tradotto: «Alla prima obiezione si deve dunque rispondere che, come dice Agostino nell'Enchiridion: Dio, essendo sommamente buono, in nessun modo permetterebbe che ci fosse del male nelle sue opere, se non fosse così onnipotente e buono da trarre bene anche dal male. Questo dunque appartiene all'infinita bontà di Dio, che Egli permetta l'esistenza dei mali e ne tragga dei beni.»
Questa visione cerca di dimostrare che, pur essendo presente, il male contribuisce indirettamente al disegno divino finale di bontà e redenzione.
Sant’Agostino crede anche che il male sia autodistruttivo per natura. Poiché il male è una deviazione dalla bontà e dalla verità di Dio, non ha una vera essenza o solidità e non può durare indefinitamente. Quando le creature scelgono il male, tendono alla corruzione e alla morte, perché si allontanano dalla fonte della vita, che è Dio. Di conseguenza, il male porta inevitabilmente alla sua stessa rovina, poiché si basa su un’assenza piuttosto che su una sostanza.
Possiamo quindi notare delle sovrapposizioni tra cristianesimo e buddismo nel concezione del male, che in entrambi i casi diventa strumento del bene. Ma alla fine, la nostra scelta di fronte ai Cavalieri dell’Apocalisse, se servire il male o essere strumenti dell’Amore divino, è e rimane personale. Entrambe le scelte hanno un costo molto alto. La terza via, quella degli ignavi che “visser sanza infamia e sanza lodo” (Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto III) non la auguro a nessuno.
(20 novembre 2024)
Fidarsi e affidarsi all'Amore divino, non occorre altro
Un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». E Gesù: «Hai risposto bene; fa' questo e vivrai». Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: "Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno". Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' lo stesso».
(November 17, 2024, go to my art gallery)
Tutto ciò che non è umiltà è menzogna
L'idea di un "memento mori" (lett. "ricordati che devi morire") era profondamente radicata nella cultura romana. Quando un imperatore celebrava trionfante una vittoria, mostrando tutta la sua gloria per le strade di Roma, uno schiavo era incaricato di tenere una corona d'alloro sopra la sua testa e di ricordargli ripetutamente: "Tu sei solo un uomo, ricordati che devi morire". Anche se le parole esatte forse non erano queste, lo era il senso.
La nostra vera forza non è nell’ego, ma nell'anima che fa parte di una comunità di anime e che aspira di unirsi al tutto.
(15 novembre 2024)
Oltre il fare e l'essere, dove poniamo l'attenzione?
Simili a un cane che si morde la coda, siamo ossessionati dalla domanda "Perché?", cui subito segue la sua gemella, non meno ossessiva, "Come?", nel senso di come fare per cambiare. Non a caso, tutte le propagande elettorali del mondo parlano sempre di "cambiamento", solitamente proponendo intenzioni irrealistiche, ma persuasive. Stesso discorso per la nostra mente, in cui sovente idee vagabonde fanno a gara in una propaganda elettorale continua, proponendo ciò che non c'è. Tali idee, tra l'altro, sono abili nel nascondere la loro origine.
In questo tumultuoso moto interno, comune alla maggior parte di noi, fatta eccezione per quei pochi che già da tempo si sono pacificati, la ricerca della felicità non è altro che la ricerca di risposte alle domande sbagliate.
Il primo inganno sta nel senso dell'esistenza, che nessuno mai ci spiega, o se lo fa nasconde interessi o bisogno di conferme, come nel caso del proselitismo religioso, dell'indottrinamento ideologico o del patriottismo coercitivo. In tutti questi casi, l'obiettivo è quello di sostituire la coscienza individuale con quella del gruppo, eludendo completamente di affrontare quale sia il senso dell'esistenza.
Questa assenza di spiegazioni è sostituita da indicazioni subliminali ma estremamente potenti. La propaganda neoliberista ci accompagna dalla culla alla tomba, convincendoci che la risposta al "nulla", cioè ad una vita di per sé senza significato se non quello del caso o del caos, sta nel "fare" e nell'"emergere", cioè competere in una guerra infinita per essere visibili. Le anime meno ingenue possono tentare di sostituire la priorità del "fare" con quella dell'"essere", salvo poi dover comunque sottostare alle necessità del vivere quotidiano che spingono in tutt'altra direzione. Del resto, "fare" ed "essere" si sovrappongono quasi come se fossero sinonimi nella ricerca della propria identità sociale.
Ma qual è il soggetto dei verbi "fare" ed "essere"? E' l'ego in eterna guerra con il mondo, anche nel caso delle persone più docili che mai ammetterebbero a se stesse una simile banalità, preferendola sotterrata nel punto più buio dell'inconscio. Ma anche se non lo ammettiamo a noi stessi, questo ego ci comanda, ci motiva, ci protegge dall'annientamento, inventando e insistendo con ostinata fedeltà ai suoi veri scopi. Si oppone alla ragionevolezza facile ai compromessi e spesso ci obbliga alla devianza e alla bizzarria, specialmente quando ci sentiamo non visti, non riconosciuti, non apprezzati, trascurati o contrastati. Questo, tra l'altro, è il motore dei cambiamenti nei costumi sociali, dell'originalità dei geni e di tutti coloro che innescano grandi cambiamenti o che storicamente li precedono.
In tutto ciò, di per sé, non c'è nulla di male, però prevale sempre un "Io", "Io", e ancora "Io" che mai troverà pace, né senso di se stesso.
Il grande inganno è che la felicità sia uno stato ideale dell'Io da raggiungere o che sia necessario "fare" qualcosa per essere felici. A conferma che si tratti di una suggestione fuorviante, basterebbe notare che la consapevolezza del senso della propria esistenza è già essa stessa felicità, perché è la risposta al perché dei perché, a quell'unica domanda essenziale che in tutti i modi scacciamo via con mille distrazioni, con il lavoro, con l'impegno sociale e familiare, con lo studio, con lo sport o, in alternativa, con un disimpegno rinunciatario da tutto ciò pari a quello di un clochard che va avanti per inerzia.
La vita è relazione e non esiste vita al di fuori della relazione, quindi il senso della vita è nella relazione, nella comunità terrena e in quella visibile solo con gli occhi della fede, nella qualità dei legami che costruiamo e nella gentilezza e attenzione con cui li curiamo. In questa "giusta attenzione" sta il senso delle nostre esistenze, che trascendono l'individualità e che si trovano all'interno di una grande rete di legami visibili e invisibili. Nessuna vita ha senso di per sé, perché di per sé non esiste. Non c'è nessun "fare" o "essere" da rincorrere. Esistiamo tutti insieme.
Anche l'eremita si relaziona, solitamente con la natura, con le divinità e gli angeli, e ciò gli è sufficiente per essere felice e in pace.
«Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimu, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui; et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle: in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli che 'l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali.
Beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi' Signore et ringratiate et serviateli cum grande humilitate.»
(Cantico delle Creature di San Francesco D'Assisi)
Inoltre:
«Non cercate la legge nelle vostre scritture, perché la legge è vita mentre la scrittura è cosa morta. […] Dio non scrisse le sue leggi sulle pagine dei libri ma nel nostro cuore e nel nostro spirito».
(Gesù, Vangelo Esseno della Pace)
(8 novembre 2024)
Oltre le teorie separative, siano esse di genere, di politica o di religione
Mentre l'umanità affonda nelle sue discariche, conta poco se siamo femminili, maschili o un misto dei due. Scompariremo tutti insieme. Questioni ben più pressanti che non il genere invocano la nostra attenzione. Stesso discorso per le prese di posizione faziose in difesa di una specifica religione o parte politica.
I miei lettori potrebbero pensare che io mi stia riferendo alle guerre divenute massacri senza regole, o alla distruzione così terribile dell'ecosistema d'aver reso agonizzante quanto di più bello il creato ci abbia donato, con grande sofferenza per tutte le sue creature. O ancora allo spettro nucleare o alla distruzione e glebalizzazione delle società e delle famiglie per il tramite dell'annientamento dello stato sociale, dello stato di diritto e della spinta potentissima alla gestione delle nostre vite con "menti metalliche" senza anima (più comunemente note come intelligenze artificiali). O ancora alla crescente miseria che si traduce in disperazione e criminalità. L'elenco potrebbe continuare con altri temi.
Orbene, questa volta no, non mi stavo riferendo a queste serie e tristi problematiche.
Le questioni più pressanti a cui alludevo si trovano altrove:
- Chi siamo?
- Dove siamo?
- Cosa stiamo facendo?
- Perché esistiamo?
- Cosa siamo venuti a fare in questo mondo? Ovvero, perché ci siamo incarnati?
- Com'è la vita nell'altro mondo, cioè quello oltre la morte, e in che modo è legata al nostro mondo?
- Perché gli esseri umani sono l'unica specie vivente sul pianeta senza un habitat specifico e incapaci di integrarsi nell'equilibrio delicato e precario nella natura?
- In che rapporto siamo con le altre forme di vita che da sempre chiamiamo angeli, demoni, e divinità? E più in generale, con le forme di vita che non vediamo ma che sappiamo esserci?
- Perché, come esseri umani, abbiamo una straordinaria tendenza a ubbidire, credere e combattere, anche se di solito le guerre che combattiamo non sono a beneficio dei diretti interessati? Dov'è la nostra coscienza? Perché introiettiamo così facilmente idee e convinzioni non nostre?
- In che modo la "fede", qualunque essa sia, è il punto di partenza o di arrivo di tutte le domande precedenti?
- Il punto di arrivo delle filosofie e delle scienze è l'accettazione della loro incapacità di descrivere la totalità, contraddittorietà e vacuità del reale, oltre la quale c'è solo la fede?
- Perché le esperienze dei mistici di tutto il mondo, di ogni cultura, fede ed epoca, si assomigliano tutte?
Forse, tenere spesso a mente anche una sola di queste domande, può bastare.
(2 novembre 2024)
Message to the unemployed, the poor, the excluded and the needy
[vai alla versione in italiano]
So many voices and official studies are warning us that the ever-widening adoption of artificial intelligence is increasing and will continue to increase unemployment, misery and social exclusion. Artificial intelligence is accentuating the concentration of wealth in the hands of a few companies and individuals. Let us look around, for everywhere we can see misery and degradation, material and moral, provided we have eyes to see, a mind to understand and a heart to feel.
We have known since the last century that sooner or later artificial intelligence would replace us in many jobs, creating a cascade of problems. This awareness has been heightened in recent years, even before the advent of ChatGPT. Then, when ChatGPT was made known to the whole world, the great enthusiasm made us forget the slavery of human beings to their technological artifacts. It has been like this for millennia, forever. Every new technology creates enthusiasm, addiction, blind adherence, seduction, but very few critical voices are heard.
Even now many jobs are being wiped out by artificial intelligence. But in the end the real problem is not the machines, but the trust we place in them. The more we trust technology, the less we trust ourselves and other people. Technology will never be able to give us what we need, which is affection and love, or explain or solve the mysteries of birth and death. No artificial intelligence will be able to tell us why we exist or what we came to this world to do. The answers to these questions are not computational objects of algorithms, not computable by artificial neurons, nor graspable with our ordinary cognitive tools. We can approach them only with a faith capable of penetrating the ineffable.
All this is happening while the world is engaged in great wars, great horrors that continue the tragedies and logics of the last century, with the externally induced desire to take sides. But those who fail to have compassion for all, victims and perpetrators, suffer from the learned inability to love, that same inability that divides the world into good and bad. In this scenario, so many people are waiting for the Apocalypse as a deliverance from misery and relentless suffering, and they are not ashamed to say so, wishing for a real nuclear conflict as soon as possible. But even if the worst of cataclysms happened, would we be better off afterwards?
In this valley of tears and darkness, there is hope, however. In the end, perhaps those who have a true passion for life, those who seldom give too much ground to fear and though never to being blackmailed, will be able to survive with dignity. When the time comes, these will be the ones best suited to go fearlessly to the weighing of the heart in the court of Anubis. Indeed, those who are creative, passionate and courageous, those who are not easily treated as puppets maneuvered by the psychopathies and perversions of others, will know how to find their way. The faith and courage that emerge from a clean and light heart enable us to face adversity, including misery, unemployment and illness.
Everything is temporary, everything is impermanent. Many jobs are in crisis, but no crisis is forever; everything transforms.
Suspended above the palace of the god Indra, a symbol of the natural forces that nurture and protect life, is a vast web. To each of its nodes is tied a jewel. Each jewel reflects in itself the image of all the others, making the net wonderfully luminous. Each of us is one of these jewels.
With wishes for faith and courage,
October 25, 2024
Messaggio ai disoccuppati, ai poveri, agli esclusi e ai bisognosi
[go to English version]
Tante voci e ricerche ufficiali ci stanno avvisando che la sempre più larga adozione dell'intelligenza artificiale sta aumentando e aumenterà sempre di più la disoccupazione, la miseria e l'esclusione sociale. L'intelligenza artificiale sta accentuando la concentrazione di ricchezza nelle mani di poche aziende e individui. Guardiamoci attorno, perché ovunque possiamo vedere miseria e degrado, materiale e morale, a condizione di avere occhi per vedere, mente per comprendere e cuore per sentire.
E' dal secolo scorso che sappiamo che prima o poi l'intelligenza artificiale ci avrebbe sostituiti in molti lavori, creando problemi su problemi. Tale consapevolezza si è accentuata negli ultimi anni, prima ancora dell'avvento di ChatGPT. Poi, quando ChatGPT è stato reso noto al mondo intero, il grande entusiasmo ci ha fatto dimenticare la schiavitù dell'essere umano nei confronti dei suoi artefatti tecnologici. E' così da millenni, da sempre. Ogni nuova tecnologia crea entusiasmo, dipendenza, adesione fideistica, seduzione, ma ben poche sono le voci critiche.
Già adesso molti lavori stanno venendo cancellati dall'intelligenza artificiale. Ma alla fine il vero problema non sono le macchine, ma la fiducia che noi riponiamo in esse. Maggiore è la fiducia nella tecnologia, e minore è quella in noi stessi e nelle altre persone. La tecnologia non potrà mai darci ciò di cui abbiamo bisogno, cioè affetto e amore, né spiegare o risolvere i misteri della nascita e della morte. Nessuna intelligenza artificiale potrà dirci perché esistiamo o che cosa siamo venuti a fare in questo mondo. Le risposte a queste domande non sono oggetto computazionale di algoritmi, non sono calcolabili tramite neuroni artificiali, né afferrabili con i nostri strumenti cognitivi ordinari. Possiamo avvicinarci ad esse solo con una fede capace di penetrare l'ineffabile.
Tutto ciò accade mentre il mondo è impegnato in grandi guerre, in grandi orrori che proseguono le tragedie e le logiche del secolo scorso, con il desiderio indotto dall'esterno di schierarci da una parte o dall'altra. Ma chi non riesce ad avere compassione per tutti, vittime e carnefici, soffre dell'incapacità appresa di amare, quella stessa incapacità che divide il mondo in buoni e cattivi. In questo scenario, tante persone stanno aspettando l'Apocalisse come liberazione dalla miseria e dalla sofferenza incessante, e non si vergognano a dirlo, augurandosi quanto prima un vero conflitto nucleare. Ma se anche accadesse il peggiore dei cataclismi, dopo staremmo meglio?
In questa valle di lacrime e di tenebre, c'è comunque una speranza. Alla fine, forse, riusciranno a sopravvivere con dignità coloro che hanno una vera passione per la vita, coloro che raramente danno troppo spazio alle paure e benché mai al farsi ricattare. Quando sarà il momento, costoro saranno i più adatti per andare incontro, senza timori, alla pesatura del cuore nel tribunale di Anubis. Infatti, chi è creativo, appassionato e coraggioso, chi non si lascia trattare facilmente come un burattino manovrato dalle psicopatie e dalle perversioni altrui, saprà trovare la propria strada. La fede e il coraggio che emergono da un cuore pulito e leggero ci permettono di affrontare le avversità, comprese miseria, disoccupazione e malattia.
Tutto è temporaneo, tutto è impermanente. Molti lavori sono in crisi, ma nessuna crisi è per sempre, tutto si trasforma.
Sospesa sopra la reggia del dio Indra, simbolo delle forze naturali che nutrono e proteggono la vita, c'è una vastissima rete. A ognuno dei suoi nodi è legato un gioiello. Ogni gioiello riflette in sé l’immagine di tutti gli altri, rendendo la rete meravigliosamente luminosa. Ciascuno di noi è uno di questi gioielli.
Con l'augurio di fede e coraggio,
25 ottobre 2024
Noi povere creature fragili
Da tempo siamo consapevoli del periodo terminale e apocalittico dell’umanità e di tutte le creature.
Ormai abbiamo sostituito le vane speranze di poter far qualcosa con l’accettazione della sofferenza per quello che è. Il primo passo per pacificare la mente è accettare la sofferenza, senza opporsi allo svolgimento della vita. Il secondo passo è meditare sul fatto che tutto è impermamente, fragile, destinato a estinguersi, esattamente come noi. Tutto è un dono da apprezzare, perché poi non ci sarà più.
Forse, come persone e come popoli, ci ritroviamo esattamente nella situazione in cui ci troviamo perché è di qui che “dobbiamo” passare.
Tutto ciò che ha inizio ha anche fine, come i nostri respiri. E ogni cosa esiste perché esiste la sua opposta: l’inspirazione esiste perché esiste l’espirazione, e viceversa. Nulla esiste di per sé e nulla rimane com’è.
E’ tutto un grande mistero in cui gli stessi concetti di esistenza e di non esistenza perdono di significato.
Cos’è reale? Ciò che crediamo tale, o qualcos’altro?
La sofferenza c’è, perché vita e sofferenza vanno insieme. Come già ho scritto in una recente riflessione, siamo fragili carte di un castello di carte posato su un tavolo traballante, pronte a cadere. Ma finché resisteremo, nel nostro equilibrio delicato e precario, possiamo provare a fare qualcosa di buono per quel che a ciascuno di noi è concesso. E se neanche qualcosina c'è concesso, non rimane che "amare" nel senso più grande del termine.
(21 ottobre 2024)
Vedere l'invisibile: un viaggio dalla scacchiera di Adelson alla Bhagavad Gita
L'illusione dell'ombra nella scacchiera di Adelson è un'affascinante dimostrazione di come i nostri sensi possano ingannarci. In questa illusione ottica, due quadrati che appaiono di colori diversi, a causa dell'ombra proiettata su una scacchiera, sono in realtà dello stesso colore. Il nostro cervello, influenzato dalle ombre e dai contrasti circostanti, interpreta erroneamente le informazioni visive, portandoci a percepire una realtà distorta. Ecco una dimostrazione pratica, a cura di brusspup:
Questo fenomeno dimostra come la nostra percezione del mondo sia facilmente ingannevole. Spesso accettiamo ciò che vediamo senza mettere in discussione la sua veridicità, rimanendo intrappolati nel nostro modo consueto di osservare le cose. Solo quando scegliamo di mettere in dubbio le nostre percezioni e il modo ordinario di intendere la vita, possiamo iniziare a scoprire una realtà diversa.
Come è scritto nella *Bhagavad Gita*, capitolo 2, verso 69:
"या निशा सर्वभूतानां तस्यां जागर्ति संयमी |
यस्यां जाग्रति भूतानि सा निशा पश्यतो मुने: ||"
Per comprendere appieno questo verso, procediamo passo per passo.
Traslitterazione:
Yā niśā sarvabhūtānāṁ tasyāṁ jāgarti saṁyamī |
Yasyāṁ jāgrati bhūtāni sā niśā paśyato muneḥ ||
Divisione delle parole:
Yā → ciò che
niśā → notte
sarva-bhūtānām → di tutti gli esseri
tasyām → in quella
jāgarti → è sveglia
saṁyamī → la persona disciplinata
Yasyām → in cui
jāgrati → sono svegli
bhūtāni → gli esseri
sā → quella
niśā → notte
paśyataḥ → per il veggente, colui che vede
muneḥ → del saggio
Ricostruzione del significato complessivo:
"Ciò che è notte per tutti gli esseri, in quella è sveglia la persona disciplinata; ciò in cui gli esseri sono svegli, quella è notte per il saggio che vede."
Questo verso ci insegna che la realtà è percepita diversamente da chi ha raggiunto una profonda comprensione. Mentre la maggior parte delle persone è "addormentata" rispetto a certe verità, il saggio rimane vigile e vede oltre le apparenze. Allo stesso modo, ciò che è ovvio per gli altri può essere illusorio per colui che ha occhi per vedere veramente. Questa riflessione ci invita a superare i nostri limiti percettivi e a osservare il mondo con una consapevolezza rinnovata.
Proviamo ad approfondire il significato di saṁyamī, fin qui tradotto come "persona disciplinata":
- saṁ - un prefisso che significa "insieme", "completamente", "perfettamente"
- yamī - derivato dalla radice "yam", che significa "controllare", "disciplinare", "restrizione"
Nel verso citato, saṁyamī si riferisce a una persona che ha raggiunto un alto grado di autocontrollo e disciplina interiore. Questa persona è in grado di:
- Controllare i sensi → Non è sopraffatta dalle percezioni sensoriali o dalle attrazioni mondane.
- Dominare la mente → Ha una mente stabile, non agitata da pensieri erranti o emozioni turbolente.
- Raggiungere la consapevolezza superiore → È sveglia alle realtà spirituali che sono generalmente nascoste o ignorate dalla maggior parte delle persone.
Ciò che è importante e reale per il saṁyamī può sembrare insignificante o inesistente per gli altri, e viceversa.
Un saṁyamī non è schiavo dei desideri o delle avversioni, mantiene l'equilibrio mentale in situazioni favorevoli e sfavorevoli. Segue principi morali elevati. Pratica virtù come la non-violenza, la veridicità e la compassione.
Il saṁyamī riconosce le illusioni, comprende che ciò che appare reale potrebbe essere illusorio e viceversa.
(19 ottobre 2024)
Castelli di carte
Cosa sono le nostre vite, se non fragili carte di un castello improvvisato, in bilico su un tavolo traballante? E cosa sono le nostre idee, se non carte ancor più precarie, poggiate sul tavolo del linguaggio, delle credenze e dei bisogni?
Come nessuna carta può reggersi da sola, così nessuna idea può esistere senza il sostegno di altre. Anche l'idea più bella, geniale o seduttiva è nulla se non sorretta da altre idee, tutte altrettanto fragili, tutte di per sé inesistenti. Così è per le nostre vite e per le nostre illusioni.
Forse, più che chiederci se un'idea sia buona, giusta o corretta, dovremmo domandarci perché l'abbiamo concepita. Cercare le vere motivazioni ci rivelerà qualcosa di profondo su noi stessi e sulle nostre debolezze.
Prendiamo, ad esempio, il concetto di karma, che per molti di noi è un pilastro fondamentale. Ma non è forse la nostra risposta al bisogno di una giustizia e di una meritocrazia che la vita quotidiana, troppo spesso, ci nega? Non è forse un modo per dare senso al caos, all'ingiustizia, alla crudeltà e alle barbarie della vita?
E Dio? Perché abbiamo creato l'idea di Dio? Forse perché sappiamo di essere anime perse, smarrite nella ricerca di un significato dell'esistenza?
Dietro ogni idea, c'è sempre un motivo. E più le idee sono grandi, grandiose o universali, più possono rivelare le nostre miserie interiori.
Il discorso che propongo trascende la dicotomia tra verità e falsità, poiché, da questa prospettiva, la verità è inafferrabile, svanendo nel momento stesso in cui pare d'averla scorta. Eppure, avere fede resta qualcosa di prezioso, forse l'unica cosa che ci rimane quando accettiamo l'insondabilità del reale.
Siamo carte miracolosamente in equilibrio su un tavolo traballante. Quanto durerà questo equilibrio? Durerà quel che durerà, cioè poco.
(17 ottobre 2024)