Sebbene da più parte si inneggi all'Internet of Things (Internet delle Cose) e all'Intelligenza Artificiale come ad un futuro prossimo e inevitabile, sottolineando i presunti vantaggi di questo progresso scientifico e sviluppo tecnologico, pochi si soffermano su una delle conseguenze più pesanti di questi scenari: la deumanizzazione.
A proposito dell'Intelligenza Artificiale, nel mio precedente articolo "Autocensura, manipolazione in Rete e cyberguerra, grazie all'Intelligenza Artificiale", avevo così sintetizzato il nocciolo della questione: «l'intelligenza dovrebbe stare nella sua sede naturale, cioè negli esseri umani e, più in generale, negli esseri viventi... e non nelle macchine». Non mi stancherò mai di ripeterlo. Pensiamo ad esempio alle automobili che si guidano da sole: in una situazione di emergenza, in cui qualunque scelta porti alla morte o al ferimento grave di una o più persone, è mai possibile affidare le nostre vite ad un algoritmo a cui spetti la decisione di chi uccidere e chi no? Questo problema è stato affrontato nell'articolo "Guida autonoma, sarà l'auto a decidere chi salvare in caso di incidente?", di Omar Abu Eideh.
Oppure parliamo dei supermercati senza casse di Amazon, in cui ogni singolo movimento millimetrico delle persone è analizzato da intelligenze artificiali onnipresenti e onniveggenti: a me evocano un'immagine di tristezza e di isolamento dell'essere umano, in cui ciascuno è messo in condizione di poter fare a meno di relazionarsi con gli altri. A tal proposito, si veda l'articolo "Amazon Go, supermarket senza cassa", di Alfonso Maruccia. Se poi volessimo riflettere su cosa è realmente Amazon dietro le quinte, basterebbe una rilettura dell'articolo "Gli schiavi di Amazon (e delle corporations): contratti precari, turni di lavoro massacranti, licenziamenti facili (inchiesta giornalistica)".
Fare a meno degli altri, della solidarietà, della nostra comune umanità: mi sembra questa la direzione dell'attuale sviluppo tecnologico. Oggi non c'è nemmeno più bisogno di chiedere indicazioni in una città in cui non siamo mai stati: basta chiedere al GPS. Non c'è più bisogno di parlare con le persone a noi vicine: ci sono Facebook e Whatsup, o intelligenze artificiali tipo Siri, Google Now o simili. Ormai non ci sarebbe più nemmeno bisogno di uscire di casa: si può fare tutto online, anche l'amore. E soprattutto... e questo è il fatto più grave, non c'è più bisogno di guardare il mondo per quello che è: se non ci basta, se non ci soddisfa, se vogliamo di più, c'è la cosiddetta "realtà aumentata" grazie alle tecnologie indossabili come occhiali speciali. Io preferirei chiamarla "realtà alterata", per una questione semantica legata ad una genuina analisi di realtà di ciò di cui stiamo parlando.
Fermiamoci un attimo. C'è qualcosa che non torna. Il desiderio fondamentale degli esseri umani non è quello di stare da soli o di staccarsi dal mondo reale, ma di unirsi ad altri esseri umani e alla natura. Nel suo articolo "La sindrome di Prometeo", Giulio Ripa ha scritto: «[...] L'uomo contemporaneo pervaso dal narcisismo, sente di essere onnipotente e si illude di poter raggiungere, anche attraverso la tecnologia, tutto ciò che desidera, senza porsi alcun limite verso la natura e quindi verso la stessa umanità. L'essere desiderante, colpito dai sintomi della sindrome di Prometeo, in una sfida titanica contro i vincoli della natura, trova nella tecnologia l'alleato ideale per poter realizzare tutto ciò che vuole, qualsiasi cosa, qualsiasi oggetto che possa soddisfare i suoi desideri di un piacere senza fine. [...] La vita è imprevedibile, incerta, complessa, difficile. La tecnologia si propone di renderla più facile da vivere, ma una tale semplificazione si può portar via quanto di più umano ci sia. [...]». Appunto, è proprio questo il problema. Suggerisco una lettura di tutto il suo articolo, che prosegue affermando una realtà psicologica fondamentale: «più ci stacchiamo dagli altri, più abbiamo il desiderio di essere amato dagli altri».
Ci sono alcune questioni fondamentali che i fautori dell'attuale direzione dello sviluppo tecnologico tendono ad ignorare.
La prima questione è la mancanza di una presa d'atto che la rivoluzione informatica finora non ha risposto positivamente a tutti gli scopi che aveva come obiettivo, diventando uno strumento sempre di più nelle mani di poche multinazionali (corporations) e pertanto asservito al loro profitto: la condivisione della conoscenza e la decentralizzazione democratica in cui ognuno sia libero di esprimersi, cioè la grande promessa della Rete delle reti, è stata sopraffatta dal chiacchiericcio continuo sui server centralizzati dei social network e dei Whatsup, con conseguenze negative che, almeno in parte, avevo sintetizzato nell'articolo "Riflessioni su Facebook". Quel che forse andrebbe maggiormente evidenziato è che i social network sono diventati luoghi di autocensura e di soppressione delle libertà democratiche: a tal proposito, segnalo i due articoli "Facebook NON è democrazia: l'auto-censura e la censura vera e propria" e "USA, tecnocontrollo poliziesco". Qualcuno ricorda ancora lo scandalo Datagate? Bene, da allora le cose sono soltanto peggiorate. Il problema fondamentale, alla base del tecnocontrollo e della tecnocrazia del Web 2.0, è che invece di permettere a chiunque di liberarsi dalla intermediazione delle grandi lobby, siamo tutti quanti imbrigliati nelle piattaforme informatiche (di grandi multinazionali americane) che dominano il Web e che hanno acquisito e continuano ad acquisire enormi poteri sulle sorti di tutti, traendo grandi profitti nell'uso dei loro utenti come
merce di scambio e di profitto.
La seconda questione è che il progresso tecnologico NON è per definizione sempre positivo e DEVE essere sempre messo in discussione per rimanerne soggiogati a benificio di pochi e a danno di molti. Questo vale per tutte le tecnologie, si pensi ad esempio a tutti i danni che il concetto stesso di brevettabilità comporta nel caso in cui viene applicato agli organismi viventi (OGM), ai farmaci e a tutte le tecnologie che usiamo quotidianamente. I brevetti uccidono il "bene comune", privatizzando tutto. L'errore che fanno quasi tutti consiste nel dimenticare che il tipo di progresso dipende anche dal sistema economico in cui avviene. Finora questo progresso è avvenuto a vantaggio dei più ricchi e a discapito dei più poveri.
Molte volte si argomenta di progresso tecnologico senza mettere l'essere umano al centro della discussione, ma solo come fenomeno secondario del problema trattato. Di conseguenza il progresso tecnologico diventa autonomo rispetto alle esigenze umane e risponde solo alle esigenze di ordine economico.
Nell'articolo "La delusione di una tecnologia che dignità ci porta via...", scrissi che l'attuale sviluppo tecnologico «uccide la libertà, l’ambiente e le persone nel momento stesso in cui si offre come presunto veicolo di libertà, di comunicazione, di intrattenimento».
Ciascuno di noi merita molto di più di quello che offre l'attuale sviluppo tecnologico.
Buone riflessioni,
Francesco Galgani,
13 dicembre 2016