Prima di leggere questo articolo, suggerisco la lettura dei miei precedenti articoli, di cui questo costituisce il naturale seguito, in particolare:
- Liberi dal cellulare, liberi di parlare
- Vita vera (poesia, con in calce links per approfondimenti)
Nel periodico mensile di informazione medico-scientifica "Psychiatry On Line Italia", in un articolo di Lisa Attolini, Werner Natta, M. Marcenaro, G. Ferrigno del 3 novembre 2012 intitolato "E senza telefonino chi sono? Considerazioni sull’uso del telefonino in adolescenza", leggiamo che:
« [...] Il telefonino rappresenta la presenza dell’altro, il terzo sempre presente, l’attesa che non c’è, l’immediatezza, l’assenza di procrastinazione. Viene quindi a mancare quello spazio mentale che sta tra la percezione della realtà, l’assenza dell’oggetto, l’elaborazione della perdita dell’oggetto attraverso la fantasia, mantenendo così l’illusione che non ci sia differenza tra il dentro e il fuori: l’oggetto è sempre lì presente con la voce, i messaggi, l’immagine fotografica.
L’accesso alla produzione simbolica risulta in questi casi indebolito, così come la capacità di mentalizzazione, di rappresentazione fantastica della realtà dimostrata appunto dalle percezioni che in seguito vengono immagazzinate e diventano rappresentazioni (immagini mentali) disponibili anche quando l’oggetto percepito è assente dal campo percettivo.
Si toglie così importanza alla fantasia e alla tolleranza della prima potenziale frustrazione intesa come intervallo indeterminato tra il desiderio e la sua realizzazione; si può dire che l’adolescente rischia di non riuscire più a sperimentare una solitudine costruttiva. Il ragazzo a casa, a scuola, in vacanza con i genitori si sente sempre e comunque in relazione con il gruppo dei suoi amici, non abbandona o spegne il cellulare e così nasce la difficoltà nel trovare un equilibrio tra individuale e il collettivo, tra la dimensione pubblica e quella privata dell’esistenza che possono portare al fallimento parziale della costruzione identitaria che si basa appunto sulla stabilità dei limiti esterni del contesto.
[...] Più che un oggetto transizionale, come un giocattolo che rappresenta un oggetto che non c’è ma con cui si immagina ci sia il legame, il telefonino è un oggetto reale in comunicazione diretta con l’oggetto del desiderio.
Diventa un oggetto di attaccamento immediato con l’altro (stile di attaccamento tecnologico) che non frustra un momento, che permette la soddisfazione del tutto e subito e seda immediatamente quell’angoscia segnale che serve anche all’adattamento e che si attiva ogni qualvolta vi è desiderio di spingersi verso l’altro con il rischio di andare anche incontro al rifiuto.
Sembra rappresentare il mezzo di salvataggio psicologico contro l’angoscia da isolamento e da solitudine; ciò che placa in qualche modo l’ansia del distacco.
[...] I ragazzi telefonino-dipendenti investono affettivamente sull’oggetto e si ritrovano come posseduti dal mezzo stesso, sempre più incapaci di sopportare dosi anche minime di insicurezza e frustrazione a fronte di una grande illusione di indipendenza ed emancipazione.
[...] I poteri dello strumento possono creare nei ragazzi una forma di dipendenza che si alimenta da sola con l’uso quotidiano: averlo diventa indispensabile, non averlo provoca ansia e disagio.
In questo gioco di relazioni col mondo lo strumento tecnico sembrerebbe prendere il sopravvento sull’uso della mente, tanto da sostituire le funzioni cognitive dell’individuo e da diventare una sorta di protesi psico-tecnica. [...]»
E' questo ciò che vogliamo? Io ho detto "basta!".
Il 10 luglio 2014, dopo un mese di uso sempre più ridotto del cellulare, ho scelto di continuare a portarmelo dietro, ma senza la sim inserita. Mi sono disconnesso. Ho fatto tornare questo strumento tecnologico a ciò che era in origine: solo uno strumento per le vere emergenze.
Io ero uno di quelli che erano sempre collegati/connessi/attaccati al cellulare, con un abbonamento all inclusive. Ma ho scelto di cambiare e ho avuto il coraggio, la consapevolezza, la forza e la voglia di farlo: non sono più reperibile sul cellulare e ne sono fiero. Vivo bene, vivo meglio, ho la mente più sgombra e più pronta per incontrare davvero le altre persone, senza tecnomediazioni. Inoltre ci guadagno anche in salute e in speranza di vita, visto che usare il cellulare almeno mezz'ora al giorno raddoppia o triplica la probabilità di certi tumori. Del resto, Richard Stallman è la dimostrazione vivente che è possibile vivere senza cellulare pur avendo una vita sociale molto attiva e significativa.
Buona disconnessione. E non scordatevi di leggere la mia tesi di laurea "Solitudine e Contesti Virtuali", in cui tutti questi problemi erano già ben evidenziati. Iniziate dalle slides :)
Francesco Galgani,
16 luglio 2014