Premessa: per evitare fraintendimenti su quanto segue, preciso che con il termine "compassione", nell'articolo seguente da me tradotto dall'inglese, è definito come "l'emozione provata nel vedere la sofferenza di altre persone, emozione che poi si trasforma in stimolo per offrire loro aiuto, spesso con un costo o un rischio personale". Quindi, in questo contesto, la compassione non c'entra nulla con la commiserazione.
L'articolo scientifico seguente, frutto di tre ricerche e pubblicato dall'University of California il 30 aprile 2012, va ad evidenziare che il "grado di compassione" delle persone poco o per niente religiose, nell'offrire aiuto ad un sconosciuto, è complessivamente maggiore di quello delle persone che considerano se stesse come "altamente religiose".
Presumo che questo articolo offra un ottimo spunto di riflessione per chi, come me, ritiene che una buona religione sia anche una buona medicina per tanti mali...
Questa ricerca va ad integrarsi con una precedente ricerca analoga (che prende in esame i praticanti di otto religioni e il loro livello di compassione), citata nel libro "Parlare pace - Quello che dici può cambiare il mondo" di Marshall Rosenberg: ne parla Mauro Scardovelli, nell'audio 2 a partire dal punto 3:45, alla pagina seguente dedicata alla Comunicazione Non Violenta:
http://www.mauroscardovelli.com/PNL/Consapevolezza_di_se/CNV.html
Per chi non riesce ad aprire l'audio dalla pagina sopra linkata, indico il link diretto:
https://archive.org/download/ComunicazioneNonViolenta_991/ComunicazioneNonViolenta02.mp3
Attenzione però a non generalizzare, perché all'interno di ogni gruppo religioso c'è una parte ristretta (circa un sesto di ogni gruppo religioso, o anche meno) che è molto più compassionevole di quanto lo siano le altre persone (su questo punto, rimando all'audio di cui sopra).
Le persone altamente religiose sono meno motivate dalla compassione rispetto ai non-credenti
Titolo originale: Highly religious people are less motivated by compassion than are non-believers
Fonte: http://news.berkeley.edu/2012/04/30/religionandgenerosity/
"Ama il tuo prossimo" è largamente predicato, ma una nuova ricerca suggerisce che le persone altamente religiose siano meno motivate dalla compassione quando aiutano uno sconosciuto rispetto agli atei, agli agnostici e alle persone meno religiose.
In tre esperimenti, gli scienziati sociali hanno trovato che la compassione ha guidato in maniera significativamente ridotta le persone religiose ad essere più generose. Per le persone altamente religiose, tuttavia, la compassione era in gran parte non correlata a quanto generose sono state, secondo i risultati che sono pubblicati nella versione online del giornale "Social Psychological and Personality Science":
http://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1177/1948550612444137?journalCode=sppa
I risultati mettono in discussione una diffusa convinzione che gli atti di generosità e di carità siano in gran parte spinti da sentimenti di empatia e di compassione, hanno detto i ricercatori. Nello studio, il legame tra compassione e generosità è risultato più forte per coloro che si sono identificati come non religiosi o meno religiosi.
«Nel complesso troviamo che, per le persone meno religiose, la forza della loro connessione emotiva ad un'altra persona è fondamentale per decidere se loro aiuteranno quella persona o no», ha detto lo psicologo sociale Robb Willer della UC Berkeley, un co-autore dello studio. «Le persone più religiose, d'altra parte, possono trovare fondamento alla loro generosità meno nell'emozione e più in altri fattori come la dottrina, un'identità comune o le preoccupazioni di reputazione.»
La compassione è definita nello studio come l'emozione provata nel vedere la sofferenza di altre persone, emozione che poi si trasforma in stimolo per offrire loro aiuto, spesso con un costo o un rischio personale.
Mentre lo studio ha esaminato il collegamento fra religione, compassione e generosità, non ha esaminato direttamente le ragioni per le quali le persone altamente religiose sono meno guidate dalla compassione nell'aiutare gli altri. Tuttavia, i ricercatori ipotizzano che le persone profondamente religiose possano essere guidate più fortemente da un senso di obbligo morale rispetto alle persone meno religiose.
«Abbiamo ipotizzato che la religione possa cambiare il modo in cui la compassione impatti sul comportamento generoso», ha detto l'autrice principale dello studio Laura Saslow, che ha condotto la ricerca come studentessa di dottorato alla Berkeley UC.
Saslow, che ora è una studiosa post-dottorato a San Francisco UC, ha detto che è stata ispirata ad esaminare questa domanda dopo che un amico altruista non religioso si era dispiaciuto del fatto di aver donato per gli sforzi di recupero del terremoto in Haiti soltanto dopo aver visto un video emotivamente forte di una donna salvata dalle macerie, e non a causa di una comprensione logica che l'aiuto era necessario.
«Sono stata interessata dallo scoprire che questa esperienza - un ateo fortemente influenzato dalle sue emozioni per mostrare generosità agli sconosciuti - è stata replicata in tre grandi studi sistematici», ha detto Saslow.
Nel primo esperimento, i ricercatori hanno analizzato i dati di un'indagine nazionale del 2004 riguardante più di 1.300 adulti americani. Coloro che hanno concordato con dichiarazioni del tipo «Quando vedo qualcuno sfruttato, ho un istinto protettivo verso di lui/lei» sono stati anche più inclini a mostrare generosità in atti casuali di bontà, come il prestare le proprie cose e l'offrire un posto su un autobus o un treno affollati.
Quando i ricercatori hanno esaminato quanto la compassione ha motivato i partecipanti ad essere caritatevoli, in modi del tipo come dare soldi o cibo ad un senza tetto, hanno trovato al primo posto i non credenti e coloro che hanno un basso livello di religiosità: «Questi risultati indicano che, anche se la compassione è associata alla pro-socialità tra gli individui meno religiosi e più religiosi, questa relazione è particolarmente forte per gli individui meno religiosi».
Nel secondo esperimento, 101 adulti americani hanno guardato uno di due brevi video, ovvero un video neutro o uno straziante, che mostrava ritratti di bambini afflitti dalla povertà. Successivamente, ad ognuno di essi sono stati dati 10 "dollari di laboratorio", con l'invito a dare qualsiasi parte di quel denaro ad uno sconosciuto. I partecipanti meno religiosi sono sembrati motivati dal video emotivamente forte nel dare una parte maggiore del loro denaro ad uno sconosciuto.
«Il video costruito per indurre compassione ha avuto un grande effetto sulla loro generosità», ha detto Willer, «ma non ha cambiato significativamente la generosità dei partecipanti più religiosi.»
Nell'esperimento finale, a più di 200 studenti di college è stato chiesto di riportare come si sentissero compassionevoli in quel momento. Hanno poi giocato "giochi di fiducia economica" in cui sono stati dati soldi da condividere - o non condividere - con uno sconosciuto. In un round, è stato detto che l'altro giocatore aveva dato parte del suo denaro a loro, e che loro erano liberi di premiarlo dando indietro parte dei soldi, che nel frattempo erano raddoppiati in quantità.
Coloro che hanno indicato un punteggio basso sulla scala della religiosità, e uno alto sulla compassione del momento, sono stati più inclini a condividere le loro vincite con gli estranei, rispetto agli altri partecipanti allo studio.
«Nel complesso, questa ricerca suggerisce che, anche se le persone meno religiose tendono ad essere ritenute meno affidabili negli Stati Uniti, quando si sentono compassionevoli possono effettivamente essere più inclini ad aiutare i loro concittadini rispetto alle persone più religiose», ha detto Willer.
Oltre a Saslow e Willer, altri coautori dello studio sono gli psicologi Dacher Keltner, Matthew Feinberg e Paul Piff della UC Berkeley; Katharine Clark dell'University of Colorado, Boulder; e Sarina Saturn dell'Oregon State University.
Lo studio è stato finanziato da sovvenzioni del UC Berkeley’s Greater Good Science Center, del UC Berkeley’s Center for the Economics and Demography of Aging, e del Metanexus Institute.
Traduzione di Francesco Galgani