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Comprendere tutto significa perdonare tutto?

Comprendere integralmente le molteplici sfaccettature della vita e degli esseri viventi equivarrebbe all'assoluta empatia e al perdono universale?

Immaginiamo che la nostra capacità di percezione si espanda a tal punto da abbracciare ogni angolo di realtà, consentendoci di vivere e sentire attraverso i sensi e l’anima di ogni forma di vita. In questo stato di onniscienza, ogni azione, ogni parola e ogni scelta diverrebbero trasparenti, rivelando un intreccio infinito di cause, circostanze e storie personali.

In una tale espansione di coscienza, il giudizio non avrebbe più motivo di esistere. Non ci sarebbe più spazio per l'incomprensione o il risentimento, poiché ogni gesto, anche il più incomprensibile o doloroso, si svelerebbe come il risultato di una catena di cause ed effetti, spesso al di fuori del controllo dell'individuo. Scopriremmo dove sono gli angusti e sfumati confini del libero arbitrio, ammesso che ci siano, e quanto il singolo essere umano è scisso in coscienze separate, conflittuali e compresenti. Percepiremmo chiaramente anche i parassiti incorporei dentro le persone, i cosiddetti demoni o alieni o angeli. La nostra capacità di identificarci con gli altri raggiungerebbe una profondità tale da renderci partecipi delle loro gioie, dolori, speranze e paure, vivendole come nostre.

Questa connessione profonda e universale ci porterebbe a una forma di amore incondizionato, dove ogni essere vivente è parte di noi stessi. L'atto di perdonare diventerebbe non solo naturale, ma anche inevitabile, poiché la comprensione totale farebbe evaporare ogni traccia di rancore. Forse svilupperemmo la virtù del genitore affettuoso verso le sue creature, saremmo come il padre o la madre di questo mondo.

Tale mistica esperienza ci trasformerebbe in esseri di pura empatia, capaci di vedere l'unità nella diversità e di riconoscere in ogni volto, in ogni storia, un riflesso del nostro essere più profondo. In questo stato di coscienza espansa, senza più separazione tra “io” e “non-io”, e dove il “due” è finalmente tornato “uno”, ogni giudizio è sostituito da un profondo senso di compassione e comprensione.

Alla luce di tutto ciò, ne desumo che i nostri giudizi non sono altro che mancanza di comprensione del tutto.

(23 febbraio 2024)

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