Sull’Isola della Vita, alle pendici del Grande Vulcano, la natura fioriva in tutta la sua abbondanza. I cieli erano attraversati da stormi di uccelli, le foreste risuonavano di richiami e il sole splendeva ovunque, donando a tutti la sua energia divina.
Era un mondo che avrebbe potuto essere un paradiso. Eppure, un’inquietudine serpeggiava tra gli animali. Da tempo, il pennacchio del vulcano si faceva più scuro, il fumo saliva denso e greve, e ogni giorno il suo respiro si faceva più minaccioso. Gli uccelli scrutavano il cielo con angoscia, le scimmie lanciavano grida d’allarme, i cervi stavano in allerta nel silenzio. Nei fiumi, i pesci smettevano di guizzare, trattenuti da un presentimento oscuro; nei boschi, i lupi sollevavano il muso verso l’aria densa, fiutando un destino che non sapevano fermare. Tutti gli animali sapevano che, se il vulcano fosse esploso, l’isola intera sarebbe stata inghiottita, senza scampo, senza rifugio. Così, pregavano il sole, chiedevano alla terra di placare la sua ira, speravano ancora in un domani.
Gli umani, invece, erano di tutt'altro umore.
Il 15 marzo 2025, sotto l’ombra di un grande obelisco, si radunarono in migliaia (fonte). Ma non per implorare la pace, non per chiedere al vulcano di calmarsi. Con voci solenni, con gesti carichi di fervore, lo invocarono affinché si destasse, affinché riversasse su di loro la sua furia. Erano stanchi, troppo stanchi per cercare un futuro. Troppe paure, troppe lotte, troppi sforzi. Meglio il fuoco, meglio il tuono, meglio che tutto finisse in un’unica, definitiva esplosione.
Il vulcano, però, restò immobile. Non per pietà degli umani, ma per misericordia verso gli animali e le piante. Però, quanto ancora durerà la sua clemenza?
(9 marzo 2025)