Il confronto tra "progresso" tecnologico e "sviluppo" tecnologico rappresenta una riflessione critica sulle implicazioni etiche, sociali e filosofiche della scienza e della tecnologia nella società contemporanea. Non a caso, all'inizio del libro che ho scritto insieme a Giulio Ripa, "Liberazione dell'intelletto per una nuova umanità", parliamo di un "equilibrio tra sviluppo tecnologico e valori umani fondamentali", evitando accuratamente di usare la parola "progresso". La distinzione tra i due concetti è essenziale per comprendere il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente tecnologico, così come il modo in cui le innovazioni possono essere utilizzate per migliorare o deteriorare la qualità della vita.
Il "progresso" tecnologico si riferisce al miglioramento qualitativo e al potenziale etico di una tecnologia. Si tratta dell'idea che un'innovazione possa arricchire l'umanità, rispondere ai bisogni fondamentali e contribuire a una società più equa e sostenibile. D'altra parte, lo "sviluppo" tecnologico indica il processo quantitativo e continuo di avanzamento, spesso motivato da dinamiche economiche e commerciali, che solitamente portano con sé disuguaglianze, sfruttamento e danni ambientali.
L'idea che lo "sviluppo" tecnologico sia anche un "progresso" nasce dalla visione illuminista del XVIII secolo, un periodo caratterizzato da una fiducia crescente nella capacità della ragione umana di migliorare il mondo. Questo movimento culturale e intellettuale, che fiorì principalmente in Europa, considerava la scienza e la tecnologia come strumenti essenziali per liberare l'umanità dall'ignoranza, dalla povertà e dall'oppressione. Pensatori come Voltaire, Diderot e Condorcet promossero l'idea che il progresso scientifico e tecnologico potesse portare a una società più giusta, illuminata e prospera.
In questa prospettiva, il progresso tecnologico è intrinsecamente positivo, perché si suppone che porti miglioramenti universali, promuova la verità e il bene, e garantisca un futuro luminoso. Tuttavia, questa visione è facilmente smontabile per il suo determinismo ingenuo e per i risultati disastrosi dello "sviluppo" tecnologico contemporaneo, che non è né neutrale né positivo. È profondamente radicato in un sistema militarizzato e neoliberista, che sfrutta la tecnologia come strumento di dominio e profitto. I principali sviluppi tecnologici, dall'inizio dell'era industriale fino alla contemporanea intelligenza artificiale, hanno spesso avuto origine nel contesto di conflitti militari o comunque per fini strategici di dominio. Questo modello, alimentato da una logica predatoria, non si limita ad ampliare le disuguaglianze ma porta anche devastazione sociale ed ecologica.
Un esempio emblematico è quello riportato da Tiziano Terzani nei suoi libri "Un indovino mi disse" e "In Asia", che descrive gli effetti disastrosi della cementificazione delle risaie in Thailandia. In nome di uno "sviluppo" economico, i contadini sono stati abbandonati a loro stessi, mentre gli imprenditori si spostavano verso paesi ancora più poveri, lasciando dietro di sé terra devastata e comunità spezzate. Terzani racconta come le giovani donne delle campagne, private di opportunità, siano spesso finite a prostituirsi a Bangkok, simbolo di uno "sviluppo" che arricchisce pochi e distrugge le vite di molti. È ben noto che fenomeni simili si verificano anche in altre località turistiche ambite dagli occidentali, come Pattaya. Questo caso specifico della Thailandia è un esempio tra i tanti possibili che illustra chiaramente come lo "sviluppo" tecnologico, anziché promuovere il benessere universale, sia perlopiù un meccanismo di oppressione e sfruttamento. Non a caso, nel mio quadretto "Verso il 2025... I guardiani della Terra", ho messo la Thailandia al centro, in quanto simbolo significativo dell'oppressione di un popolo dimenticato dal main stream e martoriato.
Gandhi, a cui Tiziano Terzani faceva riferimento, criticava la civilizzazione occidentale industrializzata perché riteneva che incoraggiasse l'avidità, lo sfruttamento e la disumanizzazione. In particolare, nei suoi scritti, soprattutto nel libro "Hind Swaraj" (1909), sosteneva che la modernità e le macchine non fossero sinonimi di "progresso" umano. Egli credeva che le società del passato avessero scelto consapevolmente di limitare il loro "sviluppo" tecnologico – e in particolare la creazione di macchine – per evitare l'esplosione dell'avidità e dello sfruttamento.
La civiltà moderna, secondo Gandhi, non soddisfa mai, ma aumenta solo il desiderio, e lascia l'uomo più debole moralmente rispetto a prima. Egli propone uno stile di vita più semplice, basato sull'autocontrollo e sui valori spirituali, in contrapposizione al consumismo sfrenato e all'accumulo di ricchezze materiali. I nostri antenati, nella visione di Gandhi, erano felici con ciò che avevano e si rifiutavano di accumulare ricchezze materiali per evitare l'avidità e il conflitto. Pur trattandosi di una visione idealizzata della vita dei nostri antenati, il messaggio centrale di Gandhi sottolinea l’importanza di non ridurre tutto allo "sviluppo" materiale. Egli immaginava un passato in cui la sobrietà e l’autosufficienza venivano prima dell'avidità e del conflitto, senza però negare la complessità delle epoche precedenti.
L'idea di Gandhi degli eccessi contemporanei è facilmente dimostrabile. Ad esempio, se guardiamo ai paesi in cui lo sviluppo economico è consolidato e che da tempo non subiscono guerre sul proprio territorio, possiamo riconoscere come – dal punto di vista del benessere tangibile e dei comfort quotidiani – l’uomo medio di oggi goda di privilegi e risorse che un tempo sarebbero stati impensabili persino per i re dell’antichità.
Gandhi sosteneva che i progressi tecnologici fossero utili solo se al servizio dei bisogni fondamentali dell'umanità senza mettere a rischio i valori morali e spirituali. Non era contrario alla tecnologia in sé, ma piuttosto alla sua applicazione per fini egoistici e distruttivi.
Per approfondire, segnalo un'intervista a Gloria Germani di agosto 2024.
(25 dicembre 2024)