Il libero arbitrio, nella sua essenza, presume che un essere con coscienza, in grado di intendere e di volere, faccia una scelta tra più alternative disponibili. Tale scelta non dovrebbe essere determinata da pressioni sociali, da inclinazioni o necessità interiori, e nemmeno forzata da leggi o ricatti, altrimenti non sarebbe “libera”. Non potrebbe nemmeno essere una reazione automatica o indotta, ma il frutto di un pensiero consapevole e giudicante, altrimenti, più che di “arbitrio”, parleremmo di un automatismo.
Se ammettessimo questa definizione, sarebbe facile accorgersi che il libero arbitrio non può esistere.
Estendendo l’analisi, mi sorge il sospetto che il vero problema non sia la natura del libero arbitrio, ma il soggetto a cui lo si vorrebbe applicare. Nessuno di noi esiste come entità indipendente da ciò che è percepito come “altro da sé”. Anzi, ciascuno di noi, in ogni istante, è il risultato precario e temporaneo di una concatenazione insondabile di cause e condizionamenti. L’intenzione consapevole è come una barca in un mare tempestoso: se riuscisse a galleggiare senza rompersi e senza affondare, sarebbe già un miracolo. Se poi fosse così potente, in una simile violenza di cause e condizionamenti, non solo da non andare a picco, ma persino da seguire una traiettoria desiderata, otterremmo qualcosa di straordinario, un vero “libero arbitrio”.
Il mio invito è quello di impegnarci a fare in modo che quella barca che naviga tranquilla, in mezzo al caos e alla disperazione imposti dalla vita, sia la nostra mente. Questo è l’unico libero arbitrio possibile, cioè rimanere in pace nonostante le cause e i condizionamenti. Giorno per giorno, approfondiamo questa pace.
(5 febbraio 2025)