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Noi povere creature fragili

Da tempo siamo consapevoli del periodo terminale e apocalittico dell’umanità e di tutte le creature.

Ormai abbiamo sostituito le vane speranze di poter far qualcosa con l’accettazione della sofferenza per quello che è. Il primo passo per pacificare la mente è accettare la sofferenza, senza opporsi allo svolgimento della vita. Il secondo passo è meditare sul fatto che tutto è impermamente, fragile, destinato a estinguersi, esattamente come noi. Tutto è un dono da apprezzare, perché poi non ci sarà più.

Forse, come persone e come popoli, ci ritroviamo esattamente nella situazione in cui ci troviamo perché è di qui che “dobbiamo” passare.

Tutto ciò che ha inizio ha anche fine, come i nostri respiri. E ogni cosa esiste perché esiste la sua opposta: l’inspirazione esiste perché esiste l’espirazione, e viceversa. Nulla esiste di per sé e nulla rimane com’è.

E’ tutto un grande mistero in cui gli stessi concetti di esistenza e di non esistenza perdono di significato.

Cos’è reale? Ciò che crediamo tale, o qualcos’altro?

La sofferenza c’è, perché vita e sofferenza vanno insieme. Come già ho scritto in una recente riflessione, siamo fragili carte di un castello di carte posato su un tavolo traballante, pronte a cadere. Ma finché resisteremo, nel nostro equilibrio delicato e precario, possiamo provare a fare qualcosa di buono per quel che a ciascuno di noi è concesso. E se neanche qualcosina c'è concesso, non rimane che "amare" nel senso più grande del termine.

(21 ottobre 2024)

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