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La Via di Mezzo (Nagarjuna) e il conseguimento della Buddità in questa esistenza (Nichiren Daishonin)

Nagarjuna è stato un importante filosofo e maestro buddista del II secolo d.C., la cui opera principale, il "Mūlamadhyamakakārikā" (Le stanze della Via di Mezzo), è il testo fondamentale della scuola Madhyamaka. La sua filosofia è incentrata sulla dottrina della vacuità (śūnyatā) ed è nota per la sua capacità di "smontare" qualsiasi idea sul piano logico.

La Logica Negativa

La logica negativa di Nagarjuna si basa sull'uso di argomentazioni dialettiche per mostrare che tutte le concezioni e le teorie sono intrinsecamente contraddittorie e insostenibili. Questo processo è noto come "prasaṅga". Questi sono i punti chiave della logica negativa:

1. Vacuità (Śūnyatā) → Secondo Nagarjuna, tutte le cose sono vuote di esistenza intrinseca o essenza indipendente. Non esistono in modo autonomo, ma solo in relazione ad altre cose. Questo principio è applicato a tutte le fenomeni, siano essi fisici o concettuali.

2. Dipendenza e Relatività → Nagarjuna argomenta che tutto ciò che esiste è dipendente da altre cose (dipendenza condizionata o pratītyasamutpāda). Poiché nulla esiste indipendentemente, ogni affermazione di esistenza intrinseca può essere decostruita mostrando come dipenda da altri fattori.

3. Quattro Proposizioni (Catuṣkoṭi) → La tecnica dialettica di Nagarjuna spesso utilizza le quattro proposizioni:

- Qualcosa esiste.
- Qualcosa non esiste.
- Qualcosa esiste e non esiste simultaneamente.
- Qualcosa né esiste né non esiste.

   
Nagarjuna dimostra che tutte queste proposizioni portano a contraddizioni quando si cerca di applicarle alla realtà assoluta. Ad esempio, egli esamina le quattro possibili relazioni di causa ed effetto e dimostra che nessuna di queste può essere logicamente sostenuta senza cadere in contraddizione. Vediamole nel dettaglio:

1. La causa esiste indipendentemente dall'effetto → Se una causa esistesse indipendentemente dall'effetto, allora l'effetto non sarebbe necessario per la causa. Questo implica che una causa potrebbe esistere senza mai produrre un effetto, il che contraddice la definizione stessa di causa. Se una causa esistesse senza produrre un effetto, allora non avrebbe senso considerarla una causa.

2. L'effetto esiste indipendentemente dalla causa → Se un effetto potesse esistere indipendentemente dalla causa, allora non ci sarebbe bisogno di una causa per spiegare l'effetto. Questo rende superfluo il concetto di causa, il che è logicamente incoerente poiché negherebbe l'intera idea di causalità. Un effetto che esiste senza causa non può essere considerato un effetto.

3. La causa e l'effetto esistono simultaneamente → Se causa ed effetto esistessero simultaneamente, non sarebbe possibile distinguere tra i due. Inoltre, se esistessero nello stesso tempo, non ci sarebbe una relazione di dipendenza temporale tra loro, eliminando così la sequenzialità necessaria per la causalità. Causa ed effetto perderebbero la loro identità distintiva.

4. La causa e l'effetto non esistono né simultaneamente né indipendentemente → Questa posizione suggerisce che causa ed effetto non possono essere definiti in nessuna relazione coerente, portando a una contraddizione interna nella concezione stessa della causalità. Se causa ed effetto non possono essere definiti in alcun modo, allora non possono esistere.

Attraverso queste argomentazioni, Nagarjuna mostra che il concetto di causalità, come tutte le altre idee, è intrinsecamente vacuo di esistenza indipendente e stabile.

Tale argomentazione mette in crisi concetto di dualità, che risulta intrinsecamente vacuo perché non possiamo sostenere logicamente né che le entità siano completamente separate né che siano completamente unite. Questa vacuità della dualità significa che ogni idea di separazione o distinzione fissa è fondamentalmente insostenibile.

Possiamo usare la stessa logica negativa per dimostrare che anche la mente, come concetto separato e indipendente, è vacua. Consideriamo le seguenti proposizioni applicate alla mente:

1. La mente esiste indipendentemente dai suoi pensieri → Se la mente esistesse senza i pensieri, cosa sarebbe? Non possiamo concepire una mente senza contenuti mentali. Questo mostra che la mente non può esistere indipendentemente dai pensieri.

2. I pensieri esistono indipendentemente dalla mente → Se i pensieri esistessero senza la mente, dove risiederebbero? I pensieri sono manifestazioni della mente, quindi non possono esistere indipendentemente da essa.

3. La mente e i pensieri esistono simultaneamente → Se la mente e i pensieri esistono simultaneamente e sono la stessa cosa, allora non c'è dualità tra mente e pensieri. Tuttavia, percepiamo una distinzione, il che crea una contraddizione.

4. La mente e i pensieri non esistono né simultaneamente né indipendentemente → Questa proposizione suggerisce che non possiamo definire chiaramente la relazione tra mente e pensieri, mettendo in crisi la dualità tra soggetto e oggetto, osservatore e osservato.

A tal riguardo, circa mille anni dopo Nagarjuna, il maestro buddista giapponese del XIII secolo Nichiren Daishonin, in uno dei testi fondamentali della sua dottrina dedicato al conseguimento della Buddità in questa esistenza, richiama esplicitamente la Via di Mezzo di Nagarjuna con queste parole:

[...]
Cosa significa myo (mistico)? È semplicemente la misteriosa natura della nostra vita di istante in istante, che la mente non riesce a comprendere e le parole non possono esprimere. Guardando la nostra mente in ogni singolo istante, non percepiamo né colore né forma per verificare che esiste. Eppure non possiamo nemmeno dire che non esiste, poiché molti pensieri differenti sorgono di continuo. Non possiamo né ritenere che la mente esista né che non esista. È una realtà inafferrabile che trascende sia le parole sia i concetti di esistenza e di non esistenza. Non è né esistenza né non esistenza, e tuttavia manifesta le proprietà di entrambe. È la mistica entità della Via di mezzo che è l’unica vera realtà.
[...]
 
(tratto da: Il conseguimento della Buddità in questa esistenza)

Qui Nichiren Daishonin dimostra una profonda comprensione degli insegnamenti di Nagarjuna, integrandoli nella sua visione unica del consegumento della buddità tramite la pratica di Nam-myoho-renge-kyo. Attraverso la sua spiegazione, Nichiren enfatizza la complessità e la profondità della Via di Mezzo, che egli definisce come "l'unica vera realtà".

La Via di Mezzo ci permette di comprendere che non solo le idee e le credenze, ma anche i desideri e le passioni sono vacui di un'esistenza propria e sostanziale. Ci conviene quindi non tentare di aggrapparci né agli uni né agli altri, perché sarebbe come tentare di afferrare a mani nude l'acqua o l'aria.

"Non aggrapparsi" ai desideri

Nella visione buddista, a partire fino dal primo sermone di Shakyamuni una volta raggiunta l'illuminazione, noto come "Dhammacakkappavattana Sutta" o "Discorso di Benares", il problema fondamentale che causa la sofferenza è l'attaccamento, che si manifesta non solo attraverso le credenze rigide ma anche attraverso i desideri e le aspettative. Attaccarsi ai desideri porta a una continua insoddisfazione e sofferenza perché i desideri sono, per loro natura, impermanenti e mutevoli.

La Via di Mezzo ci insegna a vedere la realtà senza gli estremi di esistenza assoluta o non esistenza, e quindi anche a non essere né troppo indulgenti né repressivi verso i nostri desideri, ma a riconoscerli nella loro natura transitoria.

In pratica, seguire la Via di Mezzo significa sviluppare una mente equanime che non si aggrappa né si lascia trascinare dai desideri. Questo non implica una rinuncia ascetica estrema, ma piuttosto una relazione sana e bilanciata con i propri desideri, riconoscendoli come fenomeni temporanei e non fondamentali per il proprio benessere ultimo. In questo modo, possiamo vivere con maggiore serenità e saggezza, riducendo la sofferenza legata all'attaccamento.

Una mente equanime è in grado di mantenere serenità e stabilità emotiva, senza farsi influenzare eccessivamente dalle emozioni positive o negative. In altre parole, una persona con una mente equanime non si lascia trascinare dall'euforia quando le cose vanno bene né si deprime troppo quando le cose vanno male.

A tal riguardo, in un altro dei testi fondamentali della sua dottrina dedicato ai desideri, Nichiren Daishonin ha scritto:

[...]
È l’illuminazione al fatto che realtà e saggezza sono due, ma allo stesso tempo non sono due.
 
Questi sono insegnamenti d’importanza primaria. Corrispondono ai princìpi per cui “le illusioni e i desideri sono illuminazione” e “le sofferenze di nascita e morte sono nirvana”. Recitare Nam-myoho-renge-kyo durante l’unione fisica di uomo e donna è veramente ciò che si chiama “le illusioni e i desideri sono illuminazione” e “le sofferenze di nascita e morte sono nirvana”. Il principio secondo cui “le sofferenze di nascita e morte sono nirvana” esiste solo nella comprensione che l’entità della vita in tutto il suo ciclo di nascita e morte non viene né generata né distrutta. Il Sutra di Virtù Universale afferma che «senza eliminare le illusioni o separarsi dai cinque desideri, [essi potranno] purificare i loro sensi e spazzare via le loro offese». In Grande concentrazione e visione profonda si afferma che «l’ignoranza e la polvere dei desideri sono illuminazione e le sofferenze di nascita e morte sono nirvana».
[...]
 
(tratto da: "Le illusioni e i desideri sono illuminazione")

Ad una prima lettura, questo testo potrebbe essere frainteso e sembrare in contraddizione con i principi di base del buddismo. In realtà, Nichiren qui si sta basando completamente sull'insegnamento della Via di Mezzo di Nagarjuna che, ricordiamolo ancora una volta, egli definisce come "l'unica vera realtà". Confrontiamo ciò che ha scritto Nichiren con il terremoto prodotto da Nagarjuna nelle teorie delle scuole buddiste della sua epoca, notando le similitudini:

[...]
 
Le cause che portano al ciclo mondano delle rinascite (samsara) non possono essere le stesse che portano alla pace (nirvana). Questi stati dell'esistenza sono diversi come il fuoco e l'acqua: il samsara placherà la sete tanto quanto il nirvana porterà al fuoco della passione. Quindi, sono le parole del Buddha, per coloro che sostenevano la teoria dell'effetto come preesistente alla causa, ad avere il potenziale di purificare la coscienza, e non le parole di qualsiasi maestro non ortodosso; sono le pratiche dei buddisti, per coloro che sostenevano la nozione di efficacia causale esterna, che poteva liberare dalla rinascita, e non le pratiche di coloro che perpetuavano le ambizioni del mondo quotidiano e lavorativo. Queste scuole erano, ognuna nella sua unicità buddista, veri e propri esemplari dei presupposti secolari della visione del mondo del karma, in cui una persona è ciò che fa e ciò che fa deriva dal tipo di trucco fondamentale che ha ereditato da vite precedenti di azioni, una visione del mondo che è che sposa intimamente essenza, esistenza ed etica. Essere buddista significa proprio distinguere tra atti buddisti e non buddisti, tra ignoranza e illuminazione, tra il mondo sofferente del samsara e il raggiungimento purificato del nirvana.
 
Nel suo rivoluzionario trattato I versi fondamentali sulla Via di Mezzo, Nagarjuna getta alle ortiche questa distinzione elementare tra samsara e nirvana, e lo fa nel nome stesso del Buddha. "Non c'è la minima distinzione", dichiara nell'opera, "tra samsara e nirvana. Il limite dell'uno è il limite dell'altro". Ora, come si può affermare una cosa del genere, cioè l'identità tra samsara e nirvana, senza minare totalmente le basi teoriche e gli obiettivi pratici del buddismo in quanto tale? Infatti, se non c'è differenza tra il mondo della sofferenza e il raggiungimento della pace, allora che tipo di lavoro deve fare un buddista che cerca di porre fine alla sofferenza? Nagarjuna risponde ricordando ai filosofi buddisti che, come Gautama Sakyamuni aveva rifiutato il sostanzialismo metafisico ed empirico con l'insegnamento della "non anima" (anatman) e dell'interdipendenza causale (pratityasamputpada), il Buddhismo Scolastico doveva quindi rimanere fedele a questa posizione non sostanzialista attraverso il rifiuto delle teorie causali che richiedevano nozioni di natura fissa (svabhava), teorie che reificavano metafisicamente la differenza tra samsara e nirvana. Questo successivo rifiuto potrebbe basarsi sulla nozione, appena coniata da Nagarjuna, di "vuoto", "assenza" o "nullità" (sunyata) di tutte le cose.
 
[...]
 
Ma forse la cosa più rivoluzionaria è stata l'estensione da parte di Nagarjuna della dottrina della "vacuità" di tutti i fenomeni alla discussione del rapporto tra il Buddha e il mondo, tra il ciclo delle rinascite inflitte dal dolore (samsara) e la libertà soddisfatta e priva di desideri (nirvana). Il Buddha, conosciuto colloquialmente come "colui che è venuto e se n'è andato" (Tathagata), non può essere propriamente pensato per Nagarjuna nel modo in cui lo hanno fatto gli scolastici buddisti, cioè come il seme eternamente puro del vero insegnamento di pace che mette a tacere le illusioni del mondo altrimenti contaminato. Il nome e la persona di "Buddha" non devono servire come base teorica e giustificazione della distinzione tra il mondo ordinario, ignorante, e l'illuminazione perfetta. Dopo tutto, ricorda Nagarjuna ai suoi lettori, tutti i cambiamenti nel mondo, comprese le trasformazioni che portano all'illuminazione, sono possibili solo grazie alla causalità interdipendente (pratityasamutpada), e la causalità interdipendente, a sua volta, è possibile solo perché le cose, i fenomeni, non hanno una natura fissa e quindi sono aperti (sunya) alla trasformazione. Il Buddha stesso si è trasformato solo a causa dell'interdipendenza e della vacuità e quindi, come afferma Nagarjuna, "la natura del Tathagata è la natura stessa del mondo". È evidente che non si possono fare delimitazioni essenziali tra il mondo della sofferenza e le pratiche che possono portare alla pace, perché entrambi sono solo risultati alternativi nel nesso dell'interdipendenza del mondo.
 
[...]
 
tratto da:  Nagarjuna, il secondo Budda, il maestro del metodo scettico, la Via di Mezzo

Ecco, su questa questione Nichiren Daishonin condivide totalmente la visione di Nagarjuna. A questo punto dovrebbe essere evidente che la Via di Mezzo di Nagarjuna e la frase di Nichiren Daishonin secondo cui "le illusioni e i desideri sono illuminazione" sono complementari e integrati in una visione coerente della pratica buddista. Riassumiamo alcuni punti principali:

Non-dualità → La visione di Nichiren che "le illusioni e i desideri sono illuminazione" si allinea con la comprensione della vacuità di Nagarjuna. Se tutto è vacuo di esistenza intrinseca, allora anche le illusioni, i desideri e l'illuminazione non hanno un'essenza indipendente.

Entrambi gli insegnamenti enfatizzano la trasformazione della mente. Nel contesto della Via di Mezzo, si tratta di comprendere la vacuità per evitare di aggrapparsi agli estremi (di esistenza assoluta o di non esistenza) e vivere in armonia con la vera natura della realtà. Nel contesto di Nichiren, si tratta di trasformare e purificare la propria mente, con le sue illusioni e desideri, attraverso la pratica del Daimoku, rimanendo nella realtà della vita quotidiana.

Recitazione del Daimoku → La pratica del Daimoku (Nam-myoho-renge-kyo) insegnata di Nichiren Daishonin può essere vista come un metodo per coltivare la comprensione della vacuità e realizzare la Via di Mezzo. Attraverso questa pratica, sviluppiamo una visione che integra le esperienze mondane con la saggezza ultima, riconosciamo realtà della vita e illuminazione come interconnesse e interdipendenti, e vediamo entrambe come manifestazioni della stessa realtà vacua.

A tal proposito, vale la pena di notare che Nichiren Daishonin abbraccia il principio del "mutuo possesso dei Dieci Mondi", secondo cui il "mondo di inferno" contiene anche il "mondo di Buddità" e il "mondo di Buddità" contiene anche il "mondo di inferno". Sofferenza estrema ed illuminazione del Budda si includono quindi a vicenda.

Nascita e morte come nirvana → L'insegnamento di Nichiren che "le sofferenze di nascita e morte sono nirvana" riflette l'idea di Nagarjuna che non c'è una separazione essenziale tra samsara (il ciclo delle rinascite) e nirvana (la liberazione dal ciclo delle rinascite). Entrambi sono vacui di esistenza intrinseca.

Inoltre, Nichiren Daishonin ci fa notare che la vita "non viene né generata né distrutta". Sebbene non esista un'anima stabile, c'è una continuità della vita. Questo può essere paragonato a una fiamma che passa da una candela all'altra. La fiamma non è la stessa, ma è un continuum. Allo stesso modo, la vita continua attraverso cicli di nascita e morte, ma senza un'entità immutabile che persista.

L'insegnamento che la vita non ha un inizio né una fine assoluti sottolinea la natura interconnessa, impermanente e in continua trasformazione della vita. Questo punto di vista enfatizza la pratica e la realizzazione della saggezza per comprendere e vivere in armonia con la vera natura della realtà.

Purificazione attraverso la comprensione → La citazione dal Sutra di Virtù Universale e altre affermazioni simili nei testi di Nichiren sottolineano che non è necessario eliminare le illusioni e i desideri, ma comprenderne la vera natura. Questo è in linea con l'insegnamento della vacuità di Nagarjuna, dove la comprensione della vera natura delle cose conduce alla liberazione.

Nichiren e Nagarjuna insegnano entrambi che non bisogna respingere le esperienze mondane, ma comprenderle e trasformarle. La Via di Mezzo evita l'estremo della negazione della realtà mondana, mentre gli insegnamenti di Nichiren enfatizzano l'uso delle esperienze quotidiane come mezzo per raggiungere l'illuminazione.

Il principio che "l'ignoranza e la polvere dei desideri sono illuminazione" indica che le stesse cause di sofferenza e desiderio possono essere trasformate in saggezza. La polvere dei desideri non è qualcosa da evitare, ma da purificare attraverso la pratica e la comprensione.

Vantaggi del "non aggrapparsi" alle idee

La Via di Mezzo ci insegna a mantenere una mente aperta e flessibile. In pratica, questo significa:

Accettare la fluidità delle idee → Le nostre convinzioni possono evolvere con nuove esperienze e informazioni. Riconoscere questo ci libera dal dogmatismo e ci permette di adattarci meglio alle circostanze mutevoli.

Essere aperti al dialogo → Ascoltare le opinioni degli altri senza pregiudizi arricchisce il nostro punto di vista e ci aiuta a trovare soluzioni più equilibrate nei conflitti.

Essere adattabili → Affrontando cambiamenti o situazioni inaspettate, possiamo reagire in modo più calmo e ponderato, senza sentirci minacciati o destabilizzati.

Evitare il conflitto → Molti conflitti nascono dall'attaccamento a idee fisse. Se impariamo a non identificarci troppo con le nostre opinioni, possiamo risolvere i conflitti in modo più pacifico.

Esaminare le idee → Abituarci a esaminare criticamente le nostre credenze e opinioni, con la disposizione a cambiare idea quando le prove ci mostrano che siamo in errore.

Sperimentare la libertà mentale → Liberarci dall'attaccamento alle idee ci offre una grande libertà mentale. Possiamo esplorare nuove possibilità e approcci senza sentirci limitati dalle vecchie credenze.

Il distacco dalle idee non significa distacco dall'umanità o dal benessere degli altri. Al contrario, liberarci dall'attaccamento alle idee favorisce la compassione (karuna) e la non violenza (ahimsa):

Coltivare la compassione → Liberarci dall'attaccamento alle nostre idee ci permette di vedere e comprendere meglio le sofferenze degli altri. Possiamo rispondere con maggiore empatia e gentilezza, promuovendo il benessere altrui senza essere limitati da pregiudizi o credenze rigide.

Praticare la non violenza → Senza l'attaccamento alle idee, siamo meno inclini a entrare in conflitto con gli altri. La non violenza diventa un modo naturale di interagire con il mondo, poiché comprendiamo la vacuità delle posizioni assolute e vediamo il valore dell'armonia e della pace.

La combinazione di consapevolezza, compassione e non violenza ci permette di vivere in modo più completo e autentico, contribuendo positivamente al mondo che ci circonda.

Differenza tra idee e fede

Sia nella tradizione di Nagarjuna che nel Buddismo di Nichiren Daishonin, la "fede" è vista come "fiducia" negli insegnamenti buddisti, che deve essere accompagnata dalla pratica e dalla comprensione. Non è un atto di sottomissione cieca, ma un processo attivo e consapevole di esplorazione e trasformazione personale.

Nagarjuna utilizza la critica delle costruzioni concettuali per dimostrare che tutte le teorie e le visioni del mondo sono, in ultima analisi, vuote di essenza. Questo approccio rifiuta qualsiasi forma di dogmatismo, poiché ogni concetto è soggetto a decostruzione e analisi critica.

Anche Nichiren Daishonin rifiuta un'accettazione passiva di dogmi. Nichiren incoraggia i suoi seguaci a studiare profondamente gli insegnamenti in modo critico. Questa enfasi sullo studio e sul fare domande contrasta con il dogmatismo, poiché i praticanti sono invitati a comprendere, a interiorizzare e a "vivere" gli insegnamenti piuttosto che ad accettarli ciecamente.

L'insegnamento sia di Nagarjuna che di Nichiren Daishonin implica un invito a non avere "risposte pronte" su nessuna questione, promuovendo invece un approccio dinamico e investigativo alla comprensione della realtà e degli insegnamenti buddisti. La fede (cioè la fiducia) e la comprensione crescono attraverso l'esperienza e la pratica, piuttosto che attraverso l'adozione di risposte preconfezionate.

(27 luglio 2024)

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