"Resilienza" è termine gradevole e positivo nel suo significato non-politicizzato e non-giornalistico, cioè in quello meno comune.
Questi sono alcuni esempi molto positivi, tratti da brani di Daisaku Ikeda:
«[...] sono necessari ovunque sforzi quotidiani per aumentare la resilienza, ossia la capacità di prevenire le crisi e la loro escalation e di rispondere con saggezza e in maniera energica e flessibile alle difficili condizioni che si verificano subito dopo un disastro [...]»
(tratto da: "Proposta di Pace 2016 - Il rispetto universale della dignità umana: la grande strada che porta alla pace")
«[...] Ma, attivando la capacità di metterci al posto degli altri, possiamo rafforzare la resilienza agli incitamenti all'odio anche in momenti in cui le tensioni sociali diventano sempre più grandi. [...]»
(tratto da: "L'empatia è la chiave per i diritti umani")
«[...] Al Summit, che ha riunito un gran numero di partecipanti provenienti da tutti i settori della società civile, è stata ribadita l'importanza di perseguire programmi umanitari e di sviluppo in maniera coordinata e omnicomprensiva, aumentando nello stesso tempo la resilienza dei rifugiati e delle comunità che li ospitano.
Accrescere la resilienza è un punto focale della mostra Restoring Our Humanity (Ristabiliamo la nostra umanità) prodotta ed esposta per la prima volta in occasione del Summit di Istanbul. La SGI, che ha contribuito a organizzarla, vuole sottolineare come il consolidamentodella resilienza costituisca l'elemento chiave nella costruzione di un mondo in cui nessuno sia lasciato indietro. [...]»
(tratto da: "Proposta di Pace 2017 - La solidarietà globale dei giovani annuncia l'alba di un'era di speranza")
In questi brani, Ikeda usa la parola "resilienza" (o meglio, i traduttori di Ikeda hanno usato tale parola) per indicare un approccio proattivo e trasformativo alle sfide, con saggezza, energia, flessibilità, empatia, solidarietà e cooperazione per affrontare tensioni sociali e umanitarie. Nulla di ridire, tutto ciò è più che auspicabile.
Nel linguaggio comune del main stream, della politica, del giornalismo, e purtroppo anche della psicologia, la "resilienza" non ha invece un significato così positivo, anzi, oserei dire squallido. Ad esempio, prendiamo Mario Draghi:
«[...] Infine, non dimentichiamo che per essere competitivi, dobbiamo essere resilienti – ha concluso –. Abbiamo attraversato molteplici shock negli ultimi anni e abbiamo lavorato per costruire catene di valore industriali più robuste, soprattutto quando si tratta di sicurezza dell'approvvigionamento [...]» (tratto da: "Ue, Draghi: situazione preoccupante, servono investimenti massicci", 9 settembre 2024).
Tradotto dal politichese all'italiano: «Per essere "competitivi", cioè per permettere alle nazioni europee di vincere la guerra economica (e militare) contro le nazioni nemiche degli Stati Uniti e, per esteso, per permettere alle nazioni europee più forti di sopraffare quelle più deboli, dobbiamo essere "resilienti", cioè adattarci in toto alle logiche del mercato: ciò significa che il dominio e la volontà di pochi miliardari devono prevalere sui parlamenti democraticamente eletti». Chi non ha chiara questa mia traduzione, provi a cercarsi le responsabilità di Mario Draghi con la morte di centinaia di bambini in Grecia. E' evidente che il termine "resilienza", in questo caso, indica la prostituzione e il martirio degli stati a logiche anti-umane. Questo è ormai anche il significato generale del termine nel linguaggio comune, seppure continui ad assere ammantato di una positività ipocrita che confonde le idee.
E' per questa volgarizzazione del termine "resilienza" che mi guardo bene dall'usarlo, e scoraggio altri dal farlo.
Volendo usare una metafora che ne colga pienamente il senso politico, nel linguaggio attuale la resilienza è un invito a non lamentarsi, a non cercare aiuto e a non cercare di liberarsi durante una violenza sessuale atroce, accettandola come fatto della vita.
Questa scena truce della violenza sessuale può accompagnarsi ad un'altra metafora.
Possiamo essere in "pace" e "resilienti", cioè pienamente adattati al sistema, mentre siamo rinchiusi, con mani e piedi legati, dentro un casa di legno che sta andando in fiamme? Possiamo?
La domanda potrebbe sembrare retorica, ma lo è solo in parte. Invito i miei lettori a fermarsi prima di proseguire, a fare qualche respiro profondo per placare le emozioni. Stiamo per immergerci in un'altra dimensione di pensiero, di speranza e di stato d'animo.
Abbandoniamo la politica, lasciamo da parte le polemiche e le idee, e immaginiamo di essere dentro la casa in fiamme, legati ad una sedia. Riusciamo ad essere in pace?
Secondo me, se la risposta è "no" o "sì", dipende dal nostro livello di evoluzione interiore.
Anzi, volendo essere ancora più precisi, l'esistenza o non-esistenza della casa in fiamme o della violenza sessuale è anch'essa una questione conseguente alla propria evoluzione interiore e alla propria consapevolezza.
Tutto arde in un grande fuoco... ma è proprio così?
Il capitolo 16 del "Sutra del Loto" contiene questi versi poetici:
«[...] Quando gli esseri viventi assistono alla fine di un kalpa
e tutto arde in un grande fuoco
questa, la mia terra, rimane salva e illesa,
costantemente popolata di esseri celesti e umani.
Le sale e i palazzi nei suoi giardini e nei suoi boschi
sono adornati di gemme di varia natura.
Alberi preziosi sono carichi di fiori e di frutti
e là gli esseri viventi sono felici e a proprio agio. [...]»
Teniamo a mente, nel leggere questi versi, che è il Budda a parlare. In questo capitolo sta dichiarando non solo di essere eterno e di essere il padre di tutte le creature (nello stesso capitolo, dichiara in versi: "Io sono il padre di questo mondo che salva coloro che sono afflitti e soffrono"), ma sostanzialmente fa comprendere, come poi insegnò il maestro Toda, di essere la Vita stessa.
Riprendendo un recente intervento di Marco Guzzi, potremmo chiederci se "siamo in tempi d'oro o in tempi di piombo". Io direi nessuno dei due e tutti e due.
Come vediamo le cose dipende innanzitutto dalla nostra mente. I sacri insegnamenti del Budda raccolti in versi nel Dhammapada, iniziano con questa strofa:
Tutto ciò che siamo è generato dalla mente.
E’ la mente che traccia la strada.
Come la ruota del carro segue
l’impronta del bue che lo traina
così la sofferenza ci accompagna
quando sventatamente parliamo o agiamo
con mente impura.
In effetti, ogni nostra esperienza è filtrata dalla mente, ed è questa che determina come percepiamo e reagiamo al mondo intorno a noi.
Forse la vera rivoluzione interiore è accogliere il fatto che il mondo è giusto così com’è, e va bene così com’è, per lo scopo per il quale esiste? Stesso discorso per le nostre vite?
Se nessuno di noi è sbagliato, come ci hanno insegnato tutti i grandi saggi e le grandi tradizioni sapienziali, allora come può il mondo essere sbagliato? Nell'Angelus del 22 dicembre 2024, papa Francesco ha ripetuto più volte che "nessun bambino è un errore". Nessuno di noi lo è. Nessuna forma di vita lo è: questa è la chiave del pensiero cristiano. Il mondo va bene così com'è.
Un pensiero del genere è un’enorme rivoluzione. Implica però la consapevolezza che non esiste il "caso", ma che tutto è finalizzato ad uno "scopo" che trascende la nostra comprensione ordinaria. Nel linguaggio cristiano, tutto ciò che esiste potrebbe essere una manifestazione del pensiero di Dio, i cui obiettivi trascendono le volontà e i desideri delle singole creature. Sono sicuro che il pensiero mistico di altre tradizioni non cristiane vada in una direzione simile, dove l'inizio e la fine di ogni cosa sono nella beatitudine divina:
«Dalla beatitudine tutti gli esseri nascono,
nella beatitudine vivono,
e nella beatitudine infine si fondono»
(Taittiriya Upanishad, Bhrigu Valli, 3.6)
Cerchiamo di ricordarcelo.
(26 dicembre 2024)