Nella Grecia antica “Conosci te stesso” è un motto iscritto nel tempio di Apollo a Delfi.
E' una esortazione a conoscere i propri limiti per conseguire il pieno sviluppo della personalità. “Conosci te stesso” è la presa di coscienza del soggetto di se stesso come persona.
Conoscere se stesso dovrebbe essere una cosa facile, invece risulta difficile da farsi. Guardarsi dentro è più complicato di quello che sembra. Normalmente le persone preferiscono riflettere su altro, non su se stessi, non hanno coscienza della propria coscienza. Non hanno autocoscienza.
La debolezza umana con tutte le sue miserie è il risultato di un’assurda condizione esistenziale che l’uomo fa fatica ad accettare per vivere in modo consapevole e cosciente. Le inevitabili fragilità della vita stessa provocano illusioni o autoinganno che inconsciamente servono ad ognuno di noi per reagire alla difficoltà di vivere. Difficilmente siamo disposti a fare autocritica, a dire la verità su noi stessi. L’uomo è incapace di percepire, ascoltare, assorbire e vivere il mistero dell’esistenza e l'incertezza della vita. La complessità del mondo tradisce le aspettative di qualsiasi logica.
Così nell'affrontare la difficoltà di vivere l'individuo inconsciamente esprime comportamenti irrazionali (come fobie, paranoie, fissazioni, manie, dipendenze patologiche) che sono parti costituenti dei tratti di una persona.
Abituati ad identificare la nostra mente con il nostro pensiero, "io sono i miei pensieri", il nostro Io (egoico-bellico) è separato dal resto del mondo. La persona manifesta così una forma di egoismo profondo di cui non è di solito consapevole, una evidente concentrazione su se stesso negli scambi interpersonali ed una incapacità di vedere il mondo dal punto di vista degli altri.
Le informazioni, che potrebbero generare deduzioni contrarie, vengono ignorate dall’Io egoico, con la funzione di preservare l'autostima, limitando così l’accesso alla consapevolezza degli aspetti personali negativi conservati nella memoria. In questo senso le persone tendono ad attribuirsi il merito dei successi e a declinare le responsabilità dei fallimenti.
L'agire umano dipende da una irrazionalità insita nell'uomo che affiora ogni volta che la ragione cede il passo a tutta una serie di comportamenti che non sono il frutto di una logica ma di emozioni, istinti, sentimenti giustificati a posteriori con argomenti che si sforzano di essere razionali nel tentativo di dare a noi stessi un ordine che non esiste.
C'è ipocrisia nelle persone che vogliono credere di fare un ragionamento razionale, mentre invece il ragionamento è solo un modo per giustificare o mascherare il proprio comportamento irrazionale. Gli individui pensano in un modo, parlano in un altro modo, agiscono in un altro modo ancora.
L'uomo sceglie sempre la strada più facile (illusione ed autoinganno) per risollevarsi dalla sua condizione esistenziale, per questo è fondamentale riconoscerne i suoi limiti naturali.
La nostra coscienza molto legata a una immagine positiva di noi stessi, fa fatica a registrare cambiamenti problematici. Nella profondità della vita delle persone coperta dal velo delle illusioni, nell'ombra, c'è una parte di noi oscura, somma di quelle caratteristiche personali riprovevoli che l’individuo desidera rimuovere o nascondere agli altri e a se stesso.
Per un altro naturale meccanismo di difesa, le persone inconsciamente, poiché mancanti di auto-consapevolezza, tendono a proiettare fuori le proprie caratteristiche personali più profonde attribuendo ad altre persone i propri impulsi, desideri o pensieri, invece di esercitare una efficace introspezione di sé stessi per riconoscere gli elementi più negativi della propria personalità.
Sono le cose in cui crediamo che creano la nostra realtà. Per cui non è la ragione ma la vita vissuta a modificare nel tempo lo stato d’animo delle persone.
Solo mettendo a nudo i limiti della natura umana è possibile conoscere meglio se stessi.
Accettare la sostanziale incertezza del nostro sapere vuol dire indagare la meraviglia del mondo reale e rilevarne i suoi aspetti misteriosi, imparando a convivere con i nostri limiti.
Gandhi sostiene, per evitare l'autoinganno, che “Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo”. Per trasformare il pensiero in azione, bisogna uscire dall'idea dell'individuo che sperimenta sé stesso, i suoi pensieri e i suoi sentimenti scissi dal resto del mondo, accettando il concetto di interdipendenza tra le parti, dove tutte le cose sono mutevoli e collegate tra di loro, un tutto in uno. Mettere in discussione il proprio Io egoico-bellico, libera l'uomo da una individualità separata da tutto il resto, riscoprendo la propria natura universale.
L'individuo si illumina quando riesce a vedere quella parte di se stesso che ignorava, cioè nascosta nel buio, nell'ombra della sua coscienza. Diceva Pasolini che “L’unico colore dell'uomo è nella gioia di affrontare la propria oscurità".
L'autocoscienza è lo spirito critico, libero da condizionamenti psichici, che eliminando gli automatismi del pensiero, modifica lo stato di coscienza necessario per vedere la realtà così come è nel momento presente. L'autocoscienza provoca un cambiamento nella psiche, mettendo in crisi i luoghi dell’interiorità, come quella falsa immagine di sé, ossessionata dalla identità e dalla sua frammentazione. Il soggetto con un esame di coscienza, riflettendo su se stesso, non si identifica più nella percezione che la sua mente ha di sé, evita di avere pregiudizi, concetti a priori, bias di conferma, idee preordinate, schemi ed automatismi mentali, pensieri precostituiti.
Con la pratica meditativa, una volta svanita l’identificazione tra la mente e quel centro di appropriazione del pensiero che è l'Io egoico, il soggetto distaccatosi da questo stato di coscienza trasforma il proprio Io in un Io relazionale che si sente come tutt’uno con il mondo.
Ognuno pensa se stesso come una goccia d'acqua. Si rifiuta di unirsi come acqua nell'oceano dell'immensità. Perdersi in questo oceano provoca dispiacere se si resta goccia. Ma la possibilità di prendere coscienza del sé, può evitare quella tensione superficiale (desiderio individuale) di restare goccia, scoprendosi acqua della goccia in mezzo all'acqua dell'oceano.
(Giulio Ripa, 18 ottobre 2022)
sullo stesso argomento: "Conosci te stesso?", di Francesco Galgani