Riporto in questa pagina l'articolo "Divagazioni sull'uomo", di Giulio Ripa. Il titolo che ho scelto per presentare questa pagina - "La condizione umana: problemi, reazioni, soluzioni" - è sicuramente molto impegnativo, inserendosi in una discussione millenaria che non avrà mai termine. Vorrei avvertire i lettori che questo articolo di Giulio Ripa è naturalmente completato da "La sindrome di Prometeo ovvero i limiti del desiderio", scritto dallo stesso autore.
Del suo articolato pensiero, mi ha attirato il fatto che alla visione imperante consumistica, che di per sé è irrazionale e autodistruttiva, viene proposta in alternativa la "sobrietà" come risposta adeguata alla difficoltà del vivere e di conoscere se stessi. La sobrietà non è un mero contenimento dei desideri, ma una loro trasformazione verso qualcosa di più grande e al tempo stesso più sintetico, più essenziale, meno dispersivo. In questo ritorno alla vera natura spirituale ed emotiva dei desideri, io vedo una gabbia, una prigione da cui è assai difficile evadere: la prigione degli atteggiamenti e delle opinioni. Nella sua folle razionalità, l'essere umano è capace di argomentare ciò che pensa, di giustificare (innanzitutto a se stesso) i propri comportamenti, ma raramente è capace di capirli veramente e di cambiarli per viver meglio, soprattutto se li ha agganciati al proprio senso di identità.
Una volta creata un’opinione, la mente umana si affeziona ad essa e cerca in tutti i modi di preservarla. Non basta incrementare la quantità di informazioni su un dato argomento per cambiare opinione su di esso, perché la mente non è permeabile a tutte le informazioni e non è predisposta a riceverle tutte indistintamente: di solito selezioniamo solo quelle informazioni che confermano le opinioni che già avevamo e non ci facciamo condizionare dalle informazioni contrarie. Ciascuno di noi può irrigidirsi su una posizione, fissarsi su una scelta, anche se non è realistica né autentica, ma frutto di condizionamento o mode transitorie. Anche quando sarebbe opportuno (nel nostro stesso interesse) cambiare tale posizione, generalmente ci opponiamo a ogni cambiamento, azionando una modalità di pensiero tutt'altro che razionale. Innanzitutto sono le emozioni a muoverci e a indirizzare i nostri ragionamenti. Spesso cadiamo in posizioni rigide e intransigenti anche per la confusione indotta dalla complessità della vita, confusione che ci rende più seducibili dalle mode e che ci predispone verso soluzioni-ancoraggio a cui aggrapparci per non farci risucchiare da un caos intollerabile. Le pressioni sociali ci manipolano continuamente. Solo una presa di consapevolezza delle nostre prigioni mentali può aiutarci a liberarcene, per poi attuare "veri" cambiamenti di vita.
Buona lettura di questo e di altri articoli di Giulio Ripa, tutti riuniti nel suo archivio.
Francesco Galgani,
26 marzo 2017
Divagazioni sull'uomo (di Giulio Ripa)
"La felicità non è fare tutto ciò che si vuole, ma volere tutto ciò che si fa” (Friedrich Nietzsche)
Dalle operette morali di Leopardi "Dialogo della natura e di un islandese" possiamo leggere che: "Quest'universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione. A chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?".
La domanda esistenziale che si poneva Leopardi rimane ancora senza una risposta razionale della ragione umana.
La ragione si è sviluppata come prodotto dell'esistenza umana. L'uomo quanto più si andava separando dalla natura tanto più aveva il bisogno di avere il controllo delle reazioni istintive alla precarietà della vita, alla paura di essere al mondo, all'esperienza della sofferenza.
Comunque la ragione, valido strumento gnoseologico, permette all’uomo di comprendere la natura del nostro animo e di cercare eventuali verità. Ma ci vuole troppo tempo per capire il mondo e c'è troppo poco tempo per imparare a vivere.
La nostra coscienza molto legata a una immagine positiva di noi stessi, fa fatica a registrare cambiamenti problematici.
L'essere umano attraverso il bisogno di riprodursi in un ambiente adatto alla propria sopravvivenza, al proprio benessere, è stato indotto a farsi espressione non più solo di necessità remote ma di desideri emergenti alimentati di continuo dalla sua immaginazione.
L'individuo condizionato dall'essere desiderante senza limiti, trova difficile dare un senso alla vita, e probabilmente appartenere a un gruppo, sociale, politico, religioso, culturale. Così in ogni comunità i legami si sono fatti deboli e precari.
Con il limite della razionalità che non può spiegare i misteri della vita, possiamo provare invece ad analizzare i problemi che vivono gli uomini, le loro reazioni e vedere se ci sono possibili soluzioni alla nostra condizione umana.
LA CONDIZIONE UMANA |
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Problemi |
Reazioni |
Soluzioni |
solitudine esistenziale |
vivere di illusioni |
visione unitaria della vita |
assurdità della vita vissuta |
narcisismo ed egoismo |
accettazione della complessità della vita |
difficoltà di conoscere se stessi |
comportamento irrazionale |
unire pensiero ed azione con uno stile di vita sobrio |
I problemi
Il “pessimismo cosmico” di Leopardi "La natura, mettendoci al mondo, ha fatto sì che in noi nascesse il desiderio del piacere infinito, senza però darci i mezzi per raggiungerlo" ci spiega l'impossibilità di una vita sempre felice.
Il problema dell'uomo resta la sua condizione esistenziale, ossia del come si presenta agli individui il modo di essere dell'esistenza: l'uomo ignora il perché della propria esistenza, non ne decide il quando ed il dove, sa invece che la vita di un uomo avrà una durata imprevedibile e limitata nel tempo, ma non sa però cosa c'era prima né cosa ci sarà dopo. Queste condizioni esistenziali producono una perdita di senso o di vuoto nella vita delle persone. Ci si sente soli.
La solitudine esistenziale è uno stato dell’animo che fa parte della natura umana. Sentirsi soli rispetto al problema esistenziale è uno stato che dipende dal proprio "essere interiore".
Solo la voglia di vivere può superare tale senso di vuoto e nullità. Dotato dell'istinto della vita, è nella natura di ogni uomo il desiderio di autoconservazione ed autoaffermazione. Ma la vita è una realtà inafferrabile che molte volte ci appare assurda nel suo svolgersi nel tempo, dove tutto contravviene alle regole della logica, il tempo scorre e con esso coincidono momenti accidentali e accadimenti biologici. Basta pensare alle malattie, agli incidenti, alle violenze o semplicemente all'imprevedibilità della morte.
Per ultimo, ma non per importanza, c'è il problema della difficoltà di conoscere se stessi, in quanto vengono ignorate le informazioni che potrebbero generare deduzioni contrarie alla preservazione dell'autostima, limitando così l’accesso alla consapevolezza degli aspetti personali negativi conservati nella memoria.
Nella profondità della vita delle persone coperta dal velo delle illusioni, nell'ombra, c'è una parte di noi oscura, somma di quelle caratteristiche personali riprovevoli che l’individuo desidera rimuovere o nascondere agli altri e a se stesso.
Le reazioni
Dalle "Ultime lettere di Jacopo Ortis" di Ugo Foscolo "Ci fabbrichiamo la realtà a nostro modo; i nostri desideri si vanno moltiplicando con le nostre idee; sudiamo per quello che vestito diversamente ci annoja; e le nostre passioni non sono alla stretta del conto che gli effetti delle nostre illusioni."
Poichè la ragione umana non sa dare risposte al mistero dell'esistenza, la volontà irrazionale ed incosciente dell'uomo non può fare a meno di pensare e cercare di realizzare i suoi desideri. E' innato nell'uomo avere desideri infiniti e senza limiti. Così la voglia di vivere stessa nel "far passare il tempo" oblitera la condizione esistenziale dell'uomo. La condizione precaria dell'uomo spinge la natura umana a vivere di illusioni poiché è difficile sopportare la fragilità della propria vita reale. Pochi resistono alla fatica di un lungo esame di coscienza ed all’accettazione della complessità della vita nelle sue diverse forme.
L'amor proprio necessario all'autoconservazione spinge l'uomo a desiderare sempre un piacere per essere felice. Ma rincorrere continui desideri produce continuamente infelicità che nasce dallo scarto tra l'attaccamento al desiderio del piacere infinito e il piacere che una volta soddisfatto è finito.
C'è una contraddizione tra la particolarità e la finitezza della vita di un individuo ed il suo desiderio del piacere infinito.
L'amore per sé, necessario all'uomo per proteggere e conservare se stesso, finisce di perdere di vista l'altro, cioè l'amore per il prossimo, l'amore per il tutto, cioè con l'infinito. Il narcisismo comporta un sentimento esagerato della propria importanza e idealizzazione del proprio sé, ovvero una forma di innamoramento di sé.
La persona manifesta una forma di egoismo profondo di cui non è di solito consapevole, una evidente concentrazione su se stessa negli scambi interpersonali ed una incapacità di vedere il mondo dal punto di vista degli altri.
I tratti narcisistici che appaiono nel corso dello sviluppo della personalità di un individuo "io sono quel che sono in relazione a me stesso" contraddicono l'idea di condivisione. Per realizzare desideri che non hanno confini, l'individuo viola lo spazio, la dignità, l'identità, il rispetto dell'altro. Quando si perseguono interessi indivisibili, cioè individuali, farsi individuo violenta l'individualità di un'altra persona.
A causa dell'istinto di sopravvivenza ed autoaffermazione, la voglia di vivere dell'individuo, nel desiderare un piacere infinito provoca la sofferenza negli altri individui ed a volte anche a se stesso. Infatti, l'individuo nelle sue relazione con gli altri, rimuove il fatto di essere violenza in quanto individuo, perché convinto da una falsa coscienza che si stia facendo la cosa giusta. Così la voglia di vivere nei più forti spinge a crudeltà ed egoismi.
Nell'affrontare la difficoltà di vivere l'individuo inconsciamente esprime comportamenti irrazionali che sono tratti costituenti del carattere di una persona, dal momento che le stesse funzioni che regolano la vita psichica degli individui possono portare a dei disturbi psichici (come paranoie, fobie, fissazioni, manie, pregiudizi, dipendenze patologiche).
Dato il bisogno di comunicare la propria esperienza agli altri, senza rinunciare alla sua singolarità, l'individuo tende ad attribuirsi il merito dei successi e a declinare le responsabilità dei fallimenti. Un comportamento ipocrita strettamente associato all'errore fondamentale di attribuzione, in cui l'individuo è portato a spiegare e giustificare il proprio comportamento. Le persone tendono infatti a cercare nell’ambiente informazioni in linea con i loro pre-esistenti punti di vista e a interpretare tali informazioni nella direzione di una loro conferma autofavorevole.
Per un altro naturale meccanismo di difesa, le persone inconsciamente, poichè mancanti di auto-consapevolezza, tendono a proiettare fuori le proprie caratteristiche personali più profonde attribuendo ad altre persone i propri impulsi, desideri o pensieri, invece di esercitare una efficace introspezione di sé stessi per riconoscere gli elementi più negativi della propria personalità.
Questi sono solo alcuni esempi che evidenziano come la difficoltà di conoscere se stessi porta ad un comportamento irrazionale. Pensiamo di essere razionali, ma la ragione è solo un modo per giustificare a posteriori ciò che le nostre emozioni, i nostri istinti e sentimenti già vogliono credere. Sono le cose in cui crediamo che creano la nostra realtà. Per cui non è la ragione ma la vita vissuta a modificare nel tempo il comportamento delle persone.
Le soluzioni?
Solo mettendo a nudo i limiti della nostra natura umana è possibile conoscere meglio se stessi avendo compassione per l'umanità nel desiderare la felicità per tutti: ascoltare le grida al proprio interno, e nel contempo ascoltare le grida del mondo.
Non esiste una ricetta buona per tutti, bisogna partire dall'esperienza del singolo. Nel cercare le soluzioni, possiamo solo indicare una via che si può percorrere individualmente ed insieme agli altri. Gandhi sostiene, per evitare l'autoinganno, che «Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo».
Per trasformare il pensiero in azione, bisogna uscire dall'idea dell'individuo isolato dal resto del mondo ed accettare il concetto di interdipendenza tra l'uno e il tutto, dove tutte le cose sono mutevoli e collegate tra di loro.
In una visione unitaria della vita, non c'è soluzione di continuità tra dentro e fuori di noi, non c'è dualismo tra coscienza di sè e oscurità, felicità e sofferenza, mente e corpo, individuo e società, uomo e natura. Tutto diventa uno ed uno diventa tutto.
L'Individuo fa tutt'uno non più solo con la propria vita, ma con la vita di tutti e di tutto, nelle sue varie espressioni, rappresentazioni ed interpretazioni possibili. In questa unità della realtà intera, l'uomo cerca di prendere coscienza di sé, di uscire dalla propria solitudine esistenziale.
In questa nuova visione infelicità e felicità fanno parte di un tutt'uno, avendo come unico desiderio il piacere della vita nella sua complessità.
Essere nel tempo disponibili ad agire secondo le possibilità che il mondo ci offre, essere impegnati nella vita in ciò che vale, che ci fa vivere degnamente, cioè che dona al vivere quella direzione, quel senso verso cui orientare i propri desideri.
Si diventa individui dando espressione singolare al sapere comune. Si sa insieme e si sta insieme nella comunità basata sulla pratica della libera condivisione nell'uguaglianza di potere di tutti, dove ciascuno è ugualmente libero rispetto a ogni altro in quanto parte dell'umanità comune a tutti.
L'individuo si illumina quando riesce a vedere quella parte di se stesso che ignorava, cioè nascosta nel buio, nell'ombra della sua coscienza. Prendere coscienza che l'attaccamento al desiderio del piacere infinito è una patologia che rende nevrotica la vita quotidiana. Superare questa condizione esistenziale aiuta a stare bene con se stessi per stare bene insieme agli altri.
Nel tentativo di cercare soluzioni alla nostra condizione umana possiamo partire da Friedrich Nietzsche: "La felicità non è fare tutto ciò che si vuole, ma volere tutto ciò che si fa”.
Questo aforisma ci indica la strada di chi sente il desiderio di “dare forma” alla sua vita spinto a sperimentare una sorta di "semplicità selettiva", di una assunzione selettiva delle cose. In questo modo non ci si perde “nelle tante cose da fare”.
La sobrietà può essere la risposta a tale dispersione: desiderare tutto ciò che si fa senza desiderare altro. Con uno stile di vita sobrio, la persona riesce a fare sintesi nella sua vita, di unificare idee ed azioni, avere una maggiore consapevolezza di sé. Con la sobrietà possiamo non solo semplificarci la vita, ma anche renderla molto più gradevole.
Dovremmo vivere semplicemente, in modo che altri possano semplicemente vivere.
Nietzsche affermava che "chi ha un perché nella vita, sa sopportare quasi tutti i come". Allora, si può raggiungere la felicità quando facciamo cose basate su un progetto di vita ben motivato e determinato.
Il fine non è tanto la felicità in sé, ma essere felici del progetto di vita necessario per raggiungerla. In realtà ciò è ancora un'illusione, ma un'illusione necessaria per sfuggire alla solitudine esistenziale dell'individuo.
Altrimenti un'altra soluzione sarebbe pensarsi come soggetto che fa del mondo un oggetto di conoscenza, in una prospettiva di “disincanto del mondo”, cioè trovarsi in una posizione di chi, abbracciando la conoscenza è consapevole della propria condizione esistenziale, vive con distacco i problemi quotidiani.
Ma questo è tutto un altro discorso, che va oltre il concetto di voglia di vivere felici.