Viviamo in un’epoca in cui le conseguenze del “pensare male” si manifestano in modo drammatico: ingiustizie, sfruttamento della natura, emarginazione di intere comunità e un crescente divario sociale. Questa catena di cause ed effetti, che potremmo chiamare “karma collettivo”, emerge da una visione distorta della realtà, in cui la chiusura del cuore ha reso possibili azioni prive di empatia. Abbiamo costruito città disumane, dove la ricchezza estrema coesiste con la povertà più degradante; abbiamo tollerato decisioni finanziarie che ignorano del tutto l’impatto sulla vita delle persone; abbiamo permesso che si generasse sofferenza per le minoranze, per le donne, per i bambini e per i popoli indigeni. Tutto questo è il frutto di un pensare che, anziché includere, esclude; anziché aprire, chiude.
Ma come possiamo uscire da questa spirale negativa? La risposta si trova in un cambio di prospettiva radicale, in un passaggio dal “pensare male” al “pensare bene”. Il pensare bene non è semplicemente un esercizio di positività generica, né un ottimismo ingenuo: è la capacità di considerare la realtà con uno sguardo ampio e profondo, che unisca cuore e mente, ragione e sentimento. È riconoscere che, dietro ogni ingiustizia e azione distruttiva, c’è spesso ignoranza, inconsapevolezza e un malinteso senso di separazione dagli altri e dal pianeta.
Quando iniziamo a “pensare bene” nel presente – qui e ora – scopriamo immediatamente la libertà interiore. Non ci sentiamo più vittime passive di un sistema ostile, né diventiamo complici di logiche di potere disumane. Al contrario, diventiamo agenti attivi del cambiamento, pronti a cercare soluzioni che non generino altro danno, che non accumulino ulteriore “karma” negativo. Questo nuovo tipo di intelligenza, che coniuga la lucidità dell’intelletto con l’apertura del cuore, è ancora poco sviluppato, ma è la chiave per riconfigurare il modo in cui facciamo economia, politica, finanza, medicina e perfino come insegniamo la storia e le scienze sociali.
In un futuro in cui università e centri di formazione adotteranno una prospettiva realmente filosofica – intesa come ricerca sincera della verità e non come mero studio accademico di teorie passate – potremo sperare di generare individui capaci di pensare con empatia e di agire con saggezza. Questo tipo di pensiero affonda le radici in un ascolto profondo di sé e del mondo, un ascolto che ci permette di cogliere l’unità fondamentale di ogni forma di vita.
La pace, infatti, inizia proprio dal pensare bene: nel riconoscere la nostra interconnessione e nello scegliere consapevolmente di onorare la dignità di ogni essere vivente. Solo così potremo dare vita a un’umanità finalmente gioiosa, creativa e capace di prendersi cura di se stessa e del pianeta che la ospita. E se davvero vogliamo costruire un domani più luminoso, non possiamo sottrarci a questo compito: imparare a pensare bene, per vivere e far vivere in pace.
(12 marzo 2025, vai alla mia galleria)